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tradimenti

Viaggio premio


di iltiralatte
13.07.2025    |    490    |    0 8.7
"Sara si voltò verso di lui come se cercasse un rifugio che non avesse bisogno di parole..."
Viaggio Premio
Anche qui ricordo che TUTTI i miei racconti sono esclusivamente frutto della mia fantasia-
Ogni riferimento a cose o persone realmente esistenti è puramente casuale

Andrea e Sara non sapevano nemmeno di aver partecipato.
Avevano messo la firma in fondo al modulo, perché la ragazza del bancone aveva detto loro:
— Provate, tanto è gratis.
Adesso c’era una lettera ufficiale, intestata con tanto di logo verde e firma stampata, che recitava:
— Avete vinto un’esperienza escursionistica settimanale, da vivere in coppia.
Sette giorni.
Zaino e scarponi.
Luoghi mai visti.
Paesaggi ben oltre la cartolina sul frigorifero.
Non sapevano neanche da che parte iniziare.

Quando arrivarono a destinazione, il gruppo era già formato.
Al suo centro un uomo parlava.
Più alto di Andrea, voce che si sentiva anche se nessuno ascoltava.
— Benvenuti.
— Qui non si corre.
— Qui si cammina col paesaggio.”
Sara lo fissava mentre sistemava le mappe che i suoi collaboratori stavano distribuendo.
Andrea si alzava il cappuccio anche se non stava piovendo.
Il tempo di affidare i loro bagagli agli appositi inservienti e partirono.
Leo parlava poco.
La guida salutava con un cenno, verificava gli zaini le mappe ed aspettava che ognuno trovasse il proprio posto.
Egli aveva imparato a leggere le persone dai dettagli: dallo zaino mal regolato, dal modo in cui si allacciavano le scarpe, dalla distanza che lasciavano tra una frase e l’altra.
Andrea e Sara erano arrivati in silenzio.
Lei, molto bella, sorrideva con quel sorriso che si accende quando si è fuori contesto; lui sembrava in attesa di una smentita, come se tutto potesse essere revocato.
Leo li guardò, poi segnò qualcosa su un foglietto.
— Camminerete in centro al gruppo.
Dispose.
Nessuna spiegazione.
Solo l’indicazione.
Sara annuì.
Andrea controllò la fibbia del suo marsupio.
Durante il primo tratto il passo era semplice ma si notava che mancava l’abitudine.
Sara domandava spesso se stavano seguendo il tracciato,
Andrea evitava di rispondere.
Leo lasciava correre: ascoltava ed osservava.
A metà giornata, mentre il gruppo si fermava per una pausa, Leo si avvicinò a Sara.
— Come va?”
Domandò:
— Bene, credo.
— È bello stare qui.
La guida sorrise:
— Camminare in gruppo è diverso dal farlo in due.”
Ella lo guardò.
Non rispose ulteriormente.
Andrea era a cinque metri, seduto sullo zaino, con lo sguardo fisso su un tronco caduto.
Le prime ore erano solo passeggio tra prati fioriti oltre cui si notavano in lontananza imponenti catene montuose; quindi iniziarono le salite, le deviazioni, i dislivelli.
Leo parlava ed a volte rideva.
Sara rideva con lui.
Andrea teneva il passo: non troppo vicino, non troppo lontano.
Mentre Andrea riusciva agevolmente a mantenere il passo della guida Sara arrancava, sempre più sola, in fondo al gruppo,
La trattoria era fuori traccia, come se fosse cresciuta tra le pietre per errore.
Due tavoli all’aperto, una lavagna col menù scritto in gesso ed una fragranza di pane che non apparteneva al sentiero.
Leo si era seduto per ultimo, dopo aver contato i coperti.
Andrea non toccò il primo piatto, guardava Sara che chiacchierava con una coppia davanti a lei.
Ella gesticolava, sorrideva, sembrava parte del gruppo in modo che egli non riusciva ad imitare.
Al termine del pranzo, Leo si alzò e radunò il suo gruppo agli inizi di un sentiero:
— Ascoltatemi tutti.
Disse, senza alzare la voce.
Le conversazioni si fermarono per un attimo.
Andrea si girò verso lui.
— Da qui in poi è solo cammino: unico tracciato e nessuna deviazione.
Leo fece una breve pausa, poi aggiunse:
— Abbiamo pensato di farne una gara di regolarità
— Solo chi sa ben dosare le sue forze ha la possibilità di vincere.
— Dovete arrivare primi ma non vi servirà correre.
— Conta la regolarità del passo non la velocità, quella vi brucerebbe inutilmente le energie
Qualcuno sorrise, qualcun altro aggiustò la borraccia.
Andrea non disse nulla ma si sistemò meglio lo zaino.
Leo chiuse:
— Alla fine il vincitore riceverà un trofeo simbolico.
— Nulla di grande ma sarà chiaro chi l’avrà meritato.
Si voltò e diede il via avviandosi a sua volta ma si mise in coda, senza farlo notare.
Il gruppo si mosse in modo disordinato.
Ognuno cercava il proprio ritmo, aggiustando le cinghie dello zaino, sistemando la borraccia, rispondendo a mezze frasi lanciate tra un passo e l’altro.
Andrea era tra i primi.
Non tirava ma il passo gli veniva naturale.
Ogni tanto rallentava appena e volgeva lo sguardo a cercare Sara.
Lei arrancava.
Non vistosamente ma abbastanza da perdere terreno.
Il passo meno elastico, lo sguardo basso, la spalla destra leggermente piegata.
Andrea si girò di nuovo e vide Sara abbassarsi, appoggiare una mano al ginocchio e sedersi con decisione su una pietra affiorante.
Leo era dietro di lei, la raggiunse senza parlare, si inginocchiò ed aprì lo zaino.
Andrea tornò indietro con passo accelerato, senza correre.
Quando fu vicino, Sara stava già respirando con più calma.
Leo lo guardò quindi le disse piano:
— Rallenta.
— La testa c’è ma il passo va dosato.
Andrea annuì e si accovacciò a fianco di Sara, senza parole.
Il gruppo era ormai oltre la curva.
Il sentiero restava lo stesso ma il tempo aveva cambiato scala.
Sara era ancora seduta, il respiro era lento con le braccia che abbracciavano le ginocchia.
Andrea le stava accanto, accovacciato senza dire nulla.
Leo controllò il contenuto dello zaino e lo richiuse con calma.
Si alzò e si scosse la polvere dalle ginocchia.
Guardò Andrea, poi gli disse piano:
— Vai pure avanti.
— A lei penso io.
Andrea esitò.
Guardò Sara: gli occhi socchiusi, il volto pallido ma presente.
Poi guardò Leo, fermo e diretto.
Inspirò a fondo, quasi per trattenere un pensiero.
Espirò lentamente, con un sospiro che sembrava rilasciare qualcosa.
Si rialzò:
— Va bene.
— Vi attendo all’arrivo.
Leo non rispose a parole ma annuì.
Andrea sistemato meglio lo zaino si girò sul sentiero e riprese a camminare.
Passo dopo passo, ritrovava il ritmo.
Dietro di sé non lasciava parole: solo la sensazione che Sara fosse in buone mani.
Leo si alzò e si guardò intorno.
Senza dire nulla, fece un cenno a Sara.
Indicò con lo sguardo un punto tra gli alberi appena fuori dal sentiero.
Sara esitò ma lo seguì.
Pochi passi e già il fondo diventava più morbido, la luce più filtrata.
Non era lontano ma abbastanza celato da consentire una intimità rispetto a chi si fosse trovato a percorrere il sentiero.
Leo si fermò tra due tronchi bassi.
Poggiò lo zaino contro una radice e si accovacciò di nuovo.
Sara lo imitò, più lentamente.
— Qui nessuno ci disturberà
Affermò senza enfasi.
Sara non rispose.
Si tirò le ginocchia al petto e lo guardò.
Il silenzio era diverso.
Non quello della fatica ma quello che prepara senza dire di cosa si tratti.
Leo la osservava.
Non era invadente né dichiarato ma il corpo non mentiva.
Le spalle rilassate, le mani ferme, lo sguardo che si posava senza scivolare.
Sara rimase immobile quindi si sporse appena in avanti.
Una distanza che si accorciava di pochissimo ma che cambiava tutto.
Tra le fronde immobili il tempo sembrava sospeso.
Sara era lì, con le ginocchia strette e lo sguardo attento; Leo non la toccava ma la accarezzava cogli occhi e la blandiva colle parole.
— Ti sei mai chiesta cosa c’è oltre?
— Non oltre il sentiero, intendo.
— Oltre i turni, le domeniche uguali e le cene in cui non si parla davvero.
La voce non era seducente ma narrante.
Leo parlava come chi dipinge qualcosa che non possiede ma conosce.
— Ci sono luoghi dove non devi chiedere il permesso per essere felice.
— Dove il giorno è tuo, non di chi ti aspetta.
Sara non rispondeva ma ascoltava.
Lo sguardo era fermo, il respiro si fece più lento.
— Non è fuga.
— È avventura.
— Non è contro nessuno.
— È per te.
Il tono era basso, sincopato, con una cadenza che non cercava l’effetto.
Solo lo spazio giusto per far entrare l’immagine.
— A volte penso che il matrimonio sia un paesaggio che ti spegne.
— Tutto continua ad esserci ma nulla vibra più.
— Smetti di cercare, perché sai cosa troverai: mai niente di nuovo.
Sara abbassò lo sguardo un attimo.
Non parlò ma le mani si sciolsero appena.
Leo restò in silenzio, non avanzò, non insistette.
Parlava come si tira un filo non per legare ma per far capire che si può uscire dal nodo.
In una stagione in cui tutto parve rallentare, il matrimonio di Sara si stirò in silenzi e rituali svuotati.
Il marito, distante anche quando era presente, rincorreva trofei che parlavano solo di lui.
Leo non riempì il vuoto lo animò: non cercò di conquistarla, la blandì.
Le offrì parole che non spingevano ma aprivano varchi.
La sua voce non era seduzione: era un paesaggio alternativo.
Leo divenne il punto che tiene quando tutto si allenta, la direzione che non aveva promesse ma possibilità.
Sara non cambiò strada ma iniziò a guardare la nuova e forse a sentirla vibrare.
Sara non cercò nulla.
Non si predispose.
Non aspettò.
Leo seppe posizionarsi nel punto giusto: tra parola e sguardo, tra presenza e rispetto.
Non la toccò ma ogni frase era un gesto ed ogni pausa un respiro condiviso.
L’intimità non fu costruita: accadde all’improvviso: silenziosa, leggera ma sempre più reale.
Sara cominciò a sentirsi vista, accolta nel modo che non pretende ma comprende.
Senza far rumore, il suo cuore smise di resistere e cominciò a voler stare.
Andrea esisteva ma non abitava più nei suoi pensieri.
Leo non promise ma era presente e questo bastò a cambiare tutto, anche se nulla era stato detto.
Gli aprì le braccia e lo accolse dentro di sé-

Andrea arrivò per primo.
Sudato, brillante, deciso.
Il pubblico lo applaudì con entusiasmo mentre gli veniva consegnato il premio: un maestoso paio di corna di cervo, montate su un supporto di legno scuro.
Un simbolo di forza e resistenza.
Un simbolo che non sapeva raccontare ciò che davvero mancava.
Un trofeo perfetto per una gara sbagliata.
Nessuno glielo disse ma quel trofeo parlava anche d’altro.
Un ironico doppio senso inciso nelle venature ed in quel silenzio di chi mancava all’arrivo.
Sara non era presente.
Non c'era né tra gli applausi né tra le congratulazioni.
Ella si era attardata ma forse non era più così ansiosa di ricongiungersi a lui.
Leo, distante dalla folla, la stava guardando come si guarda una conquista.
Nessuna dichiarazione, nessun gesto esplicito.
Solo la postura che cambiava, un respiro più pieno, una vicinanza che non si nascondeva più.
In quel momento, mentre Andrea mostrava a tutti le corna che si era guadagnato, Leo si chinò su qualcosa di vero.
Non la toccava, ma la sua presenza era già corpo.
La parola divenne immediatamente complicità.
Lo spazio era già intimità e Sara non aveva scelto.
Aveva capito dove voleva restare.

Sara sedeva accanto a Andrea, il corpo composto, lo sguardo rivolto al suolo.
Non cercava il coraggio ma solo il tempo ed il modo giusti per quanto stava per dire ma quel tempo era già terminato e quello nuovo stava iniziando senza chiedere permessi.
Il suo battito era già tutto per Leo: non come nome ma come frequenza.
Un ritmo diverso che l’aveva invasa prendendo posto sotto la sua pelle.
Andrea le parlava con tono premuroso e parole sensate ma ogni suono rimbalzava su una distanza che non si misurava in metri bensì in verità non condivise.
Sara non rispondeva.
Non per colpa ma per scelta silenziosa.
Le mani ferme non cercavano salvezza.
Il volto teso non cercava giustizia.
Non ci fu confessione.
Ci fu assenza: non quella che si nota subito ma quella che si sente troppo tardi.
Andrea continuò a parlare.
Sara lo guardava non per dire ma per lasciarlo intuire.
In quello sguardo c’era tutto: il prima ed il dopo e quel breve istante in cui nessuno può più fare finta di nulla.
Il campo era ancora pieno di applausi.
Andrea stringeva il trofeo, il volto teso nel tentativo di ricomporsi.
Sara lo guardava, distante e immobile.
Leo non c’era: almeno non lì.
Fu in quel silenzio indeciso, quando la scena sembrava pronta per scivolare via, che un altro istruttore si fece avanti.
Camminava sicuro, con passo elastico, pantaloncini corti e sguardo da profeta mediterraneo.
Si fermò davanti a Andrea, lo scrutò, gli sorrise e con tono caldo e privo di esitazione, dichiarò:
— Mi sono assolutamente innamorato di te.
Un mormorio attraversò il gruppo.
Andrea restò di ghiaccio: lo sguardo perso, il trofeo ancora stretto, le labbra semiaperte.
— Seguimi nell’orgia del peccato
Continuò l’istruttore:
Nessuno rise!
Subito si formò uno di quei silenzi che non si sa dove mettere per non restarne imbarazzati
Il mondo si fermò.
Qualcuno smise di respirare.
Una risata nervosa echeggiò e nessuno capì da dove provenisse.
Il coordinatore si voltò senza sapere se ridere o ammonire.
Andrea restò immobile.
Non capiva se fosse uno scherzo o un delirio.
Non intese proprio niente e proprio per questo smise di comprendere Sara, perché lei, di fronte a quella scena improvvisa e assurda, non riuscì più a dire nulla.
Il momento perfetto per confessare evaporò sotto una comicità surreale.
Leo, distante, osservava tutto con un sorriso sottile.
Sara si voltò verso di lui come se cercasse un rifugio che non avesse bisogno di parole.
Andrea li guardò ma non capì poiché tutto restò nel sospetto ed era quello il vero veleno.
Andrea si voltò, cercando Leo tra i volti degli astanti.
Per lui non esisteva la folla, non c’era neppure rumore: solo quel vuoto intorno a cui i suoi pensieri si stringevano.
Lo trovò seduto, composto, lo sguardo tranquillo come chi non ha bisogno di fingere nulla.
Andrea lo raggiunse con passo lento,senza scatti, senza urla trascinando Sara dietro di sé.
Si fermò a un metro di distanza dal rivale quella misura che separa gli uomini dai gesti.
— Ti piace mia moglie?
Domandò piano ma senza esitazione:
— Bene: datti pure da fare … se ci riesci ma concedimi due ore libere.
— Sono curioso di conoscere fino a che punto sai tenerti addosso qualcosa che non ti è stato dato.
Leo non rispose..
Non sorrise ma il modo in cui respirava era già conferma.
Sara , non intervenne.
Non si voltò. ed in quell’assenza di movimento, Andrea non trovò né conferma né smentita.
Il tempo non si fermò: si piegò come legno sotto il peso di una verità che non era ancora detta ma che già si palesava
Leo con calma si alzò, si portò alle spalle di Sara e da l dietro le afferrò i seni con le mani cominciando ad impastarli e Sara non si sottrasse.
Andrea a quella vista si allontanò all’istante
Leo rimase immobili, le mani ancora calde del gesto che aveva appena compiuto.
Tutti lo avevano visto.
Sara non si era sottratta.
Andrea era già lontano ma nessuno parlava con lui.
Nessuno gli faceva i complimenti.
Sara si era seduta, con lo sguardo spento come se quel gesto avesse chiuso qualcosa che lei non sapeva di aver aperto.
Leo provò a toccarla ancora a riaccendere lo stesso contatto ma il suo tocco ora sembrava fuori tempo e fuori luogo.
Leo aveva vinto, certo.
Il rivale si era ritirato e la donna non si era difesa.
Eppure, il possesso ora sembrava pesare più del desiderio.
Sara si alzò: non disse nulla.
Camminava come chi è in ritardo su se stessa,come se tutta quella scena non fosse mai stata sua.
Leo la seguì con lo sguardo.
Non era pentito ma non capiva dove finisse il gioco e dove cominciasse il debito.
Andrea si era ritirato ma aveva lasciato dietro di sé una frattura invisibile: quella tra chi prende e chi viene preso, quella che si apre solo quando il silenzio non basta più.
Andrea si ritrovò, con le corna strette tra le mani e la voce dell’istruttore ancora rimbombante nell’aria.
Nessuno lo aveva mai guardato così in precedenza.
Nessuno gli aveva mai detto una cosa tanto assurda e tanto vera, nel momento sbagliato.
Non capiva Sara, non capiva Leo, non capiva nemmeno se quella frase fosse una provocazione o una nuova frontiera del suo fallimento.
Ma non si arrabbiò.
Non fece scenate, non volle spiegazioni.
Fece di meglio (o di peggio): l’unica cosa che avrebbe lasciato tutti ammutoliti.
Si voltò verso l’istruttore, lo guardò un secondo e con passo deciso lo raggiunse.
— Hai detto orgia del peccato?
Domandò con voce ferma:
— Guidami, voglio vedere dove mi trascinerai con questa benedizione.
Un applauso nervoso si levò da un angolo.
L’istruttore aprì le braccia, sorpreso e raggiante.
Andrea gli mise il trofeo in mano, lo guardò come si guarda il destino e sparì con lui.
Nessuno seppe cosa accadde.
Sara lo vide andarsene senza voltarsi.
Leo non rise..
Il coordinatore abbassò lo sguardo.
Andrea non aveva capito niente ma aveva scelto l’unica fuga possibile: diventare qualcosa che non potesse più essere deriso, perché la derisione era ormai il suo linguaggio.

FINE . . . . .👍

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