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Gay & Bisex

Nel mezzo del cammin di nostra vita - 3


di adad
13.07.2022    |    3.398    |    8 9.7
"“Ma non è detto che succeda, giusto?” “E’ già successo, purtroppo…”, mormorai, alzandomi e dirigendomi alla porta..."
Allora, cominciai con voce dapprima incerta, poi sempre più convinta… cominciai dall’inizio e per le successive due ore gli raccontai tutto, a testa bassa, spesso con le lacrime agli occhi, gli raccontai della sciagurata affiliazione alla banda del Motociclista, dell’iniziazione a cui mi aveva costretto, della cacciata di casa, dell’avvio alla prostituzione, senza nascondergli niente, neanche le cose più abiette. Gli raccontai della fuga, degli stenti, delle marchette che avevo fatto per sopravvivere… e mai lui lasciò la mia mano.
Quando terminai e sollevai lo sguardo, vidi che aveva gli occhi lucidi.
“Mio dio, Tar, - mormorò commosso – come hai fatto a superare tutto questo? Io mi sarei schiantato molto prima.”
“Capisci adesso perché devo andarmene?”
“No, non lo capisco e non ti lascio andare. È adesso che hai bisogno di sentire vicino una persona amica.”
Cristo, come facevo a dirgli che mi stavo innamorando di lui… che mi ero già innamorato di lui? Che già la sua vicinanza mi faceva ribollire il sangue?
“Gunther…”
“No, non se ne parla. Dici che mi sei riconoscente? Bene, allora dimostramelo: rimani qui, almeno finché non ti sarai rimesso del tutto. E intanto cercheremo un lavoro che ti permetta di vivere… D’accordo?
Tutto questo destabilizzava non poco le mie certezze. La vita non mi aveva regalato niente fino ad allora, anzi sembrava essersi divertita a vanificare ogni mia speranza, ogni mia aspettativa. Perché stavolta avrebbe dovuto essere diverso? No, non poteva essere diverso… perché ero io quello sbagliato.
“Non posso.”, risposi con voce soffocata, cercando di liberare la mano dalla sua stretta.
“Perché?”
Diglielo, mi suggerì una voce interiore: glielo devi.
“Perché… perché potrei innamorarmi di te, Gunther, e allora… sarebbe un casino.”
Si fece serio, il volto incupito.
“A questo non avevo pensato…”, disse.
Mi fissò a lungo in silenzio.
“Ma non è detto che succeda, giusto?”
“E’ già successo, purtroppo…”, mormorai, alzandomi e dirigendomi alla porta.
Avevo fatto appena un paio di passi, quando lui mi afferrò per un braccio. Mi girai a guardarlo: aveva un’espressione strana.
“Cosa vuoi dire?”, fece.
“Quello che hai capito.”
“Che sei innamorato di me?”, chiese quasi incredulo.
Feci spallucce, mentre lui continuava a fissarmi a bocca aperta.
“Lasciamo andare, ti prego.”, dissi, cercando di liberarmi.
“No, aspetta… è tardi ormai. Resta qui ancora stasera.”
“A che servirebbe?”
“Servirebbe a schiarirci le idee… E poi, dove andresti? Non vorrai dormire su una panchina, stanotte…”
“Magari mi faccio arrestare e dormo in cella.”, sorrisi.
“Beh, allora ti arresto subito io e fino a domani non ti muovi!”, disse in tono deciso.
“Ok”
Tutto sommato ero anche felice: se non altro, avrei passato un’altra notte con lui… cioè, nello stesso alloggio… sapendolo vicino… immaginandolo…
“Andiamo a mangiare qualcosa, vuoi?”, chiese, alzandosi e lasciandomi finalmente il braccio.
Tornammo allo stesso chioschetto della sera precedente: due panini e due birre…
Ma stavolta l’atmosfera era diversa… meno drammatica, certo, ma non meno cupa e sconfortata. Non parlammo di quanto era successo e di quanto ci eravamo detti: sembrava che entrambi volessimo dimenticarcene.
Tornati a casa, mi preparai il divano, spensi la luce e mi distesi, senza spogliarmi, togliendomi solo le scarpe. Lui se ne andò in camera e chiuse la porta. Rimasi a fissare il buio, mentre il gelo della disperazione tornava a piovermi addosso, ricacciandomi indietro. Cosa avrei fatto adesso? Non volevo tornare alla vita di prima, ma che alternative avevo?
“Non è giusto, - gemetti – non è giusto…”
Ma cosa non è giusto?... e chi lo stabilisce?... E perché questa beffa? Perché strapparmi via dal greto del fiume, dandomi l’illusione di chissà cosa, se ero destinato a tornare lì, a vedermi scorrere l’acqua davanti ai piedi, a sentirne il richiamo…
“Dio, no…”, dissi, raccucciandomi contro lo schienale del divano e scoppiando a piangere.
Non mi accorsi della porta si apriva, del chiarore dell’altra stanza che fugava le tenebre del soggiorno: mi accorsi che qualcuno mi scivolava accanto, allora mi girai.
“Smettila, adesso, - mi disse Gunther – smettila, sono qua.”
Mi passò attorno le braccia e mi strinsi a lui. Che stava succedendo? perché era venuto?
“Mi hai spiazzato, prima, - disse piano – non immaginavo che succedesse così presto. Prima che potessi capire se era una infatuazione, la tua, o qualcosa di più profondo.”
“Non capisco…”
Gunther mi sfiorò le labbra con le sue.
“Capisci, adesso?”
Rimasi senza fiato.
“Passavo per caso nel parco ieri sera, quando ti ho visto piangere su quella panchina. Non sono intervenuto perché non mi sembrava delicato, ma mi sono fermato a guardare… e non solo perché mi facevi pena… Quando ti ho visto scendere sul greto del fiume, ho capito che stavi per fare una sciocchezza e ti ho seguito. Eri talmente perso che non te ne sei accorto. Così sono arrivato in tempo, per fortuna. Più tardi mi hai chiesto perché stessi cercando di salvarti e io ti ho risposto perché mi eri simpatico, ricordi? In quel momento non potevo dirti altro.
Non potevo dirti che ero rimasto affascinato… da te, dalla tua aria stanca, dalla tua evidente infelicità. Avrei voluto abbracciarti, consolarti… ma non potevo… non sapevo niente di te.”
Mentre parlava, fissavo imbambolato i suoi occhi, luminosi nella penombra della stanza: non riuscivo a credere a quello che sentivo.
“Poi è successo tutto così in fretta… troppo in fretta… non mi hai dato tempo di capire…”
“Capire cosa?”
“Io non cerco un uomo da portarmi a letto, Tar, cerco un uomo con cui vivere la mia vita e avevo bisogno di capire…”
“Se uno come me sarebbe stato capace…”, lo interruppi amaramente.
“Sta zitto idiota!”, mi tappò la bocca lui, letteralmente, con un bacio appassionato.
La sua lingua mi scivolò fra le labbra, prima che me ne rendessi conto e mi invase con prepotenza il cavo orale. La cosa mi sconcertò: che ci crediate o no, non ero abituato ai baci, i miei partner fino ad allora avevano smaniato per infilarmi in bocca tutt’altro… Ma durò solo un attimo: subito la seduzione di quel gesto, di quella lingua, che cercava la mia, destarono dentro di me un fuoco che non sapevo di avere. Avvolsi le mani dietro la sua nuca e mi precipitai con la lingua dentro la sua bocca, esplorandone ogni recesso… Dio, quanta dolcezza vi scoprii… e quasi piansi al pensiero di quanto mi ero perso. Lo baciai famelicamente, tanto che d’un tratto lui riuscì a staccarsi e:
“Ehi, - mi disse, ridendo – non mangiarmi tutto in una volta, non scappo mica!”
“Ok”, risposi stupidamente e tornai a baciarlo, stavolta con più calma, godendo a fondo dei nuovi sapori che andavo scoprendo.
Non so quanto tempo restammo avvinghiati su quel divano a baciarci, talmente compressi l’uno all’altro, da non riuscire a fare altro: l’unica cosa che avvertivo era la sua erezione premuta contro la mia sotto entrambi i pantaloni.
Finalmente:
“Andiamo di là.”, mi disse Gunther alzandosi e prendendomi per mano.
Camminando a fatica per via del cazzo rigido dentro le mutande, andammo in camera da letto, dove l’abat-jour sul suo comodino illuminava ogni cosa di luce ambrata.
Afferrai la sua cintura per slacciargli i pantaloni, ma lui mi afferrò per i polsi:
“No! – disse categoricamente – Sta lì e non muoverti.”
Tremando d’emozione, mi sedetti sulla sponda del letto e rimasi a guardarlo mentre si spogliava. Si sfilò la maglietta e rimase un istante davanti a me a torso nudo, quel magnifico torso così morbidamente modellato. I pettorali erano coronati da due grossi capezzoli, che frenai a stento l’impulso di mordere e succhiare… Dovette capire il mio pensiero dal fremito che mi percorse e sorrise, mentre cominciava a slacciarsi i pantaloni. Seguivo con gli occhi le sue mani che indugiavano su ogni bottone… che aprivano la patta, mostrandomi il candore degli slip… Il suo cazzo turgido tendeva il tessuto elastico… Gunther si sfilò i pantaloni, sgambettandoci fuori e gettandoli poi su una sedia. Attesi con ansia che si togliesse anche le mutande, ma non lo fece; lasciò invece che lo guardassi, mentre si toccava, ma solo per sistemarselo.
Mi sentii avvolgere dal suo caldo profumo di maschio pulito, mi leccai le labbra impaziente, poi non ressi più e allungai la mano per toccarlo… Ma ancora una volta lui mi bloccò.
“Sta lì, - mi disse di nuovo – non muoverti.”
Mi si inginocchiò davanti e mi sfilò i calzini, carezzandomi i piedi e poggiando le labbra sul dorso di entrambi in un tenero bacio. Ero imbambolato: tutto mi sarei aspettato, ma non che mi baciasse i piedi: gli piacevo fino a questo punto? Gunther si rialzò, mi venne più vicino e mi aiutò a sfilarmi la maglietta… non avevo un fisico come il suo, ahimé, ma non sembrò farci caso: prese a carezzarmi le spalle e il petto, mentre più forte mi giungeva l’afrore del suo cazzo, che ormai spurgava selvaggiamente, come mostrava l’ampia macchia di bagnato in corrispondenza del glande.
“Stenditi”, mi disse e io mi distesi sul letto, mentre lui mi si stendeva al fianco e iniziava a carezzarmi il petto con la mano… con le labbra… con la lingua… Mi vellicò piano i capezzoli, mordicchiandoli e succhiandoli; mi sollevò le braccia, annusando l’aroma delle ascelle. Io fremevo d’eccitazione, mentre lui si prendeva tutto il suo tempo. Finalmente, mi poggiò una mano all’inguine e il mio cazzo ebbe un sussulto spurgando una copiosa colata di sugo. Temetti di venire solo a quel contatto, ma lui non insistette: mi slacciò, invece, il cordone della cintura, indossavo ancora la sua tuta, poi, piano piano me la sfilò fino a mezza coscia, lasciandomi però gli slip… i suoi slip, ormai fradici. Mi carezzò un momento l’addome e la coscia, poi si chinò e leccò la macchia bagnata che avevo davanti. Afferrò il tessuto fra le labbra e sembrò succhiarlo; ma non insistette: mi tolse invece del tutto i pantaloni e, inginocchiatosi in mezzo alle mie gambe, prese a baciarmi e carezzarmi l’interno delle cosce, prima una e poi l’altra, risalendo lentamente verso l’inguine… dove ormai ero in pieno parossismo.
Arrivò a baciarmi e mordicchiarmi il fondo delle palle, quindi si tolse, mi afferrò per le gambe e mi rivoltò a pancia in giù.
“Ci siamo, - pensai – adesso mi incula… come tutti gli altri.”
Ma mi sbagliavo: Gunther per un po’ stette lì a carezzami e pastrugnarmi le chiappe, esprimendo i suoi apprezzamenti; infine, mi sfilò del tutto gli slip e si diede a banchettare sul mio culo, baciandolo e mordendolo tutt’attorno. Non mi accorsi, quando mi slargò le chiappe con mossa decisa, come un libro aperto a metà, ma sentii le sue labbra sull’orlo del buco e qualcosa caldo e bagnato scivolarmi dentro.
Mi bastò quello, avvertire la sua lingua che mi penetrava, per farmi superare il limite del non ritorno: con un gemito profondo mi irrigidii, sussultai e cominciai a sborrare.
“No!”, fece lui appena se ne accorse e mi rigirò, mentre il mio cazzo continuava ad eruttare sborra a getto continuo.
Ma se qualcuno crede che protestasse perché gli avevo sporcato il letto, si sbaglia di grosso; infatti, appena fui rigirato, mi afferrò il cazzo ancora in orgasmo e se lo portò alla bocca, raccogliendo gli ultimi, ormai fievoli sgorghi. Ma non demorse, continuò a popparmi l’uccello finché non fu moscio del tutto, quindi leccò tutta la sborra che mi ero rovesciato sulla pancia: quella caduta sulle lenzuola era ormai persa.
“Perdonami, - dissi – non ce l’ho fatta a resistere.”
Lui si chinò a baciarmi e la sua lingua era ancora più saporita, impastata com’era di sborra; poi si distese al mio fianco e:
“Ti prego, fammi venire…”, sospirò.
Non chiedevo di meglio. Fui io, stavolta, a chinarmi su di lui. Avvicinai il volto al suo inguine teso e aspirai l’afrore penetrante del suo cazzo maturo. Mi resi conto che non avrebbe retto oltre, per cui scostai delicatamente l’orlo degli slip, abbassandoglieli fin sotto le palle, e rimasi un istante ad ammirare il suo fantastico cazzo, grosso e dritto, con un glande appuntito, ma dagli orli svasati come una pagoda cinese. Lo presi in mano: il gambo: era unto e appiccicaticcio. Lo leccai a tutta lingua dalla base, fin sotto la cappella, gustando i suoi umori, ma lasciandomi il meglio per dopo. Lo ripulii per bene e infine presi in bocca il glande, sugoso nel vero senso della parola. Ci mulinai attorno la lingua, onde raccogliere tutta la saporita primizia, ma questo fu troppo per lui: lo sentii incordarsi in tutto il corpo, poi con un gemito si lasciò andare ad un orgasmo liberatorio, che mi riempì la bocca di seme denso e viscoso che, stranamente, sapeva di fragola e cannella.
Lo succhiai, finché non fu moscio e del tutto svuotato; poi lo baciai e stavolta era la mia lingua a sapere di sborra.
Restammo distesi fianco e fianco, senza dire niente, perché niente c’era da dire.
Poi la sua mano cercò la mia e gliela strinsi. In silenzio.
D’un tratto si sollevò sul gomito e mi baciò.
“Ci proviamo?”, mi chiese speranzoso.
“Ok, proviamoci”, assentii, con il cuore che mi scoppiava dalla gioia.

Sono passati sette anni da quella notte, in cui dall’inferno ho cominciato la mia risalita verso il paradiso… quello terrestre, per lo meno. E sempre, come un angelo, è stato al mio fianco, mi ha tenuto per mano ogni giorno, ogni notte, ogni volta che gli incubi del passato tornavano a tormentarmi, finché non sono spariti… scomparsi per sempre. Mi ha dato il suo cuore e io l’ho ripagato con l’unica cosa che potevo dargli: tutto il mio amore.
Ho trovato lavoro in un grande magazzino, reparto mobili, e due anni fa ci siamo sposati. Tutto qui, non c’è altro, se non la normale quotidianità della vita…
C’è una cosa che vorrei ancora dirvi… ma non ridete, però: in fondo al mio cassetto nel comò, conservo ancora, di nascosto, quello strappo di carta igienica con un peletto ricciuto all’interno. Quasi un amuleto della felicità. Ogni tanto lo guardo, lo bacio e mi commuovo… Che volete? Sono fatto così.


(FINE)
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