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L'inquilino della porta accanto - 1


di adad
22.10.2021    |    18.961    |    18 9.6
"Già, non sono la Gioconda… ma neanche un quadro di Picasso, per fortuna… ma lasciamo perdere, prima che mi linciano: di certi mostri sacri si deve parlare..."
Mi chiamo Leo e ho trentaquattro anni. Sono un tipo abbastanza comune, altezza media, corporatura media, capelli medi… no, scherzo: i capelli castani sono tagliati un po’ lunghi, come andava di moda anni fa. Sono un tipo comune, di quelli che se fossi un quadro appeso al muro, neanche mi si noterebbe, mentre ci sarebbe la coda davanti alla Gioconda. Già, non sono la Gioconda… ma neanche un quadro di Picasso, per fortuna… ma lasciamo perdere, prima che mi linciano: di certi mostri sacri si deve parlare solo bene… E io sono solo un mostro.
No, dai, non sono così brutto… solo quasi: ogni tanto un cazzo lo rimedio pure io. Già, avete letto bene: un cazzo!
Sono uno “di quelli”, come si diceva una volta, con le virgolette… Adesso non sono più i tempi di una volta, ma io sono rimasto lo stesso uno di quelli: quelli di una volta, che credevamo si potesse vivere una vita normale anche se ti piace l’uccello, mentre adesso se non sei una diva non conti un cazzo… e non rimedi un cazzo!
Ricordo quella battuta di Petrolini: “A me m’ha rovinato la guera!” Già, la guera… e a me chi m’ha rovinato?
Questo per farvi capire che tipo problematico mi trovo ad essere. Mi chiamo Leo… Ah, ve l’ho già detto. Non è facile andare d’accordo con me e infatti ho pochissimi amici: in genere si preferiscono le “dive”, con le virgolette. Abito in una cittadina di provincia, defilata dai grossi flussi culturali: tutto quello che arriva è di terza mano, ma non me ne frega niente, tanto pure io sono defilato e di terza mano.
Come mi chiamo ve l’ho detto… vi ho detto pure gli anni, come sono e cosa mi piace. Cosa rimane? Beh, che abito in centro, in un bel palazzo a tre piani, quattro appartamenti per piano, quindi fate il conto voi.
Si conoscono tutti nel condominio, ma io non conosco nessuno, giusto i dirimpettai “Buongiorno” e “Buonasera”, quando ci si incontra per le scale: ve l’ho detto, sono defilato.
Il mese scorso, gli inquilini della porta accanto hanno traslocato. È stato un sollievo, devo dire, perché era una coppia ormai vicina alle nozze d’oro, che avevano il televisore acceso dalla mattina alla sera e mi toccava sentire tutti i TG nazionali e locali, la messa della domenica mattina e i programmi di intrattenimento serali fino a mezzanotte.
Una volta avevo provato a chiedere la cortesia di tenere il volume un po’ basso; mi avevano riposto:
“Scusi tanto, ma siamo anziani e ci sentiamo poco.”, dopo di che l’udito doveva esserglisi abbassato ancora di più.
Stavo meditando di cambiare casa, nonostante l’appartamento fosse mio, quando sono stati loro a sloggiare… spero che non li abbia colti nessuna delle maledizioni che gli ho mandato nel corso degli anni.
Mi sono goduto diverse settimane di silenzio… beato silenzio… “Il silenzio è d’oro”, ha detto qualcuno e io posso dire che è anche di più! Poi, una quindicina di giorni fa ho sentito un vociare sul pianerottolo e un trambusto provenire dall’appartamento accanto; ho pensato che fosse arrivato il nuovo inquilino. Allora, ho incollato l’occhio allo spioncino e ho visto, deformati dalla lente, un mucchio di scatoloni e gente che andava e veniva con aria indaffarata: segni evidentissimi di un trasloco in corso.
“Chissà chi è? – mi sono detto – Speriamo che siano persone tranquille.”, ripensando con orrore al frastuono sopportato per anni.
Finito il trambusto, durato quasi tutto il giorno, è tornato il silenzio. Silenzio proseguito anche nei giorni successivi, così la cosa mi è del tutto passata di mente.
L’altra sera, mi stavo preparando qualcosa per cena… devo dire che mi piace cucinare e sono anche abbastanza bravo… Beh, diciamo così… Insomma, ero in cucina con il grembiale della nonna annodato in vita, quando sento suonare alla porta. Senza pensarci, vado ad aprire così com’ero e mi trovo davanti un giovanottone sui trentacinque/quaranta, biondo svedese e due occhioni azzurri come l’oceano in un giorno d’agosto. Elegantissimo con un paio di pantaloni sportivi e un maglioncino azzurro. Conciato com’ero, sono rimasto lì senza parole e devo dire che pure lui è rimasto un po’ spiazzato.
“Mi scusi… - mi fa, dopo un momento di silenzio – vedo che è occupato… spero di non disturbarla…”
Disturbarmi? Non posso ripetere quello che mi è passato per la mente in una frazione di secondo, mentre la mia anima annegava in quegli occhi, azzurri come l’oceano in un giorno d’agosto.
“Nessun disturbo. - ho balbettato, sentendomi un perfetto idiota col mestolo in mano e il grembiale della nonna annodato in vita – Posso esserle utile?”
“Mi chiamo Beppe, Beppe Morganti… abito nell’appartamento qui a fianco.”, e mi ha teso la mano.
“Molto lieto, - ho detto io stringendogliela – Leo Ruggeri. Così, lei è il nuovo inquilino, spero che il suo udito sia a posto.”
Perché avrò detto una cretinata del genere, molto maleducata del resto? Perché il mio sistema neurovegetativo si stava già surriscaldando, alla vista di quel magnifico esemplare… e peccato che i pantaloni sformati non mi permettessero di valutare la consistenza del… beh, ci siamo capiti.
Lui ha aggrottato le ciglia, scuotendo la testa con aria interrogativa.
“Scusi?…”, ha detto.
Sono diventato rosso come un peperone.
“Mi scusi lei, - ho spiegato – è che i precedenti inquilini erano due anziani e tenevano la televisione accesa tutto il giorno a volume decisamente alto.”
Lui è scoppiato a ridere.
“Non si preoccupi: guardo poco la televisione e il mio udito è perfetto. Non credo che le porterò disturbo.”
“Perdoni, certe volte mi comporto da cretino. Ma si accomodi, la prego. – ho detto facendomi da parte per farlo entrare - Posso esserle utile?”
“Non proprio, - ha detto lui, senza accogliere l’invito ad entrare – volevo solo conoscere i miei vicini, visto che probabilmente dovremo convivere abbastanza a lungo… Ma vedo che era occupato… mi scusi… ripasserò.”
Col cazzo, che ti lascio andare!
“Ma no, entri: facciamo due chiacchiere in cucina.”
“Mia madre diceva che la cucina è il posto più caldo della casa… non in senso termico, naturalmente.”, ha detto lui, seguendomi.
“E aveva ragione…”
È venuto facile continuare a discorrere con lui, mentre rimestavo i miei ossobuchi in umido e ci sedevamo al tavolo con due bicchieri di moscato fresco. Dopo un po’ eravamo passati al tu e avevamo scoperto di avere parecchi interessi in comune, fra cui l’amore per la buona tavola. Mentre ci scambiavamo affabilmente pareri ed opinioni, gli ossobuchi hanno raggiunto la cottura perfetta, così che mi sono alzato dal tavolo e per andare a spegnere il gas.
Anche Beppe si è alzato.
“Si è fatto tardi. Vado a buttare qualcosa nel microonde. – ha detto – mi ha fatto piacere conoscerti.”, e si è avviato alla porta.
“Buttare qualcosa nel microonde? – mi sono allora scandalizzato – Ma come, ti piace mangiare bene e vai a buttare qualcosa nel microonde?”
Lui ha sorriso:
“Ho detto che mi piace mangiare bene, non che sono bravo come te.”
“Non se ne parla! Il microonde è la negazione perfino dell’esistenza di Dio! Dai, siediti, ce n’è anche per te.”
Lui ha cercato di protestare, ma non ho sentito ragione: l’ho spinto a sedersi e gli ho piazzato davanti il piatto in cui troneggiava un polposo ossobuco col suo sughetto, accompagnato da un’abbondante cucchiaiata di piselli.
Devo dire che ci ha fatto onore: alla fine, a furia di scarpettarlo, il piatto sembrava appena uscito dalla lavatrice.
“Gesù, che buono! – ha detto, soddisfatto – Sei davvero un uomo da sposare!”
“Se trovo chi mi si piglia…”, ho scherzato io.
Mi ha guardato con un’espressione strana o è stata solo la mia immaginazione? Poco dopo se n’è andato, lasciandomi con un carico di libidine compressa nelle palle, che è difficile immaginare. Volevo spararmi subito una sega, ma mi sono accorto che a parte il volto regolare e dai lineamenti marcati, a parte i bei capelli ondulati e gli occhi incredibilmente luminosi, non riuscivo a focalizzare niente di lui, e non puoi segarti, sognando di immergerti in due occhi azzurri come l’oceano in una giornata d’agosto.
Che ho pensato a lui tutta la notte è innegabile… e anche il giorno dopo in ufficio… tanto che ho combinato ben poco sul lavoro e i colleghi ad un certo punto hanno cominciato a guardarmi incuriositi.
Tornato a casa, l’eccitazione accumulata nelle ore precedenti ha cominciato a produrre i suoi effetti, con il cazzo che mi formicolava nelle mutande e strani brividi che mi correvano sotto la pelle al minimo refolo di vento dalle finestre aperte. Ho pensato bene di farmi una doccia e non so neanch’io come ho fatto a resistere alla voglia di masturbarmi e sborrare, mentre l’acqua calda mi ruscellava sulla schiena e io insistevo a sfregarmi certe parti del corpo con la spugna saponosa. Ma c’era qualcosa che mi bloccava, uno strano ritegno che mi impediva di afferrarmi l’uccello e darci quattro menate!
Ero appena uscito dalla doccia e mi stavo asciugando, quando ho sentito suonare alla porta.
“E’ lui!”, mi sono detto con un tuffo al cuore.
Mi sono infilato in fretta un accappatoio e sono corso ad aprire.
Era lui!
“Ciao”
Il sorriso radioso con cui mi ha detto quel “ciao” mi ha fatto tremare le gambe.
“Ho pensato di restituirti la cortesia, - ha continuato, sollevando due borse che portava, una per mano – ho comprato un po’ di roba, così facciamo una cenetta… Cioè, tu prepari una cenetta… Io saprei solo buttare tutto nel microonde, lo sai.”
Non sono il tipo che mortifica un donatore con mille salamelecchi del tipo “ma perché ti sei disturbato” o “ma non dovevi” ecc. ecc. Se uno mi fa una carineria, me la fa aspettandosi che io la gradisca e vuole leggere la sorpresa, il piacere e la gioia nei miei occhi. Cosa che ho fatto, ma non per finta: ero davvero sorpreso e contento.
“Accidenti! – ho detto, scostandomi per farlo entrare – hai avuto un’idea fantastica. Vieni, portiamo tutto in cucina.”
Gli ho fatto strada.
“Ma ti ho disturbato.”, ha detto, posando le borse sul tavolo.
“Non preoccuparti, avevo già finito… mi stavo asciugando.”
Ho cominciato a svuotare le borse.
“Dovrei farmi una doccia pure io. – ha detto Beppe – Vado un momento di là… torno fra un po’.”
“Falla qui, dai. – mi è scappato – Il bagno è laggiù. Nell’armadietto trovi gli asciugamani e anche un accappatoio pulito. Io intanto do un’occhiata alla spesa.”
“Grazie… Faccio come se fossi a casa mia?”, ha detto lui, scompigliandomi i capelli ancora umidi.
Mi è piaciuta la prontezza con cui ha accettato l’invito a docciarsi da me e potete immaginare i brividi che mi sono venuti poco dopo, quando ho sentito lo scroscio dell’acqua dalla porta socchiusa del bagno. Pensarlo nudo nel box… Per un momento ho avuto la tentazione di entrare con qualche pretesto, ma non mi è sembrato corretto… ma cosa è corretto, quando la brama di sesso ti divora?
Comunque, mi sono fatto forza e sono rimasto in cucina a preparare le bistecche per la griglia. Stavo giusto massaggiando la carne con le spezie, quando l’ho sentito affacciarsi alla porta della cucina.
“L’insalata è già pronta, - ho detto, senza girarmi – condiscila, se ti va: io intanto preparo la griglia.”
“Sì, chef. - ha risposto – Dove trovo il necessario?”
Mi sono girato per dargli indicazioni e mi sono bloccato, fissandolo a bocca aperta: Beppe era lì, solo con un accappatoio allacciato in vita, che mostrava un generoso triangolo del suo petto ben modellato, coperto da una leggera peluria ambrata, e le gambe snelle dal ginocchio in giù.
“C’è qualcosa che non va? – ha chiesto lui – Scusa se ho usato il tuo accappatoio, non volevo rimettermi addosso la roba sudata. Spero di non essermi permesso troppo.”
Ho fatto segno di no con la testa.
“E’… è che sei uno schianto!”, mi è sfuggito.
Mi sono morso subito la lingua, ma, come dice il poeta, voce dal sen fuggita… Ormai la frittata era fatta. Mi sono sentito bruciare la faccia e, senza dire altro, sono tornato a girarmi verso le braciole, sulle quali ho poggiato, le mani che mi tremavano per la vergogna di essermi scoperto e il timore d’averlo offeso.
Ma lui si è avvicinato, mi ha stretto le braccia con le mani e si è chinato a darmi un bacio leggero nell’incavo del collo.
“Meno male che ho messo il tuo accappatoio, - ha sussurrato mentre mi faceva girare – altrimenti, chissà quanto tempo ci avremmo messo.”, e ha poggiato le labbra sulle mie.
Che volete che dica? Le mie labbra si sono dischiuse prima ancora che il mio cervello elaborasse la cosa e mandasse loro l’ordine di aprirsi. La sua lingua calda… pastosa… mi è scivolata in bocca, prendendone possesso con dolce prepotenza. Ero così imbambolato, che per un momento non ho reagito; ma solo un momento, perché presto, con un gemito famelico, gli ho preso il volto fra le mani e la mia lingua ha preso a guizzare intorno alla sua in una danza selvaggia di passione, inseguendola nella sua bocca e poi risucchiandola nuovamente nella mia. Poi, senza aprire gli occhi, né staccare le labbra dalle sue, gli ho sciolto la cintura dell’accappatoio, ci ho infilato le braccia sotto e l’ho stretto a me in un abbraccio frenetico, vieppiù infiammato dal calore del suo corpo, dalla levigatezza della sua pelle, dal profumo, che era quello del mio bagnoschiuma, ma che su di lui sprigionava una fragranza inebriante come non mai.
Ero completamente partito, quando ci siamo sciolti dal bacio e dall’abbraccio.
“Wow!”, ha esclamato Beppe con un sorriso sulle labbra ancora umide.
Ho riaperto gli occhi e ho sorriso pure io come un ebete, non sapendo che dire, la testa completamente vuota e una voglia matta di tornare a baciarlo.

(continua)
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