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Il segretario particolare - 2


di adad
24.05.2020    |    8.255    |    5 9.6
"”, fece Vito e andò nel ripostiglio, dove era stato ricavato un cucinino..."
E così iniziò lo strano sodalizio fra il giovane Vito e il suo datore di lavoro, don Salvatore Minghiazza, gestore di un’agenzia di accompagnatori per donne sole e all’occorrenza accompagnatore lui stesso.
Bisogna dire che il rapporto fra i due scivolava via abbastanza tranquillo e senza ombra alcuna: Vituzzo si dimostrava un segretario attento e ligio ai suoi doveri, che, come sappiamo, non si limitavano a tenere aggiornata l’agenda e preparare il caffè per don Salvatore; questi, dal canto suo, era sempre gentile e premuroso col sottoposto. Talvolta Vituzzo lo sorprendeva a guardarlo sornione e allora si preparava, perché immancabilmente qualche istante dopo lo sentiva:
“Vituzzo, vieni un momento, per favore.”
E Vituzzo andava e lo trovava già con i pantaloni aperti e l’uccello turgido di fuori.
“Da bravo, Vituzzo, fammi un lavoretto, ché mi è venuto un po’ di calore addosso.”
E Vituzzo, da bravo segretario, accorto ai bisogni del suo capo, gli si inginocchiava davanti e si dava da fare. E siccome il calore addosso a don Salvatore veniva abbastanza spesso, era parecchio il tempo che il bravo Vituzzo si trovava a dover dedicare alla sua delicata, quanto esigente, appendice.
Qualcuno si chiederà come potesse il giovane accettare una situazione così umiliante, senza denunciarlo a chi di dovere o almeno sputtanarlo in giro: insomma, era il suo segretario, mica la sua puttana!
Beh, dire che il giovane accettasse questo trattamento supinamente sarebbe eccessivo: i primi giorni aveva provato in effetti un moto di insofferenza, ogni volta che don Salvatore lo convocava, ma poi, a poco a poco, grazie anche alla gentilezza con cui l’altro lo trattava e l’evidente piacere con cui lo vedeva accogliere le sue prestazioni, non ci aveva fatto caso più di tanto.
E poi… Vabbè, diciamolo: il godimento di cui avvertiva preda don Salvatore, mentre glielo succhiava, la felicità e la gratitudine che gli leggeva sempre in volto, negli occhi brillanti, una volta giunti a compimento, iniziarono ad essere per lui motivo di soddisfazione. Insomma, non dico che Vituzzo avesse cominciato a prenderci gusto, ci mancherebbe: non era mica un finocchio! tuttavia era innegabile che si ritrovasse a svolgere questa parte del suo lavoro con sempre minore insofferenza e maggior dedizione, anche se sono convinto che fosse frutto unicamente della riconoscenza per le attenzioni e le carinerie che il datore di lavoro gli riservava: il cioccolatino che trovava accanto al computer la mattina, per esempio, o l’invito a pranzo a mezzogiorno nella vicina tavola calda e così via. Mai però che don Salvatore si fosse permesso di chiedergli qualcosa oltre al caffè e al bocchino, quando il calore lo prendeva.

Una mattina, Vituzzo stava lavorando al computer, quando si riscosse all’improvviso con la sensazione di qualcosa di strano… Si guardò attorno stranito: don Salvatore sedeva alla sua scrivania, assorto in quello che stava facendo; poi diede un’occhiata all’orologio: erano le undici e quello non gli aveva ancora chiesto niente! Riprese a digitare sulla tastiera, ma si accorse che
più cercava di non pensarci e più quel tarlo gli rodeva il cervello e le dita se ne andavano per conto loro, scrivendo fischi per fiaschi. Dopo aver a lungo indugiato in preda all’incertezza, Vito si alzò in silenzio e si avvicinò alla scrivania del capo.
“Don Salvato’, scusate…”
L’uomo sollevò la testa e lo fissò con aria interrogativa.
“Cosa c’è?”
“No, niente… don Salvato’… E’ che mi stavo chiedendo…”
L’altro mosse la testa, ripetendo la muta domanda.
“Don Salvato’, ma vi sentite bene?”, fece allora il giovane tutto d’un fiato.
“Certo, perché?”
“Beh, perché sono già le undici e stamattina non mi avete ancora chiesto né il caffè, né…”, e si interruppe diventando tutto rosso.
L’uomo scoppiò a ridere e di scatto si alzò in piedi, tirandolo a sé, in un abbraccio caloroso.
“Ah, ah, ah… Sei preoccupato perché stamattina non ti ho chiesto il servizietto? Ah, ah, ah… Sto bene, non preoccuparti. È che nel pomeriggio devo incontrare una cliente che ha chiesto espressamente di me, e allora ho pensato bene di tenermi in forze… Tu mi spompi troppo bene, lo sai. Ti dispiace?”, gli chiese poi.
“N…no”, fece Vito, tornando al suo tavolo, ma ebbe la sensazione di non dire la verità.

La mattina successiva, don Salvatore si presentò in ufficio con un certo ritardo.
“Buongiorno, Vituzzo.”, fece entrando e dandogli un colpetto sulla spalla, prima di raggiungere la sua scrivania.
“Buongiorno, don Salvato’. – rispose Vito – Com’è andata, ieri?”
“Benissimo, Vitu’: quella donna è un macello. Ogni volta una tripletta… Però è anche una miniera d’oro.”
“E’ per questo che chiede di voi.”
“Eh, già. – fece l’uomo, fissandolo intenzionalmente – Vitu’, che ne dici di prepararmi un caffettino? Ne ho proprio bisogno stamattina.”
“Subito, don Salvato’.”, fece Vito e andò nel ripostiglio, dove era stato ricavato un cucinino.
“Ecco un bel caffettino dolce e bollente per voi, che oggi ne avete bisogno.”, disse al ritorno.
Poggiò la tazzina sulla scrivania del capo e fece per tornare al suo tavolo.
“Aspetta, Vitu’, - fece, però, quello – ho un regalo per te.”, e prese una scatola, che aveva messo lì poco prima.
“Un regalo?... per me? – disse Vito prendendo la scatola che l’altro gli porgeva – Don Salvato’, non dovevate…”, e si fece tutto rosso.
Aprì la confezione e tirò fuori un paio di mutandine nere. Le sollevò erano di pizzo, tutte traforate, all’ultima moda. Lo guardò stupito.
“Ma sono da donna…”, esclamò.
“Sono da uomo, Vitu’: anche noi dobbiamo adeguarci, non trovi? No, in realtà, me le ha regalate la cliente di ieri, voleva farmele indossare mentre ci intrattenevamo… - gli spiegò don Salvatore – Sono molto sexy… mi dispiaceva buttarle via e non volevo che mia moglie me le trovasse nel cassetto; così ho pensato di regalarle a te, se non ti offendi.”
“No, e di cosa dovrei offendermi?”
“Che è imbarazzante, per esempio, regalare mutandine sexy al proprio segretario?” disse don Salvatore con un sorriso.
Vito fece spallucce.
“O magari che le ho già indossate io…”, e stavolta c’era una certa intenzionalità nella sua voce.
“Non avete mica la rogna. – disse Vito, felicissimo, per la verità, che il capo avesse pensato a lui – Grazie, grazie davvero.”, e le richiuse nella scatola.
“Beh, e non le provi?”
“Come?”
“Dai, vediamo come ti stanno.”
“Ma, don Salvatore?...”
“Cosa c’è, ti vergogni di farti vedere in mutande?”
“No, è che…”, balbettò il giovane, confuso.
In realtà, nonostante i trascorsi tra loro due, l’idea di farsi vedere in mutande dal suo capo lo imbarazzava terribilmente.
“Dai, non fare la verginella; vai di là e indossale…”
Dopo un momento di confusione, Vito si avviò verso uno stanzino sul retro, che usavano come deposito e spogliatoio.
“E togliti tutto il resto, mi raccomando.”, gli gridò dietro don Salvatore.
“Allora, come ti stanno?”, chiese dopo un po’.
“Mi sembra bene, don Salvato’.”, ripose la voce di Vito da dietro la porta chiusa.
“Come, ti sembra? Vieni fuori, fatti vedere.”
Seguì un lungo silenzio.
“Non dirmi che ti vergogni. Dai, vieni fuori”
In risposta a quelle parole, la porta dello stanzino cominciò a dischiudersi e poco dopo un Vito imbarazzatissimo fece capolino prima con la testa e poi con tutto il resto. Il volto arrossato faceva deliziosamente contrasto con l’eburneo candido
della pelle.
“Accidenti! – esclamò don Salvatore sinceramente meravigliato – Ti stanno uno schianto!”
Vito arrossì ancora di più, ma nei suoi occhi si leggeva un’intima gratificazione. Fece qualche passo avanti, atteggiando un imbarazzato defilé, e si fermò al centro della stanza.
“Perché ti tieni le mani davanti? - chiese don Salvatore – Toglile.”
“Ma si vede tutto…”
“Sono fatte apposta…”, disse l’uomo e si alzò dalla scrivania, andandogli vicino.
“Su, togli queste mani, lasciati vedere…”, disse ancora e presolo per i polsi, disgiunse delicatamente le mani, allontanandogliele dall’inguine.
Sotto il sottile intreccio nero del pizzo, era chiaramente visibile il cazzo semiduro del giovane e la borsa voluminosa delle palle.
“A vederti così, - mormorò piano, allungando una mano a sfiorargli la guancia con la punta delle dita – sei ancora più bello.”
Vituzzo se ne stava lì imbambolato, confuso: cosa stava succedendo? cosa gli
stava dicendo quell’uomo? perché lo guardava in quel modo?
“Che luminosi sono i tuoi occhi… - continuava don Salvatore – E che pelle morbida…”, aggiunse carezzandogli dolcemente l’esterno del braccio.
“Don Salvatore…”, gemette Vituzzo a fior di labbra.
Ma l’uomo non lo ascoltava, proseguiva invece l’esplorazione del suo corpo, carezzandolo con mano sempre più indiscreta sul torace, seguendo la curva leggera dei pettorali, sui fianchi… ed ogni carezza era un brivido che correva sotto la pelle di entrambi, accendendone vieppiù la libidine.
Il cazzo di Vito era ormai teso sotto il pizzo leggero delle mutandine e più nulla nascondeva quell’erezione, ma don Salvatore sembrò non farci caso: con delicata determinazione lo fece voltare e fu con un gemito di bramosia che spinse la mano a carezzargli le sode rotondità delle natiche.
“Bedda matri, Vituzzo, - esclamò, lisciandole e palpandole senza più freno – e questo il paradiso è!”
“Don Salvatore…”, gemette nuovamente Vito, senza però far nulla per sottrarsi a quelle attenzioni inopportune.
Don Salvatore però era ormai sordo a tutto, l’unico a cui ubbidiva era l’atavico richiamo del maschio predatore. Con foga lo avvolse con le braccia e lo strinse a sé, spalle contro petto, premendogli e macinandogli l’inguine sulle natiche.
“Vituzzo… - sospirava – beddu… beddu… beddu…”, e gli mordicchiava il lobo dell’orecchio, gli strizzava lievemente i capezzoli, facendolo torcere di nuove, insospettabili sensazioni.
Poi, di scatto, lo trascinò accanto alla scrivania e ce lo fece piegare sopra. Gli si accosciò dietro, con foga gli tirò giù le mutandine; senza proferir parola gli allargò le natiche e, dopo aver fissato un momento il buchetto serrato, ci si fiondò sopra mugolando e prese a baciarlo, leccandolo famelicamente e penetrandolo con la lingua per quanto poteva.
“Cosa fate, don Salvatore, - protestava debolmente il malcapitato – cosa fate?...”
Ma don Salvatore, nulla ormai poteva frenare la sua irruenza. Che dopo aver a lungo banchettato col sensibile buchetto e averlo ridotto ad un grumo di carne fremente e grondante di saliva, si rialzò, si slacciò in fretta i pantaloni, si tirò fuori il cazzo dalle mutande e, puntatoglielo sopra, lo spinse dentro con un colpo solo. Vituzzo urlò, battendo i pugni sulla scrivania, e cercò di sottrarsi a quell’assalto brutale, ma don Salvatore lo teneva saldamente per i fianchi e ci dava dentro a fotterlo, come se non ci fosse domani.
“Ti voglio, Vituzzo, - ansimava, affondandogli tutto dentro – ti voglio…”
Vituzzo gemeva e mugolava, ma non più soltanto per il dolore, che anzi andava pian piano scemando, ma per la subitanea, incredibile piacevolezza nel sentirsi la mazza poderosa di don Salvatore scorrergli dentro e fuori dall’ano senza impedimento; e poi quella inaspettata, gratificante sensazione di appartenenza…
All’improvviso, Vito si era reso conto che non era più solo nella vita, che adesso apparteneva a quest’uomo, quest’uomo che lo aveva desiderato fino al punto di
Violentarlo. Qualsiasi forma di rancore scomparve e tale consapevolezza lo spinse ad allungare le braccia dietro di sé, ad afferrare don Salvatore per i fianchi e a premerselo contro proprio nell’istante in cui quello veniva e, quasi soffocando per la violenza dell’orgasmo, gli scaricava dentro tutta la sua eccitazione.
Passato lo stordimento dell’orgasmo, don Salvatore si raddrizzò, sempre tenendolo stretto fra le braccia e con il cazzo tuttora saldamente piantato nel suo culo; ancora ansimante, prese a carezzarlo sul petto, sulla pancia, scendendo con la mano all’altezza dell’uccello, ormai a stento contenuto nelle mutandine di pizzo nero. Don Salvatore infilò la mano sotto l’elastico, strinse nella mano il membro di Vito, lo estrasse e cominciò lentamente a masturbarlo.
Chi li avesse visti, sarebbe stato uno spettacolo non so se indecoroso o follemente eccitante, vedere questi due uomini in piedi, schiena contro petto: uno dietro,
completamente vestito, che col braccio sinistro teneva l’altro stretto a sé e con la destra lo masturbava piano; e uno davanti, con un vezzoso slippino nero tirato giù e un cazzo poderoso tuttora infisso fra le chiappe, che si abbandonava con la testa sulla spalla dell’altro e si lasciava andare al piacere, gemendo debolmente fra le labbra dischiuse. Due magnifici animali persi in un mondo primordiale di puro piacere; immobili, come un gruppo statuario, tranne quella mano che si muoveva lentamente avanti e indietro lungo un’appendice vivente, che all’improvviso eruppe getti di seme lattiginoso, uno dopo l’altro, che inondarono l’intero piano della scrivania.
E nel momento in cui veniva, mentre il suo sfintere si ammorsava attorno al cazzo di don Salvatore, Vituzzo ne cercò le labbra, le trovò e si congiunsero in un lungo bacio d’amore e di conciliazione.

“Mi sa che sono costretto a licenziarti.”, disse don Salvatore con una luce furbetta negli occhi, dopo l’ennesimo bacio.
Erano ancora lì, Vito seduto sul piano della scrivania e don Salvatore in piedi davanti a lui, che si carezzavano e si baciavano teneramente.
Quelle parole furono una doccia fredda per il povero Vito.
“Perché?”, chiese con un filo di voce.
“Non posso più tenerti come semplice segretario… - disse l’altro con aria addolorata – Ci siamo spinti troppo oltre.”
La delusione fu palese sul volto del giovane.
“Ma non temere, - si affrettò a rassicurarlo don Salvatore – intendo promuoverti a segretario particolare. Sei contento?”
“E cosa cambia nel mio stato di servizio?”, chiese Vito, stando allo scherzo.
“Beh, per cominciare, non dovrai più prepararmi il caffè e poi…”
“E poi?...”
“Non sarai più obbligato a farmi i bocchini, quando mi viene il calore…”
“Cosa?!?!!”
“Voglio dire che non sei più obbligato per contratto…”
“ Ah, ok, don Salvato’. – disse Vito, quasi incapace di contenere la sua gioia – Però, che ne direste di mettere un divanetto nello stanzino?”
“Un divanetto?”
“E’ scomodo farlo sulla scrivania… Adesso gradite un caffettino?”
“Perché no? – rispose l’altro – Ma non rivestirti… Per oggi non abbiamo ancora finito.”, e prese a spogliarsi pure lui.

(FINE)
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