Gay & Bisex
Batocchio - 2
di adad
19.01.2020 |
12.385 |
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"“E’ il tuo sapore, l’hai dimenticato?…”
“No, non l’ho dimenticato…”, fece Raimondo, tornando a baciarlo..."
Giunti in camera, Fulvio lo fece sedere sulla sponda del letto, poi gli si inginocchiò davanti, gli fece allargare le gambe e rimase assorto a contemplare quella poderosa colonna di carne, che svettava turgida e promettente, col suo bel capitello affusolato, mentre soppesava delicatamente i grossi coglioni pelosi.Adesso, per carità, non pensate ad un organo spropositato, asinino, tutt’altro: a misurarlo sarò stato di venticinque o ventisei centimetri, con uno spessore adeguato; inferiormente risaltava la grossa vena dell’uretra, che sortendo dallo scroto saliva ad innestarsi nel glande meravigliosamente roseo e levigato.
Nel suo turgore, si teneva dritto come una colonna, senza bisogno di essere sostenuto.
“E ti hanno preso in giro per questo?”, mormorò Fulvio incredulo.
“Ti piace davvero?”
“E’ grandioso!”, e con queste parole il giovane riprese a leccare la cappella a tutta lingua, gustandone gli umori, prima di reingoiarla e riprendere a succhiare.
Ben presto, furono entrambi persi in un turbine di sensazioni voluttuose. È impossibile dire chi dei due ne fosse maggiormente travolto, se Fulvio, che così inaspettatamente si ritrovava a gustare le copiose emissioni di quel magnifico uccello; o Raimondo, che stava scoprendo non solo il piacere del sesso, ma anche una gratificazione tutta nuova di sé.
Quando si rese conto che si stava avvicinando all’apice, Fulvio rallentò la suzione, fino ad interromperla del tutto, togliendosi di bocca la cappella e leccando con avidità l’abbondante presborra, che colava fuori ininterrottamente dalla boccuccia anelante. Raimondo avrebbe voluto urlare dalla frustrazione e fece per impugnarsi l’uccello e concludere lui; ma Fulvio gli tenne lontano la mano e riprese a succhiare, impugnando lui stesso l’asta alla base e facendo scorrere la guaina su e giù.
Raimondo gemette a quella doppia azione, sentendosi scorrere il piacere fin dentro il midollo delle ossa, e si concentrò sulla fitta dell’orgasmo che sentiva di nuovo sempre più vicino… sempre più violento. Anceh Fulvio lo avvertì, ma stavolta non si fermò, accelerò anzi la suzione e il pompaggio, finché il cazzo di Raimondo si tese fino allo spasimo e con un gemito roco il giovane si abbandonò all’orgasmo, mentre il suo nerchio pulsante scaricava fiotti di sperma nella bocca risucchiante di Fulvio.
Quando tutto fu finito, il cazzo di Raimondo si afflosciò rapidamente e subentrò fra i due il gelo dell’imbarazzo. Entrambi si alzarono: Fulvio, leccandosi le labbra, indietreggiò con gli occhi bassi verso la porta; mentre Raimondo, senza neanche asciugarsi la bava che gli colava dall’uccello moscio, si infilò un paio di mutande e si rivestì in fretta.
“Andiamo a vedere la tua caldaia…”, disse alla fine e si avviarono alla porta, senza mai guardarsi.
La sera successiva, Raimondo aveva appena finito di riordinare la cucina, quando suonarono alla porta: era Fulvio che gli si presentò sorridente e gli porse una scatoletta di cibo per gatti.
“Un regalino per Trippa.”, disse.
“Attento a non viziarlo troppo, - fece Raimondo, prendendo la scatoletta – è una sagoma, quello!”
Si sedettero in cucina, ma l’imbarazzo era palpabile: evitavano di guardarsi negli occhi e non trovavano argomenti per avviare una conversazione, per lo meno niente che gli sembrasse interessante.
“Funziona adesso la caldaia?”, chiese alla fine Raimondo.
“Sì, grazie. È tutto a posto… grazie…”
“Senti, - fece Raimondo, dopo un altro lungo silenzio – a proposito di ieri sera…”
“Spero di non averti offeso…”, lo interruppe Fulvio.
“No…”
“Davvero, non so cosa mi ha preso…”
“Io non sono gay…”, esclamò Raimondo.
“Lo so… neppure io… Te l’ho detto, non so cosa mi ha preso.”
“Non vorrei che tu pensassi…”
“No… certo che no… Non succederà più.”
Stettero ancora in silenzio a fissare il vuoto, poi Fulvio si alzò:
“E’ meglio che vada, - disse, fingendo di guardare l’orologio – non vorrei fare tardi…”
“Certo”, fece Raimondo,alzandosi pure lui e accompagnandolo alla porta.
Uscito sul pianerottolo, Fulvio si voltò:
“Ci vediamo, allora.”, gli disse, porgendogli la mano.
“Sì”, fece Raimondo, stringendogliela.
Si strinsero la mano e finalmente si guardarono negli occhi. Per un lungo istante.
“Oh, al diavolo!”, sbottò alla fine Raimondo e, tiratolo a sé, strinse Fulvio in un abbraccio frenetico.
“Al diavolo! – ripeté – E’ stato bellissimo!”
Fulvio non trovò niente da rispondere, se non stringendolo ancor più convulsamente.
La porta era ancora aperta, quando Raimondo prese fra le mani il volto dell’amico e avvicinò le labbra a baciarlo. L’altro ebbe un attimo di incertezza, poi schiuse le sue e le lingue si avvinghiarono in un gioco d’amore e di passione.
Finalmente ritrovarono un barlume di lucidità:
“Vieni”, disse Raimondo, chiudendo la porta con un calcio.
“Ne sei sicuro?”, chiese Fulvio, tornando a baciarlo.
“Non lo so… - fece Raimondo – ma so che mi piace e… lui ti vuole…”, e gli prese la mano, portandosela all’inguine, dove Fulvio si trovò a stringere un uccello gloriosamente duro.
Un attimo dopo erano in camera. Raimondo si spogliò rapidamente e si stese sul letto, fissandolo con il cazzo dritto in aria e una goccia di rugiada già stillante.
Fulvio si tolse il maglione e la camicia, scalciò via le scarpe e gli si stese bocconi
tra le gambe, accostando il volto al suo inguine e aspirandone con aria beata il grato sentore dolciastro. Poi prese a leccare… dapprima i grossi coglioni, intorno, a tutta lingua, risucchiandoli in bocca uno alla volta, per spremerli contro il palato, e strappandogli ogni volta gemiti soffocati di piacevole dolore; poi risalì l’asta, leccando e mordicchiando, per imboccare infine la cappella e risucchiarla voracemente.
In preda ad un’estasi estraniante, Raimondo prese a muovere il bacino, cercando di spingergliene in bocca il più possibile, ma il suo cazzo era troppo massiccio, a malapena ci entrava; e la cappella Fulvio prese a succhiare, mentre Raimondo, nella foga di godere, con la destra si impugnava l’uccello muovendola su e giù, e con la sinistra carezzava la nuca dell’amico, quasi a sincerarsi che non si staccasse, quando sarebbe arrivato il momento.
Ma Fulvio non si sarebbe staccato lo stesso, anzi quasi non vedeva l’ora che arrivasse il momento, quasi non vedeva l’ora di ritrovarsi la bocca nuovamente piena del succo abbondante e saporito dell’amico. E quando, infatti, giunse, serrò le labbra sotto la corolla del glande e deglutì ogni fiotto denso che ne scaturiva.
Una volta finito, Fulvio continuò a leccare e succhiare l’uccello di Raimondo, finché non fu del tutto moscio e prosciugato: a questo punto, gli si stese accanto, abbracciandolo ancora esausto ed ansimante.
Appena si fu ripreso, Raimondo si girò a ricambiare l’abbraccio e si baciarono.
“Hai un sapore strano…”, mormorò.
“E’ il tuo sapore, l’hai dimenticato?…”
“No, non l’ho dimenticato…”, fece Raimondo, tornando a baciarlo.
Poi, dopo aver allungato la mano a palparlo finalmente in mezzo alle gambe:
“Ma ho paura che mi sono dimenticato di te… - disse – Spogliati, dai.”
E Fulvio si spogliò, sotto gli occhi vigili dell’amico, che per la prima volta nella sua vita vedeva un altro uomo nudo… nudo ed eccitato. Sul momento gli parve strano, tanto più quando si abbracciarono: strano, strano e piacevole, il contatto dei corpi nudi, delle gambe che si intrecciavano, delle cosce e dei sessi che si sfioravano e si strusciavano. Subentrò quindi la voglia di conoscere e le sue mani presero a spaziare sul corpo di Fulvio, seguendone ogni piega, scavando in ogni anfratto, fino ad arrivare dove un richiamo misterioso lo attirava.
Per la prima volta, con un moto di emozione che gli strinse la gola, Raimondo sfiorò le palle di un uomo, le palle di Fulvio… e poi il suo cazzo eretto, che impugnò dopo un attimo di esitazione, e prese a masturbarlo lentamente.
Fulvio rispose con un gemito profondo e si stese supino per agevolarlo. E così, mentre le loro labbra rimanevano incollate, mentre le loro lingue continuavano a vorticare l’una sull’altra, Raimondo andò via via incrementando il ritmo della vogata, portando infine l’amico all’orgasmo più esplosivo della sua vita: basti dire che gli schizzi di sperma arrivarono a colpire fino il volto di entrambi.
A chiederglielo, Raimondo non sarebbe mai riuscito a spiegare cosa avesse provato a masturbare un altro uomo, a stringere nella mano il cazzo duro di un altro, a sentirselo pulsare durante l’orgasmo: la mente gli si era del tutto svuotata, era solo il suo corpo, la sua mano ad agire. Giacquero abbracciati sul letto, nudi e infreddoliti; e quando si rivestirono non fu in silenzio, imbarazzati come la sera precedente: scherzavano invece, festosi; e quando fu il momento di andare, si abbracciarono davanti alla porta ancora chiusa.
“Posso tornare domani?”, chiese Fulvio semiserio.
“Certo che puoi! – rispose Raimondo, dandogli un bacio a fior di labbra – A Trippa dispiacerebbe molto…”
“E a Batocchio?”
“A Batocchio ancora di più.”, fece ridendo e fu la prima volta che quel soprannome lo lasciò indifferente e forse addirittura gli piacque.
E Fulvio tornò la sera dopo e tornò anche le successive, sempre con grande soddisfazione di Trippa, ogni volta omaggiato con una scatoletta di buon cibo per gatti, e di Batocchio, omaggiato a sua volta con una serata di sesso sempre più pieno e soddisfacente.
Raimondo aveva imparato ad apprezzare le attenzioni che l’altro gli prodigava e le ricambiava, per quello che poteva; per cui la serata si concludeva inevitabilmente con un godurioso sessantanove, che Fulvio impreziosiva con qualche indiscreta leccata all’intimità posteriore… cosa che al momento lasciava un po’ perplesso l’amico, che non era ancora arrivato ad aprirsi fino a questo punto.
Si frequentavano ormai da vari mesi e il loro rapporto si poteva definire soddisfacente sotto tutti i punti di vista, sessuale ed affettivo; ma un cruccio tormentava il povero Fulvio, un desiderio che continuava rimanere insoddisfatto.
Non ne aveva mai parlato con Raimondo, ma se lo covava dentro, ci rimuginava sopra, se ne sentiva ogni giorno più angosciato; ogni giorno si riproponeva: stasera lo faccio, e ogni sera il timore prendeva il sopravvento. Fulvio aveva una gran voglia di farselo mettere nel culo, ma nello stesso tempo era terrorizzato dalla prospettiva del dolore che quel grosso batocchio avrebbe potuto procurargli.
Finché un giorno non resse più: costi quello che costi, si disse, ma ce la devo fare, anche a costo finire al pronto soccorso per farmi ricucire.
Così, quella sera, appena furono a letto, nel bel mentre gli leccava vogliosamente il batocchio:
“Inculami”, disse a Raimondo.
“Cosa?”, fece quello, che mai più si aspettava una richiesta del genere.
In effetti, non aveva mai preso in considerazione l’idea di incularlo, non per il timore di fargli male con il suo enorme arnese, quanto piuttosto perché temeva di non esserne in grado, di non esserne all’altezza.
“Inculami…”, ripeté Fulvio.
“No”, fece Raimondo, tirandosi indietro.
“Dai, mettimelo, per favore…”
“Ma ti faccio male…”, disse Raimondo, sollevato dal fatto di aver trovato un buon argomento per sottrarsi a quella richiesta.
“Non fa niente… per favore…”, insistette, però, l’altro e dopo un’ultima leccata, che spalmò il grosso arnese di abbondante saliva, si mise a pecorina, dandogli il posteriore. Raimondo si sentì il cuore in gola… ma ormai non poteva più tirarsi indietro. Accostò la punta smussata al foro grinzoso dell’amico, che appena sentì il contatto:
“Aspetta, - gli disse – mettimi due dita, prima, così mi apri…”
Al che, Raimondo si bagnò due dita di saliva e gliele infilò nel pertugio, sperando di non fare cattivi incontri, un’altra delle sue paure. Ma non ne fece e le sue due dita penetrarono abbastanza agevolmente fino in fondo, sciogliendo tutti i nodi.
Dopo che lo ebbe scovolinato un paio di volte, Raimondo estrasse le dita e accostò nuovamente la cappella al foro dell’amico, chiedendosi come avrebbe fatto ad infilare il suo grosso arnese in un’apertura così minuscola.
Alla leggera pressione che sentì esercitare sull’orifizio, Fulvio chiamò a raccolta tutta la sua forza d’animo, aspettandosi da un momento all’altro che il deretano gli si squarciasse dolorosamente.
Voltò la testa sopra la spalla e disse con voce tremante:
“Fa piano, mi raccomando…”
“Ma sono già dentro a metà.”, fu la sorprendente risposta di Raimondo, che con un decisivo colpetto lo spinse fino in fondo.
Fulvio non credette alle proprie orecchie e si allungò una mano in mezzo alle gambe per verificare ed in effetti quello che si trovò a tastare fu il suo sfintere stirato all’inverosimile attorno alla base del cazzo dell’amico, i cui grossi coglioni premevano ora sui suoi. Rimase incredulo: nessun dolore, liscio come una lama bollente nello strutto… Sul momento ne fu quasi deluso: tutte quelle angosce, tutti quei patemi d’animo, tutto quel rimandare… per niente! Ma subito dopo sentì la pienezza che la grossa verga dell’amico gli procurava e cominciò immediatamente a sballare, non appena la sentì zangolargli nel retto avanti e indietro.
“Ohhhh”, sguaiolò, avvertendo il pesante massaggio sulla prostata e un languore sempre più avviluppante irradiarglisi dal basso ventre in tutto il corpo.
“Ohhhh”, gli fece eco Raimondo, che stava scoprendo in quella cavalcata livelli di piacere, mai neanche sospettati.
Poi tutto si compì: Raimondo sentì distintamente la pressione della sborra forzargli l’apertura della canna e immettersi con forza nel condotto; allora, con un gemito belluino si inarcò, afferrandosi ai fianchi dell’amico, e lasciò che il suo seme si catapultasse fuori a scatti. I quali scatti furono come martellate sulla prostata di Fulvio, che scosse la testa sguaiolando, e venne anche lui, allagando le lenzuola.
Erano stressati e ansimanti, quando il batocchio ormai molle sgusciò fuori e i due crollarono sul letto infradiciato, con gli occhi chiusi, le mani avvinghiate e un sorriso beato sulla faccia.
“Era la prima volta?”, gli chiese Raimondo, appena ripreso fiato.
“No”, ansimò Fulvio.
“Per me, sì”
Fulvio si girò a guardarlo.
“Wow! E come ti è sembrato?”
“E’ stato fantastico… ma devo ancora elaborare la cosa… Ci rifletterò stanotte…
Cazzo, la mia prima scopata e ti ho inculato! - fece Raimondo con gli occhi lustri di euforia – E tu? Ti ho fatto molto male col… mio batocchio?”
“”Confesso che avevo una gran paura, - disse Fulvio – ma sei entrato che quasi non me ne sono accorto…”
“Mi dispiace…”
“E di cosa? Ne avevo una voglia tale che mi sono aperto come una cozza!”
“No, - fece Raimondo, serio, tornando a baciarlo – ti sei aperto per me, come un bocciolo di rosa...”
FINE
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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