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Gay & Bisex

Soap opera - 1


di adad
25.02.2021    |    5.894    |    5 9.2
"Valdemaro aveva appena preso la tazza e bevuto un sorso, quando entrò con foga dona Marcela, bardata da gran signora di inizio secolo, intendo il Novecento..."
“Va ora in onda la tremila quattrocento settantottesima puntata della soap: CREPUSCOLO”, comunicò l’annunciatrice col suo sorriso stereotipato, lasciando subito posto alla sigla della pubblicità che precedeva il programma.
“Venite, sta per cominciare.”, chiamò Giulio accomodandosi ad una estremità del divano.
Per molti versi, Crepuscolo non era altro che la solita soap brasiliana ma, grazie all’intreccio accattivante della trama e agli attori bellocci, con gli anni aveva saputo acquistarsi una notorietà e un posto nel cuore dei telespettatori, che le altre neanche se lo sognavano.
I maligni la definivano una “soap-diarrea”, ma il favore che incontrava presso il pubblico televisivo di ogni età e condizione sociale era inequivocabile e incontestabile, viste le punte di share che raggiungeva ad ogni puntata. Ma del resto, si sa, a criticarla erano i soliti con la puzza sotto il naso, intellettualoni da supermercato che le sparavano a un tanto al chilo.
Il resto della famiglia lo raggiunse: sua moglie Valeria, asciugandosi le mani col grembiule, sua suocera Marina, spiluccando un grappolo d’uva, e Teresina, la figlia quattordicenne. Le donne si raggrupparono sul divano vicino a Giulio, l’unico uomo di casa, il quale passò un braccio sulle spalle di Valeria e la strinse a sé con un sorriso felice. Sì, ogni puntata di Crepuscolo era sempre un momento di grande ritrovo e intimità familiare.
“Ecco, comincia.”, disse la suocera, riponendo in un portacenere il graspo nudo.
Sullo schermo comparve, infatti, Valdemaro, il bellissimo figlio ed erede di donna Marcela, sprofondato in una poltrona a leggere il quotidiano nazionale. Era inquieto Valdemaro, gli si leggevano in faccia l’angoscia e un’intima agitazione che non gli dava requie. Chiuse il giornale e suonò un campanello sul tavolinetto lì accanto.
“Che bel ragazzo…”, mormorò la suocera.
“Shhhh, mamma.”, fece Valeria, quasi si vergognasse che la madre cinquantenne potesse ancora esprimere simili apprezzamenti… alla sua età.
Entrò un giovane cameriere, che si avvicinò e gli fece un inchino.
“Il signore comanda?”
“Anche lui è bellino.”, disse Teresina, beccandosi un affettuoso scappellotto dalla madre.
“Portami un caffè, Alesio.”, ordinò Valdemaro, fissandolo un momento negli occhi.
“Subito, signore.”, disse il giovane, abbassando prontamente i suoi.
Ricomparve poco dopo con una tazza fumante che depose sul tavolinetto.
“Ecco, signore.”, e si allontanò dopo un nuovo inchino.
Valdemaro aveva appena preso la tazza e bevuto un sorso, quando entrò con foga dona Marcela, bardata da gran signora di inizio secolo, intendo il Novecento.
“Ah, sei qui, Valdemaro. Ti cercavo.”
“Cosa c’è mamma?”
“C’è che dobbiamo sistemare quella faccenda.”
“A quale faccenda vi riferite?”, chiese Valdemaro, fissandola con aria interrogativa.
Primo piano sul suo bellissimo volto: lineamenti regolari, leggermente imbronciati, carnagione ambrata, baffetti da sparviero e due occhi straordinariamente luminosi.
“Ma dove li trovano ragazzi così belli?”, commentò Valeria con sguardo sognante.
Giulio si volse a fissarla.
“Devo preoccuparmi?”, fece in tono canzonatorio.
“E finitela! – sbottò Teresina – ché non si capisce niente.”
“Come, quale faccenda? – si stupì donna Marcela – ti sei dimenticato che don Alvaro aspetta che tu e la tua fidanzata, quell’Edvina, fissiate la data delle nozze?”
Erano almeno quattrocento puntate che i due fidanzati dovevano fissare la data delle nozze, ma ora per un motivo, ora per un altro la fatale decisione veniva sempre rinviata. Oltretutto, donna Marcela non aveva gran simpatia per “quell’Edvina” e all’inizio della relazione si era anche opposta, ma alla fine aveva ceduto, in considerazione soprattutto dei consistenti possedimenti di don Alvaro, di cui la figlia era unica erede. Valdemaro, dal canto suo, giovane e viziato com’era, dopo una corte serrata alla bella Edvina (bella sì ma non quanto lui), adesso si era un po’ raffreddato e cercava ogni pretesto per differire quelle nozze non più tanto ambite.
Questo, in sintesi.
“Ah, sì, le nozze… Ci sto pensando”, rispose distrattamente il giovane, riprendendo il giornale.
Dona Marcela lo fissò interdetta: questa battuta non c’era nel copione. Si guardò attorno, cercando lumi, poi improvvisò:
“Come, ci stai pensando? Ma… Valdemaro, sono mesi che ci pensi. Don Alvaro pretende…”
“Sentite, mamma! – la interruppe seccamente Valdemaro, gettando a terra il giornale – Queste sono faccende che non riguardano né voi, né don Alvaro. E adesso lasciatemi in pace. Alesio!”
Ormai in piena confusione, dona Marcela si precipitò fuori, mentre dall’uscio opposto entrava Alesio, che si avvicinò con premura e rimase in attesa.
Valdemaro lo ignorò, fissando corrucciato la parete di fronte, occupata da un enorme ritratto di don Alejandro, il fondatore della fortuna familiare con le sue piantagioni di caffè e di gomma arabica.
Abituati alle bizze del rampollo, i telespettatori non si accorsero che qualcosa non andava, come, ad esempio, il fatto che Valdemaro non era mai stato così maleducato con sua madre, la tirannica donna Marcela, e aspettavano attenti e incuriositi gli sviluppi della vicenda.
Alesio qualche dubbio cominciava ad averlo, considerando che la scena aveva preso una piega diversa da quanto avevano registrato il giorno prima, tuttavia, fedele alla sua parte di fidato domestico, rimaneva lì impassibile, in attesa degli ordini. Valdemaro si accorse della sua presenza.
“Cosa vuoi?”, gli chiese sgarbatamente.
“Mi avete chiamato, signore.”, fece quello garbatamente, con un leggero inchino.
“Ah, sì, ti ho chiamato.”, e rimase a fissarlo a lungo con gli occhi aggrottati.
Alesio attese pazientemente: nonostante tutto nutriva una gran simpatia per il giovane padrone e se si era allontanato dal copione, doveva avere i suoi buoni motivi.
“Voltati”, gli ordinò Valdemaro.
Il domestico si voltò, più che altro incuriosito, dandogli le spalle.
Valdemaro si alzò dalla poltrona e gli si accostò.
“Hai un bel culo, lo sai?”, mormorò, allungando la mano a lisciargli le ammirevoli rotondità.
“Ma che sta succedendo? - disse Valeria – da quand’in qua fanno vedere queste cose in tivù?”
“Cosa fate, don Valdemaro?”, sospirò Alesio, guardandosi però bene dal sottrarsi alle cupide attenzioni del suo padrone.
“Mi piace… Cazzo, se mi piace!”, disse Valdemaro e con mossa rapida gli passò le mani attorno ai fianchi, gli slacciò i pantaloni e glieli calò a mezza coscia, assieme alle mutande.
Poi cadde in ginocchio, gli allargò le natiche e affondò il volto nel solco, grufolando rumorosamente nella sua intimità.
“Spegni! Spegni subito quella schifezza!”, urlò Valeria, voltando con mossa brusca la faccia di Teresina, perché non guardasse.
Giulio, dal canto suo, non credeva ai suoi occhi e fissava lo schermo imbambolato, finché la suocera gli strappò di mano il telecomando e spense il televisore. Erano tutti frastornati, increduli.
“Mamma, gli stava leccan…”, cominciò Teresina, prima che un ceffone della madre gli troncasse la parola di bocca.
“Vai subito in camera tua!”, e la ragazzina, che in realtà ne sapeva più di tutti loro messi assieme, salì mestamente le scale, rammaricandosi di non aver potuto vedere il seguito.
“Non ci posso credere… - commentò la suocera, andandosene pure lei nella sua camera – non bastavano le donne scosciate e mezze nude, pure i recchioni adesso…”
“Mamma!”, la rimproverò la figlia, delusa e stizzita per l’imprevista piega che la soap aveva preso.
Finalmente, il tecnico addetto alla trasmissione, che fino a quel momento non si era accorto di niente, intento com’era a ingannare la noia, guardando un video di scopate su Pornhub, si avvide del disastro che stava succedendo, e chiuse tutto mandando la pubblicità. Ma intanto Valdemaro era andato parecchio avanti nella sua esplorazione oro-anale e tutti i telespettatori che non avessero spento il televisore scandalizzati, avevano avuto modo di vedere sia la foga con cui quello si dilettava in mezzo alle superbe chiappe di Alesia, sia il piacere godurioso con cui quest’ultimo accoglieva gli slurpamenti all’interno del buchetto vellutato.
Cosa sarebbe successo in seguito non lo sapremo mai, perché quella puntata n. 3478 venne distrutta e si passò direttamente alla successiva, tanto non è che cambiasse granché.
Ma tra quanti rimasero maggiormente scioccati per l’infelice raptus erotico del bello e viziato Valdemaro, ci fu anche il nostro Giulio, il meccanico quarantenne, marito di Valeria, padre di Teresina e genero della focosa Marina. L’uomo aveva condotto fino ad allora una vita irreprensibile: certo, gliene era capitati in officina parecchi palesemente di quell’orientamento, ma mai gli era successo di assistere ad un approccio, sia pure soltanto in un filmato.
A scioccarlo, però, e se ne era accorto subito lui stesso, non era stato il fatto di aver visto Valdemaro che leccava il sedere al suo domestico, ma la morbosità con cui era rimasto a guardare, il friccicore che lo aveva preso in mezzo alle gambe, la contrarietà che aveva provato, quando sua suocera gli aveva strappato il telecomando di mano e aveva spento il televisore, ponendo fine a quella sconcia esibizione.
A scioccarlo fu anche l’impulso, che ebbe, di correre di sopra, ad accendere il televisore in camera da letto… e lo avrebbe fatto, se non avesse avuto fra i piedi la moglie, la suocera e quant’altro, a cui dare spiegazioni.
Possibile che ne fosse così affascinato? O ne era soltanto incuriosito? Fatto sta che l’immagine di Valdemaro, che denudava il culo di Alesio e gli affondava il volto in mezzo alle chiappe, gli rimase a lungo impressa nella mente prima di addormentarsi… e anche dopo, se è vero che sognò qualcosa del genere, come gli sembrò di ricordare vagamente la mattina dopo… solo che nel sogno c’era lui… ma non riusciva a ricordare chi fosse l’altro.
Si alzò con un forte senso di inquietudine, prese in fretta il caffè, fece la doccia, sentendosi stranamente sensibile in zona genitale, poi salì in macchina e si recò all’officina, che gestiva assieme ad un operaio, Rudy, un venticinquenne molto bravo nel suo mestiere.
Quando entrò nello spogliatoio, Rudy era già arrivato e si stava cambiando. Gli dava le spalle e Giulio se lo trovò davanti senza pantaloni, a torso nudo e addosso solo un paio di slip strapazzati, un tempo bianchi, che attirarono immediatamente la sua attenzione. Una volta, forse, non ci avrebbe fatto caso, ma dopo quanto era successo la sera prima, quella visione gli torse la bocca dello stomaco. Rudy si girò al cigolio della porta:
“Ah, è lei, signor Giulio. Buongiorno.”, e prese dall’appendiabiti la tuta bisunta per indossarla.
“Buongiorno.”, mugugnò Giulio, continuando a tenere gli occhi fissi su quegli slip, che lasciavano indovinare le curve provocanti del giovane culo.
Poi avvenne l’impensabile: l’uomo si avvicinò, allungò una mano e gliela avvolse attorno alla perfetta rotondità della natica.
Rudy si irrigidì, ma fu solo un attimo: poi sopraggiunse un brivido, accompagnato da un’intensa sensazione di calore: non era infatti insensibile al fascino maturo del suo datore di lavoro e un sacco di volte lo aveva spiato con la coda dell’occhio, mentre si cambiava, chiedendosi cosa celasse dentro quel pacco voluminoso che gli appesantiva il davanti delle mutande. Ma gli parve strano che adesso Giulio lo stesse toccando e per un attimo temette che si trattasse di una presa in giro, a cui avrebbe fatto seguito una pesante battuta. Ma la lisciata continuava, a suo modo voluttuosa, e non era accompagnata da nessuna battuta, solo dal respiro di Giulio che si faceva più pesante.
“Signor Giulio…”, azzardò Rudy, senza muoversi, volgendo leggermente indietro la testa.
Giulio non diede segno di averlo udito: continuò a fissare quello che la sua mano stava carezzando, adesso più spudoratamente, muovendosi su entrambe le natiche, con sorpresa e piacere insieme, e poi infilandosi sotto l’elastico sfilacciato. Il contatto con la pelle nuda sembrò sconvolgerlo e infervorarlo nello stesso tempo.
“Non lo avrei mai detto…”, mormorò.
Rudy avrebbe voluto chiedergli cosa, ma non si muoveva, non parlava, quasi non respirava per il timore che quell’incanto finisse. Non riuscì però a resistere all’impulso di allungare indietro la mano verso l’inguine di Giulio e quello che ebbe modo di toccare lo lasciò senza fiato: il cazzo poderoso dell’uomo si tendeva turgido sotto i pantaloni. Rudy lo tastò leggermente, aspettandosi una reazione negativa, ma la risposta fu che la mano di Giulio andò ancora più a fondo e gli si insinuò prepotentemente nello spacco del culo. Allora, palpeggiò sfrontatamente quell’organo, che sembrava rispettare tutte le sue aspettative.
Respirando all’unisono, fu quasi una gara tra lui che palpava l’uccello in tiro di Giulio, e questi che ormai senza controllo carezzava e impastava la carne soda delle sue chiappe, insinuando le dita nello spacco fino a strusciargliele senza ritegno sopra il buchetto.

(continua)
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