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Lui & Lei

Matilde 03-17 - Fantasie da un campo base 1


di Alex46
14.04.2019    |    971    |    0 8.7
"Le labbra sensuali di chi ha preso sole, ha immagazzinato calore, sei uno spettacolo della natura, sei un amore infinto..."
Una sera Debra mi fa leggere orgogliosa due lettere che le ha spedito Michele circa tre anni fa, quando lui era stato via circa due mesi in una spedizione alpinistica in Pakistan.
Non è la prima volta che ascolto o leggo cose che riguardano la loro vita prima che ci conoscessimo: ma queste lettere le trovo bellissime.

«Concordia, 28 luglio, ore 6.30
Cara Debra,
sei adorabile, sei proprio la donna che ho desiderato così a lungo. Non solo per un’estate di freddo e di scomodità, d’impaccio, d’impossibilità fisica di raccoglimento intimo perché il corpo non poteva seguire la mente e quindi il desiderio e la struggente devozione. Oppure per qualche giorno di caldo dove gli odori e i sapori ti ricordano di continuo quanto sarebbe bello dividerli con te, una polverosa estate di emozioni visive, di civiltà diversa, di dolce amore al mango.
Così a lungo perché forse ti ho cercato per una vita, senza sapere cosa volevo, una donna che riuscisse a farmi sentire uomo fino in fondo, che amasse anche quelle che io vedevo come debolezze o come colpe, a volte.
Ecco perché ti adoro, perché tu sei quella.
Sei venuta a prendermi con il sorriso di chi tanto ha atteso, di chi ha contato i giorni, le notti e le ore. Sei radiosa, e ti sei fatta ancora più bella in un’estate contenuta, quasi di rispetto alla nostra separazione.
Prima di ritirare il bagaglio, t’intravedo al di là della dogana, ci salutiamo con il braccio. Ancora pochi minuti. Mentre recupero la sacca ti vedo impaziente, con le tue scarpe rosa-salmone, i jeans, la camicetta. Mi sembra quasi di sentire il tuo profumo, quello che riesce sempre a incantarmi. Poi esco e ci abbracciamo, e ci baciamo, ma dobbiamo districarci nei saluti con gli altri, distribuendo sorrisi. Il contatto fisico con te è una scossa elettrica a lunga durata, un morbido aggancio in orbita di navette spaziali. Hai gli occhi umidi di emozione, ma vigili e attenti: vogliono solo dirmi quanto mi hai desiderato.
Ci teniamo per mano, ci diciamo cose banali, del tipo quello che è successo dopo l’ultima telefonata a Islamabad. Poi, improvvisamente, mi sussurri all’orecchio: - Anche stamattina, prima di venire a prenderti, mi sono masturbata nel desiderio di te, e anche adesso sono tutta bagnata. Questo volevo dirti subito, amore. Sono fradicia per te. A momenti mi toccavo anche guidando per venire qui alla Malpensa. Non facevo che pensarti, e intanto mi bagnavo, nel ricordo delle carezze che mi sono data questa mattina, nuda e da sola sul nostro letto.
Intanto ci sediamo, dopo aver messo i bagagli nella macchina, guidi tu perché ti sei dimenticata di prendere la mia patente che avevo lasciato a casa. Al volante sei la solita, precisa e decisa. Mentre guidi ti tengo una mano sul ginocchio, per sentirti finalmente. Ti racconto delle ultime cose, del volo, ma soprattutto ti racconto di come mi sono finalmente tirato una sega come si deve in albergo a Islamabad, quando avrei voluto spedirti un bel messaggino, di quelli nostri, ma non potevo.
- Ero nudo sul letto, con il ventilatore proprio sopra di me, e mi ero appena fatto la doccia. Mi sono preso il cazzo in mano e ho chiuso gli occhi, pensando a te che facevi la stessa cosa. Mi sono sborrato sulla pancia dopo pochi secondi, poi con le dita ho preso su la sborra e me la sono ingoiata, immaginando che fossi tu a farlo.
Vedo che il racconto ti prende, probabilmente ti ecciti. Mi sorridi, poi ti sbottoni con una mano, prendi con dolcezza la mia e te la metti sulle mutandine in basso. Sei fradicia. Io vorrei toccarti, ma tu me lo impedisci, devi sorpassare un camion.
- Amore, sei meravigliosa, ho sognato questo momento in modo davvero ossessivo.
Arriviamo a casa e scarichiamo i bagagli. Il tempo di fare una doccia per scoprire che ti sei cambiata, che ti sei messa in top e in tacchi alti. Per coprirti la figa e il culo hai indossato un paio di shorts-jeans che hai appena comprato, leggermente sfilacciati, che lasciano vedere il solco tra le natiche.
Lo vedo perché ti giri, mentre mi chiedi – come sto?
Gambe abbronzate, braccia scure, occhi brillanti di tutto quel sesso esibito, prodotto a ritmo continuo. Io sono nudo, con i capelli ancora un po’ bagnati, ma non perdiamo tempo.
- Sei splendida, amore. Così ti volevo, così ti ho pensata così tanto.
Sei quella che mi legge nel pensiero e nello stesso tempo mi fa capire che vuole il mio cazzo e lo vuole per sempre.
Il letto sa di pulito e io ti sento agitarti sotto di me, mentre mi abbracci non sai più cosa toccare di me. Ci baciamo a lungo, mescolando litri di saliva, tutta quella saliva che ci siamo leccati nei momenti di solitudine, pensandoci. Sento sul cazzo il tessuto ruvido degli shorts, sento che ti muovi con il bacino. Per fortuna ho sborrato una dozzina di ore fa, altrimenti verrei immediatamente sulla tua striscia di pancia. Non so neppure se hai il tanga oppure no e allora, per saperlo, ti metto un dito tra le gambe. No, quello che sento è una figa davvero fradicia. Tu ormai ansimi forte e mi dici in maniera sconnessa ma chiara quanto hai desiderato il mio cazzo, quanto lo hai pensato, quanto lo hai eretto a dio agente per te. E adesso ce l’hai lì davanti, la punta bagnata di liquido trasparente.
Ti strappo la canottiera, ti sfilo gli shorts per guardarti nella penombra della nostra stanza. Tu stai lì sdraiata a guardarmi per un po’, godendoti il tuo mostrarti nuda, poi ti riscuoti.
- Adesso ti voglio mostrare cosa ho fatto per decine di volte nella tua attesa. Guarda, dormivo con il sacchetto blu qui alla testata del letto, pronto. Lo sai cosa c’è dentro, vero?
E senza aspettare la mia risposta, ti alzi, lo apri, estrai il nostro cazzo da gioco e me lo metti in bocca. Io lo lecco per poco, guardandoti così lasciva e porca. Poi ti alzi ancora, mi prendi per mano, e ondeggiando sui tacchi «inquietanti» mi conduci allo specchio in corridoio, t’inginocchi sul tappeto a gambe larghe, ben accessibile. Ti guardi la figa e le tette.
- Adesso, amore, me lo infilo. Prima accendilo però, fallo tu per me. Sono la tua troia che sta per godere e che ti fa vedere come ha goduto da sola per sere e mattine, tutte le volte che ne aveva voglia, senza sentire nessuna colpa, nessuna sensazione di essere troppo vacca, anzi, felice di esserlo.
Te lo porgo vibrante, ma il ronzio si affievolisce subito, perché tu te lo sei infilato in un colpo solo e te lo muovi dentro senza farlo uscire mai troppo. Per un po’ con l’altra mano ti tocchi il clitoride, dicendomelo: - Guarda, Michele, come mi sgrilletto. Non mi basta il cazzo dentro che mi fa godere, voglio anche le mie carezze, vorrei pure la tua lingua. E ora vengo, vengo, mi fai sborrare che mi guardi, sborro, aah, aah!
Non ti fermi, ti lecchi il dito che sa di sborra di figa, te lo strofino sulle labbra che colano e che infradiciano anche il cazzo, poi inarchi la schiena e, sempre così oscenamente inginocchiata, con le tette che a questo punto quasi toccano lo specchio, t’infili il dito fradicio nel culo.
- Lo sento, sento il cazzo con il mio dito, Michele... Vengo di nuovo, godo che sei qui a vedermi, vengo, vengo...
Io ti guardo affascinato e mi masturbo lentamente un cazzo che, da tanto è eccitato, non è neppure durissimo.
Tu intanto non ti fermi e adesso con due mani stai facendo andare su e giù il cazzo per la figa. Sei davvero oltraggiosa, una brama di godere che mi fa impazzire, un desiderio di farti vedere da me mentre godi che va oltre l’immaginazione.
- Sborro amore, sborro ancora. Guarda come sborro, sto colando, sto bagnando il tappeto. Dimmi che sono la tua troia.
- Lo sei, la mia troia, amore. Lo sei sempre stata. Più godi e più io impazzisco per te.
Così bella, così bronzea, quasi tenuta in custodia per me due mesi. Le labbra sensuali di chi ha preso sole, ha immagazzinato calore, sei uno spettacolo della natura, sei un amore infinto. Ma ora non resisto più. Mi sdraio sul tappeto, metto la testa tra le tue gambe, tu capisci cosa voglio fare e mi inciti: - Dai, sì, leccami, leccami la figa mentre io mi chiavo con questo cazzo. Lo faccio per godere, perché sono una troia nata, e lo faccio anche da sola. Lo sai che lo faccio anche da sola, per farti invidia, per farti piacere. Perché lo so che ti piace, lo so che se te lo dico tu ti disfi di piacere. Per questo l’ho fatto decine di volte, per potertelo dire, perché amo essere una donna che gode per il suo uomo. E tu sei il mio uomo, che mi ama, che sa che razza di troia ha per le mani. Vero? Vero?
- Sì, sì, è vero – ti dico mentre ti lecco la figa a bocca aperta: con i peli regolati e ben curati, è una gran figa fradicia. Poi ti muovo dentro il cazzo con i denti, con il naso ti sfrego il clitoride. Tu non sai più dove mettere le mani per masturbarti anche tu: alla fine una me la metti sulla nuca come a regolare i miei denti e l’altra ti serve per infilarti di nuovo il dito in quel culetto che ormai è fradicio come sua sorella.
- Sborro, ancora, sì, sborro amore, sìì, fammi sborrare così, dai, così, dai, dai, muovi quel cazzo. Così mi facevo, così sborravo per te, guarda finalmente, adesso lo puoi vedere. Ti piace vedere come facevo? Ti piace vedere come facevo la troia? E urlavo, sai, urlavo come ora. Non godevo meno di ora, ma adesso ci sei tu ed è quello che ho sempre desiderato. Ora sborro ancora, ora, ora, aahhh!
- Adesso però voglio sbatterti il mio cazzo dentro, quello vero. Non ne posso più, amore. Mi hai fatto godere con il cervello, adesso però voglio sbatterti e godere con il mio, di cazzo.
E così ti levo dolcemente il vibratore dalla figa, ti aiuto ad alzarti e ti accompagno un po’ traballante sul lettone. Mi siedo sulla sponda con il cazzo duro, di fronte allo specchio, ti prendo per le braccio, ti attiro a me e ti faccio sedere sul mio cazzo che entra dentro come nel burro scaldato. Vedo le mie palle nello specchio e più sopra un fondo di cazzo vero che appare e scompare dentro una figa che sussulta per i colpi che le do da sotto. Anche tu ti guardi nello specchio e ti vedi ballare le tette, ti vedi la pancia imperlata di sudore.
- Questo non potevi farlo da sola!
Tu non mi rispondi, la bocca che ti si apre nella prima vera chiavata dopo tanto tempo. Poi non parliamo più, ormai trombiamo come animali cui piace guardarsi e basta.
- Sto per venire, amore, vieni con me, fammi questo regalo – dopo qualche tempo esclamo io.
E allora tu, che ormai saresti andata avanti ore, senza più venire a ogni minuto, ti dai ancora un aiutino con le dita per accelerare gli ultimi scampoli di libido.
- Eccomi, amore, vieni con me. Io godo dentro e fuori, con il cazzo e con il dito. Sono tua... godo, godo, dai vieni, sborrami dentro.
E con gli ultimi colpi ti sfondo la figa, ti sborro in profondità, sono tuo.
Rimaniamo lì seduti ancora un poco, un minutino di dolcezza dopo tanta violenza, nelle onde in diminuzione, poi il triste distacco. Io mi stendo sul letto, ma ti trascino con me, ti voglio accanto, ti appoggio la testa sulla spalla. Ci scambiamo carezzine come due gatti e qualche parolina dolce e amorosa. Tu senti però che la sborra ti cola tra le gambe e allora, ti alzi, vai in bagno, ti vedo uscire dalla stanza con i tacchi, ancora provocante. Capisco che non è finita lì. Resto sdraiato, l’uccello molle che però per qualche motivo è ancora invitante e si sente protagonista. Quando torni, sorridente, mi guardi, ci scambiamo un’occhiata di complicità, ti sdrai vicino alle mie cosce e senza dire niente cominci a carezzarlo con cura e dedizione.
- Povero amore mio, solo una volta sei venuto... questo bel cazzone merita un po’ più di attenzioni...
Con le tue dita me lo pastrugni lentamente su e giù. Io ci sto, senza obiezioni, mi piace questo trattamento. Quando senti che qualcosa si rimuove, allora cominci a leccarmi con sapiente lentezza le palle, vai su e giù fino al buco del culo.
Anche lui è lì ad attendere una qualche attenzione. La tua lingua vi si concentra, ormai sei con tutta la testa tra le mie gambe, una mia coscia è sulla tua spalla e con le mani non smetti di masturbarmi.
Ma è nel culo che t’interessa farmi eccitare e così con la lingua fai un lavoretto tale, a piccoli colpi, che dopo un po’ il culo te lo darei per qualunque cosa tu volessi infilarci. Ormai ho il cazzo duro al pensiero che tu potresti sbattermi dentro il cazzino che prima ha dato tanto piacere a te. Ma tu vuoi dell’altro, lo so. Sarà per un’altra volta, quando prima o poi ci prenderemo il culo a vicenda.
Adesso tu ti muovi, riporti la testa sopra e ingoi il mio cazzo, mandandolo su e giù per il palato fino a sentire che è pronto per la scopata della nostra vita.
Mi hai messo la figa sulla faccia, sa di sapone profumato, ma anche di figa.
Adesso basta giochetti, masturbazioni, esibizionismi. Adesso ti scopo, ti trombo, ti chiavo fino a scavarti con il cazzo nell’utero. E così mi ribalto, entro dentro furioso, tu sei sotto a gambe larghe, me le chiudi sulla schiena e ci muoviamo assieme. Me lo sento più duro e più grosso di prima, sono più voglioso di scoparti, fotterti fino a farti male, perché la sborra è lontana e tu stai già per godere, quasi con meraviglia dopo tutte le sborrate di oggi.
Vado su e giù con forza, pensando a come mi hai ricostruito, mi sento l’uccello potente e sento che sto facendo l’amore con la mia donna, con quella che mi capisce, che mi ama, che mi sa far godere con le sue sborrate ripetute. Quella che, dove non arrivo a capirla, ci provo con il cazzo. Uno schianto di figa.
- Amore vengo, vengo di nuovo – e lo dici quasi con stupore, anche tu incredula di potermi dare ancora così tanto.
Non c’è più molto da aggiungere, perché ormai siamo nella chiavata pura, nell’orgasmo multiplo a ripetizione e io mi sento un toro che può fare di te quello che vuole. Perché così tra noi dev’essere: ci masturbiamo in solitudine per trasmetterci un messaggio, per pregustare nell’orgasmo solitario il vero sesso, quello con amore, quello che faremo dopo assieme.
Poi capisco che è venuto il momento. Se voglio che anche tu mi accompagni nella mia sborrata, dobbiamo farlo subito. Dopo potrebbe essere troppo tardi, non me lo dici ma ti stai muovendo in modo da farmi godere il più presto possibile. Lo capisco, accelero il movimento e la forza, tu mi inciti, io mi lascio andare e per la seconda volta veniamo assieme, travolti da un orgasmo potente, l’orgasmo della chiavata perfetta. Quella che solo assieme possiamo fare. Ho fatto l’amore con una dea, mi sento un dio. Ci unisce un amore irripetibile con altri soggetti umani.
Dopo qualche minuto suona il campanello: è il catering giapponese che ci porta la nostra cenetta: sensuale come i nostri corpi, accaldati e stanchi. Ti butti qualcosa addosso e vai ad aprire. Dopo qualche minuto il colore e il sapore dei cibi, il rafano e la birra 8,6 ci fanno dimenticare un’estate di clausura e di voglia, una separazione dolorosa che non può che essere l’ultima».
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