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Non si ricorda di me?


di adad
06.07.2021    |    10.761    |    8 8.8
"No, ti ho creato io, non puoi farmi questo! Ma già la mente mi si offuscava… Era il mio padrone e… cazzo! se mi piaceva! Sentirmi conquistato…..."
Ero immerso nei miei pensieri, estraniato dal tamburellare della pioggia sulla tettoia di lamiera dell’ingresso. Era stata una giornata abbastanza noiosa e snervante, e francamente non vedevo l’ora che fosse notte, per andarmene a letto non appena sarebbe stato decente. Avevo cazzeggiato sul computer, messaggiando un po’ con questo, un po’ con quello, ma senza alcun costrutto, tanto per far passare il tempo.
Fu il suono del campanello a riscuotermi. Intendo il campanello della porta, non quello del portone dabbasso. Pensando allora che fosse uno dei condomini, che avesse bisogno di qualcosa, mi alzai e andai ad aprire. Non era uno dei condomini, per lo meno non uno che avessi mai visto: era giovane, sui trenta anni. Alto forse uno e ottanta, ben messo fisicamente, con un bel volto maschio, la cui virilità era sottolineata dal taglio corto, quasi militaresco dei capelli castani e dal pizzetto che gli contornava due magnifiche labbra sensuali.
Insomma, da una prima scansione, che gli feci all’istante, risultava decisamente attraente. In un contesto diverso, avrei detto che il ragazzo si era agghindato apposta per l’occasione. Ma quale occasione poteva esserci con, o per, una vecchia ciabatta come me?
Dopo qualche istante di ammirato silenzio:
“Prego?”, gli chiesi, pregando mentalmente che non fosse un qualche rappresentante di religioni o di commercio.
Lui mi fissò con un largo sorriso.
“Buongiorno, il signor Adad, giusto?…” mi salutò.
“Buongiorno… - risposi automaticamente – Desidera qualcosa?”
Il sorriso gli si accentuò.
“Non si ricorda di me?”
Scossi la testa. Non poteva essere qualcuno che mi ero portato a letto… maschi del genere non me ne erano mai capitati a memoria d’uomo.
“Mi spiace… - balbettai – ma davvero non…”, e cominciai a sospettare che fosse tutto un imbroglio.
Infatti giusto quella mattina avevo letto di persone che ti si facevano incontro tutte sorridenti e ti ubriacavano di chiacchiere, finché non eri abbastanza confuso da rifilarti una fregatura. Cominciai a tirarmi indietro e a chiudere la porta.
“Sono Mister…”, fece lui tutto d’un fiato.
“Mister?...”, e scossi nuovamente la testa.
“Non si ricorda? Mi ha usato anni fa per un suo racconto…”
“Senta, con tutti quelli che ho scritto…”
“Mi assegnò il ruolo di un giovane autoritario, che rimorchia un tale al parco e si fa leccare… sì, si fa leccare… il culo fino a venire.”
Qualcosa cominciò a tornarmi in mente.
“Mister… ma sì… certo… Adesso mi ricordo di lei… Mister… fu molto bravo nel suo ruolo, sa? Il racconto ebbe un discreto successo.”
“Speravo che mi chiamasse ancora… sa, mi era piaciuto lavorare con lei… o per lei, non saprei come dire, mi scusi.”
“Davvero?”, dissi io con un sorriso, tirandomi indietro e facendogli capire così di accomodarsi, cosa che lui fece, mentre richiudevo la porta.
Gli feci strada verso il salotto. La pioggia continuava a scrosciare oltre i vetri socchiusi.
“Davvero, le è piaciuto lavorare in un mio racconto?”, ripresi il discorso, facendogli cenno di accomodarsi.
Si sedette sul divano di fronte alla mia poltrona. I jeans stretti gli facevano un rigonfio di notevole livello alla congiunzione delle cosce.
“Si è bagnato un po’.” dissi, alludendo alle gambe fradicie fino ai ginocchi.
Lui fece spallucce e si sprimacciò il pacco.
“Quando sono uscito per venire da lei, c’era ancora il sole. Per fortuna il temporale mi ha colto qui vicino.”
“Le suggerirei di togliersi i jeans per farli asciugare, ma non vorrei che pensasse male…”
“Beh, mi asciugherei volentieri i piedi, se fosse possibile.”, disse lui.
“Si tolga le scarpe, - feci io – le prendo un asciugamano… anzi un asciugapiedi!”, ridacchiai.
Sorrise anche lui alla mia cretinata e cominciò a slacciarsi i le scarpe. Quando tornai dal bagno, si era tolto anche i calzini.
“Tenga.” feci, dandogli il telo di spugna, e mentre lui si asciugava, presi i calzini e li portai in bagno, dove li strizzai bene e li appesi da qualche parte.
“Grazie, - fece lui – è molto gentile. Mi dispiace disturbarla tanto.”
“Per carità… nessun disturbo… E’ stato un mio personaggio… siamo un po’ di famiglia, non trova?”
Tornai a sedermi nella mia poltrona e non volendo mi trovai a fissare i suoi piedi nudi, poggiati sull’asciugamano, che aveva steso a terra, evidentemente per non rovinarmi il tappeto, ovviamente persiano. Che posso dire? io non sono un feticista dei piedi, parliamoci chiaro, ma quei due piedi slanciati, così elegantemente arcuati, confesso che mi procurarono un certo turbamento interiore.
“Che magnifici piedi…”, mi lasciai sfuggire.
“Grazie. – fece lui – non sapevo che fosse feticista: nei suoi racconti non ne accenna mai.”
“Non mi dirà che legge i miei racconti… “, esclamai, fingendo stupore, nel tentativo di nascondere il mio compiacimento.
“Da quella volta che ho lavorato con lei, ho seguito tutte le sue uscite. Diciamo che sono diventato un suo appassionato lettore. Per questo mi sarebbe piaciuto…”
Sorrisi, fissando il suo bel volto maschio: mi sbagliavo o c’era una certa
intenzionalità nei suoi occhi? No, impossibile… Va bene che certe persone sono
disposte a tutto pur di arrivare a essere famose, ma che fama potevo dare io?
Abbassai gli occhi confuso, tornando a fissare i suoi piedi. Percepii che qualcosa stava cambiando nel nostro rapporto…
“Le piacciono?”, fece lui, sollevandone uno verso di me.
Intendo dire… che diavolo, io ero lo scrittore, lui il postulante venuto a chiedermi un ruolo…
La poltrona e il divano erano abbastanza vicini, per cui gli bastò allungarsi un poco per poggiarmelo sul ginocchio.
Non resistetti alla tentazione di prenderlo fra le mani e carezzarlo. Era asciutto adesso, e tiepido, piacevole al tocco. Non avevo mai carezzato un piede… a parte i miei, ovviamente, e lo trovai stranamente gradevole, soprattutto il contrasto fra la levigatezza del dorso e il morbido ruvidore della pianta.
“Davvero bello…”, mormorai.
“Bacialo!”, disse lui con voce ferma.
Lo fissai incredulo: era impazzito?
“Bacialo!”, ripeté.
La sua voce decisa, stentorea, non ammetteva repliche e io mi chinai a poggiare le labbra sulla punta dell’alluce… la punta dell’alluce, che fremette, guizzò come un piccolo cazzo e mi scivolò in bocca. “Ma che sto facendo?”, pensai in un barlume di lucidità, ma fu solo un istante, perché subito dopo mi ritrovai con le mani strette alla sua caviglia e la lingua che mulinava attorno a quel grosso alluce.
Fu allora che cominciai a sentire la sua aura, la sua forza interiore che si effondeva sopra di me, attorno a me… dentro di me. Il suo magnetismo prese ad avvolgermi, il suo erotismo a dominarmi. No, ti ho creato io, non puoi farmi questo! Ma già la mente mi si offuscava… Era il mio padrone e… cazzo! se mi piaceva! Sentirmi conquistato… All’improvviso non ebbi altro desiderio che assecondare i suoi. Era il mio maschio e io… io la sua puttana! E così continuai a baciare il suo piede, e a leccarlo a tutta lingua, senza neanche aspettare che me lo comandasse lui: era implicito che lo facessi, perché quello era il mio ruolo… il suo leccapiedi!... una lingua al suo servizio.
Poi Mister mi sottrasse il piede e si alzò, sovrastandomi. Sollevai la testa a guardarlo, mentre si sbottonava del tutto la camicia e se la toglieva, gettandola sul divano. Nei suoi occhi brillava come una luce di trionfo. Prese a sbottonarsi anche i jeans e se li calò sotto l’inguine.
“Toglimeli.”, disse.
E io mi inginocchiai davanti a lui, fissando come ipnotizzato il grosso involucro, che gli appesantiva il davanti degli slip… di cui percepivo il calore, l’odore… Inconsapevolmente, afferrai i jeans e glieli calai lungo le gambe, fino alle caviglie… e lui sollevò prima un piede, poi l’altro perché glieli sfilassi, gettandoli da una parte. Poi aspettai, sperando follemente che di dicesse di togliergli anche le mutande… volevo vederlo nudo del tutto… volevo ammirare il cazzo, che già gli si allungava di traverso e tendeva la maglina sottile… Tremavo, inginocchiato ai suoi piedi… Aspettavo.
Poi, lo vidi infilare i pollici sotto la cintura elastica e fu lui stesso a calarsi le mutande. L’uccello, ormai turgido, balzò libero in avanti, inviandomi una zaffata di sesso sudato… Il cuore prese a battermi all’impazzata e feci per prenderlo in bocca… ma lui fu più rapido di me: fece un passo indietro, si sfilò veloce gli slip e me li lanciò sulla faccia.
“Annusa! – mi disse sarcastico – Lo so che ti piace.”
E io chiusi gli occhi, annusando e respirando l’odore del suo cazzo, l’afrore dolciastro, animalesco, che impregnava il tessuto ancora tiepido e umidiccio, specialmente nella coppa che aveva contenuto i coglioni e ne aveva assorbito la traspirazione. Era un delirio: quel profumo intenso e asprigno, lo sentivo agire sul mio cervello come una droga inebriante.
Fu lui a togliermeli di mano. Allora aprii gli occhi: il suo cazzo mi sfiorava le labbra. Tirò indietro il prepuzio.
“Leccami la cappella… - disse – so bene quanto ti piace il sughetto.”
Aveva davvero letto i miei racconti. E mentre lui se lo impugnava saldamente, tenendo la cappella sguainata, io presi a leccare lo spesso strato di bava, densa e collosa, che l’eccitazione vi aveva cosparso. E per fortuna, più ne leccavo, più ne sgorgava fuori. Provai alcuna volte a prenderglielo in bocca, anche sapendo che avrei fatto fatica con una cappella così grossa, ma lui mi respinse sempre:
“Ti ho detto di leccare…”, ripeteva.
Poi, e in un certo senso me lo aspettavo, si girò, si pose in ginocchio sul divano e, aprendosi lui stesso le natiche:
“Dai, frocio, leccami il culo!”, mi ordinò.
Proprio come era successo nel racconto, solo che adesso ero io, e non un personaggio di fantasia, a trovarmi di fronte il suo forellino roseo, fui io a poggiarci sopra le labbra, come in una sorta di rapimento, e mulinarci dentro la lingua. Se mi piace annusare le mutande odorose di cazzo, adoro… semplicemente adoro leccare il buco del culo e quel porco lo sapeva bene e sapeva altrettanto bene come stimolare la mia libidine, ammesso che non bastasse già la visione stupenda del suo culo aperto e delle grosse palle, che gli penzolavano sotto.
“Vai dentro con quella cazzo di lingua! – ripeteva – Fammela sentire, cazzo! Fottimi con quella lingua merdosa, fottimi il culo! Ah! Cazzo, se ci sai fare, porco d’un frocio! Dai, fottimi il culo… Cazzo, se sei bravo… sei il migliore, cazzo!”
Non so cosa avreste fatto voi al mio posto, ma io ero già fuori di testa per tutto l’insieme di cose: sentire quel linguaggio volgare e sboccato fu lo sbrocco finale: più oscenità lui vomitava, più io mi accanivo a leccare il suo buco del culo, a mordicchiarne gli orli, a stuprarlo con la mia lingua impazzita. Cercai di dargli il meglio della mia arte leccatoria e da come gemeva, sospirava scodinzolava, sembrava proprio che glielo stessi dando.
Poi, d’un tratto, lo sentii tendersi e prendere a respirare con un certo affanno!
“No! – pensai – sta già sborrando!”
E infatti, si girò di scatto, impugnandosi l’uccello congestionato.
“Voglio sborrarti in faccia, cazzo!” ansimò.
E subito, un fiotto caldissimo e denso mi si spiaccicò sullo zigomo, prendendo a
colare giù lungo la guancia. Altri getti mi raggiunsero la fronte, il naso le labbra, mentre lui continuava a menarselo per prolungarne le forze. Infine, l’uccello gli si afflosciò fra le dita, rimanendo con un lungo filamento lattiginoso appeso a mezz’aria. Ci andai sotto e me lo lasciai cadere nella bocca, sentendomelo pizzicare amarognolo sulla lingua.
Si teneva ancora l’uccello molle con due dita, quando Mister si accasciò, ansimante, sul divano. Mi fissava con quegli occhi che non avevano perso nulla della loro luminosa aria di superiorità, mentre io raccoglievo il telo con cui si era asciugato i piedi e mi pulivo la sua sborra dalla faccia, senza mancare di sniffarne l’aroma intenso.
“Allora, - mi chiese, mentre si rivestiva con aria indolente – posso contarci?”
“Su cosa?”, feci io.
“Beh, che mi chiamerà a breve per un racconto. - disse lui, fissandomi con aria speranzosa – Gliel’ho detto, mi piace lavorare con lei.”
“Me ne sono accorto, Mister. – ghignai io – Ma un racconto lo abbiamo appena realizzato.”
Rimase un momento basito.
“Non vorrà dirmi che intende pubblicare… tutto questo?”
“Perché, hai qualcosa in contrario?”
“N… no… solo che se avessi immaginato, mi sarei preparato meglio.”
“Non preoccuparti: sei stato perfetto. Neanche se mi fossi inventato tutto io, avresti potuto fare meglio.”
Un largo sorriso gli illuminò la bella faccia, mentre un leggero rossore ne accentuava magnificamente i tratti virili.”
“Ah, grazie. Però non mi dimentichi un’altra volta, per favore.”
“Ci puoi giurare! – lo rassicurai, accompagnandolo alla porta – Magari la prossima volta ti faccio un colpo, così ci vediamo prima che inizio a scrivere e proviamo meglio la parte, ok?”
“Ok…”, fece lui, uscendo, dopo avermi stretto la mano.
E prima che chiudessi la porta, si voltò come per dirmi qualcosa. Rimasi in attesa.
“No, niente, signor Adad. – fece allora lui – Stavo pensando che… beh, che se le serve, posso anche inculare, non c’è problema.”
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