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Gay & Bisex

Mousse al cioccolato - 2


di adad
19.03.2019    |    10.793    |    10 9.7
"“Ti è piaciuto?” Sentii che faceva di sì con la testa accostata alla mia nell’abbraccio..."
“Calmati, per favore, - mormorai – non ti faccio niente, tesoro… calmati…”
Avevo il volto premuto forte sul suo basso ventre. Sentivo il tiepido odore muschioso che traspirava dal suo inguine, sentivo il fremito misterioso della sua giovane virilità.
“Calmati, Franco…”, mormorai ancora.
A poco a poco, il suo tremore andò placandosi, poi la sua mano mi si poggiò leggera sui capelli, mentre un lieve turgore prendeva a formarsi sotto la mia guancia.
“Oh, tesoro…”, sospirai sollevato, e d’impulso portai le labbra su quel morbido rigonfio.
Ero ormai in uno stato di eccitazione parossistica, mi sentivo l’uccello dolorante nelle mutande.
Ma anche Franco era ormai eccitato, il suo cazzo era duro, la sua paura sembrava scomparsa e la carezza sui miei capelli si era fatta più persistente, quasi vogliosa. Allora, sollevai la testa a guardarlo: aveva gli occhi chiusi e come un’espressione di turbamento sul volto.
Continuando a fissarlo, gli slacciai la cintura dei pantaloni, tirando giù la zip, pronto a cogliere il minimo segnale di contrarietà. Ma la sua unica reazione fu un leggero rossore sulle guance. Incoraggiato dal suo silenzio, gli aprii la patta e affondai il naso all’interno, respirando profondamente il profumo acre del suo inguine. Il mio respiro caldo lo fece rabbrividire.
Non resistetti più: gli abbassai leggermente l’elastico degli slip, fino a far sgusciar fuori il gambo carnoso del suo meraviglioso uccello. Il glande era mezzo scoperto e incredibilmente bagnato. Rimasi ad ammirarlo un istante, poi allungai fuori la lingua e lappai alcune volte la boccuccia viscida di bava.
Il suo gusto era pungente e mi tolse ogni residua inibizione: aprii la bocca e con un avido mugolio, ingoiai quella prugna sugosa. Franco fremette e rispose con un gemito, mentre la sua mano mi stringeva con forza una ciocca di capelli.
Cominciai a spompinarlo, leccando, succhiando, mulinando, spremendo fra lingua e palato il suo glande maturo, che ogni volta mi premiava con una colata di sugo acidulo. Franco sospirava e questo mi gratificò, eccitandomi ulteriormente e spingendomi a fare del mio meglio per lui.
“Che bello… che bello…”, mormorava, protendendo avanti il bacino, mentre io lo tenevo stretto per i fianchi.
Se era il suo primo pompino, volevo che fosse memorabile! Poi tutto avvenne. All’improvviso, Franco si irrigidì, si contrasse, ebbe un gemito strozzato, uno scossone, e il suo cazzo mi rovesciò in bocca a ripetizione una colata impressionante di sperma denso, dal sapore morbido e dolce. Lo ingoiai con vero piacere e quando ebbe finito, rimasi a leccare con gusto la cappella bagnata, finché, smollandosi e rimpicciolendosi,
l’uccello non gli scomparve di nuovo nelle mutande.
Allora, sollevai nuovamente la testa a guardarlo: era rosso in volto e aveva gli occhi ancora annebbiati. Mi alzai dal divano e lo abbracciai.
“Era la prima volta?”, gli bisbigliai all’orecchio.
“Sì”, rispose lui con voce soffocata.
“Ti è piaciuto?”
Sentii che faceva di sì con la testa accostata alla mia nell’abbraccio.
“Hai ancora paura?”
“No”, mormorò e mi strinse ancora più forte.
“Vieni”, gli dissi alla fine, sciogliendomi dall’abbraccio.
Lo presi per mano e lo condussi verso il letto.
“Lasciati spogliare, tesoro… voglio vederti nudo… voglio vedere quanto sei bello…”
Lui mi fissò sorridendo e rimase immobile. Una nuova luce gli brillava adesso negli occhi. Gli sbottonai la camicia e gliela tolsi, inebriandomi al profumo del corpo, che andavo via via svelando. Poi gli sfilai la maglietta e contemplai ammirato le forme armoniose del suo petto, glabro e levigato, che uno scultore greco non avrebbe saputo modellare meglio. Gli baciai e mordicchiai i capezzoli prominenti, facendolo gemere di passione. Quindi, mi inginocchiai, gli tolsi le scarpe e gli tirai lentamente giù i pantaloni, sfilandoglieli prima da un piede e poi dall’altro, mentre lui mi afferrava le spalle con le mani per mantenere l’equilibrio.
Via anche i calzini e Franco rimase in mutande, un paio di slip, chiari di colore alla luce morbida delle abat-jour. Davanti erano tesi dal suo cazzo di nuovo duro, e ampiamente bagnati da un lato. Portai le mani sulle forme sode delle sue natiche, carnose sotto le mie dita, e lo tirai a me, poggiando le labbra sulla calda protuberanza e respirando a fondo l’aroma della sua giovane virilità. Infine, gli abbassai anche le mutande e gliele tolsi.
Rimasi a fissare ammaliato il tarello turgido che puntava dritto verso la mia bocca il glande scappellato, così maliziosamente forato in punta, e con inconsapevole lentezza mi portai al volto le sue mutande, baciandole e inalandone gli aromi conturbanti. Sfiorai con mano leggera i suoi coglioni penduli, lo scroto morbido, che rabbrividì al mio tocco, poi vinto da un impulso irresistibile, ripresi in bocca il suo glande, ripulendolo ingordamente degli umori viscosi che lo sbavavano.
Franco non si muoveva, non diceva nulla: solo il respiro fremente denunciava le sue emozioni. Sollevai la testa: lui mi fissava con un sorriso sulle labbra e una luce negli occhi di libidine, ma anche di soddisfazione e… d’amore!
In quel momento, capii d’esserne innamorato senza rimedio e un sollievo profondo mi scese nell’anima. Mi rialzai e mi tolsi l’accappatoio, che ancora indossavo.
“Vieni”, gli dissi e lo feci distendere sul letto.
Mi stesi al suo fianco e baciai, leccai, adorai ogni centimetro, ogni piega di quel morbido corpo voluttuoso. Gli mordicchiai i tettini, aspirai la fragranza muschiosa delle sue ascelle, raccolsi con la lingua ogni goccia del miele che gli sgorgava dal forellino, gli bagnai di saliva lo scroto, gli leccai perfino i piedi, assaporandone il gusto salmastro.
Evitai soltanto di avvicinarmi al suo buco del culo, temendo di spaventarlo, e mi costò fatica reprimere il desiderio spasmodico di raggiungere e baciare il suo fiore segreto, ma volevo che fosse lui ad offrirmelo, quando fosse giunto il momento, quando se ne sentisse pronto.
Franco fremeva e mugolava per un piacere che non riuscì più a contenere, allorché gli ripresi in bocca il cazzo bagnato. Mi afferrò, infatti, la testa con entrambe le mani
e cominciò a agitarsi, sguaiolando e dimenandosi tutto, finché con un lungo gemito si
irrigidì e dal cannello turgido gli scaturì una seconda pisciata di sborra, che m’affrettai ad inghiottire.
Continuai a succhiare e leccare, finché lui non ebbe smesso di scuotersi e il cazzo non gli fu tornato molle. Allora sollevai la testa a guardarlo in volto e, come in risposta, lui aprì gli occhi e mi sorrise. Mi fissava in modo strano.
“Che c’è?”, gli chiesi.
Avevo la bocca ancora impastata di sborra.
“L’hai bevuta un’altra volta…”, mormorò incredulo.
Io gli sorrisi.
“Ma non ti fa schifo?”, proseguì.
“Niente mi fa schifo di te, tesoro… - risposi dolcemente, stendendomi di nuovo al suo fianco – E’ dolce il tuo sperma, sai?”, e gli sfiorai le labbra con le mie ancora bagnate.
Franco si irrigidì.
“Dammi un bacio…”, sospirai e poggiai la mia bocca sulla sua.
Lui fece per scansarsi, ma io gli presi la testa con entrambe le mani e lo tenni fermo con dolce violenza, poi la mia lingua gli scivolò fra le labbra. La sua resistenza durò solo un istante: subito dopo, la barriera dei suoi denti si aprì e io andai oltre, dove mi aspettava la sua lingua, ora ansiosa di imparare nuovi giochi.
Il nostro primo bacio, il suo primo bacio, fu lungo e appassionato.
“Cazzo, che bello!...”, mormorò Franco, quando ci staccammo per riprendere fiato.
Allora lo baciai ancora… e ancora… e ancora… stringendolo fra le braccia, dolce, caldo, palpitante. Finalmente la sua mano scese a toccarmi il cazzo, dolorante dentro le mutande ormai fradicie. Ma lo palpò con evidente piacere, quindi cominciò a tirarmi giù gli slip alla cieca.
“Togliteli, dai.”, disse e io me li tolsi, esibendogli la mia straziata virilità.
“Wow!”, esclamò lui a quella vista.
Allora, mi distesi sulla schiena, con le braccia dietro la nuca e lui stette guardarmi un momento con gli occhi luccicanti, poi prese a carezzarmi l’interno delle cosce, quasi stesse cercando il coraggio per andare oltre, e piano piano avvicinò la mano fino a sfiorarmi i coglioni indolenziti per la lunga attesa e infine il cazzo, che vibrò a quel tocco come la verga di un rabdomante.
Prese, allora, a carezzarmi l’inguine con leggerezza, passandomi le dita fra i morbidi peli del pube, e finalmente mi impugnò l’uccello, smanettandolo un paio di volte su e giù. Non feci in tempo a dirgli niente: ero talmente carico, che all’istante mi incordai e una fitta lancinante di piacere mi prese dal fondo delle palle, risalendomi come un fulmine la canna del cazzo e aprendo la strada a una raffica squassante di fiotti densi, che mi ricaddero sul petto e sulla pancia, inzuppandomi la maglietta, che ancora indossavo.
“Accidenti!... - esclamò Franco, che mi stringeva il cazzo in mano, tenendolo dritto – sembra una fontana!”
Io scoppiai a ridere.
“Scusa, amore, - ansimai – ma non ce l’ho fatta a resistere…”
Dopo di che, me lo tirai fra le braccia e lo strinsi a me, partendo per una nuova manche di baci e di carezze appassionate.

“Ehi, che ne dici di finire la nostra mousse?”, mi fece lui ad un certo punto.
“Ottima idea!”, risposi e saltai dal letto per andarla a prendere.
Tornai con la coppetta ancora mezza piena e mi sdraiai accanto a lui.
“Oh, cazzo! Ho dimenticato il cucchiaio…”, sbottai e feci per alzarmi di nuovo.
“No, aspetta!”, mi trattenne lui e, presa una ditata di mousse me l’accostò alle labbra.
Lo accolsi in bocca e succhiai avidamente il suo dito, mentre lui mi fissava con gli occhi scintillanti. Allora, ne presi pure io una ditata e gliela porsi. Franco dischiuse le labbra, avvolse il mio dito con la lingua e se lo tirò in bocca, succhiandolo con lasciva voluttà. Fu quando lui fece per prendere un’altra ditata di crema, che mi balenò l’idea:
presi un po’ di mousse e gliela spalmai su entrambi i capezzoli.
Lui mi fissò un momento, senza capire, ma lanciò un gemito che fu un guaito dissoluto, allorché accostai le labbra e presi a lapparglieli e succhiarglieli, prima uno e poi l’altro, senza pietà. Quindi, fu la volta dell’ombelico: glielo colmai di crema e subito dopo glielo ripulii, slinguando voracemente nella minuscola cavità come una cagna famelica.
Infine giunsi al cazzo, la suprema delle prelibatezze, tornato nel frattempo in pieno turgore. Gli spalmai un po’ della mousse sul glande e poi lo ingoiai per intero con un intenso mugolio di soddisfazione: il dolce della crema e il gusto acidulo dei suoi umori davano al mio palato un mix addirittura esaltante.
La mia lingua ci svirgolò attorno come impazzita, facendolo torcere sguaiolante sul letto: libidine allo stato pure scorreva ormai nelle nostre vene. Non capivo più niente: gli spalmai freneticamente altra mousse sulla cappella e ripetei l’operazione, rivoli di saliva frammista a crema disciolta gli colavano lungo il cazzo, infradiciandogli le palle e i folti peli del pube.
Poi, inaspettatamente, Franco si rivoltò, si mise a quattro zampe e si allargò con foga le natiche levigate.
“Anche qui! - ansimò in piena fregola - Anche qui!...”
Stralunato, fissai il suo forellino roseo e inviolato, poi ci spalmai sopra un po’ di mousse, sentendolo fremere al fresco contatto sulla mucosa rovente, e folle di desiderio mi avventai a leccare come un forsennato.
Franco tremò a sguaiolò, allargandosi con più forza le natiche, mentre la mia lingua, viscida e guizzante, si affannava a rovistargli fra le pieghe incontaminate dell’orifizio, che fremeva e boccheggiava sotto il mio frenetico assalto. Ci spalmai sopra altra mousse ripresi a divorargli famelicamente il culo.
Franco dimenava il sedere, slargandosi al massimo con le mani le natiche ormai unte e
sbavate, mentre io continuavo a spalmargli la mousse fin dentro il buco del culo e a leccare, a mordere, a divorare, a sbavare, in preda entrambi ad un orgasmo forsennato.
Ad un tratto, mi fermai ansimante e fissai l’apertura rosea al centro dello spacco devastato: era struggente, così tenera, dischiusa, invitante… una fighetta matura, pronta per essere colta!
Mi ci avventai sopra, penetrandola con la lingua.
“Ti voglio, Franco, ti voglio!”, mugugnai, sbavando ulteriormente il già rorido orifizio.
Da lui non mi giunse alcuna risposta, forse neanche mi aveva sentito. Allora, raccolsi dalla coppetta la mousse rimasta e me la spalmai sul cazzo; poggiai il glande sulla fighetta palpitante e spinsi con decisione. La punta scivolosa sgusciò attraverso lo sfintere allentato e Franco si riscosse con un grido strozzato.
“No!”
Ma la mia fregola era ormai incontrollabile e diedi un altro colpo.
“No! Mi fai male!”, protestò ancora lui, cercando di spingermi via.
“Sta calmo, tesoro… - gli mormorai, allora, tenendolo stretto – Adesso passa… rilassati… lasciami entrare… è bellissimo… piacerà anche a te…”
E spinsi ancora, ma la morsa del suo sfintere mi tratteneva indietro la pelle del prepuzio; così, dovetti dare un affondo deciso, che portò dentro una buona metà del mio cazzo. Sguaiolammo entrambi, lui per il dolore della forzatura, io per il piacere lancinante di sentirmi l’uccello come sbucciato.
A quel punto il suo culetto era rotto, la sua verginità infranta, e bastò un altro colpo a spingermi dentro tutto. Il suo sfintere mi stringeva ora la base del cazzo e pulsava selvaggiamente, mentre un gemito sommesso, quasi di pianto, veniva fuori dalla gola di Franco. Rimasi immobile, consapevole che ogni mio piccolo movimento gli avrebbe acuito il dolore, e lo strinsi a me.
“Tesoro, - gli mormorai all’orecchio – perdonami, ma era necessario. Ti voglio… ti amo tanto… Resisti ancora un poco… adesso passa e sentirai che bello…”
Lui non rispose, continuò a gemere, ma intanto sentivo la morsa del suo sfintere allentarsi a poco a poco base alla del mio cazzo. Lo baciai sulla nuca.
“Tesoro, - continuai a mormorargli – sei fantastico… Ti fa molto male?”
“Sì”, gemette lui con voce soffocata.
Per un momento, mi sentii in colpa. Che diritto avevo di farlo soffrire così?
“Vuoi che mi levo?”, gli chiesi con la morte nel cuore.
“N… no”, sospirò lui.
In quel momento mi accorsi che aveva cominciato a roteare leggermente il bacino, come per sistemarsi meglio il mio cazzo: il dolore stava passando! Allora, roteai anch’io leggermente il bacino, in senso contrario al suo. In risposta, il suo movimento si accentuò, accompagnato da una certa pressione all’indietro.
Continuammo a giocare in quel modo, finché non percepii che il suo retto si era adeguato alla presenza e alle dimensioni del corpo intrusore e cominciava a godersi la piacevolezza dello stiramento sfinterico.
“E tutto a posto?”, gli chiesi.
“Sì… - rispose lui – Mi sento pieno…”
“Vedrai adesso che bello…”, feci io e accennai un millimetrico movimento di chiavata.
Il suo gemito, però, mi disse che era troppo presto: era la sua prima volta, del resto. Allora mi fermai di nuovo e per un po’ lo coccolai, mordicchiandolo sulla nuca, pizzicandogli i capezzoli tesi e sussurrandogli dolci paroline, più care al mio cuore forse prima ancora che alle sue orecchie.
Poi tornai a muovermi, un fuori e dentro al rallentatore di appena qualche centimetro: il suo Oh stavolta fu di piacevole stupore e allora iniziai sul serio la monta. Presi a cavalcarlo lentamente ma con vigore, aumentando ad ogni affondo l’ampiezza e la potenza delle vogate.
Franco mugolava e si torceva in preda a sensazioni del tutto nuove e inaspettate per lui. ma anch’io ero in preda all’euforia esaltante d scorrere in quel fremente meato anale, che per la prima volta conosceva l’assalto del maschio.
Il piacere si intensificò lungo tutta la mia verga e via via si intensificò il ritmo delle vogate, finché mi sentii rivoltare i coglioni e come un fuoco risalirmi il condotto del cazzo.
“Oh, vengo, amore… - ansimai – ti vengo nel culo!...”
E mentre lo stringevo convulsamente, mi abbattei su di lui con un ultimo affondo e,
sguaiolando, gli riversai dentro il frutto della mia ardente passione. Mi accorsi che anche lui ansimava e capii che le pulsazione del mio cazzo sulla prostata gli stavano procurando il primo orgasmo anale della sua vita: stava godendo come mai aveva goduto!
Quando ebbi finito di eiaculare, aspettai che l’uccello mi si smollasse, in modo da poterlo estrarre più agevolmente: la prima volta è normale che si verifichi qualche irritazione nelle parti violate.
Attesi, dunque, e quando venni fuori con un leggero plop, gli allargai le natiche per verificare la situazione: il buchetto si era richiuso bene, ma era parecchio arrossato, così mi chinai e glielo leccai dolcemente un paio di volte. Sapeva di sborra e di mousse al cioccolato. Mi distesi accanto a lui e Franco mi strinse forte, nascondendo il volto nell’incavo del mio collo. Dopo un po’, gli sollevai di peso la testa e lo guardai: c’era nei suoi occhi una luce che mi sciolse l’anima e che non dimenticherò mai.
“Ti ho sentito, quando venivi…”, mi bisbigliò teneramente.
“Lo so, succede sempre.”, risposi e lo baciai.
“All’inizio, mi ha fatto male, ma poi è stato bello.”, osservò, carezzandomi la guancia con la punta delle dita.
“Mi dispiace, tesoro…”
“Non fa niente.”
“Un giorno ti racconterò quando hanno sverginato me.”
“Un giorno…”, mormorò lui e un velo di tristezza gli calò sugli occhi.
Lo guardai senza capire, poi come un lampo mi squarciò la mente.
“Ehi, - feci - non avrai mica pensato…”
“Non lo so… - rispose lui – Ma fra poco andrai via…”
Mi sentii stringere il cuore. Gli presi il volto fra le mani e lo fissai negli occhi.
“Guardami, Franco, e ascoltami bene. Fra qualche giorno andrò via, è vero, ma tu verrai con me! Ti ho trovato, finalmente, e non ho nessuna intenzione di lasciarti qui.”
Altrettanto improvvisamente la luce tornò a risplendere nei suoi occhi.
“E c’è ancora tanta di quella mousse da consumare!” disse con un guizzo di maliziosa libidine.

FINE
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