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Il segretario particolare - 1


di adad
21.05.2020    |    13.183    |    8 9.4
"“Senti, Vituzzo, - disse don Salvatore, sistemandosi sulla sua poltrona dirigenziale di pelle nera – a questo punto, l’unica cosa che posso fare per te, ..."
“Senti, Vituzzo, - disse don Salvatore, sistemandosi sulla sua poltrona dirigenziale di pelle nera – a questo punto, l’unica cosa che posso fare per te, giusto perché mi stai simpatico, è di prenderti come segretario. Che ne dici, ti sta bene?”
“E che vi devo dire, don Salvato’, – fece Vito, sentendosi togliere un peso dal cuore – non ho parole, vi ringrazio, vi ringrazio tanto…”
“Niente, niente - fece l’altro, accompagnando quelle parole con un cenno noncurante della mano – importante è che ti comporti bene.”
“E certo che mi comporto bene, don Salvato’. Ma quali sarebbero le mie mansioni?”
“Le tue mansioni? Beh, quelle di ogni segretaria che si rispetti… o segretario, vedi tu.”, disse don Salvatore, accendendosi una sigaretta.
“E sarebbero?...”
“Mi tieni l’agenda degli appuntamenti, mi prepari il caffè e mi fai un bocchino quando te lo chiedo.”
“Un… un bocchino?...”, fece Vituzzo, sbiancando in volto.
“Eh, un bocchino… un pompino, chiamalo come ti pare. Insomma, me lo succhi quando mi viene voglia. È ok?”
“Don Salvato’, ma io sono normale… a me piace la figa…”, tentò di protestare il poveretto.
“Ah, sei normale? ti piace la figa? A dire la verità, non mi sembra tanto… Comunque, questi sono i termini del contratto, nessuno ti obbliga…”, e don Salvatore aprì un fascicolo e si mise ostentatamente a leggere delle carte.
Vito rimase qualche momento in silenzio, incerto, dubbioso, poi:
“Don Salvato’, - disse con voce esitante – se proprio devo…”
“Bravo, vedo che sei intelligente, oltre che bello. E adesso vediamo quello che sai fare.”, disse, girando la poltrona e allargando le gambe, alla cui convergenza già si notava un certo rigonfio, prolungato di traverso.
Vito ci puntò gli occhi sopra, ma non si mosse. Gli tremavano le gambe. Fu tentato di scapparsene via, ma nello stesso tempo qualcosa lo trattenne, come una sorta di morbosa curiosità.
“Vieni”, disse don Salvatore con voce suadente, slacciandosi la cintura e tirando giù la zip.
E Vituzzo venne avanti di un passo, due…

Ma prima che i miei lettori saltino su e comincino a spararmi addosso improperi di ogni tipo, occorre chiarire come stavano le cose, anche se mi rendo conto che questo giustifica fino ad un certo punto l’atteggiamento sopraffattorio e politicamente scorrettissimo di don Salvatore.
Dunque, don Salvatore Minghiazza era un imprenditore rampante, che gestiva tra le altre cose un’agenzia di accompagnatori per signore sole e desiderose di compagnia maschile: un bordello per donne, insomma. E anche se la dicitura sul sito internet ribadiva “accompagnatori per cene, feste e occasioni varie”, nella realtà erano le occasioni varie a prevalere… e di vario c’era solo il colore delle lenzuola, che variava appunto da un letto all’altro.
Era sui quarant’anni, don Salvatore, un bel viso regolare, un fisico atletico, sempre elegantissimo e profumato, ma con equilibrio, senza scadere mai nell’affettazione o nella volgarità. La testa rasata e il pizzetto ne mettevano ulteriormente in risalto la solida mascolinità. Era sposato, ma sessualmente molto esuberante, al punto che a volte era lui stesso ad occuparsi di qualche cliente più danarosa e particolarmente esigente.
Vito, invece, era un giovane sui venticinque anni, che ad un certo punto, in crisi con gli studi, aveva pensato bene di mettere a profitto i doni che madre natura gli aveva generosamente concesso, vale a dire una notevole avvenenza fisica e una dotazione di tutto rispetto. Così, venuto a conoscenza del suddetto sito di incontri, aveva contattato don Salvatore e gli aveva chiesto un impiego.
Dopo un colloquio preliminare e un’accurata disanima delle sue potenzialità, Vituzzo era stato assunto come accompagnatore a stipendio pieno; ma le sue prestazioni si erano rivelate fino ad allora alquanto deludenti: la prima volta poteva essere imputabile al fatto della novità: non è facile immedesimarsi nel ruolo di puttano; la seconda volta la cliente non era propriamente per la quale e la terza non sapeva neanche lui cosa non aveva funzionato. Insomma, ogni volta il povero Vito aveva fatto cilecca, al punto che ormai più nessuna lo richiedeva e per don Salvatore si stava rivelando un investimento improduttivo. Un giorno, allora, lo aveva convocato nel proprio ufficio e gli aveva comunicato che si vedeva costretto a interrompere la loro collaborazione: in pratica, a licenziarlo.
E’ così che arriviamo al colloquio, a cui abbiamo assistito all’inizio della nostra storia. E adesso Vito gli stava impalato davanti, più imbarazzato che mai, e si chiedeva cosa diavolo fosse successo per ritrovarsi a quel punto.
“Su, - mormorò don Salvatore con voce sorda – vediamo come te la cavi.”, e lo prese per il braccio, tirandolo ad inginocchiarsi.
Dalla patta semiaperta un aroma dolciastro giungeva alle narici di Vituzzo, che per un momento arricciò il naso, finché non ci si fu assuefatto.
“Don Salvato’, - mormorò – non l’ho mai fatto…”
“Imparerai, Vituzzo, imparerai. – sorrise l’altro – Con me farai molta pratica. Su, toccalo. E’ duro, senti?”
Esitante, Vituzzo infilò la mano nella patta semiaperta e tastò l’uccello poderoso di don Salvatore, che ebbe un guizzo sotto le mutande.
“Gli piaci, Vituzzo… Ah, gli piaci proprio…”, sospirò l’uomo.
Vito continuò a lisciare la verga sostanziosa, quasi volesse abituarsi all’idea ed è innegabile che cominciasse a sentirsi un certo calore nelle ossa. Il palpeggio cominciò a diventare frenetico, mentre il rossore gli saliva alle guance e il respiro gli si faceva pesante.
“Tiralo fuori, da bravo.”, gli suggerì don Salvatore.
E lui, ubbidiente, infilò la mano sotto la cintura degli slip, afferrò la mazza bollente e umidiccia, la strinse in pugno e la tirò fuori, abbassando l’elastico degli slip. Era la prima volta che vedeva e toccava il cazzo di un altro uomo, un cazzo in piena erezione, per giunta, e la cosa gli suggeriva una sensazione strana… quasi euforica, una cosa che non si sarebbe mai aspettato potesse succedergli.
“Aspetta”, disse allora don Salvatore e, sollevato un poco il bacino, si fece scivolare da sotto il culo pantaloni e mutande, lasciandoli ricadere fino ai polpacci.
D’un tratto, Vito si sentì in imbarazzo: che ci faceva in ginocchio davanti a un uomo con i pantaloni calati e tutta la mercanzia in bella mostra? Che ci faceva col suo uccello stretto in pugno? Innegabilmente, però, quell’uccello esercitava uno strano influsso su di lui: non che ne fosse attratto, anzi l’idea che gli era stato chiesto di succhiarlo gli rivoltava quasi lo stomaco, ma non poteva fare a meno di continuare a stringerlo nella mano, di sentirne il calore, la forza, il pulsare del sangue attraverso le vene nascoste; non poteva staccare gli occhi da quella cappella sguainata così incredibilmente rosea…
“Su, - intervenne don Salvatore – fatti sotto, non ti morde mica!”
Oppresso dalla ineluttabilità del compito che lo aspettava, il giovane si avvicinò, schiuse le labbra e lambì con la punta esitante della lingua la superficie del glande. Il sapore della bava che lo ricopriva gli pizzicò le papille e lui si ritrasse quasi schifato. Ma non mollò la presa e poco dopo fece un secondo tentativo. Stavolta la lingua indugiò un po’ di più sulla superficie spugnosa, prese confidenza col suo odore pungente, col sapore asprigno, e pian piano si distese, spianandosi a leccare tutt’intorno, non certo con ingordigia, ma per lo meno senza troppo disagio.
Don Salvatore, dal canto suo, si godeva con leggeri mugolii quel servizio ancora incerto, eccitato non solo dal piacere fisico, ma anche dall’implicita, quanto innegabile sensazione di potere che gliene derivava: non è da tutti indurre un altro uomo a leccargli il cazzo!
Per fortuna, però, don Salvatore era una persona di buon senso: quello che gli interessava non era esercitare il suo potere su qualcuno, ma più solo godersi un buon pompino; e per di più Vituzzo gli stava troppo simpatico per volerlo umiliare in qualche modo.
“Apri la bocca, adesso, prendilo…”, mormorò, carezzandolo sulla nuca.
E Vito, dopo un attimo di esitazione, aprì la bocca, ingoiando la cappella turgida, che gli riempì per intero il cavo orale. Ebbe un leggero rigurgito a quell’ingombro, ma riuscì a controllarlo e subito si sentì la lingua impastata dal sugo denso che spurgava da quel cazzo in preda ormai ad un’eccitazione inarrestabile.
Non sapendo come procedere, Vito fece ricorso alle sue esperienze in merito,
vale a dire al pompino che la sua ragazza gli aveva fatto una volta, prima di mollarlo e a quelli che aveva avuto modo di vedere nei filmati porno, di cui era sempre stato un discreto consumatore. Ma un conto era la teoria, un altro la pratica: anche se nella mente aveva bene o male uno schema delle cose da fare, gestire quell’affare nella bocca era un problema non da poco. La voluminosità del glande gli impediva di muovere agevolmente la lingua, la scarsa dimestichezza gli faceva irrigidire la mascella, come pure gli impediva di accoglierne più di tanto nel cavo orale, senza soffocare o sentirsi ingozzare. Cominciò a sudare freddo.
Don Salvatore si accorse ben presto del suo disagio.
“Sta calmo, Vituzzo, - gli disse con una nota di dolcezza nella voce – non è difficile. Vedrai che piano piano impari pure tu. Piano piano ci farai l’abitudine. Muoviti un poco, con la bocca, su e giù… così, bravo. E intanto succhia la cappella e cerca di passarci attorno la lingua, che mi piace tanto… Ahi, attento con i denti… Non fa niente, non preoccuparti… Stai andando bene…”
Il giovane seguiva le istruzioni del suo datore di lavoro e piano piano in effetti cominciò a sentirsi meno impacciato, anche se, era troppo concentrato su cosa doveva fare, troppo preso dalla paura di sbagliare, per godersi le piacevolezze che quel cazzo sugoso avrebbe potuto offrire ad un pompinaro più esperto e consapevole.
“Bravo, Vituzzo, - continuava don Salvatore fra un gemito e un sospiro – bravo… Con la mano, prendilo alla base e fai su e giù… piano piano… come se mi stai facendo una sega… e continua a succhiare con la bocca… Ah, cazzo! sei bravissimo…”
Senza neanche rendersene conto, il giovane si sentiva infervorato da quegli apprezzamenti e non passò molto che si ritrovò ad agire se non con perizia, per lo meno con una certa disinvoltura.
“Che bocchino, Vituzzo… mi stai facendo un bocchino coi fiocchi… Ah… Con l’altra mano prendimi le palle… sì, bravo, carezzale… strizzale un po’… Wau!... Stringile forte, tirale… Cazzo, mi fai sborrare… mi fai sborrare!...”
A quelle parole convulse, Vito ebbe l’accortezza di staccare la bocca dal glande ormai in fibrillazione, continuando però sia a segarlo, che a strizzargli le palle, col risultato che dopo un momento don Salvatore si contrasse tutto e poi, con un guaito, si abbandonò sulla poltrona, mentre dal suo cazzo scaturiva un getto poderoso di sugo biancastro, a cui ne seguì un secondo e un terzo e ancora e ancora, che gli si spiaccicarono sulla pancia, infradiciandogli la camicia e la cravatta.
Frastornato com’era, Vito si ritrovò a stringere in mano il cazzo dell’uomo, fissando la sborra che schizzava fuori a pompate, e lui si sentiva avvolgere e stordire dal suo aroma penetrante e inconfondibile.
Lo teneva ancora in mano ormai moscio, quando don Salvatore si riscosse e:
“Vituzzo, - gli disse con un caldo sorriso – tu sei un fenomeno nato! Lascialo, adesso, e vammi a prendere un asciugamano in bagno, così mi do un’asciugata.”
Rialzandosi, il giovane si sentì sollevato: aveva svolto il suo compito e si era assicurato un buon lavoro. Ma non era solo questo, c’era qualcos’altro a renderlo euforico, come un inconsapevole senso di gratificazione.
“E adesso mettiamoci al lavoro.”, disse don Salvatore, tornando alla scrivania, dopo essersi ripulito e cambiata la camicia.
“Don Salvato’, gradite un caffettino, prima?”, fece Vituzzo con un sorriso confidenziale, che neanche lui sapeva da dove gli venisse fuori, dopo quanto era successo.
“Eh, perché no?”, rispose don Salvatore.

(continua)

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