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Gay & Bisex

Il drizzacazzi - 2


di adad
31.08.2020    |    11.009    |    6 9.5
"La cappella era già bagnaticcia: buon segno; così ci diedi un altro paio di slinguate; poi gli sfilai del tutto i pantaloni, ovviamente dopo avergli tolto..."
La mattina dopo raggiunsi lo studio all’indirizzo che il signor Andrea mi aveva dato e mi trovai davanti un capannone industriale alla periferia della città, un anonimo capannone, di cui feci fatica perfino a trovare l’ingresso. All’interno delle pareti divisorie, alte un paio di metri, creavano vari spazi per le diverse esigenze di un teatro di posa. E poi luci, riflettori, apparecchiature dappertutto, qualche tecnico al lavoro, e un certo numero di giovani e donne seminudi che chiacchieravano e si stuzzicavano all’angolo bar, in attesa che iniziassero le riprese.
Fermai un ragazzo in accappatoio e gli chiesi dove potessi trovare Jeff Mariner.
“Laggiù, il terzo camerino. C’è il nome sulla porta.”, mi rispose, indicandomi delle roulotte, allineate dall’altra parte del capannone.
“Grazie”, feci, dandogli una buona occhiata inquisitoria, in risposta alla quale mi fece l’occhiolino e si allontanò.
Raggiunsi le roulotte e bussai alla terza porta, su cui era in bella mostra la targhetta : MISTER JEFF. Sentii dei rumori all’interno, poi la porta si aprì e io ebbi un mezzo collasso: Jeff, a torso nudo, scalzo, con addosso solo i pantaloni di una tuta sformata e una tazza nella mano, era lì ad accogliermi in tutta la sua inquietante bellezza.
“Meno male che sei arrivato.”, mi disse, tirandosi indietro per farmi entrare.
Doveva essersi fatta la doccia da poco, perché aveva i capelli umidi e nel piccolo locale aleggiava ancora un tenue sentore di bagnoschiuma, misto all’aroma del caffè appena fatto.
“Ascolta, ragazzo…”, cominciò.
“Mi chiamo Federico.”, lo interruppi seccato, tendendogli la mano.
“Ah, certo… scusa…”, fece lui, imbarazzato dalla mia reazione, e si passò la tazza del caffè nella sinistra, per potermela stringere.
“Piacere di conoscerti. – dissi con un sorriso – Immagino che hai bisogno del mio aiuto.”
“Devo girare delle scene di penetrazione stamattina… e l’attrice non mi erotizza più di tanto… In questi giorni, poi, sono leggermente stanco… Credo d’aver lavorato troppo, se riesci a capirmi.”
“Ti capisco benissimo. In pratica, ti serve un po’ di carica.”
“Già… ma proprio speciale…”
“Come l’altra settimana in studio?”, chiesi, fissandolo intenzionalmente in mezzo alle gambe.
“Proprio… Sarai retribuito, ovvio.”, aggiunse d’un fiato.
“Non preoccuparti. Sono un tuo ammiratore: per me è un piacere darti una mano.”
Bussarono alla porta.
“Jeff, si comincia.”, disse qualcuno da fuori.
“Arrivo, cinque minuti.”, gridò lui e si tirò giù i pantaloni della tuta, sfilandoseli in fretta.
Non portava niente,sotto. Rimasi un momento ad ammirare la sua meravigliosa nudità, poi gli caddi in ginocchio davanti e cominciai ad adorare le sue palle. Le annusai tutt’attorno: sapevano di pulito, di bagnoschiuma e di sudore fresco: un aroma che ha il potere di farmi perdere la testa. Poi cominciai a sfiorarle con le labbra, quasi una carezza, e infine tirai fuori la lingua e presi a leccargliele con tutta la mia passione. Il suo cazzo ancora molle mi strusciava sulla fronte, ma a poco a poco non sentii più quel caldo contatto, segno che si stava eccitando. E infatti:
“Basta così per ora.”, di disse ad un certo punto, scostandosi.
L’uccello svettava turgido e pulsante.
“Aspettami qui. - aggiunse, infilandosi un accappatoio – Mi servirai ancora.”, e uscì sbattendo la porta.
Rimasi lì, in ginocchio, con la lingua ancora vogliosa e il cazzo scalpitante nelle mutande. Pensai di farmi una sega, ma scartai l’dea: non ero a casa mia, non mi sentivo a mio agio; non sapevo se qualcuno poteva entrare da un momento all’altro. Vidi che c’erano delle riviste porno: ne presi un paio e mi accomodai su una poltroncina, ma dovevano essere riviste per lesbiche: tutte fighe spalancate, bianche, rosse, nere, pelose, pelate, e neanche un cazzo a pagarlo d’oro. Le buttai da una parte e mi versai una tazza di caffè, ingannando l’attesa come potevo e cioè ripensando alla magnifica sensazione di avere le sue palle in bocca e sotto la lingua…
Cominciava ormai a fumarmi la testa, quando la porta si aprì e Jeff rientrò.
“Pausa caffè.”, fece, versandoselo.
Dopo di che, si gettò sulla poltroncina, che avevo liberato, alzandomi al suo ingresso. Nel sedersi l’accappatoio gli si era aperto, esponendomi sotto gli occhi tutto il suo ben di dio. Mi sentii nuovamente rimescolare.
“Hai finito?”, chiesi.
“No… ho ancora delle scene di penetrazioni… con altro paio di ragazze.”
“Scusa, - feci, allora – ma com’è che funziona? Io pensavo che giraste il film dall’inizio alla fine. Voglio dire…”
“Capisco quello che vuoi dire. Dipende dal regista. Questo ci fa girare le scene a pezzi e bocconi, poi in post produzione le taglia e le rimonta come crede lui. Quindi oggi è tutto un ficca e sborra…”
“Ficca e sborra? – chiesi io con un brivido nella schiena – Quante volte hai già sborrato stamattina?”
“Un paio… Il che significa che devi ridarmi un po’ di carica”
“Volentieri”, feci e mi accosciai davanti a lui.
Mi avvicinai per metter bocca alle sue palle… Ma mi distolsi immediatamente:
“Bleatch! – feci con una smorfia – Puzzi di figa. Per favore, datti una rinfrescata, prima.”
Mi guardò sconcertato.
“Non ti piace l’odore di figa?”
“Sono allergico, - risposi in tono serioso – mi fa venire l’orticaria.”
Scoppiò a ridere e andò a chiudersi nel bagnetto, dove sentii scorrere l’acqua.
Tornò poco dopo, che ancora rideva. Gettò sul tavolo il telo con cui si stava asciugando e si sedette di nuovo sulla poltroncina, aprendo le gambe.
“Spero di aver cancellato ogni traccia.”, disse facendomi cenno di procedere.
Quando mi avvicinai, qualche traccia di cattivo odore mi accorsi che gli era rimasta, impregnata nei folti peli del pube: Jeff infatti pur depilandosi accuratamente lo scroto e e il perineo, si era lasciato pressoché intatto il boschetto superiore, cosa che trovo strepitosamente erotica in un maschio. Cercai, comunque, di non farci caso e mi acconciai a servirlo secondo i suoi bisogni (e i miei desideri).
Ripresi a leccargli golosamente i coglioni, pur senza risparmiarmi ogni tanto di allungare la lingua sull’asta che, pur rinvigorendosi, stentava a tornare all’usato turgore. Quando me ne accorsi, capii che aveva bisogno di qualcosa in più: dovevo passare al trattamento C. Così, lo afferrai fulmineamente alle caviglie, gli sollevai le gambe, rovesciandogliele contro il petto, e prima ancora che avesse tempo di dire alcunché, gli avevo già conficcato la lingua tutta intera nel buco del culo.
“Ehi, ma che cazzo fai?…”, protestò.
Ma io non gli diedi retta, intensificando invece le mie operazioni dentro fuori il sensibile buchetto, il quale, a onor del vero, accettò con vera compiacenza il fervido omaggio e prese a pulsare incontrollabilmente ad ogni mio colpetto di lingua.
“Cazzo… cazzo… cazzo… - prese a guaire Jeff, ad un certo punto allargandosi lui stesso le chiappe – E questa da dove l’hai tirata fuori?...”
Non gli risposi, ovviamente, impegnato com’ero a divorargli quel buchetto infernale, che tanto mi aveva incantato fin dal primo momento che glielo avevo intravisto. Ad un certo punto, mi accorsi che si stava masturbando, il che mi gratificò, anche se mi rammaricava che il frutto del mio lavoro andasse perso con una figa qualsiasi. E quasi a coronare la beffa, in quel preciso istante, si sentì bussare alla porta e una voce insolente dall’esterno:
“Jeff, si comincia.”, urlò.
Jeff saltò in piedi, scavalcandomi, e corse alla porta con l’uccello stretto in pugno e l’accappatoio svolazzante.
“Tu non muoverti!”, mi ordinò, e uscì, lasciandomi nuovamente da solo.
Passò qualche ora e stavo cominciando ad appisolarmi, quando sentii aprirsi la porta. Mi alzai, pensando che fosse lui, ma fu un altro ad entrare, un tipo sui quaranta, alto e ben piazzato; la camicia aperta sul petto nudo e i jeans aderenti, ben ripieni in ante e retro parte mi misero subito in fibrillazione.
“Se cerca Jeff, - dissi – credo che stia girando.”
“Ah, davvero? E tu chi saresti?”
“Un amico…”, risposi, restando sulle generali.
“Sei nel giro anche tu?”
“Intendi nel porno? No, mi occupo di altro. Ma lei… - aggiunsi in fretta, prima che gli venisse in mente di approfondire – Mi sembra di averla già vista.”
“Lo spero proprio! – scoppiò a ridere – Sono Saul Francis.”
“L’attore? – esclamai – Ho visto alcuni suoi film… notevoli, devo dire.”
“Grazie.”
Si guardò intorno.
“Mi chiamo Federico.”. dissi d’impulso, temendo che decidesse di andarsene, e gli tesi la mano.
Saul la strinse.
“Piacere di conoscerti.”, fece e si accomodò sulla poltroncina, dandosi una sprimacciata al pacco voluminoso.
Sapevo dai film che aveva una dotazione di tutto rispetto: si era accorto che gliel’avevo guardata con insistenza o era un suo modo di fare? Mi sedetti su uno sgabello, cercando disperatamente qualcosa da dire, ma qualsiasi cosa mi passasse per la mente mi sembrava banale. Del resto, non potevo mica dirgli chi ero o quello che provavo in quel momento e cioè che avevo una gran voglia di frugargli nelle mutande! Ci incrociammo un paio di volte con lo sguardo e gli sorrisi imbarazzato.
“E così hai visto i miei film?”, fece lui alla fine.
“Sì, un paio… e anche se il porno è considerato un prodotto di serie C, li ho trovati di buon livello, sia come trama, che come recitazione…”
Ma che razza di stronzate andavo dicendo? Lui, però, sembrò apprezzare il mio giudizio. Stava per ribattere qualcosa, quando la porta tornò ad aprirsi e fece il suo ingresso Jeff, magnifico come sempre avvolto nel suo candido accappatoio.
“Ehi, ciao!”, esclamò, alla vista dell’amico.
“Ciao, Jeff. - lo salutò l’altro senza alzarsi – Come sono andate le riprese?”
“Bene. Vedo che hai già conosciuto il mio nuovo drizzacazzi.”
“Lui?”, si stupì Saul, strabuzzandogli occhi.
“Sì, ed è molto bravo, anche. Dovresti provarlo. Che ne dici?” continuò rivolto a me.
Io feci spallucce.
“Se vuole…”
“Provalo Saul, io intanto faccio una doccia.”, e si chiuse nel bagnetto.
Io fissai Saul, aspettando una sua decisione.
“Non me lo sono mai fatto succhiare da un uomo…”, disse lui imbarazzato.
“Ok, come vuoi.”, feci io con finta indifferenza.
Ma ormai il tarlo era innestato e stava facendo il suo lavoro.
“Al diavolo, - sbottò ad un tratto, prendendo a sbottonarsi i jeans – vediamo se sai succhiarmelo meglio della mia donna.”
Qualcuno una volta ha detto che la più scarta delle checche sa succhiare l’uccello meglio della più esperta bocchinara: non so se è vero, so però che io me la cavo abbastanza bene e non vedevo l’ora di cimentarmi sul cazzo di Saul, non certo per competere con la sua donna, di cui non me ne fregava niente, quanto per godermi il nerchione poderoso che gli covava nelle mutande.
Appena accennò a sbottonarsi i jeans, io mi alzai e mi inginocchiai davanti a lui:
“Lascia, faccio io.”, gli dissi e, allontanate le sue mani, tirai giù la zip, scostando le falde della patta.
Indossava un sospensorio di maglina grigio perla. Mi chinai a premere le labbra sul morbido contenuto, aspirandone a fondo l’odore dolciastro di sesso e sudore.
Poi afferrai i jeans per la cintura e lo aiutai a sfilarseli fino alle caviglie. Rimasi a fissare il pacco voluminoso, mentre allungavo le mani a carezzarlo e impastarlo
con delicato fervore. Il suo cazzo reagì prontamente, da bravo professionista, fino a forzare la cintura del sospensorio e sgusciar fuori con il glande completamente snudato: il prepuzio era stato trattenuto indietro dalla resistenza dell’elastico.
Mi chinai a slinguarlo, picchiettando i filetto teso con la punta della lingua: il fremito di Saul mi confermò che stavo andando per il verso giusto. La cappella era già bagnaticcia: buon segno; così ci diedi un altro paio di slinguate; poi gli sfilai del tutto i pantaloni, ovviamente dopo avergli tolto sneakers e calzini, che mi premurai di annusare, prima di gettarli da una parte: è sempre bene manifestare un qualche segno di sottomissione feticistica al maschio che ti vuoi fare. Li rende più sicuri di sé e più disponibili ad assecondarti. Alla fine, infilai di lato la mano sotto il sospensorio e gli estrassi il cazzo con l’intera borsa dei coglioni. Impugnai a metà quella mazza poderosa, ormai del tutto turgida, e presi a masturbarla con lentezza, intanto che leccavo golosamente il glande levigato, ingoiandolo ogni tanto per intero e slurpandolo come fosse un cono gelato: era tutt’altro che freddo, ma non meno gustoso.
È inutile dire in che condizione era il mio povero cazzo, dopo una giornata del genere e senza alcun tipo di sollievo; ma cercavo di ignorare le trafitture al basso ventre: il mio scopo primario era soddisfare quel maschio e fargli vedere cosa ero in grado di fare.
Ero intento al mio lavoro, quando sentii aprirsi la porta del bagno: sbirciai con la coda dell’occhio e vidi Jeff uscire con un telo avvolto attorno ai fianchi. Si avvicinò, stette un po’ a guardare, toccandosi da sopra l’asciugamano, poi:
“Allora che te ne pare?”, chiese all’amico.
“ Ottimo… - rispose Saul con voce strozzata – davvero un ottimo lavoro.”
“E non hai ancora provato il meglio. Che ne dici, Fed? Fagli assaggiare il tuo pezzo forte, dai.”
“Ok”, bofonchiai con la lingua impastata e, preso Saul per le caviglie, gli sollevai in alto le gambe.
Jeff fu pronto a prenderlo per le caviglie e a tenergliele su. Saul non fece neanche in tempo a rendersi conto di cosa gli stavamo facendo, che già gli avevo aperto lo spacco con le mani e infilato mezza lingua nel buco del culo.
E tra l’altro, qui lo dico e qui lo nego, il suo pertugio era tutt’altro che vergine: infatti, mentre gli altri in genere si irrigidiscono, appena sentono qualcosa che li sollecita, questo si spalancò all’istante, accogliendo con entusiasmo il mio tributo.
Il pensiero che quel buco fosse già stato violato, rinfocolò ulteriormente la mia porca libidine e mi diedi a grufolare, mordere, leccare dentro e fuori il tenero orifizio, strappando alla mia vittima veri e propri ululati di piacere. D’un tratto, mi accorsi di movimenti sopra la mia testa: Saul si stava menando forsennatamente il cazzo! Allora, mentre, mugolando di famelica lussuria, intensificavo la mia opera sull’ano martoriato di Saul, allungai la mano, a tentoni afferrai il telo, che avvolgeva i fianchi di Jeff, e glielo strappai via, afferrandogli l’uccello semiduro e iniziando a masturbarlo. Mi sembrava di essere precipitato nel bel mezzo di una scena orgiastica, in cui io ero la puttana alle prese con due maschi. E se ce ne fossero stati altri, mi sarei dedicato pure a loro.
Poi tutto si compì: con uno sguaiolio animalesco, Saul si inarcò e subito dopo mi sentii colare sulla testa il suo seme caldo e colloso, che mi si impregnò fra i capelli. Nello stesso istante, non ressi più e con una vampata di calore mi sborrai da solo nelle mutande. Mentre ansimavo in preda all’orgasmo, avvertii Jeff che sottraeva il cazzo dalla mia mano: mi girai verso di lui con gli occhi ancora vacui e lo vidi che prendeva a segarsi con l’uccello puntato verso di me, schizzandomi poco dopo, dritto sulla faccia, la poca sborra che gli era rimasta.
Seguì un lungo momento di pesante silenzio, Saul abbandonato sulla poltroncina, Jeff crollato a sedere sullo sgabello e io ancora in ginocchio, con la faccia e la testa impiastricciate di sborra e il davanti dei pantaloni visibilmente fradicio.
“Non dirmi che ti sei pisciato addosso…”, scherzò Jeff, quando riprese fiato.
“Qualcosa del genere.”, risposi io.
“Vai a darti una pulita, - mi disse allora – cerco qualcosa da farti mettere.”
Tutto quello che indossavo era ormai inservibile, così mi spogliai e feci una doccia. Quando uscii, trovai sul lettino un paio di slip, dei jeans e una maglietta puliti. Li indossai e misi la mia roba sporca in un sacchetto di plastica, che chiusi con cura, perché non si sentisse il forte odore di sborra.
“Grazie, - dissi a Jeff – te li riporto appena posso.”
Saul era ancora abbandonato sulla poltroncina col cazzo floscio fra le cosce.
“Sei davvero una bomba, Fed.”, disse, appena mi vide.
“Grazie”, feci con finta modestia.
“Senti, Jeff, - continuò Saul – dobbiamo assolutamente assicurarcelo. Con lui a farcelo tirare, altro che pastiglie e punturine!”
“Io già me lo sono assicurato per tutta la settimana.”, rispose Jeff.
“Allora torno per un altro provino…”, ghignò Saul.
E Saul tornò per diversi altri provini, a volte da solo, a volte con la partecipazione attiva dell’amico Jeff.
Alla fine della settimana ricevetti un’offerta dalla produzione; e fu così che lasciai lo studio fotografico e divenni il drizzacazzi ufficiale della NPM.

FINE
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