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Gay & Bisex

Cenerentolo - 2


di adad
16.06.2019    |    9.107    |    7 9.3
"Hai capito?” Cenerentolo accennò di sì..."
Tutto il giorno era stato un caos di richieste, ordini, insulti, un corricorri confuso e forsennato; poi, finalmente, i due giovani aspiranti Favorito lustrati e ingioiellati, erano saliti su una carrozza a noleggio, accompagnati dal premuroso genitore, per andare incontro al loro destino.
Finito il fracasso, il povero Cenerentolo si era seduto su una sediola accanto all’uscio del giardino, a godersi la pace dell’ultimo sole pomeridiano. Era perso nei suoi pensieri, immerso in cupe riflessioni sulla sua miseria, in vani sogni di fuga e di riscatto.
Cri, cri cri… Era talmente perso nelle sue cupe meditazioni, che non sentì il frinire del grillo accanto al suo orecchio.
Cri, cri, cri… Neanche stavolta Cenerentolo si riscosse dall’esame delle sue tristi condizioni.
CRA, CRA, CRA… L’assordante richiamo di una cornacchia, attirò stavolta la sua attenzione.
“Era ora che ti svegliassi!”, disse la cornacchia, saltando giù dal ramo di un pero e trasformandosi all’istante in un bellissimo giovane.
“Chi sei?”, fece Cenerentolo, alzandosi di scatto.
“Tranquillo, non ti faccio niente. – rispose quello – Sono il fatino Gelsomino.”
“Il fatino Gelsomino? – si stupì il ragazzo – E da quand’in qua esistono i fatini?”
“Hai ragione, - fece l’altro – un tempo non esistevano e infatti io ero una fatina, ma poi mi sono stufato delle mie colleghe tutte lesbiche, che mi facevano sentire una deficiente perché avevo gusti diversi dai loro; così ho cambiato sesso, e adesso nessuno ha niente da ridire se mi piacciono i ragazzi. Senti, Giannino, io ero con tua madre, quando la poveretta è dipartita e le ho promesso che mi sarei presa cura di te…”
“Ce ne hai messo di tempo!...”, esclamò amaramente Cenerentolo.
“Hai ragione, perdonami, ma non immagini che casino cambiare sesso: prima dell’operazione, una montagna di carte da firmare! Dopo l’operazione, un’altra montagna di carte da firmare! E poi il guardaroba da rifare, il giudice che deve sentenziare, lo psicologo che deve psicologare, perché finché non lo dicono loro, sei sempre quello di prima… e insomma, ho avuto un sacco di cose da fare. Ma adesso eccomi quei, tesoro. Accidenti, che sporco che sei e quanto puzzi! Abiti in un porcile, per caso?”
A quelle parole, Cenerentolo si accasciò sulla sediola e riprese a piangere.
“Ehi… - fece il fatino, abbracciandolo, incurante di sporcarsi i suoi begli abiti firmati – Cosa ti succede? Raccontami, dai.”
“Ma vattene, - disse Cenerentolo sconsolato – cosa vuoi capirne tu.”
“Mettimi alla prova.”, esclamò il fatino, abbracciandolo ancora più forte e dandogli un bacio sulla guancia.
Toccato da quelle parole e da quel gesto amorevole, Cenerentolo aprì il suo cuore
e lo svuotò di tutta l’amarezza, di tutti i dolori, di tutte le umiliazioni di quegli
anni.
“Che bastardi! – commentò il fatino, quando l’altro ebbe finito – ma gliela faremo pagare noi, non preoccuparti. Neanche al ballo hanno voluto portarti… Senti - e si volse a Cenerentolo – tu corri subito a farti un bagno; io intanto faccio una commissione, torno fra dieci minuti. Su, muoviti! Corri… corri.”, e mutatosi nuovamente in cornacchia, svanì in un frullo d’ali.
Dieci minuti dopo, tutto pulito e profumato, Cenerentolo aspettava davanti all’uscio del giardino, quando, puntualissimo, ecco presentarsi il fatino Gelsomino con una grande borsa su un carrello da supermercato.
“Accidenti! – fece stupito – Ma sei lo stesso di prima? Sei bellissimo: hai tutta la bellezza di tua madre e di quel farabutto di tuo padre trasfuse insieme. È incredibile…”
Cenerentolo sorrise imbarazzato e questo lo rese ancora più affascinante.
“Prevedo un grande successo per te. – disse il fatino – Ma non perdiamo tempo, si sta facendo notte e il ballo sarà già cominciato.”
Prese la grande borsa dal carrello, l’aprì e cominciò a tirarne fuori una calzabraga di finissima seta damascena, che una volta indossata avvolse le forme voluttuose del ragazzo come una seconda pelle. E in realtà, se non fosse stata variamente colorata, si sarebbe potuto dire che era del tutto nudo. Ma quelli erano tempi in cui i giovani maschi non si vergognavano di esibire la loro avvenenza. Poi il fatino gli diede una camicia di candidissimo lino di Fiandra, sulla quale Cenerentolo indossò un farsetto di velluto ricamato d’oro e d’argento, e quindi un mantelletto di sciamito amaranto bordato di martora. Il tocco finale furono un cappelletto con una piuma di struzzo, fermata da un grosso rubino di incomparabile luminosità, e un paio di scarpini di morbido camoscio.
Finita la vestizione, il fatino si tirò indietro e rimase a contemplare il risultato con un’espressione critica sul volto.
“Sì, sì… va bene… - mugugnò – ma sento che manca qualcosa. Aspetta.”
E corse a rovistare nella borsa, da cui trasse fuori quello che sembrava un braccialetto in filigrana d’oro, tutto tempestato di pietre preziose.
Ingenuamente, Cenerentolo, allungò il braccio per farselo mettere; ma l’altro:
“Apriti la braghetta”, gli disse e quando Cenerentolo se la slacciò, il fatino glielo allacciò alla base dello scroto e del cazzo.
“Adesso sei perfetto! – commentò – Voglio proprio vedere se il principe saprà resisterti. Una cosa, però: questi abiti li ho avuti in prestito da un amico che lavora alla Rinascente e che a mezzanotte verrà a riprenderseli; per cui al primo dei dodici rintocchi, dovrai lasciare immediatamente il ballo e tornare a casa, altrimenti saremo perduti. Hai capito?”
Cenerentolo accennò di sì.
“Bene, adesso Sali su questo carrello.”
“Cosa?”
“Avanti, muoviti, fa’ come ti dico.”, e presolo per un braccio, lo spinse a salire sul carrello del supermercato.
Ma appena Cenerentolo fu su, il carrello si trasformò magicamente in un bellissimo landò trainato da due magnifici cavalli scalpitanti.
Con un agile salto, il fatino montò a cassetta, afferrò le briglie e con un allegro schiocco della lingua, lanciò i cavalli in corsa.

***
A Corte, intanto, il ballo era in pieno svolgimento. I danzatori si muovevano aggraziati al centro del salone, seguendo il ritmo del minuetto suonato dalla piccola orchestra sopra la balconata.
Il servitori giravano fra gli ospiti con vassoi colmi di tartine al caviale, ciambellette, bignè alle creme più svariate, e poi calici di champagne, vini, e liquori prelibati; altri servitori si tenevano più discretamente ai margini, pronti ad accorrere con i loro secchielli al cenno di qualche gentiluomo bisognoso di liberarsi la vescica.
Era tutto un frullare di lepide movenze, un sussurrare più o meno velato degli ultimi pettegolezzi, accenni di corteggiamento; molte coppiette si erano già ritirate nei salottini appositamente preparati, specialmente quando avevano capito di non avere alcuna speranza di ascendere al favore reale.
Il barone di Culignac si aggirava fra gli altri padri presenti, pavoneggiandosi per l’incomparabile avvenenza dei figli. Ed effettivamente Germano e Tarvisio primeggiavano fra gli altri giovani, ed era evidente che avevano monopolizzato l’attenzione del Principe, che ormai danzava incantato or con l’uno, or con l’altro, indeciso su quale scegliere e cominciando a meditare di prenderseli tutti e due.
Dopo l’ennesima gavotta, i tre si erano ritirati nel vano di un finestrone.
“Siete davvero affascinante, baroncino Tarvisio.”, disse il Principe, sollevando verso di lui il calice spumeggiante, prima di berne un sorso.
“E voi, Germano, - proseguì, lisciandogli leziosamente il rigonfio della braghetta – mi affascinate con la magnificenza delle vostre forme.”
“Se Vostra Altezza continua con questo tono, - rispose quello - finirò col commettere un imperdonabile strappo all’etichetta…”
“E Vostra Altezza non dice niente del mio…”, intervenne indispettito Tarvisio, girandosi a mostrare il suo posteriore.
“Come un fanciullo si dibatte fra due ciambelle, - fece il Principe, sfiorandoglielo voluttuosamente - e non sa su quale per prima allungare la mano, così il vostro povero Principe…”, e si interruppe, richiamato dal mormorio suscitato nel salone dalla grande porta che si apriva e lasciava passare un giovane di indescrivibile bellezza.
“Bontà divina!”, esclamò, sgranando gli occhi e ammirando l’avanzare flessuoso delle cosce, che mostravano, attraverso la seta sottile, il guizzare dei muscoli ad ogni passo, la voluminosità della braghetta, la fierezza del torace e il volto, reso ancora più affascinante da uno spruzzo di polvere di stelle, che il fatino gli aveva cosparso di nascosto sui capelli.
Dimentico, allora, del tutto dei fratelli Culignac, il Principe si diresse verso il nuovo arrivato, attorno al quale si faceva il vuoto, via via che avanzava.
“Ma che cazzo!”, sbottò Tarvisio, quanto mai contrariato dal contrattempo.
“Proprio adesso che mi stava per scegliere, doveva arrivare quel rompicoglioni!”, fece Germano.
“Che stava per scegliere me!”, precisò Tarvisio a muso duro.
“Non hai visto come mi ha lisciato il culo?”
“E tu non hai visto come mi ha palpato il cazzo?”
“Stava procedendo tutto bene, - intervenne il barone incazzato nero – Perché ve lo siete fatto scappare.”
“Ce lo siamo fatti scappare? – rispose Tarvisio – è lui che è corso via, appena è entrato quel cagacazzi lì!”
“Chi è?”
“E chi lo sa?”
“Quella faccia mi sembra di conoscerla… - disse il barone aguzzando gli occhi –
Ehi, ma non sembra anche a voi che somiglia a Cenerentolo?”
“Sì, Cenerentolo! Figurati, pa’! – fece Germano – Tutto pulito e rivestito! E dove l’avrebbe presa quella roba?”
“Hai ragione: quello sgorbio se ne starà come minimo raggomitolato a dormire in mezzo alla cenere del camino. Ma spero per lui che ci abbia acceso il fuoco nelle camere, ché stavolta lo faccio nero!” disse il barone.
“Ma intanto che facciamo, pa’?”
“E che facciamo? Aspettiamo come si mettono le cose: stategli dietro, cercate di riacchiapparlo.”
Il Principe intanto aveva raggiunto il giovane sconosciuto.
“Benvenuto”, gli fece, fissandolo con occhi incantati.
“Grazie e ben trovato a voi, Vostra Altezza!”, rispose quello, togliendosi il berretto in un largo inchino.
Il Principe represse a stento l’impulso di stringerlo fra le braccia e baciarlo.
“Venite, - gli disse invece – balliamo.”, e lo prese per mano, guidandolo verso il centro del salone.
Al Principe sembrava di essere in un sogno, mentre effettuava imbambolato le movenze del minuetto: il contatto della mano del giovane, gli trasmetteva come degli impulsi di una forza sconosciuta attraverso il braccio. Si muoveva, ma senza sapere cosa stesse facendo. Ogni tanto si voltava a guardarlo e si perdeva nei suoi occhi azzurri; ogni tanto si voltava a sorridergli e si perdeva nella dolcezza del suo sorriso. Al minuetto seguì una gavotta e poi una corrente e un’allemanda, e ad ogni passo di danza, il cuore del Principe si perdeva.
Finalmente, la stanchezza ebbe il sopravvento e, dopo essersi rinfrancati con un calice di fresco champagne, il Principe lo prese per mano e si appartarono in uno dei salottini.
“Chi sei, divina creatura?”, fece il Principe abbracciandolo, dopo aver chiuso la porta.
“Cosa importa chi sono, Vostra Grazia… sono solo un’anima innamorata.”, rispose Cenerentolo ricambiando l’abbraccio ed offrendosi ai suoi baci.
Abituato com’era a ben diversi trattamenti, il ragazzo si abbandonava estasiato a quella passione, incapace di credere che così dolci potessero essere i baci, così frementi e appassionate le carezze. Se le mani dei fratellastri sul suo corpo erano state brutali, quasi uno stupro ogni volta che lo toccavano, queste del Principe erano calde e appassionate, smaniose di conoscerlo, di dargli piacere.
In breve in Principe lo aveva spinto verso un divano, gli aveva slacciato la braghetta, gli aveva cavato fuori il turgido birillo e ne aveva raccolto con la lingua il limpido miele.
“Divina creatura…”, sospirò dopo averglielo slurpato per un tempo infinito.
E fu allora che si accorse del cock ring che Cenerentolo indossava.
“Oh, che magnifico oggetto! – disse togliendoglielo e ammirandolo – Il giusto completamento del tuo splendore.
E poggiatolo su un tavolinetto, tornò a poggiare le labbra sul fiore di Cenerentolo, suggendone il nettare, che continuava a sgorgare copioso.
“Mio Principe, - boccheggiò Cenerentolo – non dovete… non è giusto…”
“Cosa non dovrei? Cosa non è giusto, mio adorato?”
“Che voi facciate questo a me. – rispose lui – Sono io, il vostro servo umilissimo, che dovrei onorarvi…”
“Oh, che dolce…”, esclamò il Principe, chiudendogli la bocca con un bacio.
DON
Funereo in quell’istante risuonò il primo tocco della mezzanotte. Cenerentolo non se ne accorse neanche.
DON
Qualcosa giunse alla sua coscienza. Si irrigidì.
DON
“Cosa?...”
“Oh, non spaventarti, mio tesoro, è solo il pendolo che suona mezzanotte.”
DON
“Mezzanotte? Oh, povero me! Devo andare, mio signore”, e Cenerentolo saltò su dal divano, raccolse il mantello, gettato su una sedia, e corse verso la porta.
DON
“Dove corri, fermati… - gemette il Principe – Resta con me.”
DON
“Non posso, mio Principe… Addio.”, e tenendosi chiusa la braghetta con una mano, Cenerentolo spalancò la porta e sparì alla vista, lasciando il Principe in preda alla confusione e allo sconforto.
DON
Cenerentolo corse verso l’uscita del palazzo, evitando quanti cercavano di fermarlo.
DON
Trovò il landò con la portiera già spalancata e ci saltò dentro d’un balzo.
DON
Con un colpo di frusta il fatino lanciò subito i cavalli al galoppo
DON
Accasciatosi sul sedile della carrozza, ansimante per la corsa, Cenerentolo si ricompose alla meglio…
DON
Si sentiva il cuore straziato. Capì che non avrebbe dovuto venire al ballo, non avrebbe dovuto incontrare il Principe… non avrebbe mai dovuto innamorarsi di lui. E adesso? Cosa avrebbe fatto? Come poteva tornare a vivere in quella casa con il padre e i fratellastri, per di più inferociti per la delusione patita?
DON
La carrozza aveva appena svoltato l’angolo, uscendo a precipizio dal cancello della residenza reale, quando Cenerentolo, con uno scossone, si ritrovò rannicchiato nel carrello del supermercato: il landò era scomparso, i cavalli erano scomparsi, tutto era scomparso, tranne il fatino che lo guardava con aria desolata.
Anche i bei vestiti erano scomparsi e lui era completamente nudo.
Il freddo era tremendo in quella gelida notte di gennaio; il ragazzo saltò giù dal carrello, tremando e stringendosi le braccia: certo non poteva esserci conclusione peggiore per una serata così bella.
Per fortuna, il fatino era stato previdente: prese dal suo borsone i vecchi vestiti, così il poveretto poté almeno rivestirsi.
“Ti accompagno a casa?”, gli disse il fatino.
“No. – rispose lui – E’ tardi, va a riposarti. Grazie di quello che hai fatto per me e vieni pure a trovarmi, quando vuoi… ma bada che i miei fratelli e mio padre siano fuori: sarebbero capaci di spararti, se vedessero una cornacchia bussare alla porta.”
Arrivato a casa morto di freddo e di stanchezza, Cenerentolo corse ad accendere il fuoco nelle camere del padre e dei fratelli, poi si scavò un giaciglio fra la cenere ancora tiepida del grande camino della cucina e si rannicchiò a dormire.

(continua)
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