tradimenti
Clara e gli amici di Sani senegalesi


22.06.2025 |
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"La luce soffusa del nostro loft in Brera accendeva riflessi caldi sul parquet lucido, ma quella sera, il 21 giugno 2025, l’atmosfera nel nostro appartamento era carica di un’eccitazione che non..."
La luce soffusa del nostro loft in Brera accendeva riflessi caldi sul parquet lucido, ma quella sera, il 21 giugno 2025, l’atmosfera nel nostro appartamento era carica di un’eccitazione che non riuscivo a spiegare. Clara, mia moglie, si stava preparando davanti allo specchio, il suo corpo snello e sinuoso fasciato da un vestito rosso attillato, corto, che le aderiva come una seconda pelle. I capezzoli premevano contro il tessuto sottile, e l’assenza di intimo era evidente: la curva della sua fica depilata si intravedeva appena sotto l’orlo, un invito sfacciato. I tacchi a spillo neri ticchettavano sul pavimento mentre si muoveva, e il suo profumo muschiato, caldo, saturava l’aria. “Sei pronta?” le chiesi, la voce già incrinata da un brivido di anticipazione. Lei mi lanciò un sorriso malizioso, gli occhi verdi che brillavano. “Sempre, Fulvio.” Qualche giorno prima, ero stato io a proporre a Sani, il nostro inquilino senegalese che viveva nel bilocale sopra di noi, di passare la serata di sabato insieme. “Sani, ti va se io e Clara saliamo da te il 21? Portiamo qualcosa di tipico italiano, piatti semplici, tante verdure,” gli avevo detto, incrociandolo sulle scale. Lui, alto, con spalle larghe e una pelle scurissima che sembrava assorbire la luce, aveva sorriso, il suo italiano stentato ma cordiale. “Signore, molto piacere. Io contento. Dopo penso io, ho sorpresa per signora Clara,” aveva risposto, un lampo di complicità negli occhi scuri. Quelle parole mi avevano fatto accelerare il battito, un misto di curiosità e desiderio che non riuscivo a scrollarmi di dosso.
Quella sera, con un vassoio di melanzane alla parmigiana leggera, zucchine grigliate e un’insalata di pomodori freschi, salimmo le scale verso il bilocale di Sani. Clara camminava davanti, i tacchi che echeggiavano, il vestito che saliva a ogni passo, rivelando la pelle liscia delle cosce. Bussai, e Sani aprì la porta, il suo corpo imponente che riempiva l’ingresso. Indossava una maglietta bianca aderente, pantaloncini sportivi grigi e un paio di pantofole logore, nient’altro. Il rigonfiamento nei pantaloncini era evidente, una presenza che non si poteva ignorare. “Signore, signora, benvenuti,” disse, la voce profonda, invitandoci a entrare.
Nel salotto, due suoi amici ci aspettavano: Amadou, alto e magro, con dreadlock raccolti in una coda, e Diallo, più robusto, con una cicatrice sulla guancia sinistra. Anche loro in magliette aderenti, pantaloncini e pantofole, la pelle scura che scintillava sotto la luce fioca. I loro sguardi si posarono subito su Clara, squadrandola senza pudore, e lei, invece di abbassare gli occhi, ricambiò con un sorriso provocante, sedendosi con grazia sul divano.
Ci accomodammo attorno a un tavolo basso, apparecchiato con piatti di plastica e bicchieri pieni di tè freddo alla menta, niente alcol, come si conveniva alla loro fede islamica. Io e Clara eravamo sullo stesso lato del tavolo, Sani di fronte a lei, Amadou a capotavola vicino a Clara, e Diallo all’altro capotavola, più vicino a me. La cena iniziò con chiacchiere leggere: il caldo di Milano, il mercato di Porta Ticinese, il sapore delle verdure italiane. Clara mangiava con calma, il vestito che le scivolava sulle cosce ogni volta che si muoveva, rivelando sempre di più. Notai la mano di Sani scivolare sotto il tavolo, posarsi sulla sua coscia nuda, le dita scure che accarezzavano la pelle chiara. Risalì lentamente, senza fretta, fino a sfiorare la sua fica, già umida, lucida sotto la luce. Clara sospirò, un suono basso che tradiva eccitazione, e io, invece di fermarlo, sentii il cazzo indurirsi nei pantaloni.
Per sciogliere la tensione, o forse per spingerla oltre, guardai Amadou. “Tocca anche tu,” dissi, la voce roca, un invito che suonava più come un ordine. Amadou non esitò: la sua mano scivolò sotto il tavolo, raggiungendo la coscia di Clara, poi la sua fica. Con un gesto deciso, infilò due dita dentro di lei, facendola sussultare. “Cazzo…” mormorò Clara, il corpo che tremava, gli occhi che si chiudevano per un istante. Io mi alzai, il cuore che mi batteva forte, e feci cenno a Diallo di avvicinarsi. “Siediti qui,” gli dissi, indicando il posto accanto a me. Diallo si spostò, e subito le sue mani trovarono le cosce di Clara, poi salirono ai suoi seni, strizzandoli attraverso il vestito.
Clara, ormai persa, non si limitava a subire. Con una mossa audace, infilò le mani nei pantaloncini di Diallo e Amadou, afferrando i loro cazzi. Sentii il suo respiro accelerare mentre li stringeva, gli occhi che si spalancavano. “Cazzo, sono enormi,” sussurrò, e notai che il cazzo di Amadou, rispetto a quello di Sani, era più doppio, largo, quasi spaventoso mentre quello di Diallo era lungo e duro come quello di Sani. La cena si concluse in un silenzio carico, i piatti di verdure dimenticati, il tè che si raffreddava nei bicchieri.
Ci spostammo sul divano, un vecchio mobile di pelle consunta. Clara si sedette al centro, Sani e Amadou ai suoi lati, Diallo in piedi davanti a lei. Io mi accomodai sulla sedia di legno di fronte, il cazzo già duro, ancora nei pantaloni, ma pronto a esplodere. Sani fu il primo: le afferrò il mento, le leccò la faccia, la lingua larga che scivolava sulle guance, sul naso, sulle labbra. “Sei una cagna,” mormorò, e Clara gemette, un suono che era puro desiderio. Diallo si unì, leccandole l’altra guancia, la lingua che si insinuava nella sua bocca, un bacio osceno e profondo. Amadou, non contento, le abbassò il vestito, scoprendo le sue tette sode, i capezzoli turgidi. Le leccò con avidità, succhiando e mordendo, mentre Clara inarcava la schiena, le mani ancora nei loro pantaloncini, stringendo i cazzi che pulsavano.
Sani la fece alzare, il vestito che cadeva a terra, lasciandola nuda tranne per i tacchi. La fece inginocchiare sul divano, le aprì le gambe con un gesto deciso e si chinò, leccandole la fica. La sua lingua scivolava tra le labbra, succhiando il clitoride, mentre Clara gemeva, il corpo che tremava. Amadou e Diallo, ai suoi lati, continuavano a leccarle la faccia e le tette, tirando fuori i seni oscenamente, come se fosse una troia in mostra. Io, sulla sedia, mi slacciai i pantaloni, tirai fuori il cazzo e iniziai a segarmi lentamente, ipnotizzato. Clara era un quadro di lussuria, la faccia lucida e bagnata di saliva, le tette rosse per i morsi, la fica bagnata che schizzava sotto la lingua di Sani. “Cazzo, sì…” ansimava, la voce spezzata, mentre io mi segavo, sapendo che quella serata era solo l’inizio. Clara era inginocchiata sul divano, nuda tranne per i tacchi a spillo neri che scintillavano sotto la luce fioca del salotto di Sani. L’aria era densa, impregnata del suo profumo muschiato, misto al sudore maschile e al mentolo del tè ormai freddo sul tavolo.
Clara mi lanciò uno sguardo, gli occhi verdi pieni di sfida e desiderio, la bocca socchiusa che ansimava. Sani, imponente nella sua maglietta bianca, si alzò dal divano, il suo cazzo duro di 22 cm dava ben chiaro il segno di ciò che voleva. “Signora, ora ti prendiamo il culo,” disse, la voce profonda, l’italiano incerto ma carico di promessa.
Io ero sulla sedia di legno, il cazzo in mano, segandomi lentamente, il cuore che mi esplodeva nel petto. L’aria del salotto di Sani era densa, satura del profumo muschiato di Clara, del sudore maschile e del mentolo del tè freddo abbandonato sul tavolo.
Sani la fece scendere dal divano e la guidò verso il centro della stanza, dove un materasso singolo giaceva sul pavimento, il lenzuolo sgualcito che odorava di polvere e sudore. “A pecorina, cagna,” ordinò, e Clara obbedì, inginocchiandosi sul materasso, le mani premute contro il tessuto, il culo in alto, i tacchi a spillo neri che scricchiolavano sul linoleum. La sua fica era fradicia, i succhi che colavano lungo le cosce, ma Sani si concentrò sul suo buco del culo. Si inginocchiò dietro di lei, le mani grandi che separavano le natiche, e iniziò a leccarlo, la lingua larga che scivolava sulla pelle, infilandosi dentro con una foga che fece sobbalzare Clara. “Cazzo…” gemette lei, il corpo che tremava, il buco che si contraeva sotto quella lingua invadente. Diallo, nudo, il cazzo duro come marmo, si posizionò davanti a lei, afferrandole i capelli. “Succhialo, troia,” grugnì, e le infilò il cazzo in bocca, pompando con forza, la saliva che colava sul mento di Clara. Amadou, anche lui nudo, si inginocchiò accanto, leccandole la faccia come un animale, la lingua larga che scivolava sul naso, sulle guance. Scostò la testa di Clara, facendole sfilare il cazzo di Diallo, e ringhiò: “Apri la bocca, cagna.” Clara obbedì, e Amadou le leccò la faccia, la lingua che si infilava tra le sue labbra. Clara gemette, succhiando la sua lingua come se fosse un cazzo, gli occhi che si chiudevano per il piacere.
Sani, ancora dietro, smise di leccare e iniziò a penetrare il culo di Clara con le sue dita nere. Prima due, poi tre, poi quattro dita lunghe che la sfondavano, allargandola con una precisione brutale. Clara urlava, un suono gutturale che si mescolava al rumore osceno delle dita che entravano e uscivano. “No, cazzo, mi stai spaccando!” gridò, ma il suo culo si muoveva contro di lui, tradendo il desiderio. Diallo, di fianco, si chinò sulle sue tette, leccandole con una foga brutale. Succhiava i capezzoli, mordendoli finché non diventarono rossi e gonfi, lasciando segni sulla pelle chiara. “Troia, guarda come ti piace,” grugnì, e Clara, tra un gemito e un altro, non protestò, il corpo che tremava sotto le loro lingue.
Sani fu il primo a prenderla. Si alzò, il cazzo di 22 centimetri duro come pietra, le vene pulsanti. Lo appoggiò sul buco di Clara, ancora umido della sua saliva, e con una spinta decisa iniziò a penetrarla. Clara urlò, un grido di dolore che squarciò l’aria. “Cazzo, no! È troppo grosso!” strillò, le mani che graffiavano il materasso, il corpo che si irrigidiva. Non aveva mai preso un cazzo così nel culo, e il dolore era evidente, ma Sani non si fermò. Pompava con un ritmo lento ma inesorabile, ogni spinta che la faceva sobbalzare, il suono dei suoi fianchi che sbattevano contro il suo culo che riempiva la stanza. Clara piangeva e gemeva, ma poi, come un’onda, il piacere iniziò a montare. “Cazzo… sì…” ansimò, e un orgasmo la travolse, un getto caldo che schizzò dalla sua fica, pisciando sul materasso sotto di lei. “Troia, pisci come una cagna!” ringhiò Diallo, leccandole le tette con più forza. Sani accelerò, grugnendo, e venne, scaricando un fiotto di sborra calda nel culo di Clara. Il liquido colò fuori, lungo le cosce, e lei tremava, il corpo scosso da spasmi.
Amadou prese il suo posto senza darle tregua. Il suo cazzo, più doppio, largo e tozzo, era un mostro di marmo nero. Lo appoggiò sul buco di Clara, già dilatato, e con un colpo brutale la inculò. Clara urlò ancora, il dolore che si acuiva, un grido che era quasi un singhiozzo. “No, cazzo, mi spacchi!” strillò, le lacrime che le rigavano il viso, ma il suo corpo si inarcava, accogliendo ogni spinta. Il piacere esplose, un’onda che la travolse, e un altro orgasmo la colpì, un getto violento che pisciò sul materasso e sulle cosce di Amadou. “Cagna, pisci di nuovo!” disse Sani, leccandole la faccia, la lingua che scivolava sulle sue lacrime. Diallo, sulle tette, succhiava e mordeva, i capezzoli gonfi sotto i suoi forti succhiotti. Amadou pompava con un ritmo selvaggio, le mani che le stringevano i fianchi, e quando venne, scaricò una quantità enorme di sborra nel culo di Clara, un fiotto che la riempì, colando fuori in rivoli bianchi, densi, che gocciolavano sul materasso. Clara si chinò subito, leccando il cazzo di Amadou per pulirlo, la lingua che scivolava lungo l’asta, succhiando ogni traccia di sborra e succhi.
Diallo fu l’ultimo. Si posizionò dietro Clara, il cazzo largo e venoso pronto. Lubrificò il buco con la sborra di Sani e Amadou, e la penetrò con una spinta brutale. “Cazzo, mi sfondate!” urlò Clara, ma il suo culo si muoveva contro di lui, assecondando i colpi. Ogni spinta era un orgasmo, un getto che pisciava dalla sua fica, bagnando tutto sotto di lei. “Troia schifosa, pisci come una cagna!” grugnì Amadou, leccandole la faccia fino sugli occhi. Sani, nuovamente in tiro, il cazzo in mano, si segava accanto a lei, guardandola con un ghigno. Io mi segavo sempre più forte, il cazzo duro come pietra, l’umiliazione di mia moglie che faceva la cagna che mi mandava fuori di testa. Diallo pompava con forza, il materasso che cigolava, e quando venne, un fiotto caldo riempì il culo di Clara, colando fuori mentre lei urlava, un quarto orgasmo che la fece crollare, il corpo scosso da spasmi. Diallo mi fece cenno, le mani che aprivano le natiche di Clara. “Vedi che culo largo avere fatto,” disse, ridendo. Era una caverna, larga e dilatata, un buco che pensai non sarebbe mai più tornato normale.
La sua fica pisciava ancora, succhi che schizzavano sul materasso inzuppato, un lago osceno di liquido e sborra. Clara giaceva supina, il corpo lucido di sudore, la sborra che colava dal suo culo dilatato, una caverna larga che, come aveva detto Diallo, sembrava non sarebbe mai tornata normale. I tacchi a spillo neri, ancora ai piedi, scintillavano sotto la luce fioca del salotto di Sani, bagnati di piscio che gocciolava sul pavimento. Il suo respiro era un rantolo spezzato, interrotto da gemiti e singhiozzi di piacere. La faccia era un disastro: lucida di saliva, le guance rigate di lacrime e della lingua di Amadou, che l’aveva leccata come un animale. Le tette, rosse e gonfie, portavano i segni dei morsi di Diallo, i capezzoli turgidi segnati da succhiotti brutali. Io ero sulla sedia di legno, il cazzo duro in mano, segandomi furiosamente, il cuore che mi esplodeva nel petto. L’umiliazione di mia moglie, trattata come una cagna, mi mandava fuori di testa, e il suo sguardo, quegli occhi verdi che brillavano di lussuria e sfida, mi inchiodava.
Sani, nudo, il cazzo già duro di nuovo, si avvicinò a Clara, torreggiando su di lei. “Adesso la tua fica, signora,” disse, la voce roca, l’italiano stentato che suonava come un comando. La fece distendere sulla schiena, le mani grandi che le afferravano le cosce, aprendole in modo osceno, la fica esposta, lucida e pulsante. “Amadou, Diallo, tenetele le gambe,” ordinò, e i due si avvicinarono, nudi, i cazzi duri che svettavano. Presero ciascuno una gamba, sollevandola in alto, i tacchi di Clara, bagnati di piscio, che scintillavano sotto la luce, le cosce spalancate in una posa che urlava sottomissione. Sani si chinò, leccandole il collo, la lingua larga che scivolava dalla gola alla clavicola, lasciando una scia umida. Clara gemette, inarcando la schiena, il corpo che rispondeva nonostante fosse esausto.
Sani si posizionò tra le sue cosce, il cazzo duro che sfiorava le labbra della sua fica. Con un colpo brutale, la penetrò, affondando fino in fondo. Clara urlò, “Cazzo, siii!” e la sua fica si contrasse attorno al cazzo di Sani, assecondando ogni spinta. Il suono bagnato della sua carne che accoglieva il suo cazzo riempiva la stanza, un ritmo osceno che si mescolava ai suoi gemiti e al cigolio del materasso. Sani pompava con violenza, le mani che le stringevano i fianchi, lasciandole segni rossi sulla pelle chiara. Io, segandomi, non resistetti e la incitai: “Clara, dai, sii più porca! Prendi i loro cazzi in mano!” Lei mi guardò, un lampo di lussuria negli occhi, e capì. Allungò le mani, afferrando i cazzi di Amadou e Diallo, uno per lato. Li segava con foga, le dita che scivolavano sulle aste dure, accarezzando le palle pesanti, un gesto che fece grugnire di piacere i due. “Brava, troia,” disse Amadou, la voce roca, mentre Diallo annuiva, godendosi le sue carezze.
Amadou, eccitato, si spostò, sedendosi sulla faccia di Clara. “Léccami, cagna,” ordinò, spingendo le palle contro la sua bocca. Clara, senza esitare, leccò, la lingua che scivolava sulle palle, poi più in basso, sul buco del culo di Amadou, un atto umiliante che la fece gemere di piacere. La scena era oscena, la mia moglie ridotta a leccare il culo di un uomo mentre Sani la scopava con forza. Diallo prese il posto di Amadou, sedendosi sulla sua faccia, il cazzo duro che sbatteva contro la sua fronte. “Léccami tutto, troia,” grugnì, e Clara obbedì, la lingua che esplorava le palle e il culo di Diallo, i gemiti soffocati dalla sua posizione. L’umiliazione la eccitava come una porca, il corpo che tremava sotto le spinte vigorose di Sani. Un orgasmo la travolse, un getto caldo che pisciò sul materasso, bagnando le cosce di Sani. “Cagna, pisci ancora!” rise Amadou, tornando a succhiarle le tette, mordendo i capezzoli con una foga che la fece urlare. Sani, urlando “Ti metto incinta, signora!” scaricò un fiotto di sborra calda nella sua fica, il liquido che colò fuori, mescolandosi ai succhi, un rivolo bianco che scorreva sulle cosce.
Amadou si spostò avanti, tirò a se le gambe e le sollevò il bacino. Il suo cazzo largo, duro come marmo, scivolò nella fica di Clara, lubrificato dalla sborra e dai succhi. Pompava con un ritmo lento ma profondo, ogni spinta che faceva sobbalzare le tette di Clara, i capezzoli rossi sotto la lingua di Sani, che ora si era spostato lì, succhiandoli con avidità. Clara segava il cazzo di Diallo, accarezzandogli le palle, mentre Amadou la scopava. Diallo, eccitato, si sedette di nuovo sulla sua faccia, costringendola a leccargli le palle e il culo, un’umiliazione che adoravo vedere. “Troia, guarda come ti apriamo,” ringhiò Amadou, e Clara urlò, un nuovo orgasmo che la colpì, pisciando sul materasso, un getto che bagnò le sue cosce non riusciva più a trattenersi la sua vescica era diventata incontinente. Quando Amadou venne, un fiotto di sborra riempì la fica di Clara, colando fuori in rivoli densi, il suo corpo scosso da spasmi.
Diallo fu l’ultimo dei tre. Si posizionò tra le cosce di Clara, il cazzo largo e venoso pronto. La penetrò con una violenza e senza rispetto alcuno per un corpo esausto fu quasi una violenza che fece tremare il materasso, ogni spinta un colpo che la faceva sobbalzare. Clara aveva gli occhi socchiusi quasi in un delirio orgasmico, sentita l’odere dei cazzi intorno a lei sporchi di sborra che si facevano leccare e continuava ad essere martellata nella fica, l’urina che le usciva a tratti senza che le volesse e di li a poco raggiunse un nuovo orgasmo, pisciando di nuovo, un getto che schizzò sulle cosce di Diallo, un odore intenso di sudore, sborra e succhi che saturava l’aria. “Troia schifosa, pisci sempre!” grugnì Diallo, accelerando i colpi. Quando venne, scaricò un fiotto di sborra nella fica di Clara, il liquido che colava fuori, mescolandosi a quello di Sani e Amadou, un caos di fluidi che le ricopriva le cosce.
Io non resistevo più mi segavo furiosamente, il cazzo duro che pulsava, il cuore che mi scoppiava. Clara mi guardò, gli occhi pieni di lussuria, la faccia lucida di saliva, le tette rosse, la fica e il culo pieni di sborra. “Fulvio, vieni,” ansimò, Amadou capito cosa voleva subito le prese le gambe e le alzò mostrandomi bene la sua fica sfondata. Mi alzai, i pantaloni che cadevano a terra, il cazzo duro che sbatteva contro la mia coscia. Sani, e Diallo si tirarono indietro, guardandomi con sorrisi complici, i loro cazzi gocciolanti. Mi inginocchiai tra le cosce di Clara, la sua fica un lago caldo, scivoloso, pieno di sborra e succhi. La penetrai con un colpo deciso, sentendo il calore della sua carne, il liquido degli altri che si mescolava al mio movimento. “Cazzo, Fulvio, riempimi!” gemette Clara, le mani che mi afferravano i fianchi, spingendomi più a fondo. Pompavo con forza, il suono bagnato della sua fica che accoglieva il mio cazzo, il profumo muschiato che saturava l’aria. Sani, accanto, le leccava la faccia, la lingua che scivolava sul mento, sugli occhi. Diallo, sulle tette, succhiava i capezzoli, mordendoli con una foga che la faceva tremare. Amadou, in piedi, le allargava le gambe in modo osceno.
Clara urlò, nonostante fosse molto provata e la fica devastata giunse all’orgasmo che la travolse. “Cazzo, sì, sono una troia!, Sono una troia, Sono una troia” gridò, la voce spezzata, il corpo scosso da spasmi. Io non resistetti più: venni con un gemito, scaricando un fiotto di sborra nella sua fica, il liquido che si univa a quello degli altri, colando fuori in rivoli caldi. Clara tremava, il corpo esausto, la faccia e le tette lucide, il culo e la fica pieni di sborra.
Ci accasciammo sul materasso, Clara al centro, il corpo ricoperto di sudore, saliva e sborra. Mi guardò, un sorriso stanco ma soddisfatto. “Sono una cagna, vero?” sussurrò, la voce roca. Annuii, il cuore che batteva ancora forte. Sani, Amadou e Diallo si rivestirono, le magliette e i pantaloncini che aderivano ai loro corpi sudati. “Signora, sei brava,” disse Sani, ridendo, un cenno di rispetto nei suoi occhi scuri.
Scendemmo le scale verso il nostro loft, il ticchettio dei tacchi di Clara, completamente nuda, che echeggiava nel silenzio della notte milanese. Era una vera porca che mostrava trionfante il suo corpo marchiato. La sborra le colava lungo le cosce, una scia di odore che raccontava la sua resa, ma nei suoi occhi verdi brillava una luce che non era solo lussuria: era fiducia, amore, il dono di sé che mi aveva offerto quella sera. Entrammo in casa, la luce soffusa del nostro appartamento in Brera che accendeva riflessi morbidi sul parquet. Senza parole, la guidai verso il bagno, il bisogno di prendermi cura di lei che mi stringeva il cuore. Sotto il getto caldo della doccia, l’acqua lavò via il sudore, la sborra, i segni di quella serata selvaggia. Le insaponai la pelle, le mani che scivolavano sulle sue curve, non più con desiderio ma con una tenerezza che mi faceva tremare. Lei si abbandonò al mio tocco, la testa appoggiata al mio petto, il suo respiro che si calmava. “Ti amo, Fulvio,” sussurrò, e quelle parole mi colpirono come un’onda, riempiendomi di una gratitudine infinita.
Dopo la doccia, ci mettemmo nel nostro letto king-size, le lenzuola fresche che accoglievano i nostri corpi nudi. Clara si accoccolò contro di me, la pelle liscia e profumata di lavanda, gli ormoni carichi di passione ancora nell’aria, ma ora mescolati a una quiete profonda. “Ti è piaciuto guardarmi così?” mormorò, la voce assonnata, un filo di vulnerabilità che mi fece stringere il cuore. “Da morire,” risposi, accarezzandole i capelli, sapendo che quella serata, quei suoi urli, il suo corpo offerto senza remore, non era solo trasgressione: era il nostro modo di amarci, di spingere i confini per l’altro, di donarci tutto. “Dimmi che sono la tua puttana,” sussurrò, un sorriso malizioso ma sincero sulle labbra. Sorrisi anch’io, stringendola più forte, il calore del suo corpo che si fondeva col mio. “Sei la mia puttana,” dissi piano, ma poi aggiunsi, con un nodo in gola, “e la mia regina, Clara. Sempre.” Lei rise piano, un suono che era casa, e si strinse a me, la sua mano che cercava la mia sotto le lenzuola.
Ci addormentammo abbracciati, nudi, i nostri respiri che si intrecciavano, il mondo fuori che svaniva. Quella serata, con la sua intensità, i suoi eccessi, era stata un gesto d’amore profondo: Clara si era data a me, a loro, per noi, e io l’avevo guardata, amandola in ogni gemito, in ogni umiliazione, in ogni orgasmo. Era il nostro patto, il nostro segreto, la nostra libertà. E mentre scivolavamo nel sonno, sapevo che quel legame, fatto di carne, fiducia e amore, ci avrebbe tenuti uniti per sempre, oltre ogni confine, oltre ogni notte selvaggia.
#ilsignoreelasuadama
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