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Matilde 04-02 - The show must go on


di Alex46
30.04.2019    |    1.977    |    0 7.1
"Sei stata forte, uno schianto direi..."
Per esempio a Natale... non ho mai raccontato cosa abbiamo fatto a Natale. Io semplicemente sono andata a casa dei miei, dove ho fatto cena la vigilia e mi sono poi fermata a dormire nella mia vecchia cameretta. Papà e mamma non sono molto anziani, non arrivano a sessant’anni. Li ho sempre adorati, anche ora mi sembrano una bella coppia, lui ora lavora in una ditta in proprio di materiale da cartoleria, lei ha sempre fatto traduzioni dall’inglese e ancora adesso preferisce occuparsi. Anche se la presenza in casa di mio fratello Aldo, che non si decide minimamente a sposarsi, ma neppure accenna a lasciare mammà, dovrebbe consigliare a quest’ultima di non esagerare con i lavori da fare.
Aldo ha due anni più di me, dunque la stessa di Michele, ma è tutt’altro tipo. Ingegnere, fidanzato con Lauretta, la mitica Lauretta che però io sopporto solo a piccole dosi. Ad Aldo invece voglio un sacco di bene, ricambiato.
Così la sera di Natale, tutti assieme per il cenone, mentre il giorno dopo ancora pranzo, ma questa volta senza Aldo e Lauretta, recatisi a casa dei genitori di lei. La sera ero ovviamente distrutta per tutte le buone cose mangiate e bevute, così mi sono ritirata nella vecchia mia casa, che ho tenuto perché di mia proprietà, tanto per mettere un po’ d’ordine e fare il punto sulla situazione.
Debra e Michele, invece, sera a casa dei genitori di lui, che ovviamente non conosco. Il mattino dopo levataccia per il lungo viaggio fino a Tarvisio, a casa della mamma di lei, che invece avevo già avuto modo di conoscere un giorno di settembre, in occasione di una sua visita a Milano. Ero stata presentata come amica a questa donna, che una volta doveva essere davvero bellissima, di una nobiltà di lineamenti incredibile. Vedova da quattro o cinque anni, vive per la figlia unica e naturalmente per il genero. È una delle principali sponsor dell’«operazione nipote», come in gergo viene chiamata dai miei due compagni. Credo che abbia sofferto drammaticamente nel periodo di separazione di Debra e Michele, non solo per la questione dell’eventuale nipote, ma certamente anche perché lei vede in Michele il figlio maschio che non ha mai avuto. Una donna stupenda, dunque: se non avessi già l’insuperata mia mamma, questa sarebbe quella che vorrei.
Nella mia serata solitaria di Natale avevo dunque riflettuto sulla situazione. E oggi, a febbraio, sono di nuovo un po’ triste e pensierosa. Mi ritornano in mente le mie riflessioni di Natale, cui avevo dato un forte peso sul momento ma che poi erano state riassorbite dalle feste di Capodanno e dalla successiva splendida convivenza con i miei due compagni.
Questa mattina mi sono svegliata con le mie cose, col “mal di pancino”, come diciamo affettuosamente in casa. Debra e io siamo sempre a due-tre giorni di distanza, prima lei, poi io. Ho un forte mal di testa, in ufficio non riesco a concentrarmi pienamente sul lavoro, faccio davvero fatica. I pensieri mi volano sempre agli stessi nodi, cioè cosa fare della mia vita sentimentale.
E il bello è che non riesco a fare programmi di nessun genere senza coinvolgere anche Debra e Michele, come fossimo davvero una famiglia. Di separarmene non se ne parla nemmeno, di trovarmi un altro uomo neppure: vorrebbe dire imporlo a loro, quindi presto staccarmi da loro, senza calcolare che quest’altro uomo con tutta probabilità non vedrebbe di buon occhio la mia relazione particolare.
In fondo in fondo patisco un po’ che loro siano marito e moglie e io tutto sommato un’intrusa, le istituzioni non hanno previsto il mio caso. Anche se in Spagna Zapatero ha dato una bella botta ai cattolici, di fatto siamo ancora ben distanti da un’accettazione della società di tutti i casi particolari.
E, mentre sto pensando che non è soltanto una questione formale, ma di sicuro temo che qualcosa tra di noi cambierà, per esempio decidessero di avere un figlio... ecco che mi squilla il telefono. È Debra.
- Ciao, amore, come stai? Hai ancora molto mal di testa?
- Eh, insomma, non è una delle giornate migliori...
- Peccato, davvero peccato... io invece sono di un frizzante... ti comunico che questa sera uscirò un po’ prima e vado a comprarmi qualcosa. È troppo tempo che non mi prendo nulla... Non mi accompagneresti?
Non ho il coraggio di risponderle di no, anche se veramente in questo momento tutto farei meno che andare a fare shopping.
E così la sera c’incontriamo all’angolo del solito negozio, lei è uno splendore, a me sembra di essere un rottame, ma le faccio comunque compagnia. Acquista alla fine solo un paio di sandali di legno verniciato con fibbie incrociate di pelle bianca. Molto belli, direi casalinghi per sentirsi su e non fare la fine della massaia.
- Sai che l’altra sera il tuo spettacolino è stato bellissimo? – mi dice uscendo dal negozio – mi è venuto in mente poco fa alla cassa. Sei stata forte, uno schianto direi. E ora avrei voglia di fare uguale, magari proprio questa sera...
- Perché no – la incoraggio io – tu non sei certo da meno... quanto a Michele andrà in estasi appena glielo dici. Io sono del tutto fuori combattimento...
- Ma è proprio questo il bello... è di avere la situazione dell’altra sera ribaltata. Voglio farti sentire l’effetto che fa... e a Michele non darò nulla, proprio come hai fatto tu.
- E se lui invece lo volesse?
- Ah, lui lo vorrà comunque. In ogni caso, per ora è no. Poi vedremo.
Mentre camminiamo verso casa, saliamo in ascensore e preparo la cena, mi sorprendo a pensare al progettino di Debra. In effetti sono incuriosita, anzi non vedo l’ora di vedere cosa inventerà.
Michele entra in casa come una furia perché gli scappa la pipi! Ma Debra è in bagno, lui entra lo stesso, tra i due nasce un comicissimo battibecco, tipo: - Neanche truccarsi in pace...
- Neanche pisciare in pace...
- Sempre tra i piedi. Sta almeno attento a non sgocciolare fuori...
- È mai successo?
Ecc.
Sono io a comunicare a Michele le intenzioni di sua moglie.
- Ha detto che stasera non te la dà...
- Come non me la dà...??
- Così ha detto, poi non so. Io di certo me ne starò buona buona...
- Eh, certo, è pazza, l’ho sempre detto che è pazza. E come mai, cosa ho fatto di male?
- Niente, vuole rifare quello che ho fatto io l’altra sera.
- Ah, sempre la solita questione della competizione... bene, bene, ho capito.
In quella Debra entra in cucina: - Ciao, ragazzi... lo sapete chi sono io?
- No, non lo sappiamo, chi sei, oltre a essere una bella figa?
- Sono la ragazza della porta accanto, quella che Michele vede tutti i giorni uscendo di casa alla stessa ora. Ci hai mai fatto un pensierino, Michele?
Notare che non esiste alcuna ragazza della porta accanto.
- Iiio? Mai... con due come voi in casa cosa vuoi che faccia pensierini...
Debra si è accostata allo stipite della porta. Ha indossato le scarpe nuove, la mia microgonna e una t-shirt bianca con taglio quasi ascellare e quattro automatici sul davanti, naturalmente sbottonati. Sembra davvero una bella ragazza, ma qualunque, specialmente ora che si tocca le punte dei capelli. Dopo aver indugiato con la capigliatura, si mette a tirare di lato i due lembi del davanti della t-shirt, così da scoprire le tette quasi interamente. Sorride, abbassa la cerniera della microgonna a metà, si lecca un dito con fare seducente guardandoci negli occhi, poi abbassa lentamente la mano all’interno della microgonna. Appaiono le mutandine bianche, ma la mano prosegue all’interno, per fermarsi poi mentre lei chiude gli occhi, il capo reclinato all’indietro. Ma non la trattiene a lungo, la vediamo accarezzarsi i fianchi e nello stesso tempo tormentare ancora il davanti della t-shirt, come se avesse davvero caldo. Microgonna e mutandine sono basse abbastanza da rilevare quasi tutta la pancia, ma non ancora la striscina di pelo. Poi, apparentemente spossata da quella muta recita, si lascia andare sul divano in soggiorno, dove noi la seguiamo.
Mentre si siede, con i sandali sul divano, è costretta ad aprirsi tutta davanti. La microgonna risale, rimangono le mutandine che lei incomincia a tormentare con aria seriosa, il gomito appoggiato sullo schienale e la testa sulla mano. Ci mostra la figa, stiracchiando lo slip, ci mostra il seno, tirando su la t-shirt, ci fa vedere anche il culo, inginocchiandosi sul divano e sempre tormentando la striscia sottile delle mutandine.
- Vi piaccio?
- E ce lo chiedi... – dice Michele.
- Anch’io mi piaccio... credo che adesso mi regalerò una bella carezzatina. Si sa che finisce così... Il corpo deve sempre godere assieme allo spirito. Mi piaccio così tanto che merito di godere con il corpo. Non trovate?
Ma non aspetta risposta alla questione così importante. Si dispone per il lungo sul divano, il culo all’aria, appoggiata sulle mani e sulle ginocchia. Le tette quasi le escono dalla t-shirt e appoggiano sul divano, lei ci guarda per un po’, poi chiude gli occhi perché si è eccitata, si scopre ancora di più il solco, le mutandine sono tese all’inverosimile. Per un po’ mantiene quella posizione senza fare nulla, poi improvvisamente, come presa da raptus, s’infila un dito nella figa, tenendosi la natica con l’altra mano e guardandoci.
Per un po’ continua la masturbazione, alternando uno sfregamento a una e vera e propria scopata di dito, a volte due dita. È bagnata, lo si può vedere bene.
Dopo qualche minuto inizia con i primi sospiri, sempre più cadenzati, fino a sfociare in vere e proprie ricerche d’aria per i polmoni. E fino alla fine quando, il culo perfetto e inarcato, gode solitaria e magnifica.
Come solo lei è capace di fare: non smette neppure di toccarsi.
Si rigira, di dispone di schiena, avvicina le gambe tenendole sollevate e continua ad accarezzarsi a gambe spalancate.
Ormai il liquido, dopo aver infradiciato le mutandine, le cola visibilmente tra le cosce. Lei si accarezza senza più penetrarsi con il dito e senza neppure toccarsi il clitoride. Dopo qualche minuto riprende la litania dei sospiri, questa volta con mugolii. Noi stiamo silenziosi ad assistere. Non c’è nulla di nuovo in quello che sta facendo, ma per noi anche la milionesima volta potrebbe essere nuova. Poi gode ancora, sommessa, e conclude tenendosi una mano sulla pancia e sulle mutandine, rilasciata e languida.
Ora è la volta del vibratore, che appare come per incanto. Sembra che non esistiamo per lei. Si siede sul divano e se lo infila, sempre in contrasto con gli slip. Lo accende quando lo ha già dentro, poi se lo manovra con discrezione, con dolce lentezza.
Fino a ora non abbiamo assistito a grandi orgasmi. Lei è stata molto sensuale, erotica, ma non certo selvaggia. È stata davvero brava, ma io penso che adesso si scatenerà.
Il ronzio del vibratore è l’unico rumore della stanza, cui però presto si aggiungono i mugolii di Debra, che ora è assai più agitata, sa di offrire uno spettacolo esagerato con quel cazzetto nella figa e le mutandine che fanno finta di difenderla.
- Sapete chi siete voi? Non siete fotografi, siete soltanto assistenti. Dovete venire a truccarmi la figa, fradicia com’è non verrebbe bene nelle immagini...
Mi avvicino io con uno straccetto pulito pescato alla veloce in cucina. Lei smette di scoparsi ma non toglie il vibratore, non lo spegne neppure. Io la detergo nel limite del possibile e ho modo di vedere da vicino quanto le mutandine siano fradice.
- Fatto – dico – ora va meglio?
- Sì, grazie, va meglio.
E riprende a manovrare lo strumento, ormai compresa nel prossimo godimento. Immaginatevela scalciare per aria a gambe aperte, la “vicina della porta accanto”... immaginatela mentre urla oscenità come queste: - La mia figa, la mia figa, sì, mi scopo la figa... “Fuck you” dovrebbe essere un insulto? Per me è solo un invito, io mi “fuckerei” ovunque, io mi sbatterei a ogni momento della mia vita.
E dopo aver detto altre cose che non riesco neppure a capire bene s’inarca come una troia atletica e sborra sul suo vibratore in modo completamente osceno: - Ahhrgg! Ahhhh! – sbraita senza dire nulla di compiuto – ahhhh, ahhhh – sempre più forte, fino al limite, fino a quando d’un tratto il frenetico gesto del su e giù non cessa di colpo.
Michele e io restiamo lì, in attesa che lei si riprenda e dica qualcosa. Sul continuare, per esempio, o sullo smetterla. Non ci sembra in gran forma questa sera la nostra Debra. Resta però da capire perché. Non certo per una questione fisica, anzi. Io sento che anche Michele se lo sta chiedendo: cosa succede?
Debra si rialza, ci sorride, ma in modo strano, come se fosse stanca, o avesse un pensiero fisso. Fa una puntatina in bagno e una in camera da letto, dalla quale ritorna rivestita da capo a fondo.
Indossa un corto vestito giallo, che le avevo già visto altre volte, e un paio di sandali dal tacco alto interamente rossi, tre passanti sull’avampiede e un incrocio sulla caviglia. Da come si muove, quasi recitando posizioni sexy, riusciamo a vedere un paio di mutandine rosa intenso.
Sembra che abbia un’avversione per quegli slip. Se li tormenta in modo quasi nevrotico, si ferma solo quando li tiene abbassati alle caviglie a gambe spalancate: poi quasi se li strappa via, quindi si erige bene seduta sulla poltroncina, a gambe accavallate e il vestito tirato su fino a scoprire il busto e le tette, le braccia appoggiate e languide sui braccioli. Ci guarda come se non ci vedesse tenendo ancora le mutandine in mano. Per terra ha appoggiato il suo dildo azzurro, quello preferito. Sembra in trance, ho quasi timore ci sia qualcosa che non va.
Poi si riscuote, molla le mutandine e raccoglie il dildo, ponendoselo tra i seni e trattenendolo non con la mano ma con l’avambraccio. Con l’altra mano si copre la fessura tra le gambe, che ora ha allargato, come volesse saggiarne la disponibilità, come le chiedesse un ultimo sforzo, come se lo spettacolo dovesse andare avanti a tutti i costi.
Ha un’espressione dura, volitiva, che non mi piace molto.
- Debra, cosa c’è? – le domando. Ma non mi risponde. Invece, alza i piedi sul bordo della poltrona e s’infila il dildo nella figa, chiudendo gli occhi. Capisco che ormai non mi sente più.
- Debra.... non devi farlo per forza! – cerca di trattenerla Michele.
Ci alziamo assieme, andiamo ad accarezzarla, le mettiamo le mani sulle spalle e sui capelli, le sussurriamo parole dolci: - Amore, basta, abbiamo visto, sei stata bravissima, ma ora basta, non sei in serata... su fallo per noi, smettila....
E invece lei continua a sbattersi l’oggetto nella figa prima con violenza, stringendo i denti, poi come un’invasata, fino a che non ci costringe ad allontanarci, infastidita. Sembra che voglia l’ultimo orgasmo a tutti i costi, ma c’è qualcosa dentro lei stessa che glielo impedisce.
Repentinamente si rialza, si sdraia per terra sul tappeto, le gambe sguaiatamente aperte, la caviglia sinistra completamente appoggiata sul pavimento. È una furia, dalla sua bocca ora comincia a uscire qualche suono: - Mmmm, mmmm, ahhh! – ma non sembra sia vicina alla soluzione finale. Quando ormai è al parossismo, e noi cominciamo ad aver paura che si faccia del male, a vedere quel coso che va dentro e fuori come un’arma, le domando: Debra... Debra.... – esito – perché vuoi quest’orgasmo a tutti i costi?
- Perché io sono brava come te, io sono troia come te, voglio fare tutto quello che fai tu...
- Ma Debra, forse non sei in serata, forse non è il momento... – aggiunge Michele – Fallo per noi di smettere, ti prego. Ti amo Debra, mi fai paura... Non è così che si fa...
Lei aumenta invece la velocità. Non smetterà mai di sua iniziativa. Comprendo così che dobbiamo aiutarla, ma in modo che non pensi che siamo stati noi. Così inizio a parlarle duramente.
- Va bene, Debra. Vuoi essere come me? Ok, per me è ok. Però così non ecciti nessuno, sei un fantoccino in preda a convulsioni. Io lo so cosa vuoi, vuoi finirti per questa sera, in modo da non avere più davanti l’immagine che ti tormenta, quella di me che godo, che forse sono capace di godere più di te. Pensa che io ho sempre giudicato il contrario, mi è sempre sembrato di essere una dilettante al tuo confronto. Ora però capisco che non puoi tornare indietro, amore mio... Vediamo quanto sai essere cagna. Ti stai sbattendo la figa da un’ora e non sei venuta a capo di niente. Vuoi un incoraggiamento?
Lei mi scuote il capo in segno di diniego.
- Vuoi un aiutino?
Ancora no con la testa.
- Vuoi che ti diciamo quanto sei puttana lesbica a fare così?
Questa volta fa segno di sì. Noi non vediamo l’ora che tutto questo abbia una fine e allora Michele le dice: - Tu sai cosa sei, tu sei una bagascia, di quelle da strada. Tu vuoi dimostrare al mondo che si sopravvive senza cazzo e invece sbavi dietro a un pezzo di plastica. Tu godi a umiliarti, ecco cosa ti succede. Non sapevo di poterti amare anche per questo, però ti prego non farlo mai più così.
- Hai sentito cosa ti ha detto, strega? – continuo io – pensa al mio povero pancino dolorante, pensa che avrei più facilità io ad avere un orgasmo in queste condizioni che tu ora. Mettila da parte quella tua volontà del cazzo, montanara, friulana di merda. Sei dura come le vostre rocce. Lo sai che ti amo, no? Lo sai che ho paura che un giorno tutto questo possa finire, che sia solo un bel sogno...
M’interrompo perché pare che finalmente Debra stia arrivando. Ma più che un orgasmo è una specie di collasso, un tremito improvviso per tutto il corpo, che sembra squassarsi. È pallida, per terra debolissima.
- Sto godendo – ci dice – mi sto finendo...
- Ma a che prezzo! - la compatisce Michele.
Dopo qualche attimo è tutto finito, lei è semisvenuta sul tappeto, noi la raccogliamo in due e la trasportiamo a letto così come è. Il dildo giace lì, abbandonato.
La sistemiamo sotto le lenzuola, baciandola a turno; per primo Michele, che quando si allontana guardandosela, le rimbocca con amore la copertina e le da un’ultima carezza. Anche noi dormiremo lì con lei, ma prima di spegnere la luce penso che avremo bisogno di parlare un momento, Michele e io.
Quando la bacio, lei è molto tenera: - Amore, grazie! Questa sera ho esagerato. Non avrei dovuto... Io ti amo, Matilde. Vorrei che questo non fosse mai successo, ma vedrai che domani sarò di nuovo io. Adesso va pure, ho tanto sonno, ci vediamo domattina.
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