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Gay & Bisex

Mousse al cioccolato - 1


di adad
18.03.2019    |    14.072    |    8 9.0
"Dopo un momento, lui dischiuse le labbra… Tirai fuori il cucchiaio vuoto dalla sua bocca, avrei voluto leccarlo tutto per sentire il sapore della sua saliva,..."
“Il signore desidera altro?”
La voce morbida del cameriere mi riscosse dai miei pensieri. Sollevai la testa a guardarlo e ancora una volta mi persi nei suoi occhi.
Era un morettino sui vent’anni, un metro e settanta circa, fisico aggraziato, labbra morbide e sempre sorridenti in un volto armonioso, e gli occhi… ardenti, vivaci… due punte di freccia che ti trapassavano l’anima.
“Un dessert?”, continuò, fissandomi con un sorriso, mentre si chinava sulla tavola per raccogliere i piatti e le posate da portar via.
“Cosa avete… di buono?”, chiesi con voce, sperai, normale, mentre pensavo a tutt’altro.
“Abbiamo…”, e qui snocciolò un elenco, al termine del quale rimase in attesa.
Non ricordavo neanche una parola di quanto aveva detto.
“Lei cosa mi consiglia?”, feci, allora, più che altro per cavarmi d’impaccio.
“Beh, io le consiglierei la mousse al cioccolato, è la nostra specialità.”
“Bianco?...”, chiesi stolidamente, fissando il suo inguine pieno, di cui mi sembrava quasi di avvertire il caldo sentore dolciastro.
“Prego?”
“No, mi scusi, stavo pensando ad altro… La mousse al cioccolato dev’essere squisita… sì, vada per la mousse.”
Il ragazzo si allontanò con i piatti sporchi e io rimasi a fissare il suo culetto tondo, modellato dal tessuto nero dei pantaloni. Cazzo, come avrei voluto farmi strada con la lingua fra quelle chiappe carnose e banchettare col suo tenero buchetto!...
Mi sentii nuovamente formicolare i coglioni a quei pensieri peccaminosi e cercai di riprendere il controllo. Mi trovavo in quell’albergo da un paio di giorni e fin dal primo momento che si era avvicinata al mio tavolo, quella splendida creatura aveva scombussolato tutto il mio equilibrio ormonale… e non solo quello!
Era la quintessenza ideale del maschietto da amare… del maschietto dei miei sogni! Cosa non avrei dato per poterlo spogliare, ammirare nudo… stringerlo fra le braccia… sentire il calore della sua pelle, l’odore del suo cazzo… Me lo figuravo, il suo pisello , raggomitolato molle nelle mutande… Mi sembrava quasi di sentire il tepore promanante da quel nido umido e fragrante.
In certi momenti, mi sarebbe piaciuto avere una vista a raggi x, come Superman, per poter sbirciare sotto quegli abiti, mentre si aggirava per la sala. La sua sola presenza mi straziava di desiderio e mi beava di appagamento… Croce e delizia…
“La sua mousse, signore.”, disse il ragazzo, poggiandomi davanti la coppetta colma di crema spumosa.
“Grazie”
“Spero che le piaccia.”
“Mi piacerà senz’altro… è squisita solo a guardarla!”, risposi, guardandolo negli occhi.
Lui arrossì un poco e si allontanò: doveva avermi letto nell’anima! La mousse, comunque, era davvero squisita: una di quelle cose che non sai mai se divorare in un attimo a quattro palmenti, o centellinare a minuscoli bocconi per farne durare il piacere più a lungo possibile.
Avevo finito da poco, quando il cameriere tornò.
“Andava bene?”, mi chiese.
“Era fantastica…”, mormorai, leccando con infantile golosità uno sbavo rimasto sul dorso del cucchiaio, prima di deporlo nella coppetta.
Fu un gesto istintivo, giuro, senza alcuna intenzionalità, ma lui arrossì decisamente, mentre mi sorrideva con aria soddisfatta.
Dio, quant’era bello!... No, non era bello soltanto: era affascinante, seducente… terribilmente sensuale! Presi il caffè, firmai il conto e uscii a fare due passi, per schiarirmi un po’ le idee alla fresca aria autunnale.
Mi piaceva quel posto, ci venivo in vacanza da anni e sempre fuori stagione, quando passata la ressa estiva dei turisti, l’aria sembra diventare più pulita, il cielo più limpido, i fiori nei giardini più profumati. Se la vacanza serve a riposare il corpo e a ritemprare lo spirito, o viceversa, credo che sia proprio questo il momento migliore.
Ero arrivato un paio di giorni prima, nel mio solito albergo, che a quanto pare aveva apportato notevoli modifiche al personale, tutto giovane e con qualche piacevole eccezione all’imperante predominio femminile nel settore. Solo piacevole? Beh, nel caso specifico, direi decisamente qualcosa in più.
La prima volta che avevo visto quel cameriere avvicinarsi al mio tavolo, il giorno prima, col suo sorriso cordiale e il blocchetto delle ordinazioni, non riuscivo a credere ai miei occhi. Non sapevo dove guardare: se al suo volto così affascinante, o alle sue gambe guizzanti, o al suo inguine pieno… Giuro che non so cosa ordinai e cosa mangiai, tanto la mia mente era confusa…
Cazzo, se mi piaceva! Ogni volta che mi veniva vicino, respiravo profondamente e mi sembrava di percepire il suo odore, caldo e sensuale, mi sembrava di essere come avvolto da un’aura magnetica che sprigionava dal suo corpo, dal suo stesso essere.
Continuai la mia passeggiata, arrivai sulla riva del lago, vidi una panchina libera e mi sedetti, appoggiandomi con la schiena alla spalliera e beandomi, ad occhi chiusi, del grato tepore del sole ottobrino.
Non vedevo l’ora che arrivasse la sera per rivederlo a cena e riprovare le calde sensazioni che la sua vicinanza mi procurava. Mi sentii un formicolio sotto la pelle, a quel pensiero, e il cazzo muovermisi nelle mutande. Aprii gli occhi e mi guardai attorno: non c’era nessuno nelle vicinanze, così mi abbandonai alle fantasie lascive che mi frullavano nella mente, e lasciai che l’uccello mi si dispiegasse nel pieno del suo turgore, ancor più eccitato dalla consapevolezza del luogo pubblico in cui mi trovavo….
Se qualcuno dice che non sono un porco, beh, si sbaglia di grosso! Mi abbandonai sulla spalliera della panchina e chiusi gli occhi e mi lasciai avvolgere da un grato tepore sonnolento, mentre con gli occhi della mente tornavo a ripensare le curve piene di quelle voluttuose chiappotte, la cucitura che si infossava profondamente nello spacco, esaltandone la provocante rotondità…
Fu lo scalpiccio nella ghiaia del vialetto a riscuotermi e il chiacchierio di gente che si avvicinava. Istintivamente, mi portai le mani in grembo per nascondere il gonfiore dell’erezione, e quando il rumore fu alla mia altezza, socchiusi gli occhi a guardare: era una coppietta di fidanzati, giovani entrambi, lui carino, lei meno.
Lui le aveva passato il braccio destro sulla spalla, lei gli aveva infilato la mano sinistra nella tasca posteriore dei jeans… Chiacchieravano e ridevano, presi nel loro mondo;
passarono oltre, senza degnarmi d’uno sguardo.
Richiusi gli occhi per riprendere le mie fantasie, ma ormai la magia si era dissolta e anche la mia erezione si era sgonfiata, lasciandomi soltanto una sensazione di bagnaticcio nelle mutande; così, ripresi la mia passeggiata lungo il lago e poi tornai in albergo, aspettando con ansia l’ora della cena.
Ma la cena fu una tragica delusione! Carico di aspettative, mi accomodai al mio tavolo e consultai il menù. Mi concentrai a leggere ogni particolare della lista, per evitare di guardarmi attorno e rendere ancora più emozionante il suo arrivo a ‘sorpresa’. Volevo godermi ogni istante di quell’attesa, che diventava di momento in momento più spasmodica.
“Buonasera, signore.”
A sentire quella voce, sbarrai gli occhi e sollevai la testa di scatto, fissando sconvolto il volto della ragazza in piedi al mio fianco.
“Oh, mi scusi… - balbettai alla fine – ero concentrato nei miei pensieri… mi scusi…”
“Si figuri…”, sorrise lei e raccolse la mia ordinazione.
Ma dov’era finito lui? Mi guardai attorno, col cuore che mi era diventato un blocco di ghiaccio, e finalmente lo vidi: diversi tavoli più in là, che serviva la cena a una coppia di vecchi barbogi.
Ma perché? Ero io che avevo bisogno di lui… della sua voce, del suo sorriso, delle suggestioni che la sua vicinanza mi suggeriva. Come richiamato dal mio sguardo, il ragazzo girò la testa, mi vide, mi fissò… sollevò leggermente le spalle, come a dire mi dispiace, poi tornò alle sue occupazioni.
Mangiai di malavoglia, il cibo era insipido, il vino acquoso, la frutta acida…
Lo cercai ancora diverse volte con lo sguardo e diverse volte i nostri occhi si incontrarono e almeno una fui certo che m’avesse sorriso; ma non bastò a rendere meno penoso quello strazio, così finii in fretta la cena e me ne andai in camera a rimuginare il mio disappunto.
Non era freddo quella sera, per cui mi spogliai in maglietta e mutande, e accesi il televisore. Mi imposi di non pensare a lui, di non pensare a niente…

D’un tratto, sentii un leggero bussare alla porta. Guardai l’orologio: erano appena passate le dieci. Ancora dei colpetti leggeri.
“Avanti”, dissi, alzandomi dal divano su cui ero sdraiato.
La porta si aprì e lui fece timidamente un passo avanti.
“Oh, mi scusi… - si bloccò, vedendomi in mutande – non volevo disturbarla…”
Maledizione!
“Ma no, no… - dissi, afferrando l’accappatoio, che per fortuna era gettato su una sedia lì accanto – Non disturbi affatto, vieni.”
Mi infilai in fretta l’accappatoio e gli andai incontro. Lui chiuse la porta e fu allora che mi accorsi del pacchetto che aveva in mano.
“Era rimasta un po’ di mousse… - disse, porgendomelo – Visto che oggi le è piaciuta così
tanto… ho pensato…”
“Hai pensato di portarmela?”, esclamai.
“Spero che non si offenda, signore…”
“Offendermi? No… no… anzi, sei stato molto carino…”, mormorai, combattuto fra la tenerezza e l’eccitazione.
“Beh, veramente, non è che sia proprio avanzata… Ecco, l’avevo messa via per lei e…”
“Sei un tesoro! – dissi con convinzione – Posso sapere come ti chiami?”
“Franco”
“Bene, Franco, - feci, prendendogli la mano e stringendola fra le mie – io sono Riccardo e ti prego di darmi del tu.”
“Non posso, signore, - si schermì lui – lei è un cliente dell’albergo…”
“Sei in servizio adesso?”
“Adesso no…”
“Bene, allora adesso non sono un cliente dell’albergo per te… - gli dissi con dolcezza,
fissandolo negli occhi – Sono solo il tuo amico Riccardo, ok?”
Lui rimase un momento in silenzio, le belle labbra socchiuse. Era un ragionamento un po’ stiracchiato, me ne rendo conto, ma alla fine decise di accettarlo.
“Ok”, bisbigliò con un filo di voce.
Sentivo che era teso. Probabilmente, aveva agito d’impulso e adesso non sapeva più come regolarsi. Dovevo assolutamente prendere in mano la situazione.
“Vieni, accomodati.”, gli dissi.
“Ecco…”, fece lui, muovendosi impacciato.
“Hai forse qualche impegno?”, chiesi preoccupato.
“Beh, no… è che non voglio disturbar…ti.”
“Ma cosa dici? Vieni accomodati. – e quasi lo spinsi a sedere sul divano – Vediamo questa meraviglia. – e aprii il pacchetto – Wow! E hai portato pure il cucchiaio!”
“Beh, non sapevo se in camera ce l’avev…i.”
Faceva ancora fatica a darmi del tu.
“E infatti, non ce l’ho!”
Presi una cucchiaiata di morbida crema spumosa.
“Mi aiuti a mangiarla, vero?”, dissi, avvicinandogli il cucchiaio alle labbra.
“Grazie, ma…”, cercò di tirarsi indietro.
“Per favore, - mormorai – mi offendo, se no!”
Gli accostai il cucchiaio alla bocca, fissandolo con un sorriso. Dopo un momento, lui dischiuse le labbra… Tirai fuori il cucchiaio vuoto dalla sua bocca, avrei voluto leccarlo tutto per sentire il sapore della sua saliva, ma riuscii a trattenermi. Presi una cucchiaiata di mousse e me la portai alla bocca.
“Mmmm… - mugolai estasiato – fantastica!”
Franco arrossì, mentre un sorriso imbarazzato gli schiudeva le labbra. Il cucchiaio successivo era per lui. Feci per accostarglielo alla bocca, ma lui tirò indietro la testa.
“Ti fa schifo?”, gli chiesi?
“No… - rispose a disagio – ma l’avevo portata per te…”
“E io voglio dividerla con te… per favore… - quasi lo implorai – E’ più buona, se la mangiamo insieme.”
Non so se furono le mie parole o cosa, sta di fatto che ogni imbarazzo parve scomparire da lui, un sorriso radioso gli illuminò il volto e, presami la mano, si guidò lui stesso il cucchiaio alla bocca. Fissandomi intensamente, prese metà della mousse, quindi mi guidò la mano verso la mia bocca con l’altra metà!
I nostri occhi non si erano staccati un istante, né si staccarono, mentre ingoiavo il resto della mousse e leccavo poi con avida bramosia il cucchiaio, che lui continuava a tenermi accostato alle labbra. Quando infine mi lasciò la mano, deposi a tentoni la coppetta ancora mezza piena sul tavolo vicino, lasciai cadere il cucchiaio da qualche parte e allungai la destra, sfiorandogli la guancia.
“Franco…”, sospirai.
Ma, inaspettatamente, ci fu qualcosa. Forse era la sua prima volta e all’improvviso dovette accorgersi di essersi lasciato coinvolgere in un gioco che non conosceva e che ora,
tutto d’un tratto, lo spaventava.
Appena gli sfiorai la guancia con la punta delle dita, lui sbarrò gli occhi e con un gemito balzò in piedi, quasi si fosse svegliato da un brutto sogno, volgendosi verso la porta per scappare. Feci appena in tempo ad afferrarlo per una mano.
“No, ti prego, non andartene…”, lo implorai.
Lui si bloccò. Non si voltò verso di me, ma nemmeno cercò di liberarsi.
“Per favore… - continuai – rimani… non voglio farti del male… per favore…”
Io ero tuttora seduto sul divano. Piano piano, riuscii a tirare Franco verso di me e lo abbracciai forte in vita. Tremava come una foglia.


(continua)
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