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Storie della Storia del mondo, 1 - I Primordi


di adad
29.02.2020    |    6.208    |    5 7.6
"Il passato non esisteva ancora, se non da quando aveva aperto gli occhi alla luce, pochi istanti prima, pochi battiti di ciglia prima..."
I PRIMORDI

Nella profonda oscurità della sua incoscienza l’uomo sentì scorrere come un brivido leggero e dopo un istante si trovò ad aprire gli occhi. La luce vivida del giovane sole lo abbagliò e lui li richiuse istintivamente. Digerì quella prima sensazione quasi dolorosa, poi li riaprì lentamente, facendosi ombra con la mano, e si guardò attorno.
Il mondo rifulgeva con i suoi colori vividi e smaglianti, creando in lui uno stato d’animo di stupore e meraviglia. Del resto, nulla nel suo DNA nuovo di zecca richiamava immagini o esperienze radicate nel passato. Il passato non esisteva ancora, se non da quando aveva aperto gli occhi alla luce, pochi istanti prima, pochi battiti di ciglia prima.
Era disteso a terra, appena plasmato dal fango primordiale e destato alla vita dall’alito divino del Creatore, ma lui ancora non lo sapeva, si riempiva gli occhi di quelle immagini luminose ed era stupito. Una farfalla enorme, coloratissima gli svolazzò un momento sopra la faccia e lui si volse a guardarla, mentre si allontanava. Ebbe l’impulso di seguirla e volle alzarsi, ma le gambe non lo ressero; allora ricadde a sedere e stette un pezzo a riprendere fiato, poi tentò nuovamente facendo forza sulle braccia; finché pian piano riuscì ad assumere una posizione eretta e a stabilizzarsi sulle gambe. Allora si guardò le mani, si guardò le gambe, i piedi e capì che erano suoi… Si guardò anche il lungo cannello che spenzolava molle nel punto in cui si congiungevano le gambe… che però ancora non sapeva si chiamassero gambe… del resto, non sapeva neanche come si chiamava lui e di essere appena stato creato: altri sarebbero venuti a dirglielo, ma più tardi, molto più tardi, quando l’incanto di quel mondo senza ombre e senza dolori era ormai un ricordo sepolto nella leggenda.
Ma noi dobbiamo dargli un nome, se non altro per non creare confusione, e allora lo chiameremo Slut.
La farfalla si stava allontanando… L’istinto infusogli con l’alito divino suggerì allora a Slut di sollevare un piede e lui lo sollevò e lo spostò un poco in avanti, poi fece lo stesso con l’altro e poi di nuovo e di nuovo: aveva imparato a camminare. Lo stupore della novità gli fece passare di mente la farfalla, scomparsa ormai oltre la siepe, ma un’altra cosa, del pari coloratissima, attrasse la sua attenzione: una bacca purpurea alla sommità di un pruno.
Ubbidendo al medesimo istinto allungò il braccio, la prese con le dita, la strappò e se la portò alle labbra… La dolcezza del frutto invase il suo corpo, dandogli un’intensa sensazione di felicità.
Ma altre luci, altri colori attrassero la sua attenzione, del resto era tutto così vivido e splendente in quei primi giorni della Terra; la polvere dei secoli ancora non si era posata a rendere smorta ed opaca la realtà.
Slut si muoveva lentamente fra cespugli fioriti ed alberi già gravidi di frutti, calpestando il morbido tappeto di erba novella e seguendo con gli occhi incantati ora un uccello variopinto, ora una farfalla screziata, ora un ramarro fulmineo.
Ogni tanto allungava una mano a cogliere una bacca o il frutto sugoso che un
albero sembrava porgergli da un ramo più basso.
Il suo corpo si muoveva leggero e sinuoso, vestito solo della sua bellezza, ma Slut non sapeva di essere bello, non sapeva nemmeno di essere diverso da tutto quello che lo circondava.
Ad un tratto, sentì un fruscio dietro un’alta macchia di siepi fiorite, ma non ci fece caso: erano tanti i fruscii prodotti dalla brezza leggera tra i rami frondosi degli alberi o dai suoi stessi passi tra i bassi cespugli; poco dopo, però, il rumore si ripeté ed era diverso dagli altri, più forte, più…
Slut si guardò allora attorno, ma non c’era niente di nuovo, niente di strano, niente di diverso. Il rumore si ripeté, dall’altra parte delle siepi; allora capì che doveva cercare un passaggio, se voleva scoprire cos’era.
Quante cose nuove stava maturando Slut nella sua mente in quei pochi istanti, dacché si era svegliato alla vita.
Scrutò con attenzione il muro verde del macchione spinoso, ma non c’erano varchi che lo attraversassero; allora cominciò a costeggiarlo, avendo intuito che quello era l’unico modo per andare dall’altra parte. E la sua intuizione fu premiata, perché dopo un poco si apriva un passaggio, come un uscio spalancato.
Slut lo attraversò finché gli comparve alla vista uno strano animale, eretto su due gambe come lui, candido di carnagione come lui e come lui allungava le mani per raccogliere le bacche purpuree sulle siepi spinose. Gli dava le spalle e Slut fu colpito dai due globi levigati, che quello strano essere mostrava alla sommità delle gambe. Qualcosa gli suggerì che forse anche lui ce li aveva: allora si portò le mani dietro e si lisciò le rotondità pelosette delle natiche, traendone un certo compiacimento.
Allora emise un richiamo in una lingua che ancora non esisteva e l’altro essere si voltò, mostrandosi non meno sorpreso e sbalordito di lui. Slut si accorse che quello strano animale aveva anche lui un folto cespuglio aggrovigliato alla congiunzione delle gambe e un cannello penzolante come il suo, lungo e carnoso.
L’altro essere, che per comodità chiameremo Var, prendendo arbitrariamente a prestito nomi di antiche cronache in antiche lingue ormai dimenticate, rimase a fissarlo a bocca aperta, poi gli si fece incontro sorridendo e tendendogli una grossa bacca rossa, che stringeva fra le dita.
Giuntogli davanti, gliel’accostò alla bocca e Slut ne morse la metà, inebriandosi di nuovo alla dolcezza ineffabile di quel frutto. Var si portò alla bocca l’altra metà e gli sorrise con il sugo rosso che gli colava dalle labbra.
Non sappiamo se si dissero qualcosa, ma anche se lo fecero, non saremmo in grado di riportarlo, poiché nessuno sarebbe capace di capire la loro lingua… ammesso che avessero già imparato a parlare e non intendo se avessero imparato ad articolare le parole, bensì a identificare con un nome almeno gli oggetti, le piante, gli animali sotto i loro occhi, onde poterseli comunicare fra loro.
Ad ogni modo si sorrisero con gli occhi luminosi e le labbra imbrattate di sugo rosso, mentre si porgevano l’un l’altro le bacche vermiglie di cui il cespuglio era pieno.
Poi, Slut allungò la mano e toccò con un dito il naso di Var… Var gorgogliò quella che forse voleva essere una risata e allungò la mano a toccare con un dito quello di Slut, che capì di avere lo stesso strano bernoccolo sulla faccia.
Continuarono a toccarsi reciprocamente le ciglia, gli occhi, le orecchie ed era una scoperta che li rendeva ogni momento più entusiasti. Del resto, era tutto così nuovo, così innocente in quel mondo paradisiaco.
D’un tratto, spinto dall’euforia, Slut si protese in avanti e diede un paio di slinguate alle labbra di Var, sporche di sugo rosso. Var si tirò indietro con la paura negli occhi, ma subito dopo fu lui a protendersi in avanti e a restituire le slinguate a Slut sulle labbra. Anche questo gioco continuò per un pezzo e spesso le labbra vennero a contatto e le lingua si intrecciarono divertite.
Ma mentre loro due si scambiavano questi convenevoli, il cannolo, che penzolava molle alla congiunzione delle gambe, cominciò all’improvviso a sfrigolare, un pizzicore che si fece sempre più intenso via via che il sangue affluiva nelle vene segrete, sollevandoli e rendendoli sempre più turgidi.
Appena se ne accorsero, i due si tirarono indietro stupiti.
“Uh!”, fece Slut, puntando un dito sull’insolito oggetto di Var e toccandolo leggermente, quasi intimorito.
“Uh!”, fece Var, puntando un dito su quello di Slut e toccandolo anch’egli leggermente, quasi intimorito.
Poi Slut glielo prese in mano e lo scosse avanti e indietro. Anche Var glielo prese in mano e lo scosse avanti e indietro.
“Uhiuuuu!”, fecero entrambi alla piacevolezza che ne ricavarono e che li spinse a proseguire, finché si ritrovarono a fissarsi negli occhi, allucinati, mentre le mani scorrevano veloci l’uno sulla verga eretta dell’altro.
Poi la vista di Var si sdoppiò, le gambe presero a tremargli violentemente e con una fitta che gli percorse l’asta dalla base alla punta, un fiotto bianco schizzò fuori,andando a spiaccicarsi sulla coscia di Slut. Ciononostante, continuò imperterrito a saliscendere la mazza di Slut, finché questi cominciò a dimenarsi come un invasato e con un “Uhi… uhi… uhi…” si trasse indietro, lasciandogli la mano imbrattata di liquido denso.
Var se la fissò a lungo, poi intinse un dito nella pozza che aveva nel palmo e se lo portò alla bocca.
“Uhiu!”, fece spalancando gli occhi con aria estasiata, e tornò a intingere il dito, degustandoselo poi con ingordigia.
“Hu, hu, hu”, fece allora, porgendo un dito sgocciolante all’amico novello.
Quello, incuriosito e insieme voglioso, si affrettò ad accostare le labbra, prendendolo in bocca e succhiandolo goduriosamente. Dal che si evince come le cattive abitudini si faccia molto presto ad acquisirle. Infatti, non contento di quello, preso da un vero raptus, Var afferrò la mano imbrattata di Slut e cominciò a slinguarla, ripulendola in quattro e quattr’otto.
Slut ci rimase di sasso, decisamente contrariato, finché con un lampo di intuizione si gettò in ginocchio e abboccò il pendaglio ormai moscio, ma non per questo meno succulento di Var, ripulendolo a colpi di lingua e di risucchi.
Ma intanto la luce dell’intelletto cominciava a farsi strada nel cervello ancora grossolano di Var, che fissando il bigolo turgido di Slut, nel frattempo rialzatosi, dovette intuire qualcosa su quanto era testé successo, così lo agguantò con mossa rapida e cominciò a scuoterlo avanti e indietro.
Slut fece per protestare, ma un’improvvisa sferzata di piacere lo fermò e lo spinse a lasciare che l’altro continuasse la sua opera. E la sua pazienza fu ben presto premiata, perché tutto d’un tratto si sentì prendere da un incontrollabile straniamento, mentre le palle gli si rattrappivano ed espellevano a scatti il loro denso contenuto. Immediatamente, Var cadde in ginocchio e attinse quel nettare godurioso direttamente alla fonte, mentre Slut, ritrovato un minimo di comprendonio, gli agguantava la mano colpevole e gliela ripuliva con cura, leccandola con goduria.
A quel punto, si ritrovarono entrambi seduti per terra, a ridacchiare come due scemi, mentre si fissavano con cupido interesse il bigolo molle.
Per farla breve, da quel giorno i due giovani si ritrovarono spesso stesi a terra, l’uno al contrario dell’altro, a smanettarsi con vigore il pirolo duro, nell’ansiosa attesa di godersi il liquido corposo che ne sarebbe misteriosamente scaturito.
Una mattina, mentre erano distesi su un morbido tappeto di fresche erbette primaverili a gustarsi il consueto sorbetto, i due furono disturbati dall’arrivo di una placida giovenca, che brucherellava a fior di labbra i teneri fiorellini del prato. Era chiaramente interessata ad un focoso torello che sbuffava nelle vicinanze; il quale, dopo aver raspato un paio di volte il terreno con il forte zoccolo, si avvicinò sornione e, vista la disponibilità, coprì la giovenca, facendo coscienziosamente il suo dovere.
“Uh!”, fece Slut, richiamando sullo spettacolo l’attenzione di Var.
Il quale Var, rimase per un momento interdetto, poi, squittendo, spinse Slut a quattro zampe e, cacciatogli il durello fra le cosce strette, cominciò ad imitare con guaiti di gioia il martellamento del toro. Anche Slut guaiva divertito a quel nuovo gioco, tanto più quando, alla fine, si ritrovò con tutte le palle imbrattate di seme e Var lo ribaltò sulla schiena, ripulendolo a slinguate.
Alternando i due giochi e scoprendone altri, i due trascorrevano felicemente e serenamente il tempo della loro vita.
***
Passarono i giorni, passarono le settimane e i mesi, forse anche qualche anno: non possiamo saperlo perché le fonti storiche sono estremamente scarse. Probabilmente i due avevano anche trovato un modo per comunicare che andasse al di là di un semplice squittio; ma una cosa non avevano smesso: di abbeverarsi l’uno alla sorgente dell’altro e di sfamarsi del reciproco nettare.
Un giorno, però, il Creatore era affacciato a una finestra del Paradiso e ammirava compiaciuto la sua creazione, che nel frattempo aveva progredito.
Ad un tratto, però:
“Che strano, - si disse – tutti gli altri animali crescono e si moltiplicano, e solo i due umani non si riproducono… Dov’è che ho sbagliato?”
Rimase a lungo a rimuginare sul problema.
“Accidenti, che imbecille che sono! – esclamò alla fine, mentre un’intuizione gli attraversava fulminea la mente – Li ho fatti dello stesso sesso tutti e due! Non sono maschio e femmina, come tutti gli altri… Ma come ho potuto?... Si vede che ero così compiaciuto dell’opera meravigliosa che avevo compiuto, da non accorgermi… E adesso come rimedio? L’unica è impastare un altro umano e farlo femmina… Accidenti, che pasticcio!”
Uscì di soppiatto dal Paradiso e cominciò ad aggirarsi nel mondo, per cercare del fango che andasse bene ad impastare una femmina; ma il fango incontaminato dei primordi non esisteva più: dappertutto era scagazzato e spisciato dalle miriadi di animali, che nel frattempo si erano riprodotti e moltiplicati. E anche gli umani avevano contribuito, naturalmente.
Non trovando della materia prima che andasse bene:
“A mali estremi, estremi rimedi.”, si disse il Creatore e fatto calare un sonno pesante sulle palpebre dei due giovani umani, staccò una costola dal fianco di Slut e creò un umano femmina.
“E adesso crescete e moltiplicatevi pure voi.”, disse sollevato.
Per un momento fu tentato di eliminare Var, che rischiava di scombinare i disegni divini, o quanto meno di fare il terzo incomodo, ma poi decise di lasciarlo al mondo, poveraccio: in fondo, non era colpa sua se qualcosa era andato storto nella Creazione… che continuasse almeno a godersi le delizie di quel paradiso terrestre, finché poteva. Ebbe cura, però, prudentemente, di prenderlo e trasferirlo al di là di molte montagne dalla coppia novella.
Quando l’effetto soporifero prese a dissolversi, Slut cominciò a riscuotersi e, avvertendo una presenza al suo fianco, cominciò a tastare con la mano per afferrare l’ammennicolo di Var e dargli una vigorosa zangolata, onde approntare la gustosa bevanda di cui era divenuto così goloso.
Tasta che ti tasta, però, non solo non trovò l’agognato cannello, ma si trovò d’un tratto ad affondare il dito come una fessura molliccia e bagnata.
“Uhi!”, fece stupito, spalancando gli occhi e balzando a sedere.
Quello che vide fu a dir poco sconvolgente: accanto a lui era disteso non il familiare Var, ma qualcos’altro, simile a Var per molti aspetti, ma con due cosi tondi e mollicci sul petto e senza niente fa le gambe… a parte un cespuglio boccoluto, che nascondeva tutto.
L’altro essere, che ormai abbiamo capito essere la femmina plasmata dal Creatore perché la specie crescesse e si moltiplicasse, e che per comodità chiameremo Truz, appena scorse accanto a lei l’umano maschio:
“Hiiiiiiiiiiiiiih!”, fece con gli occhi che le brillavano.
E allungò subito la mano per afferrargli il pirellone svettante. Qualcuno si chiederà: “Ma come, quelli ci hanno messo una vita per capire certe cose e questa va subito al dunque?”
Il fatto è che per recuperare il tempo perduto ed evitare possibili inconvenienti, appena plasmata, il Creatore le aveva mandato l’Angelo a indottrinarla su tutto il necessario da fare per la continuazione della specie, una sorta di educazione sessuale, insomma. Dal che, alcuni movimenti femministi moderni hanno tratto la convinzione di una supposta superiorità della donna sull’uomo; ma io preferisco non pronunciarmi: rischierei di essere troppo di parte.
Ad ogni modo, è un fatto che Truz sapesse perfettamente cosa bisognava fare. Infatti, agguantato l’organo maschile, ci dette quattro scrolloni per portarlo al giusto turgore, poi ci saltò a cavalcioni e, come se ne avesse una lunga pratica, se lo infilò senza esitazioni nell’apposita guaina, cominciando subito a saliscendere squittendo fino al raggiungimento del compito, cui era preposto.
Il povero Slut era talmente stravolto da quell’incomprensibile svolgimento dei fatti, che non riuscì a godere neanche una stilla del piacere, che pure avrebbe dovuto; continuava invece a volgere la testa di qua e di là, alla ricerca dell’amico Var. Appena terminata l’operazione, Truz si sfilò dall’organo, che ricadde molliccio sulla pancia di Slut, quindi, con mossa decisa, afferrò il poveretto per la collottola e lo trascinò verso una caverna poco lontano, mentre quello si guardava attorno alla disperata. Una volta arrivati, la donna lo scaraventò su un giaciglio di foglie, che qualcuno aveva approntato, e gli fissò addosso due occhi stizzosi, della serie: guai a te se ti muovi. E Slut non si mosse, troppo intimorito dall’irruenza della nuova compagna.
Passarono gli anni e i secoli, anche se loro non se ne rendevano conto, immersi com’erano in quella eterna primavera, prendendo alla lettera il monito del Creatore “crescete e moltiplicatevi”, misero al mondo un centinaio di figli, maschi e femmine, che a loro volta, giunto il momento, si accoppiarono, facendo quasi esplodere un’emergenza demografica.
Direte “Ma, e le tare ereditarie? Accoppiandosi fra loro dopo un po’ saranno stati tutti gobbi, sciancati e gozzoluti!” Tranquilli, non c’era ancora nessuna ereditarietà, il loro DNA era giovane e sano, per cui i figli e i nipoti di Slut e Truz erano fior di ragazzi, soprattutto i maschietti, che essendo inferiori di numero alle femminucce, andavano letteralmente a ruba, almeno finché non fu inventata la poligamia, ma questo successe molto più tardi.
Tutto bene, allora? I progetti del Creatore realizzati al cento per cento? Indubbiamente sì, solo che a pagarli fu il povero Slut, che continuava a guardarsi attorno nella speranza di veder finalmente ricomparire l’amico Var con tutto il suo carico di buone cose. Ma le settimane e gli anni passavano e la speranza diventava sempre più tenue, finché, raggiunta la veneranda età di novecento settanta primavere, si rassegnò e poco dopo morì.
Ma che fine aveva fatto il povero Var? di lui, purtroppo, le fonti non riportano traccia: cancellato completamente dalla storia, sacrificato dal suo Creatore alle necessità della specie, non poteva che svaporare, come una nuvola di nebbia all’apparir del sole. Possiamo solo immaginare la sua angoscia, quando si svegliò da solo, il dolore che gli avrà scavato il petto nel non trovarsi più accanto l’amico Slut; possiamo immaginare l’accanimento con cui lo avrà cercato, la disperazione di vedere vana ogni sua ricerca; possiamo immaginare lo scoramento che l’avrà divorato un giorno dopo l’altro fino alla consunzione: ma immaginare è compito da romanziere, e io sono uno storico.

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