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Lui & Lei

Matilde 03-04 - Le carezze di Debra


di Alex46
26.03.2019    |    2.719    |    1 8.6
"So già come finirà, mi toccherò o mi penetrerò con qualcosa..."
Mi sento insoddisfatta, non comprendo dove voglia arrivare Debra, mi sto innervosendo. Ma invece devo aspettare. Debra infatti ora è seduta tranquilla sul divano, si è coperta con un plaid e ci dice che ha voglia di raccontarci ancora di sé, di quella volta che era da sola e....

«Noia + mancanza di uomo sono gli ingredienti esatti per una perfetta domenica pomeriggio di merda. Non perdo neanche tempo a inveire, tanto non servirebbe a nulla. Non ho voglia di uscire, non saprei chi o cosa cercare. Rimango in casa come una scema, chiusa in camera. So già come finirà, mi toccherò o mi penetrerò con qualcosa... però vorrei farlo non per ammazzare il tempo ma semplicemente per l’amore che dovrei provare per me stessa. Dal letto dunque osservo le tre pareti e la finestra, giro lo sguardo fino a fermare gli occhi sulla scatola dei ricordi.
Voi sapete che da piccola quella per me era la scatola dei giochi, crescendo li ho poi sostituiti con lettere e altre cazzatine. Forse mi può aiutare a passare il pomeriggio!
La prendo e la metto sul letto, mi accoccolo di fianco, la apro... Mamma mia quanti resti di passato! Non ricordavo di averne tenuti così tanti... biglietti, quaderni, foto e firme di persone: una o due non le riconosco neppure. Mi fa piacere riscoprirle... e questo pacco cos’è?... Non è molto grande, devo scartarlo... ma cos’è? Si rivela essere un cacciavite.
Sembra ancora nuovo, con il suo manico rosso.
Adesso so benissimo perché era nella scatola. Sui 19-20 anni l'avevo usato qualche volta come dildo, quando ero bugiarda con me stessa e lo facevo carica di complessi di colpa.
Mi stupisco quasi del mio passato, il ricordo della vergogna che provavo nel farlo mi è ben chiaro... nessuna delle mie parti allora avrebbe mai ammesso, neppure con se stessa, che abbassare la manina per una donna è normale. Quindi lo si faceva, eccome se lo si faceva, non passava giorno senza che mi sditalinassi almeno una volta, ma con un mucchio di complicazioni emotive.
Alla vista del cacciavite mi tornano alla mente le situazioni vissute, la somma delle colpe, la successiva liberazione. Sarebbe bello farlo ora con lo stesso attrezzo, senza più impedimenti morali. Non sto a rifletterci, è ovvio... Cerco subito la figa, la mia vecchia cara figa, che ha visto tutto ciò che le ho fatto passare e che tutto ricorda... anche il cacciavite.
Con lui in mano sto per iniziare la mia fuga quotidiana nell’eros. Con gli occhi chiusi mi siedo appoggiando la schiena al capo del letto. Le dita riscoprono il tesoro, leggere sfiorano le labbra esterne. Cercano la strada per arrivare al punto chiave, ma nello stesso tempo lo evitano. Il mio clitoride è ancora piccolo, quasi scompare tra le pieghe. Lo segno delicatamente girandoci attorno... un dito... basta poco e i brividi cominciano a farmi fremere, le anche si sollevano avvicinandosi alla mano.
Lo so, devo andare piano, essere delicata... per amarmi con tenerezza: è tutta me stessa che vuole amarsi, non come tanto tempo fa che lo voleva solo una parte di me.
Premo il clitoride tra indice e medio e “lui” risponde con fitte di piacere che provocano l’allagamento immediato del basso ventre. Ma non voglio finire così, subito, voglio caricarmi al massimo, godere della mia solitudine, non esserne prigioniera. Toccarmi perché ho già tutto, non per avere qualcosa.
Meglio dunque prendere tempo, così mi alzo e accendo lo stereo, ho bisogno di musica. Sono a piedi nudi e in tuta da ginnastica.
La voce di Bono mi riaccompagna sul letto, mi basta poco per riaccedere alla figa e ricreare l’incanto. La mano ritorna esattamente dov’era: guidata dalla musica, riprende a riaccendere il clitoride.
Devo essere dolce, me lo impongo! Mi do una pressione continua per non perdere l’onda di piacere sulla quale mi sono connessa, ma devo trattenere l’intensità. Il bacino è molle e io continuo a stimolare il clitoride con un dito solo, il respiro inizia a cambiare.
No! No!... Voglio durare di più, devo andare piano. Riesco a malapena a controllarmi, è troppo piacevole, ormai sono vicina al punto del non ritorno, al limite... Ora non riesco più, le sensazioni sono troppo forti per continuare a essere così delicata, devo assolutamente andare avanti.
Aumento la velocità del dito sul clitoride, il piacere aumenta di voglioso egoismo... continuo a masturbarmi senza ritegno. Un dito sul bottone e una mano sul seno con particolare riguardo ai capezzoli. Sento la conclusione vicina, adesso ci si mette anche quella meravigliosa sensazione di bagnato che si sta creando più in basso. Non resisto, mi bagno un po’ il dito prima di tornare sul bottone della mia intimità. Continuo frenetica con il dito bagnato dei miei umori, vedo me stessa sul letto che si masturba tanti anni fa, mentre la mamma crede che io studi. Ora però non ce la faccio più: compio uno sforzo per evitare l’esplosione, sapendo che è l’ultimo, per poi rilasciarmi e scivolare nel mio orgasmo solitario.
Un gemito, quasi un lamento di goduria è il premio per il mio lavoro di dita, mentre di sottofondo gli U2 continuano a suonare i loro pezzi di Joshua Tree. Spossata, rimango ad ascoltare.
Nel godimento mi ero contratta, ora stacco la mano dal pube e stendo le gambe piegate: avverto la presenza di qualcosa sotto una coscia... È il cacciavite, spettatore solitario. Me n’ero dimenticata, pensare che è stato lui ad accendermi la miccia prima.
Mi metto tre dita inumidite di figa in bocca, le bagno ancor più di saliva poi le riabbasso per preparare la strada ai miei ricordi.
Stavolta il bersaglio non è fuori, è dentro. Qualche residuo di piacere sta ancora riversandosi dal cervello e va a scontrarsi con il languore che mi viene dal basso.
Ora sono abbondantemente bagnata, pronta, tenera e languida, risvegliata da questa strana trasgressione. Chissà cosa pensavo allora prima di infilarmi il manico dentro: il cacciavite, questo strumento così maschile, che noi donne maneggiamo con così poca sicurezza di mano...
Prendo in bocca il manico, come a fargli un bocchino, voglio che scivoli dentro e scorra con facilità. Ed è quasi con un sol colpo che lo inserisco... dio, non me lo ricordavo così. Tenendolo per la parte di metallo, spingo il manico, inizio a penetrarmi avanti e indietro dolcemente come una volta, ma ora è diverso da allora. Provo diverse inclinazioni, lo sto cercando, alla ricerca del preciso obiettivo di godere in quel modo. So di averlo, avanti e indietro... continuo a cercare il mio punto G... ancora... ahhh!... l’ho trovato!
Ora posso cominciare la mia cavalcata solitaria. Stringo i muscoli della vagina... voglio tenere tutto il piacere per il finale, quando godo talmente tanto che quasi non posso parlare di un secondo orgasmo del pomeriggio. Posso parlare di una sborrata pazzesca che arriva... mi invade, godo, godo davvero!!!
Ora posso fermarmi. Penso a voi, gli unici capaci ad avermi fatto godere così. Sono sfinita: è stato più lungo di allora, completamente diverso. Di sicuro sono più esperta, più donna, più troia.
Sono stanca, davvero stanca. Estraggo il cacciavite, lo guardo, è bagnato e lucido. Lo metto in bocca, lo lecco, è buono. L’orgasmo è una sensazione meravigliosa, se si riesce a gustarlo fino in fondo.
Rimango sul letto, con l’attrezzo ancora in mano. Penso che ho fame, ma il pensiero muore subito ucciso dal sonno... mi addormento così, senza accorgermene, come quando ero ragazzina e magari l’avevo fatto pensando al mio filarino di allora».

Mi alzo e corro a baciarla. Di tutti i racconti che ci ha fatto, questo è quello che più ci ha dato l’idea della sua sofferenza, e di quanto il godere fisicamente a volte non riesca a sostituire un amore che si sente perso, per quanti sforzi si possano fare per bastare a se stessi. E nonostante stasera Michele e io siamo andati in bianco, ci va bene così: ed entrambi coccoliamo Debra quando andiamo a dormire, come a ripagarla almeno parzialmente del male che sentiamo di averle fatto.
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