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Gay & Bisex

Belli dentro


di adad
23.11.2019    |    7.709    |    8 6.9
"Prendiamo viceversa un bello dentro, o cesso fuori che dir si voglia: in primis, nessuno si gira a guardarlo per strada, se non forse per la curiosità; in..."
L’umanità nel suo complesso possiamo dividerla in due grosse categorie: i belli dentro e i belli fuori. E fin qui nulla di strano, se non fosse che per qualche strampalato senso di giustizia, o di equilibrio, chiamatelo come volete, Madre Natura per far sì che i due gruppi non fossero troppo sbilanciati, in un senso o nell’altro, i belli dentro li ha fatti per lo più cessi di fuori e i belli fuori li ha fatti per lo più cessi di dentro. Per cui adesso vediamo persone di estrema sensibilità ed eccellenza, che sono pressoché inguardabili; mentre persone bellissime, che non gli staccheresti mai gli occhi di dosso, che però alla prova dei fatti risultano degli emeriti cretini e spesso anche stronzi.
Tanto perché non abbiano a sorgere equivoci, io appartengo alla categoria dei belli dentro, e ho detto tutto!
Ora, l’uomo di Neanderthal il problema non se lo poneva, non perché fosse ancora al di sotto della razionalità, ma perché erano brutti per conto loro, uno peggio dell’altro, almeno a quanto possiamo pensare noi, perché magari ai loro occhi apparivano chissà che Veneri e Adoni; ma una volta arrivati all’homo sapiens, quando le fattezze si sono un po’ ammorbidite e loro hanno cominciato a ragionare, a guardarsi allo specchio, a confrontarsi, avranno certo iniziato a slumaree attorno e a dirsi: “Guarda quello!” o “Azzo, che figo!”. Ciò nonostante, non credo che avessero ancora affinato le loro capacità intellettive da inquadrare il problema nella sua complessità.
I primi ad avvertire chiaramente la contraddizione furono i Greci, che nel loro ottimismo elaborarono il concetto del “bello e virtuoso”, cioè che alla bellezza esteriore, di cui erano innamorati, corrispondesse una altrettale bellezza interiore. Col cavolo! basti pensare ad Alcibiade che, bellissimo d’aspetto, alla prova dei fatti si era rivelato un emerito stronzo, almeno stando alle malelingue del tempo.
Ad ogni modo, anche se nel corso dei secoli i belli dentro sono riusciti ad affermare il concetto che è più importante la bellezza interiore, il conflitto in realtà non è stato ancora risolto.
È preferibile essere belli dentro e cessi fuori o belli fuori e cessi dentro?
Da parte mia, posso dire che nonostante la vantata superiorità del bello dentro, chi se la passa meglio in realtà è proprio il bello fuori: quando cammina per strada, tutti si voltano a guardarlo, maschio o femmina che sia; viene sempre accolto con ogni riguardo e cortesia, lo si intrattiene volentieri, diventa un divo del cinema, un’icona televisiva ecc. ecc. E poco importa se quando apre la bocca risulta peggio della famosa cornacchia vestita con le penne del pavone, o dell’altrettanto famosa maschera senza cervello: in nome della sua bellezza, gli si perdona tutto. A parte gli invidiosi, che criticano loro pure la virgola messa male.
Prendiamo viceversa un bello dentro, o cesso fuori che dir si voglia: in primis, nessuno si gira a guardarlo per strada, se non forse per la curiosità; in secundis, dovunque vada viene accolto con freddezza o indifferenza, costretto a rimanere al suo posto e a rispettare rigorosamente la file. Per diventare un divo del cinema, deve rompersi il culo due volte tanto, specializzandosi il più delle volte in ruoli di macchietta o rassegnandosi a parti secondarie; mentre in televisione ci andrà solo per far risaltare la bellezza degli altri.
Mi si dirà: “Beh, ma Vincent Cassel non è certo un Adone!” E’ vero, non è un Adone, ma è anche terribilmente sexy: chi non si farebbe un giro turistico nelle sue mutande?
Ma c’è un altro fatto che esprime la superiorità dei belli fuori, e cioè che sempre, da che mondo è mondo, il bello dentro-cesso fuori ha cercato di modificare il suo aspetto esteriore, cercando il più possibile di avvicinarsi all’altro disprezzato modello: perché una cosa è certa i belli dentro odiano i belli fuori ma farebbero carte false per diventare come loro.
E carte false ne facciamo a bizzeffe: basta considerare quanti si sono rovinati la faccia e il resto con la chirurgia estetica, trasformandosi in maschere ridicole, spesso ancora più inguardabili di prima.
Ad ogni modo, una cosa è certa: ai belli dentro non gliene frega niente di essere tali e si venderebbero l’anima al diavolo per essere belli fuori. Il che ancora una volta ribadisce la verità del detto: importante non è essere, ma apparire.
***
Ma torniamo a me: io sono un bello dentro, come ho già detto, con l’inevitabile corollario che sono anche un cesso fuori. Ho cercato filosoficamente di accettare la cosa, consolandomi con la certezza di essere più intelligente del mio dirimpettaio, che quando esce sul balcone a torso nudo appanna la luce del sole. Però, se questa cazzo di Madre Natura mi avesse dato venti centimetri in più di altezza, trenta centimetri in meno di giro vita, una faccia più aggraziata e altre cosucce al posto giusto, adesso non starei qui a scrivere queste riflessioni, ma da qualche parte a succhiare gaudiosamente l’uccello di qualche bel giovanotto.
Sì, perché è inutile che vengano a dirmi: importante è essere belli dentro. Col cazzo! Il bello dentro non fa tirare l’uccello a nessuno! E se non gli fai tirare l’uccello, nessuno ti porta in camera da letto. Ergo, la chiave che apre tutte le porte è la bellezza esteriore, e provi qualcuno a dimostrarmi il contrario, se ne è capace.
Anni fa, c’era un cinema in città rinomato come luogo di facile rimorchio e mi capitava ogni tanto di farci una sortita: adocchiavo discretamente qualche belloccio, cercavo di stargli dietro quando entrava e poi, appena le luci si spegnevano, mi ci andavo a sedere vicino, sempre che altri non mi avessero già preceduto, e cominciava il gioco di mano “tocco io che tocchi tu”, finché uno dei due non apriva i pantaloni dell’altro e cominciava a lavorare di mano o di bocca… Io personalmente preferivo lavorare di bocca, a meno che non ci fossero impedimenti particolari, soprattutto olfattivi… cosa più frequente di quanto si creda.
Naturalmente, tutto doveva concludersi entro la fine del primo tempo, in modo da evitare brutte sorprese al fortunato fruitore dei miei servigi. Così, prima che sullo schermo comparisse il fatidico FINE DEL PRIMO TEMPO, novella Cenerentola, io mi ero già eclissato, celandomi nell’anonimo ammucchiamento dei cessi addossati alla parete in fondo alla sala.
Una volta, mentre ero lì, mimetizzato con la tappezzeria della parete di fondo, in attesa che cominciasse la proiezione, vedo entrare un giovanotto, che, credetemi, era la fine del mondo: uno di quelli che vedi posare sulle riviste, porno o meno, e sai per certo che nella realtà non esistono, perché sono frutto di sapienti modificazioni genetiche in laboratorio. Alto normale, volto maschio incorniciato da una meravigliosa zazzera castana, che si prolungava in un filo di barba fino al mento, fisico asciutto, fasciato sopra da una camicia sbottonata a metà petto, e sotto da un paio di jeans di tessuto sottile, che sembrava gli avessero cucito addosso. Detto così sembrerebbe il solito buzzurro di periferia, vestito a festa per l’occasione; in realtà aveva una sua eleganza innata, una raffinatezza per nulla leziosa o effeminata. Sapeva di essere bello e sapeva proporsi con discrezione e buon gusto
Appena lo scorsi, mi sentii rimescolare, mi prese un languore allo stomaco e mi tremarono le gambe, mentre lo seguivo con lo sguardo, beandomi con la visione voluttuosa del suo sedere. Senza nemmeno guardarsi attorno, si diresse all’ultima fila, che era ancora del tutto vuota e si sedette un paio di posti in dentro.
In quel momento si spensero le luci e iniziò la proiezione. Veloce, allora, mi mossi per raggiungerlo, quando mi accorsi di un’ombra più rapida di me, che si infilava ad un capo della fila e scivolava a sedergli accanto.
Gli mandai le più feroci maledizioni, mentre entravo all’altra estremità della fila e andavo a sedergli accanto, per nulla intenzionato a mollare la preda, per lo meno non dopo una lotta all’ultimo sangue.
Il ragazzo non batté ciglio: teneva gli occhi puntati sullo schermo e non sembrava essersi accorto di niente, o forse, da quel figlio di puttana che era, si stava divertendo alle nostre manovre e magari lo attirava anche la prospettiva di essere lavorato da due spasimanti.
Dopo un po’, mossi lentamente la gamba sinistra fino a sfiorare la sua destra: non notai reazioni, segno che forse era disponibile. Allora, passai alla fase B: gliela poggiai contro, esercitando una leggera pressione. Non si scostò: ok, ci stava. Al che, spudoratamente, gli feci scivolare la mano sulla coscia e presi a carezzarlo sempre più verso l’interno e sempre più in direzione della meta agognata. A raccontarlo così, sembra questione di attimi, in realtà furono perlustrazioni lentissime, che durarono decine di minuti.
Inutile dire le emozioni che provavo sfiorando quella coscia, di cui assorbivo il calore e la tensione muscolare; per non parlare dell’eccitazione: avevo il cazzo strozzato dentro i minislip, allora di moda; ma nulla valeva quel disagio di fronte al premio che mi si prospettava.
Sempre muovendo millimetricamente la mano, col mignolo arrivai a sfiorargli il pacco… Lui non reagì, se non sbottonandosi i jeans e tirandosi giù la zip. In quel momento, mi accorsi che il mio rivale stava muovendo la mano, che fino ad allora gli aveva palpeggiato la coscia; allora, fulmineo, mi girai a mezzo e gli infilai la destra nell’apertura dei jeans. Trasalii a sentire che ce l’aveva duro sotto le mutande, un arnese considerevole al tatto e caldissimo… Mi si seccò la bocca… E adesso? Quasi intuendo il mio dilemma, il ragazzo passò il braccio sopra la mia spalliera, lasciandomi libera la strada. Allora mi chinai, allargai le falde della patta e poggiai le labbra sulla protuberanza solida.
Emanava un caldo aroma di Pino Silvestre, misto al profumo naturale del suo
inguine leggermente sudato, una fragranza che mi fece impazzire. Allora, senza perdere ulteriore tempo, abbassai l’elastico degli slip, per fortuna non troppo stretto, e gli cavai fuori prima l’uccello turgido e poi l’intera borsa dei coglioni, lasciando il mio avversario con un palmo di naso.
Impugnandolo saldamente, onde evitare eventuali scippi, lo scappellai del tutto e mi ci calai con la bocca… Ah, che sapore delizioso quella cappella leggermente sbavata di freschi umori … lo slurpai come un cono gelato, serrando le labbra sotto la corona del glande e mulinandoci attorno la lingua, insistendo a picchiettarla sul filetto teso. Ci misi tutta la mia dedizione e fui premiato con un copiosa spurgata di sughetto.
Mi diedi allora da fare per succhiarlo nel migliore dei modi: mi sembrava giusto anche per ripagarlo del favore che mi stava facendo. Nel frattempo, con la coda dell’occhio, vidi il mio rivale che si era tirato fuori il cazzo e si stava masturbando. Peccato che non ci fosse spazio: avrei fatto volentieri un servizietto pure a lui!
Intanto, l’uccello del mio figazzo cominciava a incordarsi, le emissioni si facevano più frequenti e copiose… Capii che stava per godere!
Allora incrementai la mia azione, ansioso com’ero di ricevere il suo seme… quand’ecco il patatrac! l’odiato annuncio: FINE DEL PRIMO TEMPO.
Le luci cominciarono a riaccendersi, il ragazzo si rimise in fretta e furia il cazzo nei pantaloni, ma senza chiudere la zip, semplicemente posando le mani congiunte sull'apertura, con l’evidente intenzione di riprendere allo spegnimento delle luci. Anch’io mi tirai su, leccandomi le labbra.
Fu allora che lui si girò verso di me, con lo sguardo vacuo, per non far capire quanto fosse interessato; ma appena mi vide, la sua espressione si indurì: si tirò su la zip, si riabbottonò i jeans e si alzò, uscendo ostentatamente dalla parte del mio avversario, al quale trovò modo di strusciare il pacco quasi sulla faccia. Dopo di che, voltandosi, gli fece un impercettibile segno e quello si alzò, seguendolo chissà dove. Prima di andare, però, mi guardò e mi fece l’occhiolino, non so se in segno di sfottò o di commiserazione. Era anche lui un bello fuori e tra noi non poteva esserci competizione.
E io? E cosa volete che facessi? Accettai filosoficamente la sconfitta e me ne rimasi al mio posto, aspettando l’inizio del secondo tempo.
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