Racconti Erotici > Gay & Bisex > Fra Sodomizio - 2
Gay & Bisex

Fra Sodomizio - 2


di adad
04.07.2018    |    8.340    |    1 9.2
"Non ti piace stare qui?” “E’ che… mi sento inutile, reverendo padre..."
I primi giorni di fra Sodomizio nel convento di San Virginio furono tristi, sia pure stemperati dalla consapevolezza di essere ormai al sicuro: la giustizia poteva fare quello che voleva, nessuno sbirro avrebbe osato violare la santità del convento. Gli mancava la vecchia vita, gli mancava il vecchio lavoro con tutte le soddisfazioni grandi e piccole che esso gli offriva. Sopratutto gli mancava la soddisfazione di fare del bene agli altri, quell’intima gratificazione nel vedere il cliente alzarsi dal lettino spulciato e insieme appagato.
Fra Sodomizio ciondolava tutto il giorno dalla cappella a cantare le laudi al refettorio a mangiare una brodaglia grigiastra con due fagioli e mezza foglia di cavolo; dal refettorio al chiostro a meditare su chissà che cosa, e di nuovo alla cappella per altre laudi, e di nuovo al refettorio per una brodaglia ancora più insipida. Finché, cantati i Vespri, tutti a dormire su un saccone di paglia pieno di cimici. Ma che vita era?
Dopo una settimana, fra Sodomizio cominciò a considerare seriamente la possibilità di sfratarsi e rifugiarsi all’estero. E già a pensarci si sentiva sollevato.
Aspettava solo il momento giusto per scappare dal convento, quando una mattina fu chiamato dal padre Guardiano nel suo studiolo.
“Che hai fratello? – gli fece il padre – è un po’ che ti osservo e non vedo nei tuoi occhi la serenità che questo santo luogo dovrebbe offrirti. C’è qualcosa che ti turba?”
“Reverendo padre…”, rispose fra Sodomizio, incapace di andare avanti.
“Parla pure tranquillamente, figliolo. Se c’è qualcosa che possiamo fare, ne saremo ben felici. Non ti piace stare qui?”
“E’ che… mi sento inutile, reverendo padre. Ero abituato a lavorare sodo nell’altra vita, e qui invece non si fa altro che pregare, mangiare, pregare e dormire.”
“Che lavoro facevi, figlio mio.”
“Ero spulciatore, vostra paternità. Davo la caccia alle pulci…”
“So cos’è uno spulciatore, - lo interruppe il padre Guardiano – ma perché non l’hai detto prima? Ti sembra che qui dentro non ne abbiamo bisogno pure noi? Credi che quegli animaletti infernali abbiano rispetto per questo luogo santo? San Virginio ci protegge da tanti mali, ma non certo dalle pulci!”
“Volete dire che posso riprendere la mia attività?”, esclamò incredulo fra Sodomizio.
“Per i tuoi confratelli, certo, figliolo, e te ne saremmo davvero grati. – sorrise il vecchio padre – Anzi, cominciare subito, se vuoi, ché da stamattina non mi stanno dando requie.”, disse il padre Guardiano, alzandosi dalla sediola dietro il suo tavolo e cominciando a sfilarsi il saio, sia pure con una certa difficoltà per via dei dolori alle ossa. Rimasto solo con un bragonzo di dubbia provenienza, il padre fece per stendersi sul letto, ma fra Sodomizio trascinò il tavolo sotto la finestrella e ci allargò un tappeto sopra:
“Forse è meglio qui, padre reverendissimo.”
Il padre si stese sul tavolo e fra Sodomizio fece per sfilargli il bragonzo.
“Cosa fai, spudorato?”, lo bloccò l’altro.
“Padre santo… - mormorò il frate imbarazzatissimo – le pulci sono lì sotto, e devo andarle a prendere io, perché loro non verranno certo da me a farsi schiacciare.”
“Ah…”, fece il padre Guardiano, chiudendo gli occhi, mentre un velo di rossore gli si spandeva sulle guance allo svelamento delle sue stagionate vergogne.
Fra Sodomizio si accinse all’opera, pregando in cuor suo che nulla si destasse in quei paraggi; e per fortuna, nonostante il lungo sfruculiare di sopra e di sotto, il venerabile dormiente non batté ciglio e il giovane frate poté concludere il lavoro senza dover ricorrere all’omaggio della casa.
“Bravo, figlio mio! – esultò il padre Guardiano, rimettendosi in piedi – Erano anni annorum che non mi sentivo così leggero… così in pace!”, e si reinfilò il saio, dimenticandosi il bragonzo, che rimase in un angolo ad appestare l’aria.
Da quel giorno, fra Sodomizio prestò la sua opera presso i santi frati, ma senza, ahimé, quel particolare, che un tempo gli faceva dire: “Amo questo lavoro”, leccandosi le labbra. Non che mancassero fratonzoli degni di un maggior impegno o di una ripassata particolare, ma era come se l’atmosfera cupa del convento spegnesse ogni velleità di vita nelle persone. Anche le pulci ne sembravano influenzate: nessuna infatti che andasse a nascondersi nelle pieghe segrete dello scroto, o nei misteriosi anfratti dello spacco del culo; nessuna che ardisse varcare la soglia proibita del tremulo orifizio, dando così modo a fra Sodomizio di rendere più accanita la caccia.
Insomma uno squallore demoralizzante. Finché un giorno…
Fra Sodomizio aveva appena finito di ripulire le pudenda di fratello Geremia, il frate portinaio, e si stava godendo una passeggiata nell’orto, quando vide un fraticello che zappava le piantine di lattuga sotto il sole di giugno. Non lo aveva mai visto, una faccia nuova, finalmente, e una faccia tutt’altro che disprezzabile.
Il lavoro era faticoso e il fraticello si era rimboccato il saio in vita, denudandosi fin quasi all’inguine le gambe nervose e dando uno spettacolo di sé tutt’altro che consono al santo luogo.
Fra Sodomizio si avvicinò incuriosito per guardare meglio: finalmente qualcuno per cui valesse la pena dare il meglio di sé. Era giunto ad un paio di metri.
“La pace sia con te, fratello.”, esclamò.
L’altro si raddrizzò con un sobbalzo e immediatamente liberò l’orlo del saio, facendoselo ricadere fino ai piedi.
“E con te, fratello.” balbettò in risposta.
Fra Sodomizio cominciò a fargli domande e venne così a sapere che si chiamava fra Gelsomino ed era appena rientrato al convento dopo un lungo giro di questua, con un frate anziano, nei paesi vicini.
“Cos’hai?”, gli chiese d’un tratto fra Sodomizio, accorgendosi che l’altro si infilava ogni tanto la mano sotto il saio per darsi delle vigorose grattate in mezzo alle gambe.
Fra Gelsomino avvampò:
“Ecco… - balbettò – credo che certe creature dispettose mi abbiano infestato.”
“Hai le pulci?”, sorrise fra Sodomizio.
Il fraticello abbassò la testa,quasi vergognandosi.
“Vieni con me.”, gli disse però fra Sodomizio e, presolo per mano, lo condusse nel suo laboratorio.
Assisté con un brivido alla svestizione, un brivido che gli si concentrò nel basso ventre, mentre osservava rapito la perfezione di quel corpo, resa ancora più seducente dalla braghetta, intrisa di sudore, che gli copriva l’inguine. Lo fece stendere sul lettino e fu con le mani tremanti che gli slacciò l’ultimo indumento e glielo sfilò via. Il sesso lungo e carnoso, pur nella sua quiescenza, era adagiato sul boschetto crespo del pube.
Fra Sodomizio avvertì una sorta di languore alla bocca dello stomaco e si sentì l’acquolina in bocca, mentre il suo nerbo scalpitava, per fortuna sotto la pesante copertura del saio. Stordito dall’odore pungente che proveniva da quella meravigliosa tavola imbandita, il frate fu tentato di saltare i preliminari e passare subito all’omaggio reverente; ma il senso del dovere ebbe il sopravvento: era uno spulciatore qualificato e aveva un suo decoro da mantenere.
Sgombrata così la mente dai fumi della tentazione, fra Sodomizio si pose all’opera; ma queste pulci, nutrite del sangue frizzante del fraticello, avevano tutt’altra intenzione che finire schiacciate, così appena si accorsero che la caccia era iniziata, presero a scappare da tutte le parti, costringendo il frate a rincorrerle sotto lo scroto e nello spacco del culo. Nessuna, però, si azzardò a varcare la soglia del vergine pertugio.
Quando, ansimante e con le mani imbrattate di sangue, fra Sodomizio ebbe eliminata l’ultima pulce, il cazzo di fra Gelsomino aveva risposto a tutti gli stimoli ricevuti e adesso si ergeva dritto e poderoso, con alcune gocce di miele che traboccavano dal taglietto e scivolavano indolenti lungo la grossa cappella svasata.
Fra Sodomizio perse il lume della ragione e senza pensarci due volte, lappò a tutta lingua quella bontà viscosa, ingoiando subito dopo l’intero glande con una bramosia che da tempo non sentiva. Succhiò, fra Sodomizio, quella prugna sugosa, vorticandoci attorno la lingua, spremendola contro il palato, assaporando ogni goccia di miele che ne scaturiva.
Fra Gelsomino non capiva cosa stesse facendo lo spulciatore, ma era tale il piacere che provava da non passargli neanche per la testa di farlo smettere. Fra Sodomizio succhiava mugolando e la sua saliva scolava lungo l’asta palpitante, bagnando lo scroto e il boschetto del fraticello.
Il quale fraticello d’un tratto si sentì come trafiggere le palle da una lama infuocata; sbarrò gli occhi, fece per urlare, ma nulla gli uscì dalla gola; avrebbe voluto che l’altro si fermasse, ma non fece un gesto, paralizzato dall’agonia che lo stava sconvolgendo. Poi fu come se mille spine gli trafiggessero le carni, una pressione incontenibile gli esplose nei precordi e un fiotto dopo l’altro di denso seme si eiettò nell’avida bocca di fra Sodomizio, che tutto raccolse e tutto ingoiò, talmente rapito da quell’orgasmo, da dimenticarsi quasi di esistere.
E per la prima volta si dimenticò di leccarsi le labbra e di dire a se stesso: “Amo questo lavoro”.
Non era stato un gentile omaggio della casa offerto al cliente, era stato qualcosa di più, la realizzazione di un desiderio che gli era scaturito dal cuore. Per questo, non se lo tolse subito dalla bocca, ma lo tenne fra le labbra fino alla fine, finché il cazzo di fra Gelsomino non fu tornato molle e non ebbe sgorgato anche l’ultima goccia di siero lattiginoso.
Quando rialzò la testa, fra Sodomizio vide il fraticello che lo guardava, nei suoi occhi si alternavano il riso e il timore.
“Chi l’avrebbe mai detto…”, fece con un bisbiglio.
“Cosa?”
“Che era così bello…”
“Non l’avevi mai fatto?”, chiese fra Sodomizio.
Fra Gelsomino scosse la testa.
“Neanche con le mani?”
Il fraticello avvampò, scese dal lettino, e si reinfilò il saio. Si accorse della braghetta gettata a terra, la raccolse e si avviò alla porta. Prima di uscire si voltò:
“Devo tornare a zappare, altrimenti me le suonano.”, disse.
Fece due passi e tornò a voltarsi:
“Posso… posso tornare, quando…”, fece esitante.
“Sono lo spulciatore ufficiale del convento, - rispose fra Sodomizio – vieni pure quando hai bisogno.”
Fra Gelsomino annuì e uscì, chiudendosi la porta alle spalle.
“E se non vieni tu, verrò a cercarti io.”, mormorò fra Sodomizio, accorgendosi solo allora della gran macchia di bagnato che aveva sul davanti del saio.

(continua)
Disclaimer! Tutti i diritti riservati all'autore del racconto - Fatti e persone sono puramente frutto della fantasia dell'autore. Annunci69.it non è responsabile dei contenuti in esso scritti ed è contro ogni tipo di violenza!
Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
Votazione dei Lettori: 9.2
Ti è piaciuto??? SI NO


Commenti per Fra Sodomizio - 2:

Altri Racconti Erotici in Gay & Bisex:



Sex Extra


® Annunci69.it è un marchio registrato. Tutti i diritti sono riservati e vietate le riproduzioni senza esplicito consenso.

Condizioni del Servizio. | Privacy. | Regolamento della Community | Segnalazioni