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Il tradimento in Kenia


di Membro VIP di Annunci69.it Efabilandia
25.06.2025    |    643    |    1 7.1
"“Non è niente di grave, ” disse Jelani, ma non si allontanò..."
La brezza salmastra del Kenya accarezzava la spiaggia di Watamu, dove il sole di mezzogiorno incendiava la sabbia bianca e il mare turchese sussurrava promesse di freschezza. Io, Simone, 42 anni, ero sdraiato su un lettino sotto una palma, il cappello di paglia calato sugli occhi, il sapore di una birra Tusker fredda ancora sulla lingua. Valeria, la mia compagna di 22 anni, era andata al piccolo ambulatorio del villaggio turistico per un lieve mal di gola che l’aveva infastidita dopo una serata di danze sfrenate al ritmo dei tamburi locali. Il suo corpo snello, abbronzato, con quel bikini rosso che le modellava le curve delicate, mi aveva fatto girare la testa mentre si allontanava, i fianchi che ondeggiavano come una promessa. Non sospettavo nulla. La immaginavo solo a farsi visitare, magari a ridere con il medico del villaggio, un uomo che avevo intravisto: Jelani, 39 anni, alto, muscoloso, la pelle d’ebano lucida sotto il sole.
Valeria entrò nell’ambulatorio al pianterreno, una stanza semplice con pareti bianche screpolate, un ventilatore che ronzava pigramente e una finestra aperta che lasciava entrare il canto delle cicale e l’odore di salsedine misto a quello dolciastro dei fiori di frangipani. Il lettino era coperto da un lenzuolo azzurro, e su un tavolo c’erano strumenti medici che luccicavano sotto la luce che filtrava dalle tende di lino. Jelani la accolse con un sorriso caldo, i denti bianchi che contrastavano con la pelle scura. Indossava un camice leggero, sbottonato quel tanto che lasciava intravedere il petto scolpito.
“Signorina Valeria, cosa la porta qui?” chiese, la voce profonda, con un accento che sembrava accarezzarle la pelle. Lei si sedette sul lettino, le gambe lunghe che dondolavano appena, il vestito di cotone bianco che le scivolava sulle cosce. Spiegò del mal di gola, ma i suoi occhi, verdi e maliziosi, si soffermavano sul medico, sulla curva dei suoi bicipiti, sul modo in cui si muoveva con una grazia felina.
Jelani si avvicinò, il suo profumo di legno di sandalo e sudore maschile la avvolse. Le sue mani, grandi e calde, le sfiorarono il collo mentre controllava le tonsille con una torcia. “Apri la bocca,” disse, e lei obbedì, il respiro che si faceva più corto. Il tocco delle sue dita era fermo, ma delicato, e Valeria sentì un brivido risalirle lungo la schiena. Fuori, il rumore delle risate dei turisti e il fruscio delle foglie di palma creavano un sottofondo che rendeva la scena surreale, come se il mondo là fuori fosse lontano anni luce.
“Non è niente di grave,” disse Jelani, ma non si allontanò. I suoi occhi scuri si incatenarono a quelli di Valeria, e lei sentì il calore del suo sguardo penetrarle la pelle. “Ma dovresti rilassarti un po’… sei tesa.” La parola “tensa” uscì dalla sua bocca come un invito, e Valeria, con un sorriso provocante, inclinò la testa. “E tu sai come rilassarmi, dottor Jelani?”
Il medico non rispose subito. Si avvicinò ancora, il camice che frusciava, e posò una mano sulla coscia di lei, appena sopra il ginocchio. La pelle di Valeria si accese sotto quel tocco, e il suo respiro si fece un sussurro roco. “Dipende da quanto vuoi rilassarti,” mormorò lui, e la sua voce era un ruggito basso che le vibrò nel petto.
Valeria non si tirò indietro. Con un movimento lento, lasciò che il vestito le scivolasse più in alto, rivelando la curva delle cosce e il bordo delle mutandine di pizzo nero. Jelani inspirò profondamente, il suo sguardo che si scuriva di desiderio. La finestra aperta lasciava entrare il suono di passi sulla ghiaia, voci lontane, ma questo non fece che accendere ancora di più Valeria. L’idea che qualcuno potesse passare, intravederli, mentre io, il suo compagno, l’aspettavo ignaro in spiaggia, le fece pulsare il sangue nelle vene.
Jelani si chinò, le sue labbra sfiorarono l’orecchio di lei, il suo respiro caldo che le solleticava la pelle. “Sei sicura?” chiese, e lei annuì, le mani che già cercavano il suo camice, slacciandolo con dita tremanti. Sotto, il corpo di Jelani era un capolavoro di muscoli tesi, la pelle liscia e calda che odorava di uomo e di sole. Valeria gemette piano quando lui la spinse delicatamente sul lettino, il lenzuolo che si increspava sotto di lei.
Le sue mani esplorarono il corpo di Valeria, scivolando sotto il vestito, trovando la pelle morbida e accaldata. Lei inarcò la schiena, il sapore salato del proprio desiderio sulle labbra mentre lui le abbassava le mutandine, lasciandola esposta. Il suono del suo respiro affannoso si mescolava al ronzio del ventilatore e al canto delle cicale. Jelani si inginocchiò tra le sue gambe, e quando la sua lingua la trovò, Valeria trattenne a stento un grido. Il piacere era elettrico, un fuoco che le esplodeva nel basso ventre. Ogni movimento della sua lingua era lento, deliberato, e il contrasto tra la sua pelle scura e quella chiara di lei era ipnotico.
Valeria si aggrappò al lettino, le unghie che graffiavano il lenzuolo, mentre il mondo fuori continuava a scorrere. Il pensiero di me, Simone, che la aspettavo in spiaggia, la fece tremare di un’eccitazione proibita. Quando l’orgasmo la colpì, fu come un’onda che la travolse, un grido soffocato che si mescolò al fruscio delle tende mosse dal vento. Jelani si alzò, il suo sorriso trionfante, e la aiutò a rimettersi in piedi. “Torna domani, se hai ancora… fastidi,” disse, e lei annuì, le gambe ancora molli, il sapore di lui ancora sulla pelle.
Il giorno dopo, il sole era ancora più rovente, e l’aria odorava di sale e di mango maturo. Io ero di nuovo in spiaggia, un libro in mano, il suono delle onde che mi cullava. Valeria mi disse che sarebbe tornata da Jelani per un controllo, e io, fiducioso, le sorrisi, ignaro del fuoco che le bruciava dentro.
Nell’ambulatorio, l’atmosfera era ancora più carica. La finestra era aperta, come il giorno prima, e il rumore dei bambini che giocavano vicino si mescolava al ronzio del ventilatore. Valeria indossava un prendisole giallo che le scivolava sulle spalle, i capelli raccolti in una coda disordinata che lasciava scoperta la nuca. Jelani la accolse con uno sguardo che era già una promessa. Non persero tempo in convenevoli.
“Ho ancora un po’ di… tensione,” disse Valeria, la voce bassa, gli occhi che brillavano di malizia. Jelani chiuse la porta, anche se la finestra rimaneva aperta, e la prese per i fianchi, tirandola a sé. Il suo corpo era duro contro quello di lei, e il rigonfiamento nei suoi pantaloni le fece sfuggire un gemito. Si baciarono, un bacio famelico, le lingue che si intrecciavano, il sapore di lui che le invadeva la bocca: menta e desiderio puro.
Jelani la sollevò, posandola sul tavolo, i ferri medici che tintinnavano mentre lui le sollevava il vestito. Questa volta, non c’era pizzo a separarli. Valeria era già pronta, il suo corpo che lo implorava. Lui si slacciò i pantaloni, e quando lei vide la sua erezione, lunga e possente, il cuore le martellò nel petto. “Piano,” sussurrò, ma il suo tono era un invito a fare l’esatto opposto.
Il primo affondo fu lento, deliberato, e Valeria emise un suono che era metà gemito, metà singhiozzo. Il tavolo scricchiolava sotto di loro, il suono che si mescolava al fruscio delle tende e alle voci lontane dei turisti. Ogni spinta di Jelani era un’esplosione di piacere, il suo corpo che si muoveva con un ritmo che sembrava fatto per lei. Valeria si aggrappò alle sue spalle, le unghie che lasciavano segni sulla pelle scura, il profumo di lui che le riempiva i polmoni.
L’orgasmo la colpì come una tempesta, il corpo che si inarcava, la voce che si spezzava in un grido che cercò di soffocare. Jelani continuò, il suo ritmo che non rallentava, finché non si lasciò andare con un ruggito basso, il calore di lui che la riempiva. Si separarono ansimando, la finestra che lasciava entrare una brezza che le accarezzava la pelle sudata. “Domani?” chiese lui, e lei annuì, il cuore che ancora galoppava.
L’ultimo giorno al villaggio, il cielo era striato di rosa e arancione al tramonto. Io ero in spiaggia, il sapore di un cocktail al cocco sulle labbra, mentre Valeria mi disse che sarebbe andata da Jelani per un’ultima visita. Non sospettavo nulla, anche se il suo sorriso era più luminoso, i suoi occhi più vivi.
Nell’ambulatorio, l’aria era densa di desiderio e di urgenza. La finestra aperta lasciava entrare il canto dei grilli e l’odore del mare al crepuscolo. Valeria indossava un top corto e una gonna di lino che le sfiorava le cosce. Jelani la prese subito, senza parole, le mani che le afferravano i fianchi mentre la spingeva contro il muro. Il suono dei loro respiri affannosi riempiva la stanza, il fruscio della gonna che cadeva a terra, il tintinnio della cintura di lui.
Questa volta, fu selvaggio. Jelani la sollevò, le gambe di Valeria che si avvolgevano intorno ai suoi fianchi, e la prese lì, contro il muro, ogni affondo che la faceva gemere più forte. Il pensiero di me, Simone, che l’aspettavo in spiaggia, la fece tremare di un’eccitazione oscura. Il suono delle loro pelli che si incontravano, il profumo di sudore e sesso, il sapore di lui sulle sue labbra: tutto la travolse. L’orgasmo fu devastante, un’esplosione che le strappò un grido che non riuscì a trattenere. Jelani la seguì, il suo corpo che si tendeva contro di lei, il calore che li univa un’ultima volta.
Sull’aereo che ci riportava in Italia, Valeria era silenziosa, la testa appoggiata alla mia spalla. Il rombo dei motori riempiva l’aria, e l’odore di caffè della hostess si mescolava a quello del suo profumo. Fu allora che, con un sussurro, mi raccontò tutto. Ogni dettaglio: il tocco di Jelani, il suono della finestra aperta, il brivido di sapere che io ero là, ignaro, mentre lei si abbandonava a lui. Mi disse che l’eccitazione di quel segreto, di quella trasgressione, l’aveva fatta sentire viva come mai prima.
Le sue parole mi colpirono come un pugno, ma c’era qualcosa nella sua voce, nel suo sguardo, che mi impedì di arrabbiarmi. Era stata felice, e in fondo, forse, lo ero stato anch’io, in quella spiaggia, sotto il sole del Kenya, senza sapere che il nostro amore si era intrecciato con un fuoco che non avrei mai immaginato.

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