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Gay & Bisex

La Marchesa di Colfiorito - 2


di adad
19.06.2020    |    5.708    |    6 9.6
"Fu questa consapevolezza a legarlo ancora di più a Rodolfo: lo amava, non se lo erano mai detti, ma da tutto, dai gesti, dalle parole, dal trasporto con..."
La notte regnava sovrana sul castello: uomini e animali dormivano profondamente; solo uno vegliava, pur nel buio profondo. Tommaso giaceva nudo sulle lenzuola scomposte del letto che ormai divideva stabilmente con il marchese dal giorno in cui erano tornati dal fiume, gli occhi lucidi non volevano saperne di chiudersi al sonno. Si sentiva una strana euforia addosso.
L’aria che entrava dal finestrone aperto riusciva solo di poco ad attenuare l’afa ristagnante nella camera: unico sollievo era un refolo di vento che ogni tanto arrivava a scorrergli sulla pelle surriscaldata.
Rodolfo dormiva profondamente poco discosto da lui, nell’ampio letto, e Tommaso si sentì in un certo modo confortato da quel respiro regolare. Com’era cambiata la sua vita … Riandò con la mente a quella mattina, appena un mese prima, alla corsa sfrenata lungo la riva del fiume, al bagno, ai giochi nell’acqua, felici come non erano mai stati… Cercò di ricordare ogni gesto, ogni parola dei loro discorsi, cercò di rivivere le stesse emozioni di allora.
E poi Rodolfo gli aveva salvato la vita… gli aveva ridato la vita. Rivisse il momento in cui aveva ripreso i sensi, e poi quando il marchese si era chinato a sfiorargli le labbra con le sue. Non capiva ancora cosa stava succedendo, ma una certezza era ben salda nella sua mente: voleva che lo rifacesse, voleva che lo baciasse di nuovo, e non avrebbe dovuto desiderarlo, non era naturale, ma non poteva farne a meno: quel bacio gli era entrato nel sangue, gli era ormai indispensabile come l’aria che respirava.
Tommaso non ricordava i suoi gesti in quel momento, ma Rodolfo sembrava aver capito e lo aveva baciato di nuovo… gli aveva spalancato le porte di un mondo nuovo, un mondo di pienezza, di gratificazioni, di felicità.
Ricordò con un brivido di libidine il momento in cui Rodolfo glielo aveva preso in bocca per la prima volta, a lui che neanche immaginava che si potesse arrivare a tanto… che si potesse accogliere una parte così vergognosa nel sacro speco della bocca, dove si accoglie il Corpo di Cristo… Ne era rimasto sconvolto, imbarazzato soprattutto per la sferzata di piacere che quella profanazione gli stava procurando. Ma nonostante questo, avrebbe voluto che Rodolfo continuasse, che continuasse a tenerglielo per sempre in quella bocca così calda e accogliente, che la sua lingua continuasse ad avvolgerlo, a risucchiarlo… Ma d’un tratto, Rodolfo aveva smesso, si era sfilato il suo cazzo dalla bocca e, mentre lui si riscuoteva dal piacevole torpore in cui era precipitato e lo fissava senza capire, ci si era accovacciato sopra e se l’era fatto scivolare nell’ano con un mugolio soddisfatto.
Il nuovo sconvolgente piacere di sentirsi quasi sbucciare, mentre inesorabilmente entrava nell’intimità dell’altro, lo aveva portato ad un livello inimmaginabile di godimento: qualcosa aveva cominciato a ribollire nel suo basso ventre, un formicolio sempre più intenso, incontrollabile, e giusto nel momento in cui Rodolfo arrivava a sedersi sul suo grembo, lui aveva raggiunto l’apice e gli era venuto dentro con grido lacerante. Il marchese aveva accolto quell’orgasmo con un sospiro soddisfatto e stretto lo sfintere, quasi volesse mungere quel grosso capezzolo stillante denso seme.
Con suo grande stupore, Rodolfo non si era mosso, era rimasto lì col suo sesso ancora dentro: lo fissava con un sorriso estatico e gli carezzava dolcemente il petto con le mani.
Sul momento, non aveva realizzato quanto era successo: aveva inculato il suo signore, questo gli era chiaro, ma non riusciva a capacitarsene. Solo qualche ora prima si chiedeva come avrebbe reagito se l’altro ci avesse provato con lui: adesso era successo e lui come avrebbe reagito? Ma cosa c’era da reagire? Il suo mondo era sconvolto, le sue certezze si erano capovolte, non esistevano più… ma non aveva niente da reagire, lui stesso lo aveva accettato, lo aveva desiderato… e lo desiderava ancora.
Da quel giorno i due erano diventati amanti. La notte dividevano il letto, ma facevano l’amore in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo, pur che ce ne fosse l’opportunità. E ben presto Tommaso aveva scoperto che non era solo l’ansia di godere che lo faceva fremere alla vista dell’amante: era qualcosa di più profondo,
forse la stessa di cui parlano i poeti nei loro versi, per le loro donne.
Fu questa consapevolezza a legarlo ancora di più a Rodolfo: lo amava, non se lo erano mai detti, ma da tutto, dai gesti, dalle parole, dal trasporto con cui si amavano, da tutto traspariva il sentimento profondo che univa le loro anime.
Tommaso si sentì prendere da un empito di commozione e di felicità, che lo prese alla gola. Si accostò all’amante che dormiva, dandogli la schiena: avvertì il suo calore, respirò il profumo del suo corpo, il leggero sentore del sesso appena consumato; sfiorò con la punta delle dita la sua pelle sudata e all’improvviso il desiderio tornò ad urgere dentro di lui. Il cazzo gli schizzò ritto e Tommaso, addossatosi alla schiena di Rodolfo, glielo spinse agevolmente tra le chiappe sudate, trovando subito il buco untuoso e ancora aperto. Lo penetrò senza incontrare resistenza e si sentì subito avvolgere dalla mucosa vellutata del retto.
L’altro non si svegliò, perso in chissà quale sogno voluttuoso, ma ronfò con leggero grugnito, premendo il bacino contro l’inguine di Tommaso, come a farsene entrare ancora di più.
Bisogna dire che non sbagliavano di molto i pettegolezzi dei bassifondi a chiamarlo la “marchesa di Culfiorito”, ingordo come era di prenderlo. Mentre Rodolfo continuava a dormire, Tommaso prese a fotterlo con una voga lenta all’inizio, ma sempre più pressante, via via che il piacere ribolliva nei suoi coglioni. Stava per raggiungere l’orgasmo, quando Rodolfo si girò sulla pancia, tirandoselo addosso e permettendogli così di portare a termine il suo compito col maggior agio e il maggior godimento possibili.
“Porcellino…”, mormorò affettuosamente con la voce ancora impastata di sonno, quando si ritrovarono fianco a fianco.
“E tu non ne hai mai abbastanza…”, ghignò altrettanto affettuosamente Tommaso.
“Già, e un bravo scudiero dev’essere pronto…”
“E premuroso a soddisfare i bisogni del suo signore. – lo interruppe Tommaso -
E il mio signore è soddisfatto del suo scudiero?”
Ormai erano entrambi svegli, svegli e sudati come non mai.
“Beh, potrebbe fare di meglio.”, rispose quello.
“E come?”
Rodolfo gli prese la mano e se la portò all’inguine.
“Accidenti, mio signore! – esclamò Tommaso, incontrando e stringendo la sua convulsa erezione – Mentre io mi pascevo del tuo corpo, ho tralasciato di farti godere.”
“E questo è imperdonabile.”
“Vuoi?...”, fece Tommaso prendendoglielo in mano e accennando a fargli una sega.
“No no, no, no… - lo fermò Rodolfo – non te la caverai così facilmente, non stavolta che ti sei approfittato di me, mentre dormivo.”
“E come posso farmi perdonare, mio signore?”, resse il gioco Tommaso.
Rodolfo non rispose. Tornò a baciarlo e mentre le loro lingue si cercavano, allungò una mano a carezzargli con dolce fermezza le natiche sode, insinuando le dita nello spacco e cercando il buchetto.
Tommaso capì subito l’antifona e si irrigidì. Si aspettava da un momento all’altro una simile richiesta; e la cosa un po’ lo metteva in apprensione. Non che la rifiutasse per motivi più o meno etici o religiosi: quelle cose erano state superate da un pezzo: a fargli paura era il dolore che, temeva, avrebbe sofferto per far entrare un coso grosso come quello di Rodolfo e per nulla lo rassicuravano i suoi mugolii di piacere, quando lui lo inculava.
“Lo farai per me?”
Tommaso non rispose.
“Non temere, - proseguì Rodolfo, quasi indovinando il motivo della sua apprensione – non ti farò male… forse un po’, ma solo all’inizio… e passerà subito… Poi sarà bellissimo… fidati di me.”
E con queste parole, lo indusse a mettersi sulla pancia, mentre lui gli si stendeva al fianco e cominciava a carezzargli con voluttà il culetto carnoso. Per reazione, il giovane strinse con forza le chiappe, ma Rodolfo continuò a lisciarlo, sussurrandogli all’orecchio dolci paroline.
E mentre le sue carezze si facevano sempre più impudiche, Tommaso prese pian piano a rilassarsi, fino a permettere a quella mano indiscreta di scivolargli nello spacco e sfiorare con noncurante leggerezza il buchetto fremente. A quel punto, Rodolfo si bagnò un dito di saliva e prese a sfregarne delicatamente la punta sull’apertura dell’orifizio, finché le labbruzze grinzose si dischiusero e con un bacio lo ingoiarono a metà.
“Oh!”, gemette Tommaso.
“Ti faccio male?”
“No…”
“Vuoi che continui?”
“Sì, ti prego…”, sospirò Tommaso, mentre il dito di Rodolfo scompariva per intero dentro di lui, ingoiato e digerito.
“Bravo… - sorrise Rodolfo, mordicchiandogli il lobo dell’orecchio - Vedrai che bello fra poco....”, e continuò con le dita, due adesso, ad aprirgli il buchetto.
Ed effettivamente, dopo un po’ Tommaso cominciò a ronfare come un gattino
soddisfatto, mentre allungava la mano ad impugnare il grosso randello di Rodolfo, teso allo spasimo e copiosamente sbavato nella pregustazione dell’imminente godimento.
Pur nel vortice che lo stava travolgendo, Tommaso era tuttora oppresso dal timore che un affare così grosso gli avrebbe fatto chissà che male; ma, intuendo chissà come cosa la sua paura:
“Non temere, tesoro, - gli bisbigliò l’altro – starò attento… non ti farò male…”, e infilò a riprova un terzo dito, che entrò agevolmente, stirando ancora di più l’anello già disfatto dello sfintere.
Rodolfo capì allora che era pronto: gli si mise a cavalcioni sulle cosce, gli allargò le natiche e, chinandosi portò la verga in posizione, puntandogliela sul buco del culo, diede un piccolo affondo e la cappella viscida di bava forzò il varco e scivolò nel retto.
Tommaso emise soltanto un leggero singulto, più per la violazione che per il dolore, ma l’altro non gli diede ascolto e continuò a premere, avanzando lentamente nel budello fino ad allora inesplorato. Per fortuna aveva fatto un buon lavoro con le dita e la saliva: lo sfintere, adeguatamente preparato, non oppose resistenza più di tanto e ben presto il cazzo fu tutto gloriosamente dentro.
Tommaso sentiva la tensione dell’anello forzato, sentiva l’ingombro del tarello massiccio che lo stava possedendo, ma non quella sofferenza che si sarebbe aspettato; anzi, sotto sotto cominciava già a serpeggiargli sotto la pelle una nota di piacevolezza.
Ma fu quando Rodolfo gli si adagiò sopra, passandogli le braccia sotto il torace, stringendolo a sé e iniziando un lento ritmo di spinte col bacino, fu allora che il giovane ebbe la piena consapevolezza di quanto stava accadendo e che quanto stava accadendo non era solo un passo irrimediabile, ma era ormai parte integrante della sua vita e non avrebbe più potuto farne a meno. Si rese conto che non era più padrone di se stesso e che mai più lo sarebbe stato.
Questa consapevolezza rimosse ogni sua residua resistenza e fu quasi con un senso di sollievo che si lasciò travolgere dal piacere che lo coinvolgeva in maniera sempre più totalizzante.
Rodolfo, lo stringeva a sé, sbavandogli sulla nuca, sospirandogli all’orecchio, mentre il ritmo della sua voga si faceva sempre più pressante, sempre più gagliardo: il bacino si sollevava, ritraendo una buona porzione del suo cazzo, e poi tornava ad affondare con tutto il suo vigore, facendogli sbattere contro le natiche la sacca dei suoi grossi coglioni.
Poi giunse il momento: Rodolfo si irrigidì, strinse ancora più forte il petto ansimante dell’altro, e con un bramito dal fondo della gola, premette con forza il bacino e si abbandonò al piacere. Tommaso avvertì distintamente le pulsazioni del cazzo in orgasmo; avvertì il flusso della sborra, che gli si riversava dentro, ad ogni scatto della grossa vena contro l’anello teso del suo buco, e il languore, che già avvertiva al basso ventre, si mutò improvvisamente nel piacere di un orgasmo inaspettato, mentre pure lui veniva, infradiciando di sperma le lenzuola sotto la sua pancia
Rodolfo gli rimase disteso sopra, le braccia ancora avvinte al suo petto, il cazzo ancora sprofondato nel suo culo.
“Sei venuto anche tu…”, mormorò appena il fiatone cominciò a placarsi.
Non era una domanda: se n’era accorto dalle contrazioni violente dello sfintere attorno al suo pene.
“Sì, - mormorò Tommaso – e non capisco perché.”
“Lo capisco io, porcellino…”, sorrise Rodolfo, sfilandosi da lui e stendendoglisi al fianco.
Continuarono a baciarsi e a carezzarsi senza più alcun pudore: si appartenevano ormai e lo sapevano bene.
L’aurora tingeva ormai di rosa l’orizzonte; da un po’ si erano iniziati a risentire i nitriti dei cavalli nelle stalle, i calpestii e i richiami dei servi nel cortile, i latrati dei cani: i rumori consueti della vita che riprendeva ogni mattina dopo il sonno notturno.
“Facciamo una corsa fino al fiume?”, propose Tommaso, dopo un ultimo bacio.
Erano entrambi fradici e maleodoranti di sudore e di sperma, e grande era la voglia di tuffarsi nella fresca corrente per un bagno ristoratore.
“A condizione che stavolta non anneghi.”, lo ammonì scherzosamente Rodolfo.
“Tanto ci sei tu a salvarmi, giusto? In fin dei conti, sono il tuo scudiero: non puoi fare a meno di me.”
“Non contarci troppo: - scoppiò a ridere Rodolfo - morto uno scudiero, se ne trova un altro!”, e saltò giù dal letto, per sfuggire alla cuscinata, che l’altro gli stava tirando.

FINE
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