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Sogno di una notte di mezza estate


di adad
08.05.2021    |    6.658    |    7 9.3
"Stette un po’ a rivivere quei momenti, poi il freddo dell’alba lo fece rabbrividire..."
Phil non riusciva a prendere sonno. Non era tanto il caldo della notte estiva, in cui neppure un alito di vento dalle finestre aperte rompeva l’afa opprimente della stanza, quanto un’inquietudine strana, un’ansia che gli serpeggiava nel fondo dell’anima e non gli dava requie.
Provò a immaginarsi qualche avventura erotica per masturbarsi, sperando che lo sfinimento post orgasmico gli favorisse il sonno, ma le immagini che gli si formavano nella mente erano sfocate, impalpabili, prive di qualsiasi valenza erotica. Provò a rivivere l’ultimo porno che aveva visto in Internet il giorno prima, quello con la tettona, che gli aveva fatto sborrare pure l’anima… ma ancora una volta le immagini gli sfuggivano senza lasciargli nessuna emozione.
Alla fine, mandò tutto a quel paese e decise di alzarsi, di uscire: chissà che una passeggiata non lo avrebbe aiutato a rilassarsi?
Andò in bagno a sciacquarsi la faccia, indossò un paio di pantaloncini di tela leggera e una maglietta, si assicurò di avere in tasca le chiavi di casa e scivolò fuori silenziosamente, per non farsi sentire dai suoi, nel caso fossero ancora svegli. Aveva tralasciato di mettersi le mutande perché gli piaceva sentirsi ciondolare l’uccello molle in mezzo alle gambe, sentirselo strusciare contro il tessuto ruvido dei pantaloncini: gli dava un che di porco, di selvatico.
Appena in strada, si guardò attorno, fece per dirigersi verso il paese, le cui case iniziavano poco più in là, ma un richiamo misterioso lo fece voltare verso la foresta, la Grande Foresta, ai cui margini sorgeva la sua villetta.
Nonostante le leggende che la riguardavano, la Grande Foresta non lo aveva mai appassionato, anzi gli aveva sempre suggerito quasi un senso di terrore, per questo non vi si era mai addentrato, se non per qualche centinaio di metri. Ma quella notte ci si diresse senza timore: più tardi avrebbe confessato di aver sentito una sorta di richiamo misterioso, a cui non era stato capace di sottrarsi.
Raggiunta la stradicciola sterrata, la imboccò e si inoltrò nel buio sempre più cupo, in cui la luna filtrava a raggi provocando strani e inquietanti giochi di ombre. Camminò per un buon tratto; la quiete e la frescura della foresta cominciarono a rilassarlo: sentiva il fresco umido della terra risalirgli lungo le gambe, infilarglisi sotto i larghi pantaloncini e carezzargli le palle ciondoloni, dandogli sensazioni piacevolissime. Cominciò a chiedersi cosa avesse di così terribile questa foresta da averlo sempre spaventato. E piano piano si perse nei suoi pensieri, smarrendo la cognizione del tempo e dello spazio.
Ad un tratto, qualcosa lo riscosse; si fermò, guardandosi attorno, ma non vide né sentì alcunché che attirasse la sua attenzione. Scosse la testa e stava per riprendere il cammino, quando si rese conto di non avere idea di quanto si fosse allontanato: forse era meglio tornare indietro, anche perché la consapevolezza di trovarsi da solo, perso chissà dove in quel bosco che non conosceva, cominciava a mettergli addosso una certa inquietudine. Non che avesse paura del buio o dei fantasmi, né che ci fossero animali pericolosi, ma la luna era andata abbastanza oltre e a malapena riusciva a scorgere il biancore della strada sterrata, chiazzato qua e là dalle macchie scure dell’erba, che era cresciuta nei punti meno calpestati. Si guardò un’ultima volta attorno, prima di riprendere la via di casa, ma qualcosa catturò la sua attenzione. Strizzò gli occhi, cercando di vedere nel buio, mentre tendeva spasmodicamente l’orecchio per cogliere il minimo fruscio: sul momento non vide, né sentì niente di particolare; ma all’improvviso colse un leggero bagliore e un’ancor più leggera melodia, come un suono armonioso di flauti, che proveniva dalla direzione verso cui stava andando prima.
Gli si drizzarono i capelli e avrebbe voluto darsela a gambe, ma nello stesso tempo la curiosità o chissà cosa lo tenevano inchiodato sul posto.
E intanto il chiarore cresceva, la melodia si faceva sempre più vicina.
“Ma che diavolo sta succedendo?”, si chiese.
Che fossero gli adepti di qualche strampalata setta esoterica… sapeva che ce n’erano in zona… tipi strani, che cercavano di ricreare gli antichi riti dei tempi pagani… doveva essere così, doveva essere qualcuno che… Ma chi? e cosa volevano celebrare? Poi capì e la sua inquietudine divenne paura:
“Cazzo! ma è la notte di mezza estate… - disse con un brivido - La notte delle fate…”, e tutte le antiche storie, di cui pure si era nutrito da ragazzo, gli tornarono di colpo alla mente.
La notte delle fate… in cui Oberon e Titania escono dal loro palazzo sugli alberi per accendere i fuochi di Beltane, i fuochi per la festa del solstizio... La sua mente di uomo adulto e razionale si rifiutava di accettare quelle favole d’altri tempi, ma il chiarore si faceva sempre più evidente in fondo alla strada, il suono dei flauti sempre più vicino…
Che fare? La ragione gli suggeriva di scappare via, di allontanarsi al più presto da quel luogo, chiunque fosse quella gente e qualunque cosa avessero intenzione di fare; ma la curiosità lo teneva inchiodato lì… non riusciva a risolversi. Alla fine, con un balzo, corse a nascondersi dietro alcuni cespugli ai margini della strada e rimase in attesa.
Ed ecco, poco dopo, il corteo sbucò dal fondo della strada e Phil si appiattì ancora di più nel buio, mentre le prime fate vestite di nuvole avanzavano, spargendo attorno petali di rosa; dietro di loro elfi, ninfe e folletti danzavano al suono dei flauti e illuminavano la strada con le loro lanterne di lucciole. E infine veniva il carro reale, trainato da agili cerbiatte: su di esso sedeva Titania, circonfusa di luce e bellissima nel suo vestito di tela di ragno; al suo fianco Oberon, pressoché nudo nella sua clamide allacciata sulla spalla, che gli lasciava il fianco interamente scoperto.
Phil era estasiato: i suoi occhi erano affascinati dalla visione della regina Titania, le cui grazie erano appena velate dal tessuto impalpabile, ma non poteva nascondere il turbamento che gli procurava il corpo aitante e così procacemente esposto di re Oberon. Nulla a che vedere con gli uomini nudi o quasi che aveva visto sulle spiagge o nei video porno: questo aveva un tocco di magia, che lo toccava nel profondo.
Poco prima che il carro passasse oltre, Phil vide un folletto avvicinarsi a Oberon e sussurrargli qualcosa all’orecchio: il re volse lo sguardo stupito nella sua direzione e il giovane si sentì quasi trapassare dai suoi occhi; poi bisbigliò alcune parole in risposta e tornò a dedicarsi alla sua sposa.
Fu allora che Phil sentì una presenza al suo fianco e subito gli occhi gli si velarono, appesantiti da un sonno profondo, mentre il suono dei flauti si faceva sempre più ossessivo e più intenso il profumo dei petali di rosa.
All’improvviso, una fitta dolorosissima gli fece spalancare gli occhi. Cercò di muovere il braccio…
“Ma che cazzo…”, gemette, accorgendosi di essere immobilizzato a terra, su un letto di folta erba, le mani e i piedi fissati a solidi paletti.
Aveva gambe e braccia divaricate, e una miriade di esserini ghignanti lo fissava con occhi crudeli. Per un momento si sentì come Gulliver prigioniero dei Lillipuziani.
“Che volete? Scioglietemi, cazzo!”, sbraitò, mentre si dibatteva con forza, cercando
invano di liberarsi.
Quelli, però, non gli diedero retta, anzi, uno di essi avvicinò la mano con una lunga spina di rosa e lo punse giusto sul capezzolo.
“Ahi! Smettetela… sciogliete queste cazzo di funi!”
Al che, ridendo e sghignazzando, i diabolici esserini cominciarono a pungerlo da tutte le parti: sul petto, sulle cosce, sulle palle, sull’uccello… e fu allora che Phil si accorse di essere nudo! Nudo e legato, alla mercè di quelle minuscole creature infernali! Un terrore folle lo percorse e riprese a dibattersi selvaggiamente, con l’unico risultato di provocare risate ancora più scroscianti e tormenti ancora più pungenti.
“Guarda come ce l’ha grosso!”, disse un folletto, infilzandogli il glande con una lunga spina d’acacia.
La fitta di dolore fece torcere Phil, che prese a urlare come un dannato.
“Come quello di Oberon…”, disse un altro, pizzicandogli il prepuzio con le unghie appuntite.
“Che ne sai del pisello di re Oberon?”
“Gliel’ho visto un giorno, che faceva il bagno nel fiume…”
“Sei impazzito? Lo sai che non possiamo spiarlo, quando…”
“Ehi, guardate quanti peli! – li interruppe un altro – Ha le palle che sembrano un porcospino!”
“Dai, strappiamoglieli!”
E detto fatto, mille mani si allungarono sui coglioni del povero Phil, che ormai non aveva neanche più fiato per urlare, e cominciarono a strappargli i peli, uno per uno, prima quelli delle palle, poi quelli del pube, riducendolo in breve liscio come un neonato. E mentre questi si accanivano a strappargli i peli, altri continuavano a tormentarlo punzecchiandogli i piedi, ficcandogli le dita nel naso, torcendogli le orecchie…
“Cosa state facendo? – tuonò d’un tratto una voce possente – Lasciatelo stare!”
Immediatamente, la ressa dei tormentatori si dileguò, fuggendo a nascondersi nelle ombre fra i cespugli.
“Scioglietelo”, ordinò la voce e subito Phil si sentì liberare dai legacci.
Fece, allora, per alzarsi a sedere, aiutato dalle mani premurose di qualcuno, che non vedeva nell’oscurità. Sentiva male da tutte le parti. Aprì gli occhi pieni di lacrime, ma c’era solo il buio davanti a lui. Poi, qualcuno si mosse alle sue spalle, Phil con uno sforzo girò il torso e quello che si trovò davanti lo lasciò senza fiato: in piedi, avvolto da un alone luminoso c’era un giovane di incredibile bellezza e perfezione fisica, che lo guardava, sorridendo, con occhi benevoli. Oberon… il re delle fate in persona.
“Mi dispiace per quello che ti hanno fatto… - disse - spesso i miei servi non hanno il senso della misura. Ma tu che ci fai qui? Agli umani non è permesso sostare nella foresta, la notte di mezza estate.”
Oberon sembrava non aver neanche notato che il giovane era nudo. Del resto, lui stesso lo era sotto il leggero mantello.
“Certo, che ti hanno conciato proprio male…”, continuò Oberon, accosciandosi davanti a lui con un ginocchio a terra.
Così facendo, il mantello scivolò di lato, scoprendogli l’inguine a mezzo. Phil intravide il sesso penzolante e un certo turbamento lo prese allo stomaco, mentre ne avvertiva l’odore selvatico, come le foglie schiacciate di un arbusto.
Oberon continuava a fissarlo con sguardo interessato, poi gli si fece più vicino e, allungando la mano, lo carezzò nei punti più dolenti: immediatamente, si placò il dolore delle punture e si dissolse il bruciore dei peli strappati, mentre una strana pace si diffondeva in lui e un’incomprensibile eccitazione cominciava a serpeggiargli sotto la pelle.
“Non mi hai detto che ci facevi qui stanotte… perché spiavi il corteo delle fate…”, chiese di nuovo Oberon, sfiorandogli dolcemente la guancia col dorso delle dita.
“Non spiavo il corteo delle fate…”, rispose Phil, cominciando a perdersi nei suoi occhi.
“Che ci facevi qui, allora? Non si viene a passeggiare nei boschi di notte.”, la voce di Oberon era sempre più morbida.
“Non so perché ero qui, - confessò Phil – ci sono venuto… era come se qualcuno mi stesse chiamando.”
Perché aveva detto quelle parole?
“Come se qualcuno ti stesse chiamando… - ripeté il re delle fate – Questo significa che sei tu il prescelto.”
“Il prescelto per cosa?”, si stupì Phil.
“Per questo…”, rispose l’altro, scivolandogli al fianco e baciandolo, mentre lo stringeva fra le braccia.
Che fai?, avrebbe voluto protestare Phil, io non sono… Ma il pensiero non terminò neanche di formularglisi nella mente: troppo dolce era la lingua che gli frugava la bocca, troppo tenero l’abbraccio, troppo piacevoli le carezze di quelle mani sempre più audaci. Phil ci si abbandonò grato, quasi non desiderasse altro.
Intanto Oberon lo aveva disteso a terra e, chino, a cavalcioni del suo corpo, aveva preso a pascersi di lui, coprendolo di baci, di carezze, di calde leccate. Non ci fu angolo, non ci fu piega che le sue labbra e la lingua non esplorassero: iniziando dall’incavo del collo e scendendo nel solco dei pettorali, mordicchiando i capezzoli, intrufolandosi nello scrigno fragrante delle ascelle… poi, baciando e rovistando con la lingua nell’ombelico, fino al pube adesso liscio e allo scroto, su cui Phil sentiva scorrere la lingua pastosa dell’uomo, lasciandosi dietro una patina di saliva che con la frescura della notte gli dava i brividi.
Infine, Oberon prese a slinguargli l’uccello duro, risalendolo a tutta lingua dall’attaccature delle palle fino al glande congestionato. Leccò dall’addome la pozzetta di sugo che l’eccitazione aveva fatto colar fuori, poi lo prese in mano, lo sollevò e lo accolse, risucchiando, nella bocca.
Phil guaì come un cagnolino, per il piacere che quella bocca calda e bagnata prese a dargli così amorevolmente… mai nessuna donna glielo aveva succhiato con tanta passione… con tanto accanimento… con tanto… Quasi non si accorse di venire, Phil, tanto era perso nel suo piacere; ma venne e con un primo scatto eiettò un fiotto corposo di sperma nella bocca del re delle fate, e poi un altro e un altro ancora, una sborrata inesauribile, che l’altro ingoiò con famelica ingordigia, continuando a succhiare, finché non fu del tutto molle nella sua bocca.
Poi accadde l’inaspettabile: lasciato il cazzo ormai floscio, Oberon sollevò le gambe di Phil, ripiegandogliele sul petto e facendogli così alzare il bacino; quindi, dopo avergli nuovamente lappato le palle adesso svuotate, gli poggiò le labbra sul buco del culo e lo trapassò senza esitazione con la lingua.
Phil era strabiliato: gli stava leccando il buco del culo… era la prima volta che qualcuno glielo faceva e… accidenti, se era fantastico! Sollevò ancora di più il bacino e lui stesso si allargò le natiche per agevolarlo: avrebbe voluto aprirsi il più possibile, offrirsi tutto… avrebbe voluto sentire fin nel profondo il tocco magico e sensuale di quella lingua… Con gli occhi chiusi e l’espressione estasiata sul volto, Phil si godeva quel piacere insolito… sublime, bisbigliando quel sì… sì… sì… che dava nuovo fuoco alle voglie lubriche del re delle fate.
Phil si sentiva il buco del culo fradicio di saliva e palpitante, voglioso di altro, adesso che sembrava essersi risvegliato a nuovi piaceri. E Oberon sembrò capirlo, o più semplicemente intuì che era giunto il momento, perché d’un tratto estrasse dal suo culo la lingua e fulmineamente la sostituì con il cazzo. Phil si rese conto a malapena che qualcosa di diverso lo stava penetrando… qualcosa di più grosso, ma non meno piacevole. Che un uomo lo stesse inculando, che stesse violando la sua virilità non lo sfiorò minimamente: sentiva solo il fuoco di quel cazzo che scorreva dentro e fuori dal suo buco, come da una figa, e sentiva il piacevole languore che gli procurava… come sentiva il fervore dell’uomo che lo stava possedendo, sentiva la sua voglia, sentiva ogni fremito del suo stesso piacere. Non era più lui: era parte di quell’uomo, sorgente del suo piacere e nello stesso tempo partecipe. Quel cazzo che li univa era parte di entrambi e lui avrebbe voluto che diventasse ancora più grosso, ancora più lungo, perché lo possedesse interamente.
Il ritmo di pompata divenne più rapido, più frenetico e Phil sentì l’orgasmo che stava maturando, avvertì fremiti diversi nel corpo chino su di lui, nelle braccia che lo stringevano, nel respiro che si faceva rantolante al suo orecchio… finché, il bacino di Oberon rimase fermo un istante, prima di dare un ultimo vibrante affondo, mentre dal suo cazzo sussultante scorreva fuori il frutto del piacere.
Phil si rese appena conto che anche lui stava versando il suo seme, quando un pesante sonnolenza tornò a chiudergli gli occhi.
Li riaprì che stava ormai albeggiando: era solo, disteso per terra. Per un attimo pensò di aver sognato: capita a volte di fare sogni così veritieri da lasciarci dubbiosi al risveglio; ma era tuttora nudo, l’inguine era implume e, toccandosi, si sentì il buco lento e tutt’intorno bagnato.
Non aveva sognato, dunque: Oberon era stato davvero lì… avevano fatto l’amore… lo aveva posseduto! Scoprì di non sentirsi affatto menomato nella sua mascolinità: era successo… e gli era piaciuto. Stette un po’ a rivivere quei momenti, poi il freddo dell’alba lo fece rabbrividire. Vide poco lontano i suoi abiti: si rivestì e riprese la via di casa, affrettando il passo per arrivare prima che si svegliassero i suoi: troppe spiegazioni avrebbe dovuto inventarsi, se avessero scoperto che non aveva dormito a casa.
Arrivò giusto in tempo: corse in camera sua, mise il letto sottosopra per non farsi accorgere, poi uscì sul balcone e si sedette ad ammirare il sole di mezza estate che stava appena nascendo.
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