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Gay & Bisex

Bisonti della strada - 2


di adad
13.02.2019    |    18.407    |    21 9.6
"“Non pensavo che avresti fatto anche l’ingoio..."
Quella notte, si può dire che non chiusi occhio, tanto ero elettrizzato, all’idea che avrei fatto un viaggio con Matteo. Ti Posso imbarcare con me… Potrai vivere la tua avventura con un camionista… Mi chiesi se si era reso conto delle implicazioni equivoche di quelle parole… E se le avesse dette apposta?
Non saprei proprio dire quanti rasponi mi tirai quella notte e i giorni successivi, immaginando tutte le possibili situazioni erotiche e le infinite varianti che avrebbero potuto verificarsi durante il viaggio.
Il giorno della partenza, alle cinque di mattina ero già davanti all’ingresso della sua azienda.
“Ehilà! – fece lui arrivando una mezzoretta dopo - Si direbbe che non vedevi l’ora di
partire!”
“Buongiorno”, dissi, chinandomi al finestrino della sua macchina.
“E’ molto che sei qui?”
“Solo un paio di minuti.”, mentii.
Dall’interno dell’auto mi arrivava il suo profumo caldo e avvolgente. Per un istante mi chiesi se avevo fatto bene ad accettare quell’invito. Ma subito dopo, una scarica di libidinosa adrenalina mi schizzò nel sangue, intravvedendo il prominente bozzolo alla congiunzione dei suoi coscioni muscolosi e dissipò ogni dubbio residuo.
“Senti, - mi accorsi che mi stava dicendo – è meglio che aspetti qui. In teoria non possiamo imbarcare autostoppisti… motivi di sicurezza, capisci? Ci metterò una ventina di minuti, ok?”
Feci segno di sì con la testa; con un sorriso, lui mi fece l’occhiolino e scomparve oltre il cancello. Ripensai al pacco che avevo intravisto e mi vennero i brividi, figurandomi quello che vi era contenuto… il suo cazzo molle, i coglioni, avvolti nel calore delle mutande…
Scossi la testa con forza, come a scrollare via quei pensieri, che erano solo mie fantasie e che, se non stavo attento, rischiavano di procurarmi quantomeno una cocente delusione. Smettila di fare lo scemo, dissi a me stesso, è solo un viaggio con un amico. Ma quei pensieri conturbanti fingevano solo di assopirsi, in realtà mi rimanevano tutti nella testa, pronti a riesplodere alla minima occasione.
Finalmente, dopo un’altra mezzora d’attesa, un autotreno venne fuori dal cancello, si fermò una decina di metri più avanti, salii a bordo, allacciammo le cinture e il viaggio iniziò.
Una volta imboccata l’autostrada, il bisonte si lanciò con tutta la potenza di una mandria di cavalli e fu allora che cominciai veramente a capire l’aura di machismo che circonda la figura del camionista nell’immaginario gay.
Era straordinario vederlo dominare con sicurezza la strada dall’alto del suo mezzo, sentire il rombo possente dei motori scalpitanti, e lui che riusciva a trattenerli nella loro ansia di scatenarsi, che riusciva a domarli, a governarli, a piegarli alla sua volontà.
Il bisonte divorava la strada, le campagne scorrevano davanti ai nostri occhi e io fissavo Matteo, ne ammiravo la sicurezza, la padronanza, ero affascinato, ammaliato da quel maschio senso di potere che si sprigionava da lui. Di potere e di erotismo selvaggio!
Ogni tanto, sbirciavo in direzione del suo pacco voluminoso mi sentivo scombussolare alla sensazione di calore che quell’involto mi suggeriva. Ad un tratto le mie occhiate presero a farsi un po’ troppo insistenti, ma lui non sembrava accorgersene, preso com’era dalla guida.
Mi chiesi come avrebbe reagito, se avesse immaginato i pensieri e i desideri che mi ribollivano in testa. Avrei voluto poggiargli la mano sul coscione sodo, sentire sotto le dita il guizzo dei suoi muscoli, assorbire il suo calore, la sua forza… e poi spostarla lentamente, con noncuranza, verso l’alto… fino ad arrivare a sfiorargli il pacco…
Ma era troppa la distanza fra i nostri due sedili perché si verificasse uno sfioramento sia pure casuale, pur ammettendo che ne avessi mai avuto il coraggio, né mi riusciva di trovare un qualsiasi pretesto per potermi protendere verso di lui.
Nessuna delle fantasie che avevo elaborato in mesi di masturbazioni si stava realizzando, e io mi sentivo combattuto fra la fascinazione che subivo da parte di Matteo, una fascinazione ben superiore ad ogni aspettativa, e la sottile frustrazione di scoprire l’assoluta inattuabilità dei miei sogni ad ogni chilometro che passava sotto di noi.
Ogni tanto, ci fermavamo per un caffè e un bisogno naturale. Seguendolo, talvolta, ai gabinetti, lo guardavo con un senso di struggimento, mentre si avvicinava ad uno degli orinatoi: immaginavo la sua mano che tirava giù la zip, frugava nelle mutande, estraeva il bigolo molle… e mi maledicevo per non avere il coraggio di mettermi nel pisciatoio accanto, da dove cercare almeno di sbirciargli l’organo agognato.
“Quel posto era pieno di finocchi!”, sbottò rabbuiato, risalendo in cabina, dopo una di queste soste.
“Ah, sì?”, feci io, sentendomi un improvviso senso di gelo.
”Ce n’è stato uno, mentre pisciavo, che a momenti gli mollavo uno sganassone da mandarlo all’ospedale!”
Lo guardai senza dir niente. Avevo le gambe che mi tremavano.
“Che razza di stronzi!”, sbuffò.
“Cos’è successo?” gli chiesi, cercando di controllare la voce.
“Ah, lascia perdere! Non puoi aprirti i pantaloni, che ce l’hai già tutti addosso come mosconi!”
“Beh, è il guaio di essere belli. – scherzai, trovando finalmente il pretesto per dargli una pacca sulla coscia – A me, per esempio, non succede.”
“A te non succede perché vai a pisciare nel box!”, scoppiò a ridere lui.
L’atmosfera si era rasserenata e il viaggio riprese.
La sera, uscimmo dell’autostrada e ci fermammo in un parcheggio enorme, dove si trovavano già decine di autotreni in sosta. Nelle vicinanze, c’era un albergo attrezzato per camionisti, dove ci fu possibile darci una ripulita sommaria e mangiare qualcosa. Dopo la cena, Matteo si fermò a bere e chiacchierare con alcuni conoscenti.
“Laggiù ci sono delle ragazze, - mi disse, tornando a camion per metterci a dormire – se vuoi approfittare…”, e mi indicò dall’altra parte del parcheggio.
“No, grazie, sono stanco. – risposi – ma se vuoi andare tu, non farti problemi.”
“Un’altra volta, magari. – fece lui – Stasera ho un ospite e non sarebbe
carino farlo aspettare fuori, - ridacchiò, passandomi confidenzialmente un braccio sulle spalle – mentre io… ti pare?”
“Direi proprio di no!”, risi pure io, alquanto sollevato.
E neanche prudente, pensai, vista la gente che gira qui attorno! Salimmo nella cabina del camion e Matteo mi fece passare nel retro, uno spazio angusto in cui c’erano due cuccette sovrapposte.
“Mi dispiace non poterti offrire di meglio.”, disse lui.
“Non ti preoccupare, va più che bene.”, lo rassicurai.
“Io dormo sopra, tu sistemati pure di sotto… e fa come se fossi a casa tua… beh, quasi!” scherzò.
Cominciai a togliermi la camicia e cercai dove metterla.
“Là. - disse lui, indicandomi dei ganci – Senti, - continuò poi – tu mettiti pure a dormire,
io faccio un giro di controllo e ti raggiungo.”
“Ok”
Matteo uscì e lo sentii trafficare attorno all’autotreno, controllando i lucchetti e tutto il resto. Intanto io mi spogliai e mi infilai sotto una leggera coperta. Mi ero tolto anche le mutande, come faccio sempre, e il mio cazzo aveva cominciato a dispiegare le ali, rimasto com’era sotto pressione per tutto il giorno.
E non potevo neanche farmi una sega! Mi ero appena rassegnato a tenermelo duro per tutta la notte, quando Matteo risalì in cabina, mise la sicura alle portiere e venne dietro.
“Tutto ok? – mi chiese – Sei comodo?”
“Beh, non è il grand-hotel, - scherzai - ma non si sta male.”
“E poi sei in buona compagnia!”, disse, mentre trafficava nella cuccetta di sopra.
“Questo è il lato migliore della faccenda.”, risposi in tono scherzoso.
Era in piedi, accanto alla mia cuccetta e io avevo gli occhi puntati alla convergenza delle sue cosce! La luce era fioca nel retro cabina, ma mi permetteva di distinguere chiaramente il bozzolo voluminoso del suo inguine. L’idea improvvisa che fra un po’ si sarebbe spogliato mi torse lo stomaco. A meno che non sarebbe salito prima sulla cuccetta… No, cercai di rassicurarmi, di sopra non c’è spazio per spogliarsi… Come a fugare i miei dubbi, Matteo si tolse la maglietta e rimase a torso nudo. Dalla mia visuale gli vedevo il ventre pelosetto e il bottone scuro dell’ombelico. L’elastico degli slip gli veniva fuori dalla cintura dei pantaloni.
Ecco, ci siamo… Il cuore prese a battermi all’impazzata. Matteo si chinò per slacciarsi gli scarponi, mi sorrise e mi fece l’occhiolino, mentre giungeva a inebriarmi l’afrore dolce e muschioso delle sue ascelle. Cominciavo a non capire più niente!
“Questi è meglio lasciarli fuori.”, disse prendendo gli scarponi e sporgendosi a deporli di fuori, accanto ai sedili.
Poi si slacciò i pantaloni, si tirò giù la zip e se li sfilò, appendendoli ad un gancio. Era rimasto in mutande… mi si annebbiò la vista e dovetti sbattere gli occhi più volte per rimetterli a fuoco. Matteo si avvicinò di nuovo alle cuccette e rimase lì in piedi a trafficare con le mani sulla sua.
Io mi riempivo gli occhi dei suoi slip bianchi, gravati sul davanti dal suo consistente contenuto. Fissavo come ipnotizzato la sacca ripiena, cercavo, nella tenue luce, di imprimermene nella memoria tutti i particolari, e avevo paura perfino di respirare, nel timore che lui potesse capire il turbamento che mi agitava.
Senza rendersene conto, aggiustandosi probabilmente il guanciale, Matteo fece un passo di lato, avvicinandosi con l’inguine a un palmo dal mio volto, facendomi giungere l’odore dei suoi genitali, quell’aroma dolciastro di sudore e sesso maschile, di cui i suoi slip erano impregnati.
Cosa avvenne a quel punto non lo so, so soltanto che non fui più consapevole delle mie azioni. Lentamente, come al rallentatore, vidi la mia sinistra sollevarsi e sfiorargli lieve i coglioni, caldi sotto il tessuto umidiccio. Matteo non si mosse e la mia mano rimase lì, leggera come una farfalla, persa nell’audace, lasciva carezza.
Stranamente, Matteo non si accorgeva di niente, rimaneva fermo lì, concentrato nelle sue cose, a trafficare sulla cuccetta di sopra. Poi, casualmente, allargò un po’ le gambe e fu allora che vidi un movimento sotto il tessuto… un movimento serpentino, come di una biscia che si srotola dal groviglio e avanza pian piano, finché la sua testa si affaccia all’orlo della tana. E anche il cazzo di Matteo sporse la testa dallo sgambo degli slip sformati! Mezza cappella sgusciò fuori di lato, conturbante, carnosa. Mosso da uno stimolo incontrollabile, primordiale, mi tirai su, puntellandomi sul gomito, e mi allungai, lambendogli il taglietto con la punta della lingua. Era tutto bagnato.
La risposta a quel tocco fu uno scatto che proiettò fuori l’intero glande. Allora non ebbi più remore: lo presi e lo ingoiai, gustandomi il delizioso miele salaticcio di sui era spalmato.
Era inevitabile, a questo punto, che Matteo si accorgesse di quanto stava succedendo al piano di sotto; infatti fece un passo indietro e si chinò verso di me.
“Cosa stai facendo?”, mi chiese, ma la sua voce non era rabbiosa.
Io non risposi, lo fissai soltanto e tesi la mano verso il suo cazzo, ormai mezzo fuori. Lui lesse il desiderio nei miei occhi, il desiderio e la preghiera, e si comportò da vero amico.
“Ti piace?”, mi chiese.
“Sì…”, mormorai, senza neanche sapere a cosa alludesse.
“Vuoi succhiarmelo?”
“Sì… per favore…”
Lui mi fissò col sorriso del Maschio che ha soggiogato la preda.
“Ok, - rispose piano – aspetta.”, e si tolse del tutto le mutande, gettandole da una parte.
Il suo cazzo si protendeva ora verso di me, leggermente pendente all’ingiù, appesantito com’era dalla voluminosità del glande. Matteo me lo avvicinò alle labbra e io gli slinguai avidamente il pomello scappucciato, come una cagna bramosa, facendolo fremere.
Poi lo ingoiai e iniziai a succhiarlo. La grossa cappella levigata mi riempiva interamente la bocca e faticavo a svirgolarci attorno la lingua; ma mi diedi comunque da fare come meglio potevo. Dalla boccuccia spurgava in continuazione un sugo pungente che era una vera delizia per il mio palato.
Intanto gli carezzavo e palpavo i grossi coglioni, che sentivo vibrare nella loro borsa grinzosa. D’improvviso, anche lui vibrò, diede uno scatto, come punto da uno spillo, e si
contrasse in tutto il corpo. Gemette e io mi ritrovai a ingoiare una bocconata dopo l’altra di sciroppo denso… amarognolo!
Era successo tutto molto in fretta, segno che doveva essere arrapato non meno di me. L’organo mi riversò ancora qualche goccia di sugo sulla lingua, poi cominciò a smollarsi, ma io proseguii a succhiare il glande, che via via si impiccioliva e rientrava nel prepuzio, finché lui me lo tolse di bocca e si tirò leggermente indietro.
Con un gemito, allungai la mano, come per riprenderlo e tornare a succhiarlo
“”Cazzo, ti piace proprio!”, osservò Matteo, sedendosi sull’orlo della mia cuccetta.
Io mi leccai le labbra con un sorriso.
“Non pensavo che avresti fatto anche l’ingoio. – continuò – Le donne in genere sputano fuori tutto, o ti fanno venire con una sega.”
“Le donne non capiscono cosa si perdono! – dissi io serafico – E’ quello il meglio del pompino! Gli uomini te l’hanno mai succhiato?”, gli chiesi, allungando la mano a carezzargli lo scroto pendulo fra le sue cosce.
“A parte te?... qualche volta… Può succedere durante un viaggio… - spiegò, quasi imbarazzato – Hai visto anche tu che i gabinetti degli autogrill sono pieni… e se esci adesso è tutto un via vai di froci e travestiti…”
“Beh, i camionisti stimolano la fantasia…”, commentai, e ne sapevo qualcosa io!
“Comunque pure loro sputano sempre fuori.”, proseguì lui.
“A te invece piace, quando la ingoiano…”
“E’ stimolante…”, fece con un tono malizioso.
“E ti fa sentire più maschio!...”
“Beh, il maschio è fatto apposta per piantare il seme!”, ghignò lui.
Io non risposi, ma lo fissai negli occhi, mentre raccoglievo con la punta del dito una goccia di sborra residua sulla punta del suo cazzo e me la portavo alle labbra, leccandola lascivamente.
“Ne vuoi ancora, vero?- osservò lui, e gli occhi già gli brillavano di nuova libidine – Sei proprio una puttana!...”
Seguì un momento di silenzio, mentre ci fissavamo intensamente negli occhi e io prendevo a menargli l’uccello in via di ricrescita.
“Voltati!”, mi disse lui alla fine, e nella sua voce c’era un che di duro che mi diede un fremito d’eccitazione.
Ubbidii e mi voltai a pancia in giù. Matteo scostò la coperta, scoprendomi le chiappe. Stette un istante a rimirarle, poi allungò la mano e prese a carezzarmele con foga sempre maggiore.
“Hai un bel culo!”, mormorò, e il cazzo gli scattò duro all’istante.
Poi la sua mano mi si insinuò nello spacco, un suo dito cercò il mio buco e cercò di sondarlo. Io mi dimenai: sono molto sensibile in quelle zone.
“Sei vergine?”, mi chiese lui.
“No”, risposi con voce soffocata dalla fregola montante.
“Ci avrei giurato. – osservò lui, ficcandomi a secco mezzo dito nel pertugio – Sei troppo puttana…”
“Cosa vuoi fare?”, gli chiesi, allarmato.
“Incularti, che altro?”
A questo punto devo chiarire una cosa: a me il cazzo piace, piace da matti. Adoro succhiarlo e adoro prenderlo nel culo e con… ingoio in entrambi i casi. A prenderlo nel culo, però, ho come una forma di paura… Voglio dire, c’è sempre quel momento iniziale
di dolore, che mi blocca, in un certo senso, a meno che lo sfintere non mi venga
ammorbidito e rilassato da un’adeguata preparazione.
Ecco perché, nonostante lo desiderassi, l’idea di essere inculato a secco, come Matteo
sembrava intenzionato a fare, quasi mi terrorizzò. Per un istante, immaginai il dolore che quel cazzo ponderoso mi avrebbe procurato, trapassandomi di forza lo sfintere, allora d’impulso allungai la mano, gli afferrai il polso e mi strappai fuori il suo dito dal culo.
“No, dai.”, feci, cercando di rigirarmi.
“Che cazzo fai?”, scattò lui, mollandomi sulle natiche una pacca, che risuonò per tutta la cabina.
“Sta fermo! – mi intimò, premendomi giù con le mani sulla schiena – Dopo avermi svegliato la bestia, pensavi di cavartela con una pompa?”
“Per favore…”, gemetti, cercando ancora di sottrarmi al suo controllo.
“Sta ferma, puttana! – ripeté Matteo con voce dura, tenendomi giù con una mano e con l’altra mollandomi una seconda sculacciata – Hai voluto imbarcarti con un camionista, e adesso sono cazzi tuoi… Adesso mi paghi il passaggio come voglio io!”
Dopo di che, visto che tra le due cuccette non c’era spazio sufficiente per mettermi a
pecorina, Matteo mi scivolò addosso, con le ginocchia mi fece allargare le gambe e sentii il suo cazzone viscido scivolarmi nello spacco alla ricerca della tana. Aiutandosi con una mano, riuscì alla fine a trovare l’apertura e ci posizionò sopra la punta dell’uccello.
“No…”, tentai ancora di sottrarmi all’inevitabile.
“Sta fermo! – disse Matteo con voce smorzata – I camionisti sono figli di puttana, non lo sapevi?...”, e arcuò il bacino, dando un colpo d’affondo che me ne cacciò dentro almeno metà.
“Ahijaààà!”, sguaiolai all’improvviso, accecante lampo di dolore.
“Oh, lo sapevi… sì che lo sapevi… - continuò – e proprio questo di fa sbrodolare il culo!...”, e con una seconda spinta, me lo piantò tutto dentro.
Diedi un grido strozzato e sgroppai con tutte le mie forze, per togliermelo di dosso, ma lui mi passò le braccia attorno al petto e mi tenne stretto a sé.
“Sta fermo! – mi sussurrò all’orecchio e la sua voce era dolce stavolta – Adesso ti passa e vedrai come te lo farò godere il mio cazzo…”
E me lo fece godere per davvero! Dopo un lungo momento, durante il quale lui non si mosse, ma mi tenne stretto a sé, bisbigliandomi all’orecchio sconcezze e oscenità inimmaginabili, il dolore cominciò ad attenuarsi, sostituito da un piacevole senso di riempimento. Allora diedi un leggero rinculo per accoglierlo meglio e lui ridacchiò.
“Sapevo che lo avresti fatto, sei una vera puttana mangiacazzi!”
Io gli roteai contro il bacino, ronfando come una gatta soddisfatta… e ne avevo ben
d’onde, con quel topone che avevo preso in trappola!
“Cazzo, che troia!, esclamò lui ammirato – Te lo stai già godendo… Adesso non vuoi più
che mi levo, vero?”
“No…”
“Adesso ti piace il mio cazzone nel culo, vero?”
“Sì…”, ronfai.
“E vuoi che ti scopo, vero?”
“Sì…”
“E allora chiedimelo tu, puttanella, chiedimelo per piacere…”
Quella situazione, il suo cazzo piantato interamente nel mio culo, il suo peso addosso, il calore del suo petto sulla mia schiena, la sensazione di assoluta sottomissione al suo potere, era del tutto nuova per me e mi stava mandando letteralmente fuori di testa.
“Per piacere…”, mormorai.
“Per piacere, cosa?”, fece lui implacabile.
“Per piacere, scopami…”
Matteo ridacchiò e premette forte col bacino contro il mio culo, ormai docile e impaziente.
“Bene, così mi piace…” disse e cominciò a muoversi avanti e indietro, lentamente per permettere al mio sfintere di rilassarsi e godersi i piaceri dello stiramento e del massaggio.
Io smaniavo sotto di lui, sentendo il suo bastone scorrermi dentro e fuori, ardente e ponderoso, e gemevo di piacere ogni volta che sentivo i suoi coglioni pesanti tornare a sbattermi sul culo, mentre lui anfanava e grugniva come un toro nella foga della monta.
Ad un tratto, si rovesciò di lato, sempre tenendomi stretto a sé e continuando la sua galoppata.
“Fatti una sega, - ansimò – voglio sentire che mi stritoli il cazzo, quando vieni.”
Allora me lo impugnai e presi a masturbarmi freneticamente. Ci misi poco a venire.
“Aghrrrr!”, gemette forte lui, mentre continuava a pompare con l’uccello attanagliato nella morsa del mio sfintere contratto dagli spasimi dell’orgasmo.
Poi il suo respiro si fece pesante e irregolare, le sue pompate si fecero più frenetiche finché, avvinghiandosi a me con le braccia e con le gambe, si contrasse in tutto il corpo, si scosse e premette il bacino contro il mio culo con tutte le sue forze, mentre la sborra gli si riversava fuori dal condotto pulsante, riempiendomi le budella. Gli scatti del suo cazzo in eiaculazione si trasmisero al mio sfintere sovraeccitato e di qui in ondate languorose nei coglioni e via via in tutto il corpo, prolungandomi il piacere dell’orgasmo.
Una volta finito, Matteo continuò a tenermi stretto a sé, finché il suo cazzo smollato non mi venne fuori dal culo con un plop bagnato, lasciandomi con un senso di vuoto non soltanto fisico…
Allora mi girai faccia a faccia e rimasi a guardarlo, non sapevo che fare. Fu lui a togliermi dall’incertezza: aprì gli occhi, ancora ansimante, mi sorrise e mi abbracciò forte. Poi portò una mano fra le mie chiappe e mi infilò due dita nel buco ancora frollo.
“Che figa, ragazzi!”, mormorò.
Ci assopimmo, stretti l’uno all’altro nell’angusta brandina. Mi svegliai poco dopo l’alba, ritrovandomi praticamente disteso sul pavimento, gettato fuori dal letto durante il sonno. Mi tirai a sedere e mi guardai attorno ancora stordito, cercando di realizzare dove mi trovavo.
Fu allora che, volgendo gli occhi al mio lato, vidi Matteo: giaceva, immerso nel sonno, completamente scoperto e con l’uccello quasi in tiro.
Allora mi ricordai tutto e mi toccai il buco del culo ancora bagnato e indolenzito. Un fremito di libidine mi percorse il sangue.
Mi accostai a lui, sollevai delicatamente con due dita il suo cazzo semiduro e, vincendo la ripugnanza per l’odore greve e il viscidume di cui era cosparso, presi lentamente a segarglielo. La risposta fu immediata. Matteo si mosse nel sonno con un gemito, mentre l’uccello gli schizzava ai massimi livelli di turgore. Continuai imperterrito a masturbarlo, finché sentii una mano carezzarmi convulsamente i capelli e subito dopo la sua calda sborra cremosa sgorgare pulsante e colarmi sulla mano.
“Questo sì che è un buon risveglio!”, mormorò lui.
Ci vestimmo e andammo a lavarci, e poi a far colazione nell’albergo lì vicino. Intorno era
tutto un via vai di camionisti assonnati e di autotreni che ripartivano. Tornando al nostro mezzo, Matteo mi passò confidenzialmente un braccio sulla spalla.
Parecchi si voltarono a guardarci, ma lui sembrò fregarsene.
“Allora, - mi fece, - la tua avventura col camionista, cosa te ne pare?”
“Come inizio non c’è male.”, risposi sornione.
“Bene, vedrai che la faremo andare ancora meglio.”, mi assicurò lui, mentre risalivamo in cabina.
“C’è solo un problema…”, dissi, allacciandomi la cintura di sicurezza.
“Ho il cazzo troppo grosso?”
“No, il letto troppo piccolo!”
Matteo scoppiò a ridere.
“Beh, stasera risolveremo il problema. - disse, fissandomi con intenzione – Siamo appena all’inizio del nostro viaggio, giusto?”
“Giusto.”, annuii, mentre lui rimetteva in moto il bisonte.

FINE
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