incesto
Colpo Proibito La mia cognata, la mia rovina


05.05.2025 |
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"Le stringevo i fianchi, la tenevo inchiodata, mentre lei si contorceva, bagnata, pazza, con le gambe attorno a me..."
PrefazioneCi sono limiti che l’istinto ignora, frontiere che il desiderio brucia senza pietà. Le relazioni familiari, i ruoli sociali, le convenzioni: tutto crolla quando due corpi si attraggono con una fame che non accetta regole. Questo è il racconto di una trasgressione consumata lentamente, e poi esplosa con la potenza di un colpo secco. Lei era mia cognata. E la sua figa, la mia ossessione.
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Il racconto
Era tornata a vivere da sola da qualche mese, dopo la separazione. Gisella, la sorella maggiore di mia moglie. Più donna, più sfrontata, più viva. Bastava un suo sguardo per confondermi. E quel giorno, complice il silenzio del pomeriggio e un invito banale a prendere un caffè, il gioco si aprì.
Entrai a casa sua col cuore già in gola. Indossava solo una vestaglia leggera, le gambe nude, lo sguardo sfacciato. “Fa caldo oggi,” mi disse, ma non era il meteo. “Rimani un po’… non capita mai che ci vediamo soli.”
Il caffè restò nel bicchiere. La sua mano sul mio braccio fu come una scintilla in un serbatoio.
“Ti sei mai chiesto com’è toccarmi?” sussurrò.
Non risposi. Le presi il viso con una mano, la baciai con tutta la rabbia accumulata in mesi di fantasie taciute.
Il resto fu istinto. La sollevai e la portai sul tavolo, strappandole via la vestaglia. Sotto non portava nulla. Il suo corpo maturo, perfetto, odorava di sesso e sfida. Le slacciai i jeans con una furia lucida, tirai fuori il cazzo duro, pulsante, e lo puntai come un’arma.
“Fammi sentire com’è scoparti,” le dissi, mentre lei si apriva, toccandosi.
E poi la penetrai con forza, con la fame di anni.
Ogni affondo era un colpo secco, un proiettile sparato dentro di lei.
“Dio, tuo cazzo è come un fucile,” gemette.
Le stringevo i fianchi, la tenevo inchiodata, mentre lei si contorceva, bagnata, pazza, con le gambe attorno a me.
Mi cavalcò sul divano, si girò a quattro, volle che la usassi ovunque. La sua figa era una trappola calda, viva, fatta apposta per farmi perdere la testa.
Urlò il mio nome quando venne. Io venni dentro di lei, senza pensarci.
“Così… voglio il tuo seme,” sibilò, tremando.
Rimanemmo nudi, sudati, stesi sul tappeto.
“Lo rifaremo, vero?” mi chiese, con gli occhi pieni di fuoco.
Le sorrisi. Era solo l’inizio.
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Epilogo
Da quel giorno, ogni occasione divenne un pretesto. Una visita, un messaggio, uno sguardo a cena. La figa di mia cognata era diventata la mia droga. E il mio cazzo, il proiettile che ogni volta l’avvelenava con piacere. Nessun rimorso. Solo verità carnale. Inconfessabile, ma reale. E in fondo, irresistibile.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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