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Gay & Bisex

Roscio er Froscio - 2


di adad
07.10.2021    |    7.414    |    14 9.6
"Tocca rifallo, Paolé, nun hai scampo..."
Paoletto cercò di ritardare il più possibile l’uscita dal bagno, di cui effettivamente aveva un gran bisogno; ma alla fine dovette arrendersi all’inevitabile, abbassare la maniglia della porta e uscire.
Trovò il Roscio che lo aspettava e appena lo vide gli porse un drink.
“A noi, Scopì.”, disse toccandogli il bicchiere con il suo.
Fosse il calore del whisky nelle vene, fosse la cordialità dell’altro nei suoi confronti, fosse infine che si stesse ormai rassegnando all’inevitabile, sta di fatto che Paoletto cominciò a sentirsi d’un tratto più tranquillo e sorrise perfino ad una battuta.
“Ehi! – fece il Roscio, esultante – hai sorriso, che te succede? Qua ne serve n’artro!”, e gli versò nel bicchiere altre due dita di whisky.
“Vuoi farmi ubriacare?”
“No, Scopì, te voglio lucido, quanno te prendo… Nun me faccio né drogati, ’mbriachi: vojo che l’amante mio sia consapevole de quello che fa e con chi sta.”
Paoletto diventò tutto rosso, sentendosi ricordare quello che lo aspettava.
“Quanto sei bello, quanno te fai rosso… - esclamò il Roscio – te se illuminano gli occhi… diventi n’altro. Ce l’hai la fidanzata?”
Paoletto scosse la testa.
“E chi me se piglia?”, disse, fra il triste e lo scherzoso.
“Me te piglio io… tranquillo… Famme un po’ vedé, sto bel culetto… - e presolo per un braccio lo fece girare e gli diede un paio di palpate pesanti – Anvedi, che roba! Sodo e rotondo… una festa per il cazzo che te se fotte!”
Se prima, dopo la prima sorsata di whisky aveva cominciato a rilassarsi, quelle parole furono come colpi di maglio sul povero Paoletto, che gemette, tornando a irrigidirsi.
“Che c’è? – chiese il Roscio, accorgendosi del tremore che lo scuoteva – E no, Scopì, e non fa’ così: se me fai pena, nun me diverto e te manno via… Ma tu non vuoi andar via: hai un debito da pagamme, ricordi? A proposito, m’ha telefonato quella persona poco fa, mentre eri ar bagno, m’ha detto che se garantisco io, è tutto a posto. Hai sentito? Se garantisco io è tutto a posto. E io garantisco, per cui è tutto a posto. Sei contento?”
Paoletto annuì: ma il sollievo non valse ad alleviare l’angoscia al pensiero di quanto stava per succedere. Ad angosciarlo, però, non era solo la paura del dolore che avrebbe sofferto, ma anche la consapevolezza che si sarebbe risaputo in giro… si sarebbe risaputo dell’interesse del Roscio… e il Roscio non si muove mai per niente. Ma cosa poteva dargli in cambio Paoletto lo Scopino, se non il culo? La gente avrebbe saputo che il Roscio se l’era scopato…lo avrebbe saputo o lo avrebbe immaginato, che è ancora peggio.
Paoletto si sentì in trappola e fu con un gemito che tornò a voltarsi verso il suo benefattore: teneva gli occhi bassi e tremava visibilmente.
“E no, nun avé paura. – lo incoraggiò il Roscio, cercando di fare la voce tenera - Nun te faccio male, anzi, te divertirai pure tu. Vieni, annamo de là, vedrai che bella sorpresa che t’ho preparato.”
Gli passò un braccio sulle spalle e lo indirizzò, o forse lo spinse con decisione, verso la stanza in fondo al corridoio, un locale relax perfettamente attrezzato, ad un lato del quale troneggiava un’imponente vasca da idromassaggio già in funzione.
Il Roscio era una persona intelligente e capiva le persone con cui aveva a che fare: fin dal momento in cui gli aveva messo gli occhi addosso, si era reso conto che con Paoletto doveva andarci piano, che doveva usare il bastone e la carota, e lasciare che fosse lui a decidere quando togliersi le mutande.
“Anvedi… - fece Paoletto genuinamente sorpreso – pure la jacuzzi…”
“Pe’ te, solo er mejo…”, gli bisbigliò il Roscio all’orecchio, provocandogli un involontario brivido d’emozione.
“Dai, spogliate Scopì, famme vedé quanto sei bono.”, aggiunse poi.
Ma si rese subito conto d’aver commesso un passo falso.
“Perdoname, Scopì, – si affrettò a dire, sfiorandogli la guancia col dorso delle dita - è che me piaci tanto e nun so’ abituato a trattà co’ quelli sensibili come te…”
Tra i due non c’era una gran differenza d’età, Paoletto era sui ventisette/ventotto anni, il Roscio solo qualcuno in più, ma era sorprendente la capacità con cui quest’ultimo sapeva essere carismatico e manovrare le persone a suo vantaggio.
“Dai, spogliate… famme vedé quanto sei bello…”
Stordito dai complimenti e da quella situazione assolutamente nuova per lui, a cui, sfigato com’era, mai nessuno si era sognato di rivolgere una parola gentile, un gesto carino, ma solo insulti, minacce e calci nel sedere, Paoletto si sfilò la maglietta sbrindellata, svelando un torace magro, ma con i suoi pettoralini ben disegnati e due capezzoli, che immediatamente fecero venir voglia al Roscio di succhiarli.
“Anvedi, che fisichetto, sto Scopino…”, mormorò, avvicinandosi, per quanto disturbato dall’acre sentore delle ascelle, che in effetti da un po’ non godevano del beneficio dell’acqua e tra il caldo di quei giorni e la paura, possiamo ben immaginare quali effluvi se ne levassero.
Ma pur sentendosi pizzicare il naso, il Roscio gli si fece vicino e, vellicandogli leggermente il capezzolo con un dito:
“E se avessi immaginato, Scopì, sarei venuto a cercarti io…”, mormorò, accennando una carezza, ma si arrestò subito, vedendolo ritrarsi, e fece un passo indietro per tranquillizzarlo.
Paoletto, allora, si sbottonò i pantaloni e se li sfilò, la testa bassa, sentendosi addosso lo sguardo indagatore dell’altro. Rimase impalato lì, con solo le mutande e non accennava a togliersele, per quanto non fossero in condizioni presentabili.
“Coraggio, Paolé, - fece il Roscio con voce insolitamente dolce e chiamandolo per la prima volta col suo nome – togliti ste mutande, così le buttamo via… Nun te vergognà, semo fra omini.”
E Paoletto ubbidì, sfilandosele in fretta e gettandole da una parte, per coprirsi
l’inguine subito dopo con la mani a coppa. Il Roscio tacque, per non metterlo ulteriormente in soggezione.
“Bravo, Paolé. Dai entra in acqua adesso, ché fra un poco arrivo pure io.”, e si allontanò un momento.
Il giovane scavalcò il bordo della vasca e si immerse nell’acqua caldissima e bulicante, che gli sembrava di essere in un’enorme coppa di spumante. Le bollicine risalivano gorgogliando, gli solleticavano la pelle, gli pizzicavano i coglioni, gli scivolavano attorno all’uccello moscio, gli sembravano quasi entrare nel buco del culo… La piacevolezza di quelle sensazioni lo tranquillizzò e fu con un sorriso che accolse il ritorno del Roscio con una manciata di asciugamani che depose su un tavolinetto di marmo lì accanto.
“Quanto sei bello, quanno sorridi, Paolé!”, esclamò quello, chinandosi e allungandogli una carezza sulla guancia, a cui stavolta l’altro non si sottrasse.
“Aspetta, ché vengo pur’io.”, disse il Roscio e, rialzatosi, si spogliò in fretta, davanti, senza alcuna inibizione.
Paoletto aveva già visto uomini nudi, specialmente in certi posti a Ostia, dove c’erano i nudisti e lui ci andava con gli amici per vedere di nascosto le fighe; ma così da vicino non ci si era trovato mai. A colpirlo, prima di tutto fu l’odore, un odore caldo, dolciastro e a tratti pungente, che lo raggiunse e avvolse; poi la vista di certi particolari anatomici, al momento inoffensivi, anche se per pudore Paoletto evitò di fissarli a lungo, per quanto se ne sentisse incuriosito, e magari anche attirato.
Il Roscio entrò nella vasca e si immerse nell’acqua bulicante, sedendoglisi accanto e passandogli un braccio sulla spalla.
“Che meraviglia… - sospirò, lasciandosi prendere anche lui dalla piacevolezza della situazione: la carezza frizzantina dell’acqua e la vicinanza seducente con quel ragazzo.
Si abbandonò ad occhi chiusi, con la testa reclinata all’indietro.
“Sei mai stato co’ ’n omo, Paolé?”, chiese, riscuotendosi.
“Io?... no, certo che no… nun so’…”, e si interruppe in tempo.
“Nun sei froscio? – rise l’altro – Pòi dirlo sai, nun m’offendo mica. E perché dovrei? Me piacciono i ragazzi, nun è mica reato… Paolé, dimme, te faccio schifo?”
Paoletto si volse a guardarlo e ne incrociò gli occhi luminosi.
“No”, rispose d’impulso.
“Allora, te posso toccà… te posso fa’ na carezza, che me stanno a friccicà le mani…”
“Me pòi fa quello che te pare…”, fece l’altro.
“Ma nun dirlo co’ quell’aria de mortorio… fa finta che te piace, pure se non sei contento.”, e giratosi verso di lui, gli poggiò una mano sul petto, avvolgendogliela a uno dei pettorali e pizzicandogli il capezzolo con due dita.
Paoletto sussultò, mentre il Roscio gli si faceva più vicino e continuava a carezzarlo sul petto e sull’addome. L’imbarazzo di quel primo momento fu grande e Paoletto si irrigidì, pur non potendo negare di sentire un certo piacere a quelle carezze delicate sulla pelle che l’acqua rendeva scivolosa e ancora più sensibile.
Poi, il Roscio chinò la testa e lo baciò nell’incavo del collo, mentre la sua mano scendeva a sfiorare il ciuffo del pube e, dopo aver giocato con i peli, si avvolse
attorno alle palle, per impugnargli alla fine il cazzo molle.
Paoletto ebbe un brivido: mai nessuno glielo aveva preso in mano, mai nessuno lo aveva toccato così e la cosa se da un lato lo imbarazzava, dall’altro gli dava un innegabile senso di gratificazione. Ma soprattutto, dovette ammettere suo malgrado, quelle attenzioni gli piacevano… e infatti il suo cazzo non tardò a reagire, non tardò a rispondere, ingrossandosi e palpitando nella mano del Roscio.
“Bravo, ragazzo…”, mormorò quest’ultimo, continuando a baciarlo nell’incavo del collo e sulla spalla, mentre con la mano lo scappellava e lo lavava accuratamente, senza farsi accorgere, anche sotto la corona del glande, mascherandolo sotto forma di ardite carezze, che ebbero l’effetto di inturgidire l’organo ancora di più.
Consapevole di averlo ormai in mano, il Roscio lo fece mettere in ginocchio al centro della vasca e, sempre mascherando il tutto sotto forma di un piacevole gioco erotico, prese a lavarlo accuratamente sotto le palle e in mezzo alle natiche.
Prendeva l’acqua con le mani a coppa e gliela faceva ricadere sulle spalle, accompagnandola poi con una lunga carezza fino alle natiche; oppure gliela versava sul cazzo scappellato, gliela sciacquettava attorno alle palle.
“Ti piace?”, chiese giovialmente.
Paoletto annuì, del resto, non poteva fare diversamente, vista la consistenza che aveva assunto il suo cazzo.
“Perché nun lo fai pure a me?”, disse con un sorriso.
E Paoletto gli restituì il favore, dapprima esitante e limitandosi a passargli leggermente le mani sulle chiappe, poi in maniera sempre più ardita, via via che prendeva confidenza con un altro corpo maschile. L’ultimo ostacolo venne abbattuto, quando il Roscio gli prese la mano e se la portò all’uccello, operazione che fino ad allora Paoletto aveva evitato: a contatto con quel palo turgido e pulsante, il giovane ebbe un attimo di smarrimento, ma subito dopo lo impugnò con forza e accennò un timido movimento avanti e indietro, che fece schizzare in estasi il Roscio. Seguì un momento al calor bianco da entrambe le parti, finché il Roscio, afferrò Paoletto sotto le ascelle e lo sollevò facendolo sedere sul bordo della vasca: gli allargò le gambe, ci si posizionò in mezzo e con gemito di lussuria si fiondò a imboccare il suo cazzo, ingoiandone una buona metà
“Occazzo, Roscio…”, sguaiolò Paoletto, aggrappandosi forte al bordo della vasca, specialmente quando l’altro scosse la testa, come un cane che si scrolli l’acqua di dosso.
Le fitte di piacere si susseguivano, appena smorzate dall’imbarazzo: i pompini gli piacevano e questo non era neanche il primo, ma lo sconvolgeva che a farglielo fosse un altro uomo… e un uomo come il Roscio, per giunta, che faceva tremare tutto il quartiere… Il Roscio che glielo stava succhiando… Abbassò gli occhi come per capacitarsi che stava succedendo davvero, e per davvero il suo cazzo scorreva dentro e fuori la bocca carnosa del Roscio, che lo slurpava rumorosamente e con evidente goduria. Ma non durò a lungo: proprio sul più bello, quando il cazzo gli si stava surriscaldando, pronto a godere, il Roscio si staccò, lo prese di forza, lo ribaltò sul bordo della vasca e con un grugnito animalesco gli affondò il volto nello spacco del culo.
Paoletto non si rese conto di quanto stava succedendo, se non quando sentì
qualcosa di caldo scivolargli nel buco del culo. Ci mise un po’ a realizzare che era una lingua… una lingua straordinariamente lunga e consistente… il Roscio gli stava leccando il buco del culo… dentro e fuori, come fosse una figa…
“No… no… no…”, protestò, facendo forza sulle braccia per sollevare il dorso.
Ma l’altro lo tenne giù:
“Sta buono…”, grugnì soltanto e Paoletto stette buono, assoggettandosi a quella che gli apparve un’ulteriore umiliazione.
Ormai la misura era colma, non aveva più la forza di reagire, di sottrarsi a quella vergogna; neanche quando il Roscio sostituì la lingua con un dito… neanche gli sputò nel buco e di dita ce ne infilò due e poi tre, facendole scorrere lentamente dentro e fuori.
Paoletto sentiva l’ano cedere alla pressione, allentare la stretta spasmodica attorno alle dita che lo stavano violando; sentiva le fitte di dolore attenuarsi pian piano, mentre il massaggio continuava e le dita nel suo culo diventavano quattro.
“Che bella fighetta… - mormorò il Roscio estasiato – è da mo’ che nun me capitava un culetto vergine come er tuo, Paolé! Che bello stretto, che sei…”
“Smettila, te prego… me fai male…”
“Lassame fa’, Paolé, ché si nun te apro per bene, poi te faccio male pe’ davero, quanno te ’nculo.”
Ormai del tutto vinto, Scopino lasciò fare, mentre le dita del Roscio continuavano il loro andirivieni dentro e fuori, aprendo la strada a qualcosa di più grosso. E finalmente giunse il momento: quando si rese conto di averlo ammorbidito a sufficienza, il Roscio prese un flaconcino di lubrificante da una mensoletta e se ne unse abbondantemente l’uccello ormai scalpitante, puntandolo poi sul buco e spingendolo dentro, senza un attimo di esitazione.
“Ahhh!...”, gridò Paoletto, ma più per l’orrore di essere inculato, che per un dolore effettivo: il Roscio aveva fatto un buon lavoro.
“Sta bono, Paolé, ché mo’ passa tutto e sentirai che bello…”, mormorò il Roscio, continuando a spingere, senza incontrare un’effettiva resistenza.
“Passerà pe’ te!”, mugugnò Paoletto, che dovette comunque ammettere con se stesso che non gli stava facendo così male, come aveva temuto, e sì che il Roscio ce l’aveva grosso!
Sentiva ogni centimetro che entrava, ma a parte una leggera pressione sullo sfintere, non provava altro disagio.
“Ti faccio male?”, gli chiese il Roscio ormai al traguardo.
“Un po’…”, rispose lui.
“Il tuo culetto sta reagendo bene… sembra quasi che je piace pure a lui…”
“Eh, nun vedeva l’ora de fasse fotte!”
A quella battuta, il Roscio scoppiò a ridere: gli si chinò sopra, lo strinse a sé e si
lasciò scivolare nuovamente nella vasca, sempre col cazzo profondamente infisso nel suo culo. E continuava a ridere incontrollatamente, tanto che anche Paoletto ne rimase contagiato e rideva sussultando.
Solo che, persa la concentrazione, il cazzo del Roscio fece in fretta a smollarsi e a sgusciare fuori dal culo di Paoletto.
“Basta, Paolé, basta: me l’hai fatt’ammoscià. E mo’ come famo?”
“E mo’ come famo? – gli fece eco Paoletto con tono brioso, come se si fosse liberato da un grosso peso – Lassamo perde, tanto nel culo me l’hai messo, no?”
“Ma m’hai fatto ride, me l’hai fatt’ammoscià, nun vale…”
“Peggio pe’ te, si te s’è ammosciato…”
Si stavano chiaramente divertendo tutti e due in quel battibecco: per Paoletto era come se tutta l’angoscia che lo aveva tormentato si fosse dissolta nel bulicame della jacuzzi. Il Roscio sembrava giocare come un gatto col topo.
“E no, Paolé, nun ho sborrato, il debito nun è pagato.”
“Pe’ colpa tua…”
“Non importa, la legge dice che la scopata se conclude co’ la sborrata, e io nun ho concluso.”
“Quale legge?”
“La legge der Roscio, che nun ammette deroghe. Tocca rifallo, Paolé, nun hai scampo.”
Paoletto abbassò la testa e rimase in silenzio.
“Ma solo si vòi tu… - aggiunse poi il Roscio con voce insolitamente dolce e accomodante – Che dici, lo rifamo?”
Paoletto sorrise.
“Però magari se mettemo più comodi, stavolta…”
“Magari annamo de là in camera… che dici?”
“E annamo in camera, dai!”, concluse Paoletto, saltando fuori dalla jacuzzi grondante d’acqua e tendendogli la mano.
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