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Matilde 01-13 - Desiderio


di Alex46
23.01.2019    |    2.436    |    1 9.3
"Desidero solo fuggire dall’aula, non mi frega niente di tutte queste bambanate, vorrei essere sola in macchina, per toccarmi liberamente, per leggere i..."
Il caldo è davvero soffocante. Le ferie sono finite, ed ho ripreso a lavorare, direttamente a un convegno. Dopo questo incontro, torno in ufficio accaldata e stanca, desiderosa di trovare un po’ di refrigerio.
La mattinata è stata pesante. Tentare di mantenere un’aria professionale, dover ascoltare i vari interventi, per poi a mia volta parlare a una platea di uomini d’affari, mentre sul cellulare si susseguivano i suoi messaggi.
Gli avvisi arrivano uno dopo l’altro, sempre più spinti. Ci sono dei momenti in cui non posso proprio leggerli, e allora tengo mentalmente la conta, aspettando con impazienza una pausa, un momento di riflessione, una domanda ad altro interlocutore, qualcosa di meno importante, insomma, per far cessare quella luce lampeggiante nel mio display e finalmente leggerla.
”Ti voglio... sai che sei mia... devo averti ancora...” e ancora “So dove sei, toccati... ora, davanti a tutti...”.
Non ho il controllo, sento la voglia invadermi; sento che in viso sto diventando tutta rossa, perché avvampo a ogni messaggio, e ho il timore, talvolta la sicurezza, che qualche sguardo si posi su di me e comprenda il mio stato. Ho una mano appoggiata sulle ginocchia, che si stringono una sull’altra, mi sorprendo a passare la lingua sulle labbra dal sapore di rossetto: ma lo si potrebbe attribuire al nervosismo.
Ho messo al minimo la suoneria, dopo il primo avviso. Ma ogni volta impiego sempre di più per riacquistare il controllo. Desidero solo fuggire dall’aula, non mi frega niente di tutte queste bambanate, vorrei essere sola in macchina, per toccarmi liberamente, per leggere i messaggi, e poi rileggerli. Lasciar scivolare le dita sui seni gonfi. Assaggiare le mie labbra bagnate, giocherellare con la lingua e succhiarmi come so che avrebbe fatto lei.
Quando devo parlare io, e devo farlo, devo rispondere a delle domande precise, la voce esce meccanica ripetendo una lezione già studiata, mentre la mente è distante.
Nonostante l’aria condizionata, sento la temperatura salire. Protette dal tavolo degli oratori, stringo le gambe, sento il clitoride duro, ho l’impressione che gocce di voglia scendano piano lungo le cosce.
Dopo i saluti, con delle scuse evito il drink dell’aperitivo, finalmente fuori, corro alla macchina. Voglio sentirla, voglio gridarle quanto la desidero, quanto mi fa impazzire, anche solo con un messaggio.
La chiamo, mi risponde una voce metallica, fredda. Non c’è. Delusa, guido come un automa verso l’ufficio, come se un appuntamento importante fosse andato buco.
Desidero toccarmi tra le gambe, per assaggiarmi. Sento di essere un fiume in piena, ma senza di lei non voglio. Devo aspettarla, lo so.
Arrivo alla mia scrivania.
Prendo il telefono, stavolta risponde. Sento la sua voce, mentre la mano cerca di insinuarsi in profondità.
- Ciao, amore! È tutta la mattina che mi provochi!
- È tutta la mattina che mi tocco pensandoti. Finalmente mi hai risposto...
- Dai, accarezziamoci assieme, facciamolo qui in ufficio. Tanto da me non c’è ancora quasi nessuno... sono tutti in pausa. E da te?
- Sì, facciamolo. Io mi sto già toccando. Mi fa un po’ male farlo ancora, ci ho dato dentro troppo oggi...
- Dai, ancora una volta, per me, che sono già qui a sditalinarmi…
Le dita navigano in un mare di desiderio, i suoi sospiri mi frastornano, sento come lo facesse di rabbia, ora che finalmente non è più sola. Come se avvertissi la sua lingua tra le cosce.
- Non riesco più a frenarlo, ora vengo...
- Anch’io, anch’io, godo, ahh!
La dolcissima tortura di tutta una mattina mi esplode in un orgasmo davvero violento.
- Vieni con me, amore, vieni!
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