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Le valet de chambre - 2


di adad
19.06.2023    |    5.915    |    8 9.9
"“Remy…”, mormorò il conte, scuotendolo leggermente per la spalla..."
Rimasto solo, Remy non sapeva che fare: fissava l’acqua saponosa, da cui si
levava un leggero sentore di rose, e se da un lato l’ordine ricevuto lo obbligava ad ubbidire, dall’altro gli rintronavano nella testa gli strali contro l’impudicizia, frammisti ai racconti più o meno terrificanti sulle conseguenze delle abluzioni, soprattutto intime.
Pure, il conte lo aveva fatto, senza nessuna paura… ma il conte era un nobile e forse per i nobili vigevano altre leggi, il loro era un altro sangue… non valevano le norme della gente comune…
Alla fine, comunque, la necessità di ubbidire prevalse e Remy cominciò lentamente a spogliarsi. Si tolse il farsetto e la camicia; poi, dopo essersi guardato furtivamente attorno, si sfilò le braghe, gettandole da una parte, mentre si copriva pudicamente il davanti con una mano.
Infine, dopo altri tentennamenti, sollevò una gamba e la immerse nell’acqua, ormai poco più che tiepida. Facendosi forza, sollevò anche l’altra, entrando nella tinozza e immergendosi immediatamente. Non successe nulla. Anzi, dopo un po’, via via che si scioglieva lo strato di sporcizia, che lo ricopriva, via via che si riaprivano i pori ostruiti della pelle, Remy cominciò a sentirsi addosso un senso generale di benessere, un senso di piacevolezza, che sul momento quasi lo spaventò, prima di abbandonarcisi con un sollievo che andò crescendo una volta che, presa la saponetta, cominciò a passarsela prima sulla testa, come aveva fatto al conte, poi sul volto, sulle braccia, sul petto.
Preso dalla meraviglia, si pose in ginocchio e cominciò a lavarsi l’addome, i fianchi, il fondoschiena… Non era soltanto il primo bagno della sua vita, era soprattutto la prima volta che prendeva consapevolezza del suo corpo e delle sensazioni piacevoli che poteva trarne.
Ma il colmo giunse quando si alzò in piedi e cominciò a insaponarsi le natiche e l’inguine: non appena le mani saponose scivolarono nello spacco del culo, detergendolo dai grumi di sporcizia, il sesso ancora acerbo reagì istintivamente, schizzando turgido e palpitante, fin quasi a sfiorare l’orgasmo. La cosa lo sorprese e lo spaventò, distogliendolo dall’euforia del momento e spingendolo a immergersi nuovamente fin sopra la testa nell’acqua ormai fredda.
Possiamo dire che fu un Remy nuovo, quello che emerse dalla tinozza? Sì, possiamo dirlo, non solo perché aveva scoperto il piacere di sentirsi pulito e profumato, ma soprattutto perché da quel momento cominciò a liberarsi da tanti di quei pregiudizi e di quelle ubbie, che fino ad allora lo avevano attanagliato. Entrare al servizio del giovane conte di Saint-Fere, rappresentò davvero una svolta nella sua vita. Servirlo quotidianamente, anche nelle incombenze più intime, come aiutarlo nel bagno o dormire su un materasse di paglia ai piedi del letto padronale lo aiutò ad entrare in una nova dimensione di vita. Per certi versi diventò più sicuro di sé e quando scoprì che altri servi ridevano di lui, chiamandolo il “lavaculo” del padrone, lui rispose con un ghigno divertito: “Meglio lavare il culo del padrone, che raccogliere la merda del suo cavallo!”
In realtà gli piaceva aiutare il padrone nel bagno, gli piaceva cospargere di schiuma saponosa il suo corpo vigoroso, in particolare la schiena e le natiche, a cui dedicava una cura particolare; gli piaceva sentire l’afrore del suo corpo maschile, che si stemperava lentamente, mescolandosi al profumo ora di rosa, ora di misteriose essenze orientali del sapone.
C’era una cosa, però, che il conte non gli aveva più permesso, dopo quella prima volta: di lavarlo davanti. Adesso era lui stesso che se ne occupava. Questo, tuttavia, senza privarlo della visione della sua completa nudità, inevitabile, del resto, dovendo aiutarlo a vestirsi e a spogliarsi più volte al giorno.
E poi, dopo aver assolto i suoi compiti e averne ricevuto il permesso, gli piaceva spogliarsi, sia pure vergognandosi ancora con se stesso della sua nudità, e immergersi nell’acqua tiepida e saponosa della tinozza, abbandonandosi ad un lavacro che non era solo corporale.

Come si è detto, Remy dormiva nella camera del conte, su un materasso di paglia ai piedi del letto: questo per essere pronto in qualsiasi momento venissero richiesti i suoi servigi. Il conte, infatti, preferiva dormire da solo nella sua camera, anche le volte in cui decideva di passare la serata con la contessa.
Una notte, rientrò particolarmente tardi. Remy già dormiva, rannicchiato sul suo pagliericcio. Il conte lo guardò e decise di non svegliarlo: era un po’ alterato per una discussione avuta con la moglie e non aveva voglia di sentirsi gente attorno.
Al fievole chiarore del lume da notte, si spogliò, gettando i vestiti da una parte, e si apprestò a mettersi a letto.
Senonché, proprio in quel momento, fu colto da un impellente bisogno fisiologico. Allora, allungò un calcio al pagliericcio e:
“Prendimi il vaso, scansafatiche!”, ordinò.
Remy, si svegliò di soprassalto e balzò in piedi, vedendo il padrone incombere su di lui.
“Prendimi il vaso.”, ripeté quello.
Scuotendo, allora, la testa per liberarsi dai fumi del sonno, Remy corse nello stanzino da bagno, dove erano custoditi i vasi da notte, ne prese uno e glielo portò, reggendoglielo davanti, mentre il conte sollevava il davanti del camicione e, tenendosi l’uccello con due dita, si abbandonava con un sospiro ad una pisciata che sembrava liberarlo anche del malumore.
Non era una cosa insolita per quei tempi e lo stesso Remy vi era abituato. Tuttavia, distolse pudicamente lo sguardo e volse di lato la testa, pur senza potersi impedire di lanciare ogni tanto uno sguardo di sottecchi alla grossa cappella da cui scrosciava il getto di urina.
Quando il conte ebbe terminato, Remy andò a riporre il vaso nello stanzino, ripromettendosi di svuotarlo l’indomani nella latrina; senonché, girandosi, dopo averlo deposto a terra, si trovò davanti il conte che lo fissava con uno sguardo strano.
“Ti è piaciuto vedermi pisciare, vero, Remy? – gli disse con voce roca – Te la
sei goduta la mia pisciata?”
Remy cercò di svicolare.
“Signor conte…”, mormorò.
Ma l’altro lo afferrò per il polso e cacciandosi la sua mano sotto il camicione:
“Toccami… - ansimò – toccami come facesti quel giorno nel bagno…”
La mano di Remy andò a sbattere contro il cazzo barzotto del conte, ancora mezzo molle e bagnato di piscio sulla punta. Un turbine di emozioni lo travolse: la mano sfiorò la sacca pelosa dei coglioni, poi si trovò schiacciato nel palmo il corpo carnoso, che andava rapidamente intostandosi, e lo strinse con un misto di curiosità e desiderio, quasi da un pezzo non aspettasse altro. Spontaneamente, infilò sotto il camicione anche l’altra mano e mentre con una palleggiava lo scroto, con l’altra carezzava la grossa canna, lentamente, avanti e indie, meravigliandosi del calore e della sofficità di quella carne proibita.
Con un sospiro, come di sollievo, il conte Jean chiuse gli occhi, appoggiandosi con le spalle alla parete e divaricando leggermente le gambe, mentre si sollevava l’orlo del camicione fino alla vita, esponendosi oscenamente e totalmente allo sguardo del giovane valletto.
In tutta franchezza, non sapeva neanche lui cosa gli stava succedendo, non avrebbe saputo spiegarlo neanche al confessore da dove originasse questo laido, questo improvviso desiderio: aveva voglia di essere toccato, questo solo, di essere toccato e manipolato, di riprovare quelle sensazioni che le mani del giovane valletto gli avevano procurato quel giorno nel bagno. Poi, d’un tratto, tutto perse consistenza attorno a lui: rimasero solo le mani di Remy, che lo toccavano con ingenua maestria, e il piacere sempre più intenso che cresceva dentro lui, che gli faceva tremare le gambe, vibrare l’uccello, che gli illanguidiva lo stomaco, gli mozzava il respiro….
Remy lo fissava inebetito, ma nello stesso tempo in preda ad una forte euforia: si rendeva conto che il padrone stava godendo, godendo in maniera incontenibile, e la cosa non solo gli infondeva la profonda gratificazione che stava avvenendo per mano sua, ma trasmetteva a lui stesso un reale piacere fisico, di cui non si rendeva conto, se non vagamente.
Poi, con uno scatto, il conte gli afferrò le spalle con entrambe le mani, mentre con un guaito si chinava a poggiare la fronte contro la sua, intanto che dal cazzo scattante iniziavano a schizzare densi fiotti di seme, che colpirono dritti il giovane Remy, infradiciandogli il davanti della camicia da notte.
Rimasero a lungo così: il conte Jean ansimante, con gli occhi chiusi e la fronte poggiata su quella di Remy, e il ragazzo con la mano piena di sborra, che gli reggeva tuttora il membro via via più molle. Infine, il conte si riscosse, si raddrizzò, mentre Remy mollava la presa sul suo cazzo, da cui scolava ancora un filamento biancastro di sperma.
“Perdonatemi, signor conte…”, mormorò Remy, come sentendosi responsabile di quanto era successo.
Ma l’altro non disse niente: si allontanò bruscamente e si infilò a letto. Rimasto
da solo, Remy si accorse di avere il camicione fradici, di quanto il conte gli aveva
schizzato addosso, allora se lo tolse e, nudo com’era, se ne tornò al suo pagliericcio, raggomitolandosi sotto la leggera coperta. Si sentiva triste, non per quanto era successo: il conte aveva il diritto di fare quello che voleva con i propri servi; si sentiva triste perché non era stato ripagato neanche da un sorriso o da una parola buona. Anche i cani ubbidienti vengono ricompensati con una carezza.
Quello che Remy ignorava, però, era il tumulto che tormentava in quel momento l’animo del conte, sconvolto non meno di lui per quanto era successo. Si vergognava delle volgarità che gli aveva detto, non meno di quello che lo aveva costretto a fare. “Perché? – si chiedeva – perché l’ho fatto? Cosa mi ha preso?”
Non era da lui comportarsi così, non era da lui cercare l’attenzione di altri uomini… neanche durante le lunghe campagne militari si era macchiato di una tale… di una tale… gli mancavano perfino le parole per definirla… di una tale sozzura! Buon Dio, era sposato!... felicemente sposato… Cosa lo aveva indotto ad approfittarsi di un ragazzo innocente? Certo, poteva addossarne a Remy la colpa, alle sue mani che lo avevano toccato in maniera da svegliare i suoi più bassi stimoli… Ma non era così e lo sapeva bene: era qualcosa dentro di lui che lo aveva spinto a farsi dare piacere dal suo valletto… quel povero ragazzo, che adesso dormiva per terra ai piedi del suo letto.
Un profondo senso di pena lo invase a tale pensiero, e fu quella pena, frammista alla vergogna e al rimorso, che lo spinse ad alzarsi e ad accosciarsi accanto al pagliericcio, sul quale tremava, raggomitolato, il povero Remy.
“Remy…”, mormorò il conte, scuotendolo leggermente per la spalla.
Quello spalancò gli occhi e si sollevò a sedere.
“Signor conte!”, esclamò, cercando di alzarsi, incurante della sua nudità.
“Sta calmo, non mi serve niente. – lo fermò però, l’altro – Stai tremando… vieni con me.”
E presolo per un braccio, lo aiutò ad alzarsi e lo guidò verso il suo letto, tornando a infilarsi sotto le coperte. Remy si fermò esitante: tutto questo era troppo, non capiva…
“Vieni, - ripeté il conte – vieni, non ti faccio niente.”, e gli tenne sollevato le coperte.
A Remy non rimase che ubbidire e vi si infilò sotto, rannicchiandosi il più lontano possibile da lui.
“Non aver paura, - disse però il conte, intuendo il suo disagio – voglio solo che ti scaldi: non posso vederti tremare di freddo per colpa mia.”
E con queste parole, gli andò più vicino e lo strinse a sé.
“Va meglio, adesso?”, gli chiese dopo un po’.
“Sì, signore…”, mormorò Remy.
In effetti, il sangue cominciava a scorrere più caldo nelle sue vene, il tremore si era placato e uno straordinario senso di benessere aveva cominciato a pervadergli le membra, specialmente quando il conte Jean, forse nel tentativo di dargli maggior calore, cominciò a carezzarlo sulla schiena, sulle spalle, scendendo lungo
la spina dorsale, fino al fondoschiena, dove insistette con cura particolare.
Vorrei poter dire che fu il caso a spingere la mano del conte sulle belle chiappotte sode del ragazzo, ma non ne sono così sicuro; vorrei poter dire che Remy rimase freddo a quei premurosi maneggi, conservando intatta la sua innocenza, ma purtroppo non fu così. Vorrei poter dire che fu una notte casta, quella che i due passarono nello spesso letto, ma non lo fu affatto: appena superato il naturale e giusto ritegno che Remy aveva nei confronti del suo nobile padrone, iniziò ad contorcerglisi fra le braccia come un’anguilla, reagendo alle audaci carezze l con carezze ancora più audaci, offrendoglisi al pari di un’amante appassionata ed accogliendolo in luoghi ove nessuno dei due avrebbe immaginato.
Quando sorse l’aurora, il suo chiarore rosato li colse ancora avvinti e ognuno a suo modo dolorante… stanchi, ma non certo saziati, come dicevano gli antichi scrittori.
Sono sicuro che molti si aspettavano che descrivessi nei dettagli, quanto i due combinarono in quella lunga notte, ma non mi ha retto l’animo davanti allo spettacolo degli osceni congiungimenti, a cui pure assistetti, alla acrobazie, alle evoluzioni che i due misero in atto con reciproca soddisfazione: ci sono dei limiti anche al dovere di uno scrittore di riportare i fatti.
Al levarsi dei primi rumori nel Palazzo, Remy sgusciò fuori dal letto.
“Dove vai?”, gli chiese il conte con voce assonnata.
“Signore, - fece Remy con tono insolitamente maturo – dimenticate che sono il vostro valletto: non è questo il mio posto. E… sarà meglio che non diciate a nessuno quello che è successo: i servi hanno la lingua lunga, da un dito sanno tirar fuori un braccio. E se nascono chiacchiere, voi siete quello che ci rimette di più.”
Il conte Jean lo guardò ammirato:
“Hai ragione, - concordò – questo sarà il nostro segreto. Portami il vaso, adesso, e fammi preparare il bagno… Credo che ne abbiamo bisogno tutti e due.”

FINE
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