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Gay & Bisex

Un etero convertito


di adad
02.03.2019    |    25.148    |    20 9.6
"Il fatto, però, di scoprire di punto in bianco una simile attrazione per un amico con il quale avevo avuto in passato una lunga e intima frequentazione mi..."
“Vidi” Stefano quando aveva già superato i quarant’anni.
Cioè, mi spiego: io e lui ci conoscevamo da una vita, per vederlo, lo avevo visto quasi tutti i giorni, per lo meno finché non si era sposato; ma fu solo in quel luminoso pomeriggio di giugno, quando lui aveva da poco superato quarant’anni e io mi ci stavo avvicinando, che lo “vidi”, con le virgolette, fu allora che mi apparve come non mi era mai apparso e mi innamorai perdutamente di lui.
Come ho detto, io e Stefano ci conoscevamo fin da ragazzi, da quando frequentavamo il liceo, lui una classe davanti alla mia. Non ricordo come ci conoscemmo, ricordo solo che diventammo subito amici e confidenti.
Era un ragazzo molto bello, slanciato, fisico armonioso per il lavoro che faceva, aiutando il padre nei momenti liberi; in particolare, aveva due occhi neri, che sembrava mi trapassassero l’anima, ogni volta che mi guardava. E poi il suo sorriso, caldo e avvolgente, che invogliava tutti a volergli bene. E io gli volevo davvero un gran bene.
Nonostante tutto questo, però, sessualmente Stefano non mi diceva niente: mai ebbi pensieri impuri nei suoi confronti, mai mi sentii tentato di fargli una carezza “clandestina”, mai mi sentii attratto a sbirciarlo in mezzo alle gambe, come invece facevo con tanti, già allora.
Naturalmente, a lui piacevano le ragazze e non ne faceva mistero; a volte mi chiedeva cosa pensassi di questa o di quella, e io cercavo di barcamenarmi alla meglio, e alla fine divenni bravissimo, tanto che lui non sospettò mai che i miei gusti andavano in realtà in tutt’altra direzione.
Perché non gli confessai che mi piacevano i ragazzi? Mah, non lo so, non mi posi mai il problema. Del resto, erano altri tempi, quelli; tempi in cui non era raro sentire di genitori che avrebbero preferito un figlio morto, piuttosto che frocio. Nascondersi era un istinto naturale di difesa.
Ad ogni modo, raggiunta l’età, Stefano conobbe quella giusta… e capii che lo era, perché non mi chiese cosa ne pensavo. Ebbi un momento di rammarico, quando mi annunciò che si sarebbero sposati, rammarico per le cose che sarebbero inevitabilmente cambiate; ma per altri versi ne fui felice per lui.
Non andai al matrimonio e in seguito lo rividi giusto un momento, al rientro dal viaggio di nozze, prima che si trasferisse a Milano, dove la moglie gli aveva procurato un lavoro, presso l’azienda di famiglia. Sembrava felice e ci promettemmo di rivederci presto… cosa che non avvenne per diversi anni consecutivi.
Ne passarono più di dieci, senza che ne avessi notizia. Intanto avevo cominciato a vivere le mie storielle, racimolando avventure di qua e di là: giusto il minimo sindacale per tenere a freno le mie libidini: a una storia seria ci pensavo ogni tanto, ma non ci credevo e neanche la cercavo. Stefano ormai era completamente uscito dalla mia mente; mi capitava di non pensarci più a volte per mesi e mesi: perché avrei dovuto, del resto?
Poi, nel giugno scorso, approfittando di una settimana di ferie che ero stato costretto a prendermi, decisi di fare una sciocchezza e andarmene un paio di giorni a Milano, una città che conoscevo più di nome che di fatto. Senza pensarci troppo, misi qualcosa nella borsa da viaggio e presi il primo Frecciarossa disponibile. Su internet avevo prenotato un B&B nelle vicinanze della stazione Centrale, così lasciai lì il bagaglio e iniziai le mie escursioni turistiche: il Duomo, il Castello, Sant’Ambrogio…
A dire il vero, oltre alle bellezza artistiche della città, ammirai molto anche altre bellezze… ci siamo capiti, ma non tentai nessun approccio: il fascino, la disinvoltura, la spigliatezza di quei ragazzi mi metteva in un certo senso a disagio, mi faceva sentire come inadeguato, oltretutto alle soglie ormai dei quarant’anni.
I giorni passarono in fretta e la mattina del terzo, ritirai la borsa e mi concessi un ultimo giro in città, prima di prendere il treno nel tardo pomeriggio.
Mi ero fermato a mangiare qualcosa ad una tavola calda nei pressi di piazza Duomo, quando, mentre facevo la coda alla cassa col vassoio in mano, il tipo che era due persone davanti a me si voltò e mi sembrò che la sua faccia avesse un che di familiare. Dove diavolo lo avevo visto? Che fosse qualche personaggio televisivo? Ci stavo rimuginando sopra, quando tornò a voltarsi… quei lineamenti… quegli occhi… Ebbi un tuffo al cuore! Se non fosse per la barba, avrei giurato che era Stefano. Lo seguii con gli occhi, mentre si allontanava col vassoio alla ricerca di un tavolo, e quando lo seguii, vidi che ce n’era uno libero poco lontano dal suo. Mi sedetti… provai a mangiare, ma non ci riuscivo… Era lui, ci avrei giurato… La barba poteva anche essersela fatta crescere nel frattempo. Alla fine non resistetti più: mi alzai e lo raggiunsi.
“Mi scusi, se la disturbo… - feci, e quando sollevò la faccia e mi fissò con i suoi occhi neri non ebbi più alcun dubbio – ma lei mi ricorda un caro amico…”
Lui sorrise e si alzò.
“Ricordi bene!”, fece e si alzò, porgendomi la mano e poi abbracciandomi.
Mi sedetti al suo tavolo, ma ci dimenticammo tutti e due di mangiare, presi a raccontarci, a informarci, a ricostruire il lungo periodo vuoto in cui eravamo stati assenti l’uno per l’altro.
Seppi, così, che il matrimonio non aveva funzionato, che era divorziato da un paio d’anni e per fortuna non aveva figli. Col matrimonio però era andato a farsi benedire anche il lavoro ecc. ecc. ecc. Mi chiese di me.
“E tu? Sei sposato?”
E finalmente gli confessai quello che ero. Lui mi fissò a lungo.
“Perché non me l’hai mai detto?”
Feci spallucce.
“Non mi sembrava una cosa importante. – replicai – E poi, quelli erano altri tempi.”
Quando seppe che stavo per ripartire, ma che mi restavano alcuni giorni di ferie:
“No, tu non ti muovi da qui! – mi intimò – Non voglio passare altri dieci anni senza rivederti.”
“Ma ho già disdetto…”
“Beh, puoi prenotare da me, - disse, scherzando – nel mio appartamento ho una bellissima stanza: posso affittartela per tutto il tempo che vuoi.”
Ci demmo appuntamento a più tardi e scappò via per tornare al lavoro.
A casa sua, nel tardo pomeriggio, mi mostrò la mia camera, poi feci una doccia e lui mi diede un cambio di biancheria, dei pantaloncini e una maglietta: tutte cose mi stavano un po’ larghe, visto che lui era un po’ più grande di me, ma io amo le cose che mi stanno comode addosso.
Sedevo sul balcone, in attesa che finisse la doccia pure lui, quando dovetti andare in camera a prendere qualcosa. Facendo il corridoio, mi trovai a passare davanti al bagno: la porta era semiaperta. Non volendo, gettai dentro uno sguardo e lui era lì: fresco di doccia, indossava solo un paio di slip e mi dava le spalle. Rimasi senza fiato: non aveva più il fisico snello e asciutto di una tempo, le sue forme si erano addolcite, arrotondate… Il mio sguardo fu catturato dalle sue gambe tornite, dalle sue natiche sode e carnose, fasciate dalla bianca maglina degli slip.
E fu allora che lo “vidi” veramente, che mi resi conto per la prima volta di quanto fosse sensuale e affascinante. E un senso di languore mi prese alla bocca dello stomaco, mentre tutto l’apparato genitale cominciava a formicolarmi.
Avrei voluto allontanarmi in silenzio, ma non ci riuscii; aprii, invece, del tutto la porta e feci un passo avanti, come imbambolato.
“Gesù, quanto sei bello!”, mormorai.
Lui si voltò di scatto, accigliato; ma subito il volto gli si distese in un caldo sorriso.
“Ti senti bene?”, mi chiese, quasi volesse sfottermi.
“Scusa… - balbettai – passavo e c’era la porta aperta…”
La sua figura mi ballava davanti agli occhi: il suo petto peloso, il ventre piatto, il rigonfio pesante degli slip… Scrollai la testa e feci un passo indietro:
“Scusami… scusami, ma davvero non mi ero mai accorto che sei così affascinante… Mi sembra quasi di vederti per la prima volta. Scusami… non volevo offenderti.”
“Tranquillo.- fece Stefano, dandomi un buffetto sulla guancia – è che mi suona strano: è la prima volta che me lo sento dire… e da te, poi.”
Si infilò una maglietta e un paio di pantaloncini sformati, che me lo resero ancora più sexy. Il fatto, però, di scoprire di punto in bianco una simile attrazione per un amico con il quale avevo avuto in passato una lunga e intima frequentazione mi metteva ora addosso uno strano disagio.
Ogni fibra del mio corpo urlava di riempirmi gli occhi e la mente di lui, di stargli il più accosto possibile, di assorbire il suo calore, il suo profumo, il suo stesso sudore; ma nello stesso tempo provavo una sorta di pudore, di vergogna, che mi costringeva ad essere controllato, impassibile, asettico.
Uscendo dal bagno, mi passò un braccio sulla spalla, guidandomi verso il soggiorno.
“E così sei gay.”, fece porgendomi una birra appena tolta dal frigo.
“Ti crea problemi?”, feci, bevendo un sorso e andando fuori sul balcone.
Lui mi seguì.
“No, - rispose – siamo nel duemila… E, poi, per me potresti anche essere un
rinoceronte e saresti sempre il mio Franco carissimo… l’amico appena ritrovato.”, e toccò leggermente la mia bottiglia con la sua in una forma di brindisi.
Continuammo a parlare, a confidarci come ai vecchi tempi, felici e nello stesso tempo commossi per la ritrovata intimità. Eravamo ancora noi, i due ragazzi spensierati degli anni del liceo. I due ragazzi sempre insieme, uniti da un legame così profondo da capirci con un solo sguardo.
“Mi sei mancato…”, sussurrò Stefano ad un tratto.
“Anche tu a me. Perché non ti sei fatto mai vivo?
Lui fece spallucce.
“Una volta sposati, cambia tutto, sorgono nuove priorità. Succede che ti dimentichi della vita di prima.”
Non era molto bello da sentire, ma era senza dubbio la verità: non si dice forse “uomo sposato, amico perduto”?
Il sole era tramontato e l’aria di fece fresca, così rientrammo, mangiammo qualche avanzo dal frigo con la promessa “domani ti porto fuori”, e poi ci accomodammo sul divano in soggiorno a guardare un film in tv. Ma io non potevo staccare gli occhi da lui; cercavo di non fargliene accorgere, speravo che non se ne accorgesse, ma non potevo fare a meno di lanciare ogni tanto uno sguardo di sottecchi al suo volto, di fissare le sue gambe, di allungare l’occhio al suo inguine, a quella sua virilità che improvvisamente era diventata il centro del mio universo.
Come avevo potuto ignorarlo per tutti gli anni della nostra adolescenza? Come avevo fatto a non accorgermi del suo fascino così magnetico, così seducente? Davvero l’amicizia che ci univa era riuscita a far passare in secondo piano ogni altro sentimento? Davvero ci erano voluti dieci anni di decantazione, per liberarmi la mente e far sì che emergesse quello che veramente provavo per lui?
E se lo avessi sempre amato, ma la confusione e le paure adolescenziali fossero riuscite a sublimare quei sentimenti in semplice “amicizia”?
È vero che non mi ero mai masturbato, pensando a lui, ma è altrettanto vero che solo quando eravamo assieme mi sentivo completo… felice… sì, felice.
Alle dieci non ressi più: ero emotivamente a pezzi. Mi scusai che ero stanco per la giornata passata in giro e altre cavolate, e mi ritirai nella mia stanza. Ero sovreccitato, con i nervi a fior di pelle, felice per aver ritrovato Stefano, ma nello stesso tempo demoralizzato, perché lo desideravo, e insieme ero consapevole che non avrei mai potuto averlo. Altre braccia lo avrebbero stretto con calore, altre labbra lo avrebbero baciato, altre mani lo avrebbero carezzato, altri occhi lo avrebbero guardato nella sua meravigliosa nudità… e mi sentivo straziare dalla gelosia.
Rimpiansi di averlo rivisto, di aver accettato il suo invito a rimanere, e decisi di ripartire a tutti i costi la mattina successiva. Mi scoprii a boccheggiare, come se un peso mi opprimesse il torace. Ero fottuto!
Sentii un leggero battere alla porta, che subito dopo si dischiuse, lasciando apparire il volto sorridente di Stefano.
“Non dormivi ancora, vero?”
“No”
“Scusami, Franco, ma sapendo che sei qui, non sopportavo di stare da solo nella mia camera. Ti secca, se mi fermo ancora un po’ con te?”, e si avvicinò nella luce ambrata dell’abat-jour.
Si sedette sulla sponda del letto e io mi tirai da parte, facendogli posto. Si sdraiò allora accanto a me, inevitabilmente a contatto di pelle. Era disteso sul fianco sinistro, puntellato sul gomito. Il suo ginocchio ripiegato mi sfiorava la coscia.
“Sono felice che siamo insieme di nuovo… dopo tanto tempo…”, mi disse piano, e gli occhi gli brillavano.
Gli sorrisi in risposta e gli sfiorai la guancia con un dito. La barba che gli incorniciava il volto era incredibilmente morbida. Lui non si scostò, continuando a fissarmi con i suoi incredibili occhi di giaietto.
“Sai, mi ha fatto un effetto strano sentirti dire che… che ti piaccio.”, disse dopo un po’.
“Spero che non ti abbia dato fastidio.”
“No, è… è che non me lo sarei aspettato. È così lontano dalle mie esperienze di vita… voglio dire, sentirmi dire da un uomo che gli piaccio… e pensare che… che magari vorrebbe…”
L’imbarazzo, che gli si leggeva in volto, lo rendeva ancora più affascinante. Dio, cosa non avrei dato per stringerlo a me in un abbraccio senza ritorno! Cercai disperatamente di reprimere l’erezione che cominciava a montare e che fra un po’ sarebbe stata inequivocabilmente evidente, visto che avevo solo le sue mutande troppo larghe e stavamo distesi sopra le lenzuola. E d’un tratto mi colse tutto il ridicolo della situazione.
“Scusa, Stefano, - feci sorridendo - ma ti rendi conto che siamo due persone di quarant’anni e stiamo qui, a balbettare come due ragazzini imbranati?”
La cosa fece sorridere pure lui e in quel momento mi accorsi che aveva spostato il braccio in modo da coprirsi l’inguine con la mano.
“Non dirmi che sta venendo duro anche a te!”, esclamai, abbandonandomi ad una risata liberatoria.
“Oh, insomma! Non prendermi in giro. – sbottò, togliendosi la mano dall’inguine e poggiandomela sul petto – Credi che non abbia capito cosa vorresti? Credi che non mi sono accorto come mi hai guardato tutta la sera?”
“Hai ragione, scusami. Dev’essere imbarazzante per te.”
Ma intanto avevo fatto in modo di spostare la destra in modo da poggiarne il dorso alla sua erezione. Lui sembrò non accorgersene.
“No, non è questo. Ti capisco… Quello che mi imbarazza è… è che non so se… se sono capace… Perché credi che sono qui?”
L’espressione intenta del suo volto mi catturò, lo fissai negli occhi e i suoi occhi mi trapassarono l’anima. Poi lo vidi chinarsi lentamente verso di me e sentii le sue labbra socchiuse sfiorare le mie. L’emozione mi travolse, la sensazione della morbidezza delle sue labbra, del suo respiro leggero che penetrava attraverso le mie… Oh, perdonatemi, ma davvero non riesco a descriverlo: per certe cose le parole sono troppo povere.
Le sue labbra indugiavano incerte sulle mie, quando spinsi fuori la lingua e gliele forzai, mentre gli passavo le braccia al collo e lo stringevo in un abbraccio spasmodico, tirandomelo addosso.
Per un attimo la mia focosità lo sconcertò, ma subito dopo ricambiò l’abbraccio e le sue labbra si aprirono, accogliendomi nella sua dolcissima intimità. Fu un bacio che durò una vita e valse una vita. Mentre le nostre lingue si avvinghiavano in una frenetica danza d’amore, le mie mani esploravano il suo corpo, gli si infilavano sotto la maglietta, sotto la cintura delle mutande a impastargli le natiche levigate.
Ero come impazzito e ben presto la mia pazzia si trasmise anche a lui: senza che le nostre labbra si staccassero, mi ribaltò, portandomi sopra di sé e stavolta furono le sue mani ad esplorarmi la schiena e le natiche. Se la mia anima avesse potuto staccarsi e aleggiare nella stanza, avrebbe visto due corpi che si dibattevano in una lotta senza esclusione di colpi, una lotta che li faceva gemere e sospirare. Ma la nostra non era una lotta senza esclusione di colpi: era invece il tentativo di due corpi febbricitanti di fondersi in un unico organismo vibrante d’amore.
Poi, d’un tratto, il corpo di Stefano mi si irrigidì fra le braccia e lui emise un lungo gemito convulso, mentre sentivo un’emissione calda spandersi fra i nostri corpi stretti nell’abbraccio.
Quando gli spasimi si placarono, Stefano si staccò da me: avevamo entrambi la pancia e gli indumenti fradici di sborra.
“Scusami, - fece lui con aria quasi vergognosa – sono venuto come un ragazzino…”
“E’ una cosa bellissima, amore…”
“Come mi hai chiamato?”
“Amore. Ti secca?”
“No… Andiamo a lavarci, vieni.”, e fece per alzarsi.
“Aspetta, - lo trattenni – mi piace l’odore del tuo sperma.”, e appoggiai la guancia sui suoi slip bagnati, respirando a fondo l’aroma pungente del suo seme…
Poi, d’istinto, gli abbassai l’elastico, gli afferrai con due dita l’uccello ormai molle e glielo presi in bocca. Sentii che si irrigidiva, ma non mi fermai: glielo avvolsi con la lingua, raccogliendo e gustando la bava che lo copriva, finché lo sentii fremere, pronto a riprendere vita.
Tornai allora a stendermi accanto a lui e Stefano mi passò un braccio sotto la nuca, stringendomi a sé.
“E pensare che fino a stamattina ero un etero convinto”, sospirò.
“E adesso?”
Stefano mi diede un bacio leggero sulla fronte:
“Adesso sono un etero convertito.”
“Ti dispiace?”
“Finché mi resti vicino, no.”
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