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Gay & Bisex

Un passaggio nella notte


di adad
13.05.2021    |    11.946    |    10 9.4
"“Quanto manca, secondo te, a Torvincenzo”?, chiese Oliviero, uscendo pure lui e rimettendosi i pantaloni..."
Astolfo cantava a squarciagola una vecchia canzone, mentre guidava a velocità sostenuta lungo la Statale 74. Aveva da poco lasciato l’Aurelia e non vedeva l’ora di essere a casa.
Cantava per vincere la sonnolenza che lo prendeva a tratti: del resto, erano le due di notte e lui era reduce dall’inaugurazione di una terrificante galleria d’arte moderna, in cui qualche drink di troppo ci era scappato, se non altro per consolarsi delle tante strette di mano di persone ignoranti e plaudenti il nulla. Ma solo qualche bicchiere: era perfettamente lucido e in grado di guidare… se non fosse per quella certa sonnolenza che ogni tanto lo prendeva e, per combattere la quale, aveva tirato giù i finestrini e poi aveva preso a cantare a squarciagola quella vecchia canzone, tornatagli alla mente chissà perché.
Era un critico d’arte, Astolfo, e anche bravo, acuto nei suoi giudizi, ma non godeva di molta stima e simpatia presso i colleghi e il grosso pubblico, perché non riusciva a nascondere la sua insofferenza nei confronti dell’arte moderna: che emozioni dovrei provare, si chiedeva, davanti a due lamiere accartocciate o ad un barattolo di pelati splattati su una tela?
Attraversando un paesino, di cui non aveva visto il nome, Astolfo mise la macchina al passo e smise di cantare, se non altro per non attirare l’attenzione di qualche vigile, che se gli avesse fatto l’alcol test….
All’uscita del paese, proprio nel momento in cui stava per dare nuovamente gas al motore, scorse in lontananza l’area illuminata di un’area di servizio: da un po’ si era accorto che il serbatoio era al lumicino, forse era il caso di fermarsi un momento a fare rifornimento, prima di rimanere a secco. Mancavano ancora un centinaio di chilometri a casa sua, meglio essere previdenti.
Fece il pieno e stava per rimettersi al volante, quando sentì un passo concitato alle sue spalle. Un po’ spaventato e col cuore in tumulto, vista l’ora e il luogo, si affrettò a salire e mise la sicura, proprio mentre una faccia sconosciuta, giovane all’aspetto, si affacciava all’altezza del finestrino con un sorriso accattivante, sia pure un po’ tirato.
Astolfo lo fissò senza muoversi. L’altro, allora, batté piano sul vetro con le nocche di una mano, facendogli cenno di aprire. Al secondo colpetto, l’uomo abbassò il vetro di un paio di centimetri.
“Scusi…”, disse il giovane.
Astolfo lo fissò senza rispondere.
“Scusi… - riprese quello – non volevo spaventarla, mi dispiace.”
“Cosa vuoi?”, chiese Astolfo, cercando di controllare il tono ostile della sua voce.
“Scusi… sto cercando…”
“Se fai marchette, non mi interessa.”, lo interruppe seccamente Astolfo.
“No… cosa dice? Non faccio marchette… Sto cercando solo un passaggio… per favore…”
Qualcosa nella voce e nell’espressione del giovane fece breccia nella diffidenza di Astolfo, che, dopo un attimo:
“Sali”, disse, accennandogli con a testa alla portiera dall’altra parte.
Il giovane fece il giro, mentre Astolfo sbloccava la sicura, sperando di non doversene pentire. In realtà, si fermava spesso a prendere su autostoppisti, ma mai nel cuore della notte.
“Grazie”, disse l’altro con un sospiro di sollievo, calandosi sul sedile e allacciando la cintura, mentre Astolfo metteva in modo e ingranava la prima.
“Scusa se ti ho preso per un marchettaro, prima…”, disse l’uomo dopo un po’, più che altro per rompere il ghiaccio.
“Di niente, si figuri. Mi rendo conto che non è l’ora più adatta… E comunque, me lo sarei anche fatto succhiare, pur di avere un passaggio.”
Astolfo lo guardò con la coda dell’occhio: parlava sul serio?
“Sei di qua?”, domanda di rito.
“No, ero in visita ad un’amica.”
“Si direbbe che ti ha cacciato fuori di casa, se ti ritrovi a fare autostop alle due di notte.”, osservò, tentando di fare dello spirito.
“Qualcosa del genere…”, mugugnò l’altro.
Seguì un prolungato silenzio, mentre Astolfo gli allungava la coda dell’occhio in mezzo alle gambe, cercando di cogliere l’entità del malloppo. Ma il lieve chiarore del quadro non era sufficiente a permettergli un esame accurato.
“Ti va di fare due chiacchiere o preferisci continuare a riflettere? Prometto che non ficco il naso nella tua vita privata e non ti faccio avances.”
Il giovane si girò verso di lui:
“Mi chiamo Oliviero.”, disse e gli tese la mano.
“Piacere, Astolfo.”, rispose l’altro staccando la sua dal volante, per stringergliela.
Piacevolissimo contatto. La mano era morbida e calda.
“Astolfo… come quello che va sulla luna?”
“Già, a recuperare il senno di Orlando…”
“E purtroppo lo ritrovò…”
Astolfo si girò a guardarlo.
“Avresti preferito che non lo facesse?”
“Spesso, io ne farei volentieri a meno…”
“Come quando hai detto che te lo saresti fatto succhiare?”, disse ridendo.
“No, dicevo sul serio.”
“Scherzi?”
“Perché? E’ stato gentile a fermarsi… mi sembra giusto ripagarla… se vuole…”
“E tu lo offri a tutti quelli che sono gentili con te?”
“Se gli fa piacere…”, fu la risposta.
“Sei gay?”
“Naaa! Ho la ragazza, mi piace la figa. Sono stato giusto a trovarne una.”
“Che ti ha cacciato fuori di casa… Avete scopato, almeno?... oh, scusami, avevo promesso di non ficcare il naso nella tua vita privata.”
“Tranquillo, non c’è problema. No, eravamo partiti bene, poi qualcosa è andato storto e non ha voluto più darmela. Ho insistito e mi ha detto di andarmene al diavolo.”
“E ti sei messo a fare autostop.”
“Eggià, ma è un posto sfigato, non passa nessuno.”
“Sono anche passate le due: sfido chiunque a fermarsi.”
“Beh, tu l’hai fatto.”
“Ma io sono gay e imbarco volentieri uno sconosciuto, specie se mi offre di succhiarglielo!”
“Già.”, fece Oliviero, lisciandosi il pacco.
Se la tipa non gliel’aveva data, doveva essere su di giri, con le palle gonfie che non vedevano l’ora di svuotarsi.
“Scherzavo, - disse Astolfo – non sei obbligato a farlo.”
“Non ti va?”
“Certo che mi va… sembri molto carino… e dotato.”
“Lo sono.”
Astolfo gli diede un’occhiata, sollevando ironicamente il sopracciglio, e finalmente Oliviero sorrise:
“Lo sono…carino e anche dotato, vedrai. Più avanti, c’è una stradina a destra, che va nella campagna: Prendila, così ci togliamo il pensiero…”
Non era una battuta molto lusinghiera, ma Astolfo deciso di non darci peso.
Dopo neanche un chilometro, avendo rallentato su avviso del giovane, Astolfo vide una stradina che prendeva per i campi. Ringalluzzito dalla prospettiva di quello che lo aspettava, svoltò e dopo un centinaio di metri si fermò in uno slargo abbastanza appartato.
“Va bene qui?”, chiese, più che altro per dire qualcosa.
“Sì, ci sono venuto altre volte con qualche. E’ tranquillo, di notte non c’è mai nessuno.”
Astolfo gli allungò una mano all’inguine: sentì che aveva il cazzo già duro.
“Sei già eccitato…”, osservò.
“Lo sono da un pezzo.”, rispose l’altro.
“Andiamo nel sedile dietro, vuoi? Così siamo più comodi.”
“Ok”
Smontarono.
“Ti va di toglierti i pantaloni?”, chiese Astolfo, prima di entrare in macchina.
“Ok”, fece nuovamente Oliviero e, scalciatosi dai piedi le scarpe, si slacciò i jeans, sfilandoseli e gettandoli sul sedile davanti.
In slip, bigi al chiarore della luna, e maglioncino, Oliviero apparve come una seducente creatura silvana agli occhi di Astolfo. Il giovane entrò in macchina e chiuse la sua portiera. Si sedette con le gambe aperte e Astolfo gli scivolò al fianco. Gli poggiò una mano sulla coscia. La pelle era calda e i peli gli fecero una strana sensazione sotto le dita.
“Quanti anni hai?”, gli chiese.
“Venticinque, e tu?”
“Cinquanta…”
“Li porti bene…”
“Mi tengo in forma…”
Intanto la sua mano aveva raggiunto l’obiettivo: dopo un paio di palpate alla morbida borsa dei coglioni, e all’asta dura e caldissima sotto il tessuto umidiccio delle mutande, l’uomo si chinò e annusò l’odore intenso e conturbante di quel giovane inguine. Il tatto e l’olfatto supplivano egregiamente a quanto l’oscurità dell’abitacolo celava. Rimase a lungo col volto premuto sul conturbante malloppo inguinale, baciando, leccando, fiutando, mordicchiando… poi afferrò l’elastico della cintura e gliel’abbassò fin sotto le palle. Il grosso uccello turgido si librò un attimo in aria, poi ricadde pesantemente sulla coscia. Astolfo lo prese in mano;
la guaina era calda e carnosa attorno ad un’anima di ferro.
“Avevi ragione… - disse ammirato – sei davvero dotato.”, e senza aspettare oltre ci si chinò sopra e lo ingoiò per un buon tratto.
Sbrodato com’era, l’odore e il gusto erano pungenti, ma per Astolfo era una prelibatezza, e prese a leccare e sorbettare il glande spugnoso, avvolgendolo con la lingua e schiacciandolo contro il palato, come a spremerlo meglio.
“Bada che voglio venirti in bocca.”, lo avvertì Oliviero.
“Ok…”, mugugnò lui con la bocca piena.
In realtà era proprio quello che sperava: una bocconata di sborra calda e densa, da degustare e ingoiare centellinando… A venticinque anni e con la sua voglia pregressa, chissà quanta ne avrebbe prodotta. L’idea gli diede un brivido di pregustazione e d’impulso se ne affondò in gola oltre la metà.
“Ah…”, fremette Oliviero sentendosi avvolgere dalla liscia mucosa orale.
Dopo un po’, però:
“Aspetta”, fece, allontanandogli la testa dal suo inguine, e sfilatosi del tutto le mutande, si distese sul sedile, passandogli una gamba sopra la testa per poggiarla sullo schienale.
Adesso erano più comodi entrambi e Astolfo in particolare poteva maneggiargli le grosse palle, mentre riprendeva a succhiarglielo con passione. Il silenzio profondo della notte era a malapena turbato dai risucchi di Astolfo e dai deboli gemiti di Oliviero, sempre più perso nel suo godimento.
Il giovane era lungo a venire, ma la cosa non dispiaceva affatto ad Astolfo, che sarebbe rimasto tutta la notte a succhiare e coccolare quel magnifico arnese, sorbendone con evidente voluttà le copiose spurgate. Il gioco si fece più selvaggio, ma inevitabilmente lo avvicinò alla fine, quando Astolfo nella foga di tirargli i coglioni, si spinse nel fondo dello spacco, giungendo a sfiorare con la punta del dito il buchetto untuoso di sudore. Lo vellicò, provocando nel giovane un istintivo, lieve roteare del bacino e la conseguente leggera apertura dello sfintere. La sensazione, per Astolfo. fu che il buco del culo glielo stesse baciando e questo lo infregolò al punto da spingergli il dito tutto dentro nell’ano.
“Ah!”, fece Oliviero inarcandosi, e in quello stesso istante oltrepassò il limite: con un colpo di reni spinse interamente il cazzo nella gola di Astolfo e iniziò a sborrare.
Immediatamente, Astolfo si ritrasse per non essere soffocato e lasciò che lo sperma gli riempisse la bocca, prima di deglutirlo un po’ alla volta, mentre continuava a stringere fra le labbra il cazzo ancora sussultante di Oliviero e a spingergli con foga il dito nel condotto anale.
Quando tutto fu finito, Oliviero allungò una mano, lo afferrò per il polso,
spingendolo indietro, e ritrasse il dito dal suo culo tuttora palpitante.
Ingoiata ormai la bocconata di quella sborra che non aveva deluso le sue aspettative, Astolfo diede le ultime leccate all’uccello in via di smosciamento, poi si tirò su e si adagiò allo schienale del sedile. Si fissarono, sorridendo, mentre Oliviero si ripuliva l’inguine con gli slip, che aveva continuato a stringere in mano.
“Ti secca se mi faccio una sega?”, chiese Astolfo, aprendosi i pantaloni.
Aveva il cazzo talmente teso da fargli male e quando l’altro scosse la testa, se lo tirò fuori e cominciò a menarselo con aria beata.
“Dammele, per favore.”, disse ad un tratto, allungando la mano.
Oliviero gli diede le sue mutande e Astolfo se le portò al naso, aspirandone l’acre profumo. Continuò così per un po’, segandosi ad occhi chiusi e annusando con voluttà le mutande di Oliviero; finché, con un guaito se le portò fulmineamente all’inguine e ci sborrò dentro, per non sporcarsi.
“Scusami…”, mormorò alla fine, non sapendo se ridargliele o meno.
“Tienile pure.”, rispose Oliviero e, contorcendosi, si rialzò e si mise a sedere.
Chiacchierarono per un po’, poi Astolfo guardò l’orologio: le lancette fosforescenti segnavano quasi le quattro.
“Accidenti, - fece – sarà il caso che andiamo.”, e uscì dalla macchina per tornare alla guida.
“Quanto manca, secondo te, a Torvincenzo”?, chiese Oliviero, uscendo pure lui e rimettendosi i pantaloni.
“E’ lì che vai?”
“Sì.”
“A occhio e croce, direi un’oretta.”
“Ti secca se mi allungo un po qui dietro? Ho bisogno davvero di chiudere gli occhi un momento.”
“Spero che non sia colpa mia…”, sorrise Astolfo.
“Naaa… ma tu ci hai messo del tuo, comunque. Complimenti, a proposito: sei bravo… una pompa davvero coi fiocchi.”
“Grazie… - ghignò l’uomo - sempre a disposizione! Riposati pure, ti sveglio quando arriviamo.”
E tornato alla guida, Astolfo mise in moto. L’odore di sborra gravava tuttora
nell’abitacolo a ricordargli l’inaspettata, inebriante avventura.
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