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Cuori nella tormenta - 1


di adad
08.09.2022    |    6.770    |    6 9.9
"“Se non troviamo un ricovero siamo perduti…”, disse Fosco, alzando la voce per farsi sentire al di sopra del vento, che aveva cominciato a soffiare e..."
Il cielo cominciava appena a schiarirsi all’orizzonte, cristallino nel gelo delle ultime ore della notte. La stazione di posta lungo l’antica strada romana cominciava ad animarsi: i servi avevano acceso i lumi nella grande sala, i fuochi ardevano nelle cucine e dalle padelle si alzava il profumo invitante delle frittelle impastate col miele, che uno sguattero faceva rotolare nello strutto sfrigolante, prima di toglierle con la schiumarola e deporle fumanti in un vassoio.
Gli avventori, che si erano fermati per la notte, già cominciavano ad alzarsi dai pagliericci pulciosi. Qualcuno si soffermava a spruzzarsi gli occhi con l’acqua degli abbeveratoi, ma i più si affrettavano verso le latrine, prima che si formasse la coda o che l’uso le rendesse impraticabili.
Cosa che avvenne al giovane Romualdo, che non riuscendo a reggere il fetore che lo investì nel mettere piede sulla soglia della baracca, spinto dall’urgenza, preferì raggiungere il limitare del vicino bosco e accosciarsi dietro un cespuglio scheletrico. Ma non fece in tempo a mandare un sospiro di sollievo, che, alzando gli occhi, intravvide poco lontano una massa scura che si muoveva tra i primi alberi. Il cuore perse un battito, temendo che si trattasse di un lupo… allora, raccolse in fretta una manciata d’erba seccata dal gelo, si pulì alla meglio e corse difilato a rifugiarsi nella locanda, appoggiandosi ansimante con le spalle alla porta che aveva richiuso con impeto.
“Cosa vi succede? – gli chiese un giovane con un elegante, quanto caldo, vestito da viaggio – Sembra che abbiate visto il demonio.”
“Quasi, - fece Romualdo, scuotendo la testa – ho idea che fosse un lupo.”
“Un lupo? Qui?”, fece il giovane, allarmato.
“E’ possibile, - si intromise un altro – col freddo scendono a valle e sono pericolosi… Vi è andata bene, sapete?”
“Beh, non sono certo che fosse un lupo… - precisò Romualdo, che aveva ripreso un po’ di colore – ho visto una massa scura fra gli alberi e sono scappato via.”
“Venite, sedetevi, - gli disse allora il primo, indicandogli il posto libero di fronte a lui – mangiate qualcosa.”, e avvicinò il vassoio con le frittelle ancora calde.
Romualdo si sedette e mentre addentava una frittella fragrante, un servo gli versò un boccale di vino fumante, da cui emanava un gradevolissimo profumo. Incuriosito, Romualdo ne bevve un sorso, facendo schioccare la lingua.
“Buono! – disse – Cos’è?”
“Vino bollito con miele e spezie, - rispose il servo compiaciuto – secondo mastro Olindo, il padrone, è ottimo per affrontare il freddo durante il viaggio.”
“Lo spero davvero.”
“Dove siete diretto?”, gli chiese il giovane dirimpetto.
“A Nonantola… al di là del passo.”
“Sono diretto anch’io al di là del passo. Se non avete nulla in contrario, potremmo proseguire la strada assieme.”
“Volentieri. Si viaggia meglio in due: si conversa e ci si difende dai lupi e dai briganti. Mi chiamo Romualdo.”
“Io sono Fosco.”, rispose l’altro e gli tese la mano.
Poco dopo, recuperati i cavalli, i due partirono, intabarrati nei loro pesanti mantelli, che poco valevano, a dire il vero, ad addolcire il gelo ancora pungente del primo mattino. L’unico calore gli veniva trasmesso dai cavalli, dalle cui froge sembravano sprigionarsi vere nuvole di vapore. Parlarono poco, in questo primo tratto del loro cammino, impegnati soprattutto a battere i denti; ma quando il sole si alzò alto nel cielo, il freddo che li attanagliava sembrò dissiparsi e i due presero a scambiarsi qualche parola, le solite cose banali fra due sconosciuti che sondano il terreno alla ricerca di interessi comuni su cui intrattenersi.
“Siete sposato?”, chiese Fosco ad un certo punto.
“No, davvero!”, esclamò Romualdo con aria divertita.
“Avete ragione. – rise Fosco – Meglio godersi la vita, finché si è giovani.”
“E voi?”
“Non ancora…”
“Non ancora?”
“Sto andando a raggiungere la mia promessa…”
“Non mi sembrate molto felice.”, osservò Romualdo.
“Accordi familiari… - rispose laconicamente l’altro – un impegno a cui non posso sottrarmi.”
Intanto, la strada, che da un pezzo aveva iniziato a inerpicarsi verso il valico, si era fatta sempre più sconnessa, tanto da ridursi a poco più di una mulattiera, che rendeva malagevole il passo dei cavalli. Il che, oltre a rallentarli notevolmente, allontanava sempre più la speranza di arrivare in cima prima del tramonto e trovare ospitalità in qualche rifugio.
A peggiorare le cose, era da poco passato mezzogiorno, quando una nebbiolina umida e fredda cominciò ad addensarsi attorno a loro, trasformandosi presto in una caligine densa, che spingeva la visibilità poco oltre il muso dei cavalli.
Per un po’ proseguirono in silenzio, ma quando cominciarono a cadere i primi fiocchi di neve, i due si guardarono sbigottiti e cercarono di spronare i cavalli: a nulla valse, però, perché la nevicata andò sempre più infittendosi, al punto che preferirono smontare e proseguire a piedi, conducendo i cavalli per la briglia.
“Se non troviamo un ricovero siamo perduti…”, disse Fosco, alzando la voce per farsi sentire al di sopra del vento, che aveva cominciato a soffiare e minacciava di trasformarsi in una tormenta.
Cercavano di ripararsi, stando più accosto possibile ai cavalli, ma la neve turbinava attorno a loro, infradiciandoli e togliendo loro la visibilità.
“E pensare che stamattina c’era il sole!”, disse Romualdo.
“Già, ma succede spesso in montagna, soprattutto da questa parte, che è rivolta verso il mare di Toscana… Si parte con il sole e si arriva con la pioggia o con la neve… Quando si arriva.”
“Ehi, guardate là!”, urlò Romualdo.
La strada si era aperta in un vasto pianoro, al centro del quale, grazie ad un momentaneo attenuarsi della nevicata, si intravvedeva una costruzione, o almeno così sembrava nel crepuscolo che ormai stava calando.
“Cosa?”
“Là”, ripeté Romualdo, continuando a indicare in lontananza.
“Sembrerebbe una casa.”
“Qualunque cosa sia, sono muri che stanno in piedi… andiamo a chiedere aiuto.”
Muovendosi cauti, attenti a non mettere un piede in fallo, i due lasciarono la strada e si inoltrarono speranzosi nella distesa di neve. Ma quando giunsero, trovarono solo un rudere abbandonato da chissà quanto tempo.
Era una capanna abbastanza ampia con i muri di pietra e divisa in due ambienti, forse l’antica abitazione di qualche famiglia di contadini: del primo locale restavano in piedi solo le mura smozzicate dal tempo e dalle intemperie; nel secondo invece il tetto pendeva sbilenco, ma alcune travi non ancora sconnesse sembravano tenerlo ancora su.
Fu lì che trovarono riparo. Liberarono i cavalli dalle selle e dagli altri bagagli, li asciugarono e ne assicurarono le redini ad uno spuntone di palo che fuoriusciva da un muro. Poi si ritirarono nell’angolo che mostrava di essere il più asciutto.
Ma i vestiti bagnati cominciarono presto a gelarglisi addosso.
“Dobbiamo accendere un fuoco…”, disse Fosco, rovistando nella sacca da viaggio e tirandone fuori un acciarino.
Allora raccolsero delle pagliuzze sparse per il pavimento e alcuni sterpi, cannucce e frammenti di legno caduti dal tetto, e riuscirono ad accendere un focherello che se faceva poca luce, faceva ancor meno calore.
“Sarà meglio toglierci questa roba di dosso e farla asciugare…”, fece Fosco, battendo i denti.
“Sì, ma… se non congeliamo in un modo… congeliamo in un altro…”, constatò mestamente Romualdo.
“Aspettate!”, disse Fosco.
Andò ai bagagli, recuperò due coperte di lana e ne allungò una al compagno.
“Era per il cavallo, se avessi dovuto dormire all’aperto, ma ne abbiamo più bisogno noi, adesso.”
Cercarono un altro po’ di legna, recuperandone dalle macerie dell’altra stanza: era bagnata, ma tenendola vicino al fuoco magari si sarebbe asciugata abbastanza da ardere. Dandosi poi le spalle, per una questione di decenza, si spogliarono, si avvolsero ognuno nella propria coperta e stesero i vestiti sul pavimento asciutto, sperando che entro mattina si asciugassero. Mangiato, quindi, un po’ di pane con del formaggio, che si erano portati dietro per il viaggio, i due giovani si rannicchiarono contro un muro, sperando se non di dormire, almeno che passasse presto la notte.
Ma le coperte erano un ben misero riparo contro il freddo che si faceva sempre più pungente.
“Dormite, Fosco?”, chiese ad un tratto Romualdo, controllando a stento il battito dei denti.
“N…o… - gemette l’altro – no…n s…so se do…m…ani sa…r…em…o a…nc…o…ra
vi…vi.”
“Avete ragione… da soli non possiamo farcela…”
“C…osa sug…ge…rit…e… Non abb…ia…mo…”
“Da soli no.”, lo interruppe Romualdo.
“C…he i..int…end…ete…”
“Ho sentito, che i popoli del nord, in situazioni come questa, si avvolgono in coppia in una pelle d’orso e si scaldano l’uno con l’altro.”
“No…i n…on a…bb…ia…mo u…na pel…le d’…or…so.”
“Ma abbiamo due coperte: se le mettiamo assieme, ci scalderanno meglio.”
“Tu…tti e due?”
“Sì”
“M…a sia…mo nud…i.”
“Così ci scaldiamo l’uno con l’altro… Io scaldo voi e voi scaldate me.”
“N…on sa…p…rei…”
“Oh, al diavolo, Fosco, volete morire congelato?”
E saltò in piedi, si tolse la coperta dalle spalle, strappò a Fosco la sua, le mise a doppio e, tirato l’altro a sé, le avvolse attorno ad entrambi, tornando a sdraiarsi per terra: il tutto in un battibaleno, per non restarci secchi, anche perché il focherello era ormai agli sgoccioli.
Il contatto dei corpi nudi per un po’ li mise a disagio, soprattutto a livello del basso ventre… ma la coperta al doppio e lo scambio di calore cominciò presto a funzionare e Fosco smise di battere i denti, cominciando a rilassare i muscoli contratti.
“Abbracciatemi, Fosco, stringetevi a me.”, disse Romualdo, facendo altrettanto.
“Sembriamo due amanti…”, ridacchiò Fosco.
“L’amore riscalda e mantiene vivi. – scherzò Romualdo – qualsiasi poeta lo sa.”
Stettero così, avvinti l’uno all’altro, godendosi il piacevole tepore.
“Ehi, cosa sta succedendo?”, esclamò Fosco d’un tratto, sentendo qualcosa strisciargli lungo la coscia.
“L’avete detto voi che sembriamo due amanti, - scherzò Romualdo – e fra due amanti certe cose succedono per conto loro.”
“Beh, noi non siamo amanti e tenete a posto il vostro affare!”
“Allora anche voi tenete a posto il vostro, che a momenti mi buca la pancia…”
“Cosa?”, e districato a fatica un braccio, Fosco riuscì a infilare la mano fra i loro addomi pressati, trovandosi l’uccello inequivocabilmente turgido. Avvampò.
“Perdonate…”, mormorò, quanto mai mortificato.
“Oh, non fateci caso: sono cose che succedono al di fuori della nostra volontà. Importante è che il sistema funzioni. La schiena, però, rimane un po’ esposta…”, notò Romualdo.
“Avete ragione… forse dobbiamo fare come sulla graticola, che ne dite? Aspettate.”, e muovendosi sinuosamente, riuscì piano piano a rigirarsi fino a trovarsi con la schiena incollata al petto di Romualdo… e col sedere incollato al suo basso ventre.
“Oh, che caldo che siete…”, sospirò Fosco, mentre Romualdo gli passava attorno le braccia, stringendolo a sé ancora di più.
Ora, siamo onesti è possibile che un cazzo, per quanto etero, rimanga indifferente, ritrovandosi a stretto contatto con un culo sodo, sia pure altrettanto etero? Qualcuno crede che gli interessi veramente l’orientamento sessuale del suo proprietario? Il cazzo di un giovane sano vive di vita propria, ragiona tutto a modo suo… E Romualdo era un giovane molto sano… Sentendosi premere contro quelle sode rotondità, Romualdo cominciò sentirsi la testa confusa, sue mani cominciarono lentamente a muoversi sul petto glabro del compagno di viaggio… ne avvolsero i pettorali… stimolarono col pollice e l’indice i grossi tettini… Fosco fremette e involontariamente si premette contro Romualdo ancora di più. Nella confusione che gli ottundeva la mente, Romualdo se ne sentì vieppiù infervorato e, mentre il suo cazzo palpitava, scolando qualche goccia di siero sui reni di Fosco, le sue mani presero a scendere, di carezza in carezza, fino all’addome e oltre, arrivando con una mano a sfiorargli lo scroto peloso e con l’altra a carezzargli il paletto ormai incandescente.
“Co… cosa state facendo?”, riuscì alla fine a spiccicare Fosco.
“Non lo so… . rispose sinceramente Romualdo, in uno sprazzo di lucidità – sto cercando di scaldarvi…”, e impugnato il cazzo teso del compagno, cominciò a muovere lentamente la mano su e giù.

(continua)
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