tradimenti
Ultimo atto 1

07.05.2025 |
3.431 |
6
"I bicchieri sui ripiani erano immobili, le bottiglie impolverate, come se tutto fosse stato congelato nel tempo..."
AldoMi chiamo Aldo e ho trent’anni.
Non ho mai avuto grandi ambizioni fuori dal mio mondo, perché quello che amo è qui, tra ingredienti, fornelli e ricette che si trasformano ogni giorno.
Quando cucino, trovo ordine, precisione, un metodo che segue il mio ritmo di vita e non quello degli altri.
Non potrei vivere senza questa passione.
Essa è il mio spazio, il mio tempo, la mia libertà.
Cucinare è sempre stato il mio rifugio.
Non è solo una questione di mettere insieme ingredienti, ma un modo per dare forma ai miei pensieri, per trovare equilibrio quando tutto sembra incerto.
Ho imparato da bambino, guardando mia nonna impastare il pane, le mani infarinate, il movimento sicuro e costante.
Mi affascinava quel silenzio operoso, la calma che si respirava mentre gli aromi del cibo si mescolavano nell’aria.
Nel tempo, ho affinato la tecnica.
Non mi accontento della semplicità, voglio che ogni piatto racconti una storia, che ogni sapore lasci un ricordo.
Per vivere ho aperto un negozio di vino proprio qui, all’isola d’Elba dove l’aria ha il profumo del mare, mescolato a quello dolce del vino che riposa negli scaffali.
La stagione turistica scandisce i ritmi dell’enoteca, con l’alternarsi di giornate frenetiche e momenti di calma assoluta.
Nella mia enoteca, passo ore a sperimentare, cercando l’abbinamento perfetto tra cibo e vino, tra dolcezza e acidità, tra intuizione e precisione.
Quando sono ai fornelli, non penso a nulla.
Il mondo si ferma e resto solo io, il calore del fuoco e il profumo che si sprigiona nell’aria.
È il mio modo di controllare almeno una parte della mia vita, di dare ordine a ciò che mi circonda.
Era inverno quando, nel mio esercizio entrò una ventata di primavera.
Bionda, giovane, sicura di sé, quella ragazza aveva l’aria di chi sa esattamente cosa cerca, ma allo stesso tempo è pronta a lasciarsi sorprendere.
Mi sistemai il grembiule e feci qualche passo verso di lei, lasciando che fosse il profumo del legno e del vino a darle il primo benvenuto.
— Benvenuta! Ti piace il vino o sei qui per caso?
Lei sollevò lo sguardo e mi fissò per un istante.
Sorrise, senza fretta:
— Sono enologa. Direi che il vino mi piace abbastanza.
Lo disse con naturalezza, come chi non ha bisogno di impressionare nessuno.
Mi piacque subito.
Risposi:
— Ah, allora sei una collega! Anche se io mi limito agli abbinamenti... Vuoi dare un’occhiata?"
Sara percorse lentamente la sala, sfiorando le bottiglie sulle mensole, osservando l’ambiente con attenzione.
I suoi occhi si fermarono su un dettaglio che pochi notavano: una vecchia bilancia da mercato, di ferro e ottone, posata accanto al bancone.
Mi sorrise:
— Questa è bellissima. È vera o è solo un pezzo d’arredamento?
Gonfiai orgogliosamente il petto: finalmente qualcuno che notava i particolari.
— Vera, ovviamente.
— Funziona ancora alla perfezione.
— Sai, il peso giusto è fondamentale per certe ricette... e certe decisioni.
Sara sollevò un sopracciglio ed io cominciai:
— La mia enoteca non ha niente di sofisticato.
— È piccola, raccolta, piena di dettagli che parlano della mia passione.
— Ogni bottiglia sugli scaffali è una scelta personale, ogni legno ha il suo odore, ogni angolo racconta qualcosa.
— Dietro il bancone di noce scuro, ho sistemato i calici ordinati con precisione.
— Mi piace che tutto sia al suo posto, che i vini siano disposti in modo che si possano scegliere con uno sguardo.
— Ho sempre pensato che qui dentro si debba respirare familiarità, non soggezione.
Interessata ella mi rispose:
— Mi aspettavo il solito locale minimalista, con luci fredde e scaffali anonimi.
— Ma appena ho varcato la soglia, ho sentito un odore diverso, qualcosa di più vero, caldo.
— L’ocra delle pareti, il legno vissuto, la disposizione apparentemente casuale delle bottiglie... tutto qui dentro ha un’anima.
— Niente sembra impostato solo per la vendita.
— Sul bancone, oltre ai calici, noto un vecchio libro aperto sui vigneti italiani.
— Non è lì per decorazione, tu lo sfogli davvero!
La osservai avvicinarsi ai ripiani e passare le dita sul vetro delle bottiglie, come se cercasse qualcosa di preciso.
Poi sollevò lo sguardo, ed era chiaro che voleva farmi una domanda.
— Qui dentro, ogni dettaglio sembra scelto con cura.
— Ma il tuo vino preferito qual è?
Sorrisisi divertito:
— Bella domanda: sono astemio.
Due anni passati due anni dalla prima visita di Sara alla mia enoteca.
Due anni di scoperte, di chiacchiere tra bottiglie impolverate, di cene improvvisate dietro il bancone.
All’inizio era solo curiosità.
Lei voleva conoscere il mio mondo, io cercavo di impressionarla, ma più il tempo passava, più mi rendevo conto che con lei non servivano giochi.
Sara era diretta, senza fronzoli, ma allo stesso tempo sapeva dare spazio a ogni sfumatura di un rapporto che cresceva giorno dopo giorno.
Insieme avevamo trovato un equilibrio perfetto.
Lei con la sua competenza sull’enologia, io con la mia ossessione per gli abbinamenti.
Ridere, litigare, lavorare fianco a fianco: tutto sembrava naturale, senza forzature.
Un giorno, mentre sistemavamo alcune nuove etichette sugli scaffali, Sara fece una pausa, mi guardò e disse:
— Sai, io qui mi sento a casa.
Non mi serviva altro.
Ci sposammo qualche mese dopo, senza troppi sfarzi, solo una cerimonia intima con pochi amici e una bottiglia speciale.
Eravamo la coppia perfetta che aveva trovato il suo Paradiso Terrestre, o almeno così pensavamo.
Se il mio negozio era la mia zona sicura, mia suocera,Dora, era il suo esatto opposto.
Incapace di accettare me e il mio mondo, entrava sempre in ogni discussione con l’aria di chi giudica, osservando ogni bottiglia come se fosse una provocazione e praticamente polemizzava ogni volta che ci incontravamo.
Ella aveva un talento naturale per commenti sottilmente velenosi; mai diretti, sempre perfettamente affilati.
— Strano posto … così piccolo.
— Sara meriterebbe di più.
Esordiva,
Sara sospirava piano, già abituata a questa guerra perenne.
La sua mediazione era diventata un’abitudine; si avvicinava al bancone e prendeva un calice, riempiendolo con un gesto misurato.
— Mamma, sai che qui si beve il miglior vino della città? Almeno approfittane.
Dora sollevava un sopracciglio.
Non rispondeva ma il messaggio era chiaro: non mi avrebbe mai accettato del tutto.
Il silenzio era quasi surreale.
I bicchieri sui ripiani erano immobili, le bottiglie impolverate, come se tutto fosse stato congelato nel tempo.
Passavo una mano sul bancone e avvertivo il vuoto.
Il COVID ci aveva obbligati alla chiusura e da mesi nessuno ordinava un calice come nessuno raccontava la sua giornata davanti a una bottiglia.
Sara si sistemò la giacca e mi guardò.
Avevamo bisogno l’uno dell’altra.
— Ce la faremo, vero?
Domandò quasi più a se stessa che non a me.
Io annuii piano.
Ci volevamo credere.
CONTINUA ???
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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