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Gay & Bisex

Rapporti condominiali -3


di adad
13.01.2019    |    11.897    |    5 9.7
"Dragan si chiamava e abitava al piano di sotto: slavo di origine, ma in Italia da parecchi anni e pure lui con moglie e figli al seguito..."
Quel contrattempo, però, per quanto all’inizio mi aveva fatto sorridere, dopo un po’ me lo sentii pesare sul cuore come un funesto presentimento, quasi che qualcuno avesse bussato alla mia porta per riportare tutto sui binari della normalità. Quasi avesse voluto dirmi: “Sta calmo tu, quell’uomo ha una moglie e non gli puoi scombussolare la vita con le tue voglie sconsiderate.”
E il mio fosco presentimento si realizzò puntualmente un paio di giorni dopo, quando, un pomeriggio, tornando dall’ufficio, Andrea si fermò da me. Era serio in volto.
“Devo parlarti.”, mi disse, quando gli aprii.
In quel momento capii che era finita. Gli feci cenno di sì con la testa.
“Vieni, accomodati.”, lo invitai ad entrare e chiusi la porta.
Lui, però, rimase lì all’ingresso, senza muoversi, imbarazzato, nervoso.
“Senti, - cominciò – credo… credo che dobbiamo smettere…”
Abbassai la testa in silenzio. Mi sentii gelare, anche se mi aspettavo che sarebbe successo una volta o l’altra.
“Siamo andati troppo avanti. – continuò lui, quasi più sollevato, adesso che il rospo era fuori – Non è colpa tua, io…”
“No, non è colpa di nessuno, - lo interruppi, allora, guardandolo negli occhi – è successo e basta. Mi dispiace molto, ma capisco il tuo punto di vista e non devi preoccuparti, sai: quello che è successo lo sappiamo solo io e te, e non uscirà mai da quella porta.”
Andrea annuì.
“Sì, lo so. Mi fido di te.”, fece e si voltò per aprire la porta.
“Saremo ancora amici, spero.”, dissi, mentre abbassava la maniglia.
“Certo”, assentì lui, finalmente con un sorriso sul bel volto maschio.
Poi mi diede una stretta febbrile al braccio.
“Grazie”, bisbigliò e uscì dal mio appartamento e dalla mia vita.

Ma intanto c’era un altro giovane marito sul quale avevo messo gli occhi e puntato le mie brame. Dragan si chiamava e abitava al piano di sotto: slavo di origine, ma in Italia da parecchi anni e pure lui con moglie e figli al seguito. Lavorava in un’impresa edile, il che fa sempre comodo, e avrà avuto all’epoca circa trent’anni; moro, fisico snello, un sorriso pronto e simpatico, e un’espressione furba negli occhi di un nero tagliente.
Era decisamente un bel manzetto e certo non immaginava quanto mi sarebbe piaciuto infilargli la mano nelle mutande ed eseguire un’accurata ispezione agli strumenti che aveva usato per mettere al mondo i suoi bambini.
Lo incrociavo abbastanza spesso per le scale e anche con lui erano sorrisi e ciao come va, ma non riuscivo a intravvedere alcun sistema per arrivare a sbottonargli i pantaloni.
Finché un giorno, avendo bisogno di alcune piccole riparazioni in casa, gli chiesi se poteva occuparsene lui, quando avesse avuto un momento libero. Accettò e un sabato mattina arrivò con tutti i suoi arnesi. Si era verso la metà di un giugno molto caldo e io, puttanescamente, mi ero preparato a riceverlo in sandali, canottiera e un paio di pantaloncini adeguatamente corti….Ok, d’accordo, non avevo più l’età per certe esibizioni: per quanto ben conservato e con i glutei ancora invidiabilmente sodi, ero pur sempre una persona di mezz’età, con un decoro da mantenere! In realtà fu lui che a momenti mi fece rimanere secco, quando gli aprii la porta e me lo trovai davanti con un paio di logori jeans sdruciti, tagliati a mezza coscia e una maglietta sbrindellata.
Ora, se c’è una cosa più distruttiva di un virus letale per il mio sistema neurovegetativo, è vedere un maschietto abbigliato da operaio trasandato, con pantaloncini corti e magliette sfilacciate: mi disintegra all’istante. Per di più, quasi conoscesse le mie debolezze feticistiche, quella simpatica canaglia si era ben guardato dal farsi una doccia, per cui mi ritrovai immediatamente avvolto da una calda fragranza di maschio sudato.
D’istinto dilatai le narici per inalare meglio quell’afrore così straordinariamente sensuale, ed ebbi un lieve giramento di testa, ma per fortuna riuscii a conservare tutto il mio sangue freddo e con un luminoso buongiorno lo feci entrare. Anche se si accorse del mio turbamento, Dragan non lo diede a vedere: rispose al mio saluto con un sorriso che mi parve, comunque, più largo del solito.
Mentre lui iniziava il suo lavoro in cucina, io mi ritirai in soggiorno con la testa in subbuglio e le mutande alquanto bagnate: avevo bisogno di calmarmi, prima di fare qualche sproposito. Pestolai per un po’ avanti e indietro, cercando invano di dedicarmi a qualcosa, poi andai da lui per tenergli compagnia, mentre lavorava, e fare due chiacchiere… beh, e anche per godermi un po’ la visione delle sue grazie e inebriarmi della calda sensualità del suo corpo.
Dragan non mi sentì arrivare. Era accosciato a sistemare alcune piastrelle sconnesse del pavimento, e mi dava le spalle. La maglietta gli era leggermente risalita sulla schiena, mentre i pantaloncini e le mutande gli si erano abbassati un po’, mostrandomi l’inizio dello spacco del culo. Mi sentii rabbrividire fino alla punta dei piedi. Rimasi un po’ lì a godermi, è il caso di dirlo, la scena, in preda al desiderio irresistibile di carezzare quella pelle levigata, umida di sudore.
“Come va?”, feci ad un tratto, nel tentativo di tornare alla realtà.
Dragan sobbalzò e si girò di scatto.
“Dio bono! – fece ridendo – Mi hai fatto paura!”
I primi tempi della sua permanenza in Italia li aveva passati in Veneto e Dio bono era rimasta la sua espressione preferita. Risi pure io, mentre lui, sempre accosciato, si girava verso di me, offrendomi una visione diversa, ma non meno stimolante: adesso, infatti, avevo davanti agli occhi le sue belle cosce pelosette, con un rigonfio niente male alla loro confluenza.
A quel punto il mio sguardo fu catturato da uno strappo sfilacciato in prossimità del cavallo, uno strappo di un paio di centimetri, attraverso il quale gli si intravvedeva il bianco sporco delle mutante. Ed era giusto in corrispondenza delle palle…
Ignaro della libidine che stava scatenando dentro di me, Dragan cominciò a chiacchierare del più e del meno, intanto che andava avanti a sistemare le piastrelle del pavimento. Era la prima volta che ci trovavamo a parlare e lui mi raccontò delle sue vicende, dei problemi nel suo paese che lo avevano spinto a venire in Italia e così via. Io lo lasciavo andare avanti e intervenivo ogni tanto con qualche domanda, ma in realtà i miei interessi nei suoi confronti erano di tutt’altro tipo, come si può immaginare.
Poi, non so neanch’io come, si arrivò a parlare di matrimonio e lui mi chiese se ero stato sposato in passato. Gli risposi di no.
“Non mi andava di legarmi a una donna, con tutti gli obblighi del matrimonio.”, gli spiegai, cercando di apparire il più disinvolto e convincente possibile.
“A chi lo dici!”, commentò lui.
“E poi, mi piace la libertà, - proseguii – sai, poterne approfittare quando ti capitano le occasioni. Tanto più che a me il sesso piace sia con le donne che… con gli uomini.”, aggiunsi fingendo una leggera esitazione, come di imbarazzo.
San Frocizio mi perdoni, ma queste parole che mi vennero sulla bocca praticamente da sole, forse fu il mio spirito guida a suggerirmele.
“Dio bono! - esclamò Dragan, guardandomi incuriosito – Sul serio?”
“Sì, - risposi tranquillamente, ma con un groppo allo stomaco che mi toglieva il respiro – ti scandalizza, per caso.”
“No, - fece lui – è che non immaginavo…”
“Ogni giorno si scopre qualcosa di nuovo, giusto?”
“Dio bono!”
Intanto, avevo preso due lattine di birra dal frigo.
“Facciamo una pausa, dai.”, dissi, passandogliene una.
Lui depose per terra gli attrezzi con cui stava lavorando e si alzò in piedi, appoggiandosi col sedere al lavandino.
“Tu invece, ti piacciono solo le donne, immagino.”, osservai, fissandogli la prominenza all’altezza dell’inguine.
Dragan fece spallucce.
“Beh… - esclamò, facendo spallucce – sono sposato.”
“E carino come sei, vorresti farmi credere che non c’è stato mai nessuno che ti ha fatto qualche proposta?”, insinuai.
Dragan diventò tutto rosso.
“Eh!”
“Lo sapevo! – esclamai, scoppiando a ridere – Dai, racconta, quando è successo?”
Lui cercò di nicchiare. Nel suo evidente imbarazzo Dragan era ancora più affascinante. Continuai a insistere: ormai ero troppo infregolato, soprattutto dopo che mi era parso di cogliere un guizzo sotto i suoi pantaloncini.
Dragan bevve un altro lungo sorso di birra e gli scappò un leggero rutto.
“Dio bono! Scusa, Luigi.”, fece.
“Capita. – risposi – Allora?”
“Ma niente… - cedette finalmente – Capitò a cinema, una sera…”
“Eri andato a vedere un porno, scommetto.”, scherzai.
“Eh, dio bono!”, rise lui, facendosi ancora più rosso.
“E cos’è successo?”
“E’ successo che s’è avvicinato questo tipo, a dove stavo seduto io, e comincia a toccare la gamba. Prima cerco di mandarlo via, ma quello insiste e mi mette la mano lì e tocca e fa… Insomma, mi viene duro… e ho lasciato succhiare.”
“Beh, sempre meglio che farti una sega.”, commentai.
“Eh, dio bono! Meglio di una sega, è vero!”, rise lui con trasporto.
In quel momento, ebbi la sensazione d’averlo ormai in mano.
“Ti è piaciuto?”
“Dio bono! Piace sempre quando ti fanno pompino… giusto?”
La leggera difficoltà che ancora aveva a parlare italiano lo rendeva ancora più affascinante.
“Piacerebbe pure a me succhiartelo.”, gli dissi d’impulso.
“Dio bono!”, esclamò lui con un guizzo negli occhi.
Era evidente che non mi prendeva sul serio. Così, mi avvicinai e gli poggiai spudoratamente una mano in mezzo alle gambe. Lui non si mosse.
“Ce l’hai duro pure adesso. – constatai, sentendo sotto la mano il turgore della sua mazza – Dai, che te lo succhio.”
“No…”, cercò di schermirsi lui.
Ma già mi gli ero inginocchiato davanti e gli carezzavo vogliosamente il pacco. A quel punto, non disse più niente, così cominciai a sbottonargli i pantaloncini. Dragan non mi fermò, disse soltanto.
“Dai, Luigi, devo finire qui…”
“Non ci vuole molto. - feci io, rivolgendogli un sorriso a dir poco lascivo – Tranquillo, dopo lavorerai meglio…”
Gli abbassai i pantaloncini sotto le natiche, poi le mutande e il suo bel cazzo saltò fuori annusando l’aria libero e felice.
“Accidenti, che bello!”, esclamai rapito, prendendoglielo in mano.
“Dio bono!”, rise lui, evidentemente imbarazzato a quel complimento.
In realtà, non era molto grande, sui quindici, sedici centimetri al massimo, ma era corposo, se capite cosa intendo, con un bel glande smussato, che in quel momento era del tutto ricoperto da un prepuzio spesso e slabbrato sulla punta. Lo guardai ammirato per un momento, poi glielo scappellai lentamente, fino a ritrarre il cappuccio sotto la corona del glande. L’afrore si fece ancora più pungente: quel porco non si era fatto neanche il bidet! Non amo particolarmente gli odori forti, ma in quel momento ero troppo infoiato per farci caso, anzi sembrava rendere ancora più sensuali e coinvolgenti le sensazioni che questo maschio mi procurava. Con un sospiro di golosa bramosia, presi a slinguargli la cappella bagnata di vecchi e nuovi umori. Dragan sobbalzò.
“Dio bono!”, esclamò con voce strozzata, quando gli presi in bocca il glande e ci mulinai attorno la lingua, ripulendoglielo per bene.
Nonostante tutto, il sapore era buono: un misto di spurghi notturni e sbavature fresche di recenti emissioni, con un lieve sentore del piscio mattutino. Insomma una vera prelibatezza per i buongustai del pompino, quale modestamente mi ritengo. Diedi qualche slinguata al gambo salaticcio di sudore, poi inebriato dall’aroma intenso del suo inguine, presi a sbocchinarlo secondo le migliori regole dell’arte. Nel caso fosse stata questa l’unica volta che me lo lasciava fare, volevo che entrambi ce la ricordassimo bene.
Come avevo previsto, infiammato dai discorsi di prima, Dragan non ci mise molto a venire. Dopo neanche un paio di minuti, cominciò infatti a torcersi e a fibrillare.
“Vengo, dio bono, vengo, Luigi!”, gemette, agguantandomi forte per le spalle.
Allora, incrementai i miei sforzi ed ecco che in breve arrivò il premio agognato. Dragan sguaiolò, piegandosi quasi in due nelle convulsioni dell’orgasmo, e contemporaneamente getti di sborra calda e viscosa gli schizzavano fuori dal taglietto, impastandomi la lingua. Deglutii in fretta, ingoiando tutto: era un sugo più liquido e asprigno di quello di Andrea, e mi raspò leggermente la gola.
Finito che ebbe di eiaculare, indugiai a leccargli qualche goccia perlacea che ancora sgorgava; poi sollevai lo sguardo.
“Ecco fatto, - sorrisi – non ci abbiamo messo molto, visto?”
“Dio bono, l’hai bevuta!”, fece lui con sincero stupore.
“E’ quello il bello del pompino!”, dissi rialzandomi, mentre lui si risistemava.
“Sei l’unico…”, gli scappò.
Allora ce n’erano stati altri, dopo quel primo al cinema porno! La verginella…
“Si vede che siamo in pochi i veri buongustai!”, scherzai.
Dragan scoppiò a ridere.
“Al lavoro, adesso, altrimenti non ce la fai per oggi.”, lo stimolai con un sorriso.
“Ah, non preoccuparti, ho quasi finito.”
“Vado di là a fare qualcosa, - gli dissi, allora – se hai bisogno, chiamami. - e uscii dalla cucina - E caso mai ne vuoi un altro, basta che me lo dici, ok?”, gli lanciai da fuori.
“Ok!”, scoppiò a ridere lui.
Non mi era sembrato imbarazzato più di tanto: buon segno. Cominciai a credere che non doveva essersela bevuta più di tanto la storia della mia bisessualità. Ma chi se ne frega? Dopo neanche un’ora mi chiamò.
“Luigi, vieni a vedere?”
Andai e lui mi mostrò le sue riparazioni, dandomi delle spiegazioni e chiedendomi se mi andavano bene.
“Mi sembra tutto perfetto, - dissi – del resto, l’esperto sei tu, giusto? Quanto ti devo?”
“Oh, niente, dai, per così poco…”, nicchiò lui.
Pensai allora che fosse il caso di chiarire subito che una cosa era il sesso e un’altra il lavoro.
“No! – feci in tono serio – Per favore, Dragan. Sei venuto perché ti ho chiesto di farmi un lavoro, tu l’hai fatto, hai sacrificato un sabato mattina che potevi andartene a spasso con i bambini ed è giusto che ti pago. Quello che è successo nel frattempo non ha niente a che vedere con il lavoro.”
Ci fu un’ulteriore schermaglia, ma alla fine cedette, chiedendomi una sciocchezza. Quindi, se ne andò, portandosi via il suo odore e il suo fascino. In bocca, però, mi rimaneva il sapore persistente della sua sborra.
Avevo sperato che si facesse rivedere con qualche scusa, ma le settimane successive passarono, senza avere di lui alcuna notizia. Beh, poco male: una volta o l’altra avrei avuto bisogno di qualche altro lavoretto…

Nel frattempo, ogni tanto incontravo Andrea per strada o sulle scale: il suo ciao era sempre cordiale, ma i suoi occhi erano in qualche modo sfuggenti. Mi dispiaceva che i nostri incontri gli avessero causato dei problemi a livello personale, ma erano problemi suoi, non potevo farmene carico io. In fin dei conti, a farsi succhiare il cazzo ci era venuto con le sue gambe!
Arrivò intanto agosto: una mattina vidi tutte le imposte dell’appartamento di Dragan ermeticamente chiuse, segno che era partito con la famiglia per le vacanze. Dopo qualche giorno partii pure io e tutto fu rimandato a settembre.


(continua)
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