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Gay & Bisex

Gerontofilia


di adad
20.08.2019    |    16.551    |    6 9.5
"“Prendilo, dai…”, lo invogliò..."
Finito il pranzo, Gilberto prese un libro e uscì, dirigendosi al vicino parco.
La tiepida giornata di primavera invogliava ad uscire, a respirare il tiepido soffio della natura… Beh, invogliava anche a tante altre cose, ma a quelle Gilberto non ci pensava più. Aveva superato da un pezzo l’età canonica e anche quella post canonica: che potesse ancora esserci qualcosa per lui, ormai non lo credeva più.
Non che gli fossero venuti meno i desideri, quello no, ma le forze sì: alla tenera età di settanta anni non ricordava neanche più l’ultima volta che gli era venuto duro ed era riuscito a farsi una sega decente, figurarsi rimorchiare ancora qualcuno!
No, i desideri non gli erano venuti meno: per strada allungava ancora l’occhio a carezzare il bel culetto che vedeva guizzare sotto un paio di jeans; si soffermava ancora a sbirciare il pacco dei giovanotti che incrociava; si sentiva ancora un languore alla bocca dello stomaco alla vista di due belle gambe pelosette…
Ma non erano più cose per lui e Gilberto lo accettava. Lui stesso ricordava, a vent’anni, lo sgomento che gli suscitava l’approccio anche solo di un quarantenne… Un quarantenne… Gilberto sorrise al ricordo, adesso che avrebbe fatto carte false per poter anche solo parlare con quel quarantenne, che vedeva spesso sul balcone del condominio di fronte. Quante ore era rimasto a spiarlo con aria indifferente nei pomeriggi estivi, quando gli si presentava in pantaloncini corti e maglietta, se non addirittura a torso nudo, impegnato in qualche lavoretto o anche solo a fumarsi una sigaretta.
Una volta Gilberto era rientrato di corsa in casa a spiarlo col binocolo attraverso i vetri della finestra. Ne immaginava l’odore intenso delle ascelle, il calore delle membra sode, il tepore umido del sesso rannicchiato nelle mutande…
Ma c’è un tempo per ogni cosa, si ripeteva Gilberto, un tempo per il sesso e uno per i ricordi… e i rimpianti. Solo quello del desiderio non tramonta mai.
Gilberto raggiunse un angolo del parco, che amava particolarmente, tranquillo, fuori dalle rotte dei passeggiatori; si sedette nella vecchia panchina all’ombra di un grande oleandro fiorito, si guardò attorno con un senso di soddisfazione e aprì il libro che si era portato dietro.
Era immerso nella lettura, quando sentì un leggero scalpiccio di passi. Alzò la testa quasi seccato e la riabbassò di colpo. Poi la rialzò e guardò, fingendo indifferenza, il ragazzo che gli stava passando davanti. Mostrava sui venti o venticinque anni, alto pressappoco come lui, bello con i riccioli rossicci, che erano la sua passione. Nel momento in cui passava, il ragazzo si voltò e i loro occhi si incrociarono: alla distanza di un paio di metri, quegli occhi gli apparvero incredibilmente azzurri, luminosi, profondi.
Il ragazzo passò. Gilberto lo seguì con lo sguardo fino alla curva del sentiero, beandosi a contemplare le forme armoniose del suo posteriore. Poi, dato un respiro profondo, riabbassò la testa e riprese a leggere… o meglio cercò di riprendere a leggere, perché la sua mente era momentaneamente impegnata altrove. Forse ai suoi bei tempi si sarebbe alzato e lo avrebbe seguito, avrebbe tentato un approccio, ma ora…
Gilberto si sentì dentro fremito di ripugnanza che il ragazzo avrebbe provato nel sentirsi abbordare da un vecchio settantenne. Cercò di uscire dal turbinio di emozioni che si sentiva in testa e fissò con ostinazione la pagina del libro, come a riprendere il controllo della situazione.
Era appena tornato a riassorbirsi nella lettura, quando:
“Mi scusi, - si sentì dire - le dispiace se mi siedo qui un momento?”
Sollevò la testa di scatto: era il ragazzo di prima, che lo fissava con un sorriso disarmante.
“N…No… - balbettò – si accomodi pure…”, e si sentì come mancare l’aria.
Il cuore gli batteva all’impazzata. Voltò la pagina con la mano che gli tremava. Ma la pagina era un rettangolo biancastro confuso di segni che gli danzavano davanti agli occhi. Fu quasi con un senso di sollievo che sentì l’altro rivolgersi nuovamente a lui:
“Non volevo disturbarla, ma questa è l’unica panchina in questa parte del parco e… mi piace molto.”
“Sì, - fece Gilberto, cercando di dominare l’agitazione – è c bello qui… specialmente… specialmente quando l’oleandro fiorisce…”, e chiuse il libro, poggiandoselo sulle ginocchia, inavvertitamente con la copertina in su.
Il ragazzo guardò l’albero alle sue spalle.
“Manca poco, ormai.”, disse.
“Sì, - mormorò Gilberto – manca poco.”
Ci fu un lungo momento di silenzio, durante il quale Gilberto continuò a guardare fisso davanti a sé, con la mente come paralizzata, incapace di concepire il minimo pensiero.
“Mi scusi, - fece ancora il ragazzo – lei è omosessuale?”
“Cosa?...”, mormorò Gilberto, di nuovo in subbuglio.
“E’ che non ho potuto fare a meno di notare la copertina del libro che sta leggendo. L’ho letto pure io qualche mese fa. È molto bello e l’autore è gay dichiarato. Finalmente possiamo vivere la nostra vita come vogliamo.”
“Sì… Lei è gay, allora.”, osservò Gilberto, adesso più tranquillo.
“Sì, anche lei, presumo.”
Gilberto ci mise molto a rispondere.
“Sì, – disse poi con un filo di voce – ai miei tempi era tutto così diverso… Avete fatto molta strada, voi giovani.”
“Lei vive con qualcuno?”
“No, ma diamoci pure del tu.”
“Ah, ok, volentieri. - rispose il ragazzo – Sei qui a rimorchiare?”
“Cosa? No…”, scoppiò a ridere Gilberto.
“Non ci sarebbe niente di strano, non credi?”, osservò il ragazzo, un po’ piccato.
“No, scusami, non ci sarebbe niente di strano, è vero… ma per te, forse… ce lo vedi uno della mia età, che va a rimorchiare al parco?”
“Non vedo qual è il problema. Sei un bel nonnetto, credo che ne troveresti ancora parecchi interessati…”
“Marchettari, forse.”, disse Gilberto con una punta di amarezza.
“Ti sembro un marchettaro io?”
Gilberto si girò a guardarlo e si fissarono a lungo.
“Mi stai rimorchiando, per caso?…”, mormorò alla fine in tono scherzoso.
“E se anche?”, fece l’altro con un sorriso birichino.
“Dai, non prendermi in giro, ti prego.”
“Non ti sto prendendo in giro.”, disse il ragazzo, mettendogli una mano sulla spalla.
“Ma dai, non è possibile che un ragazzo giovane… bello come te vada con un… uno di settant’anni!”, e per fortuna riuscì a rimangiarsi la parola ‘vecchio’ che gli
era salita alle labbra.
“Certo che è possibile: guarda me. Mi piaci molto. Mi piaci come sei, mi piacciono le tue paure, che voglio demolire una per una… Mi chiamo Aldo.”, e gli tese la mano.
“Gilberto…”, fece lui, stringendogliela.
Aldo lo fissò con un sorriso luminoso, in cui non mancava un fondo di sfrontatezza.
“Andiamo a casa tua? – disse – Ti giuro che non sono un marchettaro, che non ti sto prendendo in giro, non sono un malintenzionato e ho voglia veramente di fare l’amore con te.”
“Non credo di essere in grado…”, tentò di schermirsi ancora una volta l’uomo.
“Vuoi dire che non ti si drizza più?”
“Vedo che vai subito al sodo.”, scherzò Gilberto.
“Se qualcuno mi piace, è inutile perdere tempo, non trovi?… E non preoccuparti per quello: c’è il mio che tira bene per tutti e due e vedrai che… Beh, mettimi alla prova.”
Quel tono sfrontato fece sorridere Gilberto gli tolse ogni dubbio: perché avrebbe dovuto rinunciare a quella meravigliosa avventura? cosa aveva da perderci? Cercò di ignorare il terrore della reazione che l’altro avrebbe potuto avere davanti al suo corpo cadente. Si alzò.
“Beh, andiamo, allora.”, gli disse con un sorriso tirato.
Durante il breve percorso, si scambiarono qualche parola; ma via via che si avvicinava a casa, Gilberto sentiva svanire quella franchezza, che era andata instaurandosi al parco, e rinascere tutto il vecchio imbarazzo.
Salendo in ascensore al quarto piano, dov’era il suo appartamento, Gilberto si chiuse nell’imbarazzato silenzio che ci prende un po’ tutti appena le porte si chiudono; puntò gli occhi davanti a sé, evitando di volgere lo sguardo verso l’altro e rimpiangendo quasi di aver accettato quell’invito, che minacciava di destabilizzarlo.
“Bevi qualcosa?”, chiese al ragazzo una volta entrati in casa, nel tentativo di procrastinare di qualche istante il momento fatale.
“Grazie, nonnetto, ma non perdiamo tempo: sono eccitato, non vedo l’ora di scoparti!”
Quelle parole sfacciate tolsero quasi il respiro al povero Gilberto, che arrossì, accennando un sorriso, mentre sbirciava con la coda dell’occhio il basso ventre del ragazzo, dove era evidente il massiccio profilo del cazzo in erezione, sotto il tessuto dei jeans.
Senza dir niente, lo precedette in camera e si sedette sulla sponda del letto, ad osservarlo mentre si spogliava. Con foga, fissandolo negli occhi e sorridendo lascivamente, Aldo si tolse la maglietta, scoprendo un petto glabro con i muscoli morbidamente delineati; poi si sfilò anche i pantaloni, restandogli davanti solo con un paio di slip oscenamente tesi e bagnati, dove la punta dell’uccello spurgava senza ritegno.
Gilberto non si mosse, abbagliato dalla vista, avvolto dal profumo di quel giovane corpo, inebriato dall’afrore dolciastro che emanava dal suo inguine maturo. All’improvviso, tutte le sue paure erano tornate ad opprimerlo: si sentì inadeguato di fronte alla bellezza del ragazzo… Non era per lui… non poteva essere per lui…
Aldo gli si avvicinò, stringendosi la protuberanza del pene sotto gli slip.
“Ti piaccio?”, gli chiese.
“Sei troppo bello… - riuscì a mormorare Gilberto attraverso le labbra secche – sei troppo bello per me…”, e si tirò indietro col busto, puntellandosi sul letto col braccio sinistro.
Anche da giovane la bellezza del partner lo aveva sempre intimidito; adesso da vecchio maggiormente lo faceva sentire inadeguato, non all’altezza. Aldo sembrò capire quei sentimenti.
“Toccami”, gli disse con dolcezza, prendendogli la mano e poggiandosela sul petto.
Sentire sotto le dita quella pelle morbida, calda, levigata, sfiorare il capezzolo fremente, avvertire la vitalità, il fascino coinvolgente di quel corpo, respirarne il profumo fu più di quanto Gilberto potesse sopportare: gli passò le braccia attorno alla vita, stringendolo forte, e scoppiò a piangere, premendogli il volto sul morbido addome.
Aldo aspettò che la crisi passasse e intanto gli carezzava la testa con i suoi radi capelli grigi:
“Sta calmo, - gli mormorava – non aver paura… ci penso io…”
Quelle parole sembrarono calmarlo: Gilberto si sciolse dall’abbraccio e Aldo, infilatosi la mano sotto gli slip, estrasse l’uccello, avvicinandoglielo alle labbra.
“Prendilo, dai…”, lo invogliò.
E Gilberto, sentendosi premere sulle labbra la punta bavosa, le dischiuse e la ingoiò con un gemito soffocato. Aspirò forte, mentre gustava quei sapori salmastri, quella consistenza morbida, vellutata sotto la lingua, la serica consistenza di un glande che da tanto non sentiva. Cominciò a succhiare, cercando di ritrovare l’antico ritmo, ma non era questo che Aldo voleva, non ora, almeno. Infatti, dopo un po’ glielo tolse dalla bocca e, fattosi indietro:
“Spogliati.”, gli disse, tirandolo in piedi.
“No!...”, gemette il vecchio, terrorizzato all’idea di veder confrontato il suo fisico avvizzito dagli anni alla fiorente gioventù dell’altro.
“Spogliati…”, ripeté Aldo e allungò le mani per aiutarlo a sfilarsi la maglietta.
A questo punto, Gilberto lasciò fare, come si lasciò slacciare i pantaloni, che gli si afflosciarono ai piedi.
“Non sei male per la tua età, nonnetto.”, disse Aldo con un sorriso, attirandolo a sé.
Nella salda stretta di quelle braccia, nel calore del giovane corpo sulla sua pelle, Gilberto dimenticò finalmente la sua età, dimenticò la sua inadeguatezza, i suoi timori: gli anni gli scivolarono via dall’anima e si abbandonò con tutto se stesso al desiderio e alla passione, che sentiva traspirare dall’altro. Come un tempo… da quando? Dopo un po’ erano sul letto: Aldo disteso nudo che si lasciava beatamente carezzare, baciare, leccare ogni lembo del suo corpo fragrante… e Gilberto, in boxer, che, ancora incredulo, baciava famelicamente, carezzava, leccava ogni lembo di quel corpo fragrante.
Infine, gli scivolò fra le gambe divaricate e pasteggiò a lungo con le sue palle gonfie e l’uccello turgido. Non contento, gli fece scivolare i palmi delle mani sotto i glutei e glieli sollevò, puntellandosi sui gomiti; poi gli aprì il solco con i pollici e gli trafisse con la lingua appuntita il morbido orifizio.
“Sì, vecchio porco! – squittì il giovane, dimenandosi come un’anguilla – Ci sei arrivato finalmente! Leccamelo, cazzo, leccami il buco del culo!”
E Gilberto glielo leccò, del resto non chiedeva di meglio; non si sottrasse a quella richiesta, che era insieme un ordine. Glielo leccò tutt’attorno, spianando con la lingua ogni singola crespa; glielo penetrò fin dove riusciva, glielo ruminò per un’eternità, slinguandolo e sbavandolo, come neanche una cagna avrebbe fatto. E Aldo gemeva in risposta e sospirava e si dimenava, arricciando per il piacere le dita dei piedi. Infine:
“Mi fai venire!... – gridò – Prendilo in bocca, cazzo, fatti sborrare in bocca!”
E Gilberto corse a ingoiare la cappella congestionata, un attimo prima che il taglietto sulla punta si spalancasse e ne fuoriuscisse un fiotto denso di seme colloso, che lui si affrettò a ingoiare assieme ad un secondo e ad un terzo e un quarto e un quinto…
Quando ebbe finito di scaricarsi, Aldo si abbandonò inerte sul letto, intanto che Gilberto continuava a leccargli il pisello moscio, con un punta di rammarico che fosse già tutto finito.
Ma non era davvero tutto finito: se lui aveva l’insaziabilità di voglie sempre più raramente soddisfatte, Aldo aveva dal canto suo tutta l’insaziabilità della gioventù: prima che il pomeriggio giungesse a sera, infatti, aveva sborrato altre due volte, altrettanto copiosamente, prima nel culo di Gilberto e poi nuovamente nella bocca.
“Accidenti, nonnetto! Wow! – fece il ragazzo dopo la terza emissione – Sei una vera bomba! In genere si afflosciano tutti dopo la prima.”
Quelle parole suscitarono una punta di gelosia nell’animo del vecchio, ma subito lui la soffocò.
“E’ merito tuo, - disse con un sorriso – sei così bello… così… sensuale…”, e prese a carezzargli l’uccello esausto.
“Non dirmi che ne vorresti ancora!...”
“Saresti già stanco, per caso?”
“Lasciami riprendere fiato, vecchio porco, e vedrai cosa ti combino!”
Cosa gli combinò possiamo facilmente immaginarlo, senza che stia qui a rodermi il fegato dall’invidia per riferirvelo. Mi basti solo dirvi che era notte fonda, quando uno stanchissimo Aldo, lasciò l’appartamento di Gilberto, per tornarsene a casa.
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