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Quei due bravi ragazzi


di adad
13.05.2019    |    13.360    |    4 7.9
"” “Pui gridari quanti vui: qui non ti fenti niffuni ih, ih, ih, ih…” “Emanuele! Emanuele, aiutami…”, gridò lei, dibattendosi..."
“Ho paura…”, mormorò Annalisa, sbirciando verso la porta in cima alle scale.
“Di cosa?”, fece Emanuele con tono forzatamente rassicurante.
“E se non arrivassero in tempo a salvarci?”, e c’era un tremolio di pianto nella sua voce.
“Ma dai, Anny, non dire sciocchezze; - la incoraggiò Emanuele – noi due siamo i protagonisti e la serie è appena al terzo episodio della seconda stagione: non possiamo morire, è matematico.”
Annalisa sembrò riprendere un po’ di colore sulle guance.
“Ma perché tutto questo, allora? Perché ci hanno fatto intrappolare in questa cantina buia, in balia di un maniaco folle?”
“E’ per creare una situazione di saspens, lo sai. Non possono far scorrere le cose sempre lisce. Ci devono creare ostacoli, contrattempi, ma poi alla fine della puntata si risolve sempre tutto. Ricordi la stagione scorsa? In un episodio stavi per affogare in una palude e sono arrivato io a salvarti; in un altro ero io che stavo per essere travolto da una valanga e tu sei corsa e mi hai dato uno spintone… E’ sempre così, dai…”
“Sì, ma stavolta siamo chiusi tutti e due in questa cantina fredda e buia… e lì fuori c’è un maniaco folle, che da un momento all’altro entrerà e ci farà a pezzi…”
“Senti, hai cominciato a stufarmi; ce la faremo ti dico: da un momento all’altro arriverà qualcuno a tirarci fuori.”
“Sì, aspetta e spera. Hai letto forse il copione delle prossime puntate?”
“No, non l’ho letto, ma se la serie si intitola “Quei due bravi ragazzi”, e i due bravi ragazzi siamo noi, significa che non possono farci fuori adesso, che ce la caveremo alla grande! Ce la caveremo sempre: siamo i protagonisti della serie.”
“E se gli Autori avessero cambiato idea?”
“Uh! Che palle megagalattiche, che sei!”, sbottò Emanuele, avvicinandosi a tentoni alla porta inchiavardata della cantina, saggiandone la resistenza.
Nella serie Annalisa, una graziosa biondina appena ventenne, ed Emanuele, un moraccione venticinquenne di professione pescatore, erano innamorati, ma nella realtà i due attori non si sopportavano. In ogni episodio, mentre si scambiavano smancerie in giro per il mondo, i due si imbattevano in qualche delitto o altro fattaccio del genere e in un modo o nell’altro contribuivano sempre alla soluzione del mistero.
Stavolta si erano imbattuti in una serie di cadaveri fatti a pezzi e gettati in un cassonetto dell’umido, e con i loro maldestri tentativi di risolvere il caso erano finiti dritti dritti nelle mani del folle squartatore, per sfuggire al quale, si erano rifugiati nello scantinato di quell’edificio abbandonato, cacciandosi in una trappola mortale: una situazione al cardiopalmo, come si vede, e francamente credo che nessuno di noi se la sentirebbe di dare torto alla povera Annalisa, anche se il ragionamento di Emanuele non faceva una piega.
A quel punto, si sentì un forte strepito fuori dalla cantina, urla dissennate, piatti che si infrangevano, armadi che si rovesciavano, sedie che si schiantavano. La povera Annalisa ebbe quasi un colpo apoplettico e si accasciò a terra svenuta; ma anche il coraggioso Emanuele si sentì tremare le gambe e rattrappirsi il buco del culo, quando la porta si schiantò e qualcuno si precipitò giù dalle scale della buia cantina come una catapulta. Nel trambusto, il giovane cercò coraggiosamente di nascondersi dietro una catasta di scatoloni vuoti, immemore della povera Annalisa, che giaceva svenuta al centro dello stanzone.
Il folle squartatore, che altri non era il nuovo arrivato, si guardò attorno con occhi allucinati, cercando nella penombra dove fossero le sue vittime. Brandiva nella sinistra un coltellaccio insanguinato, nella destra l’ascia con cui aveva appena sfondato la porta.
Alla fine si accorse del corpo esanime della povera Annalisa e con un urlo belluino ci si avventò addosso, pronto a farne scempio. Ma il pericolo che la sua compagna stava correndo, infuse un briciolo di coraggio nelle vene contratte di Emanuele, che saltò fuori dal suo precario nascondiglio e:
“Lasciala stare!”, gli urlò, agitando le braccia.
Il folle si voltò di scatto verso di lui.
“Ah, fei qui! – disse con la bocca storta da un ghigno feroce – cofì poffi fari la fefti puri a ti.”, e gli corse addosso, gettandolo a terra con una spallata.
Poi, gettate via le sue armi, lo prese, intontito com’era, lo spogliò nudo e lo immobilizzò, imbavagliandolo e legandolo sopra una sedia.
“Ma cosa sta succedendo?”, ebbe appena il tempo di pensare il giovane, prima di svenire.
Ed in effetti c’era ben da chiederselo: in ogni puntata della serie vi erano scene di violenza, ma si trattava sempre di colpi finti, mosse studiate apposta per fare solo scena e impressionare gli spettatori; qui invece gli sganassoni e le legnate erano veri! Assicurato il pericolo maggiore, vale a dire il giovanotto, di cui si sarebbe occupato più tardi, il folle squartatore riportò la sua attenzione sulla povera Annalisa, ancora svenuta: la sollevò da terra e la depose su un lungo tavolo, che rassomigliava sinistramente al bancone di un macellaio. La legò per bene per le mani e per i piedi, come una vittima sacrificale, poi prese un paio di forbici e cominciò a tagliarle i vestiti addosso, portando al parossismo la tensione degli spettatori a casa.
Ghignando e sbavando, il sadico squartatore le tagliuzzò tutto, già pregustando il divertimento che si sarebbe preso prima di ammazzarla, facendola minuziosamente a pezzi, come le altre sue vittime… Si accingeva a tagliarle via anche le mutandine, quando la povera ragazza rinvenne. Sbatté gli occhi, vide incombere su di lei il volto stralunato del folle e prese a dibattersi, lanciando un urlo, che a momenti si strappava le tonsille.
“Fta calma, teforucci… - le biascicò il folle squartatore, a cui in una rissa si era mezzo frantumata una mascella, sicché adesso parlava a fatica – adeffi fei qui, ci penfi io a ti… ih, ih, ih, ih…”
“No!... Aiuto!...”
“Pui gridari quanti vui: qui non ti fenti niffuni ih, ih, ih, ih…”
“Emanuele! Emanuele, aiutami…”, gridò lei, dibattendosi.
“Imanuele… Imanuele… aiutimi… - le fece il verso il mostro – Gridi puri, carini: il tu Imanuele è lì… ih, ih, ih, ih… legati comi un falamini. E appeni finiti con ti, mi occupi di lui. A ti tagli via li tettini e a lui li pallini… ih, ih, ih, ih, a ti li tettini e a lui li pallini…”
Intanto, le aveva tagliuzzato via anche le mutandine.
“Oh, ma chi belli patonfetti abbiami qui!”, ghignò il folle con gli occhi lustri, infilandoci dentro un paio di dita ruvide e screpolate.
Annalisa si dibatté e cercò di sottrarsi a quell’oltraggio, ma il folle ormai non l’ascoltava più e già meditava di infilarci un dito alquanto più grosso, quando dalla porta scardinata fece capolino un bel volto tenebroso che, dopo aver scrutato la scena con gli occhi grifagni, fece un cenno ai suoi e prese a scendere silenziosamente la scala.
La ragazza lo vide e sbarrò gli occhi, rischiando di mandare a puttane l’effetto sorpresa: il folle infatti se ne accorse e stava per girarsi brandendo come arma il forbicione, ma il nuovo arrivato lo prevenne: gli saltò addosso e lo immobilizzò:
“T’abbiamo preso, finalmente, figlio di puttana!”, disse, consegnandolo agli poliziotti, che lo impacchettarono e lo portarono su per le scale.
“Coraggio, ragazza, - disse poi, avvicinandosi alla ragazza – è tutto finito.”, e la liberò dai legacci.
Poi si tolse la giacchetta, gliela poggiò sulle spalle e coprendola alla meglio, l’accompagnò fuori, dove l’aspettava un’ambulanza, che la portò immediatamente al più vicino ospedale.
Pochi minuti dopo, l’ispettore Sardelli, perché di lui si trattava, ricomparve in cime alla scala per dare un’occhiata al luogo del delitto, perché sul fatto che gli omicidi fossero stati commessi lì, non potevano esserci dubbi.
Diede una lunga occhiata intorno, per avere una panoramica dello stanzone sotterraneo, poi scese lentamente e cominciò ad esaminare da vicino il bancone da macellaio e tutto il resto. Stava per andar via, quando, già con il piede sul primo gradino, sentì un fievole gemito.
“Un’altra vittima?”, si chiese, guardandosi attorno.
Tornò ad ispezionare lo stanzone, e finalmente si accorse che c’era qualcuno dietro la catasta di scatoloni vuoti. Impugnò la pistola per precauzione e si avvicinò lentamente, fino a scorgere qualcuno nella buia penombra.
“Chi è là?”, intimò, avvicinandosi con l’arma spianata.
“Mummmm…. Mmummm…”, mugugnò il povero Emanuele attraverso il bavaglio.
“Cosa abbiamo qui? – fece l’ispettore, avvicinandosi – Oh, ma che bel bocconcino…”, mugolò, quando si accorse che l’altro era nudo.
“Chi sei?”, gli chiese, una volta toltogli il bavaglio.
“Sono Emanuele Friggitelli, ero con Annalisa, quando lo squartatore ci ha catturati.”, rispose l’altro, dopo essersi sgranchite le mascelle.
“Annalisa è la ragazza che abbiamo portato in salvo, immagino.”
“E’ ancora viva? Oh, grazie al cielo! Temevo che stavolta non ce l’avremmo fatta.”
“E come è possibile? Siamo in una serie televisiva e voi due siete i protagonisti, alla fine si trova sempre il modo di salvarvi.”, rispose l’ispettore.
“Mi liberi, per favore.”, disse il ragazzo.
“Ih, quanta fretta… - fece serafico l’ispettore – Il folle squartatore lo abbiamo arrestato, non c’è più nessun pericolo…”, e intanto gli si era accosciato davanti e aveva cominciato a carezzargli l’interno di una coscia.
“Mi piacciono i giovani, che sanno mantenersi in forma come fai tu.”, continuò, avvicinando la mano ai genitali esposti e prendendogli in mano l’uccello moscio.
Il quale uccello, non mancò di fare il proprio dovere, rizzandosi all’istante.
“Che meraviglia… - esclamò l’ispettore Sardelli – Che ne dici se ti faccio un pompino? Me n’è venuta una voglia matta!”, e senza por tempo in mezzo, si chinò e ingoiò il glande per intero, dando una sonora risucchiata.
“Ma che caspita fai? – protestò Emanuele – siamo in una serie tv per famiglie… andiamo in onda in orario protetto.”
“Ah, non ti preoccupare, - rispose l’ispettore tra una leccata e l’altra – ormai gli sceneggiatori infilano storie gay dappertutto, per essere al passo con i tempi.”
“Ma io non sono gay!”, protestò Emanuele.
“Beh, nemmeno io lo ero, ma poi qualcuno si è messo in testa che bisognava rinnovare la serie con nuove idee e mi è toccato diventarlo.”, spiegò l’ispettore, tornando a slurpare golosamente il randello bagnato del giovane.
“Ma smettila, insomma! Io non sono frocio, lo vuoi capire.”
“In primis, ti consiglio di non usare più quella parola, che non è politicamente corretta e rischi una denuncia per omofobia; in secundis,ti consiglio di smetterla e di lasciarmi fare in pace questo pompino, che me ne sta passando la voglia!”
Allora Emanuele si zittì, mentre l’ispettore, riprendeva il suo godurioso lavoro. Pur non essendo né gay, né frocio, bisogna dire Emanuele ebbe l’accortezza di fare buon viso a cattivo gioco e lasciò che l’altro proseguisse. E bisogna anche dire che dopo un po’ cominciò a sentire un certo rimescolamento nei precordi, onde per cui si adeguò alla volontà degli sceneggiatori e alla fine seppe riempire adeguatamente le cavità orali dell’ingordo ispettore, che ingoiò tutto e leccandosi le labbra:
“Visto che non era così sconvolgente, dopo tutto?”, gli fece.
“Devo ammettere che è stato uno dei migliori pompini che abbia mai ricevuto.”
“Beh, diciamo che gli sceneggiatori mi hanno fatto fare parecchia pratica, ultimamente.”
“Mi felicito con lei, - disse Emanuele, senza nascondere un certo tono ironico – adesso mi liberi, però.”
“Ah, non posso, dovrebbe saperlo.”
“Come non può?”, si indispettì il ragazzo.
“Ma non hai letto il copione di questa puntata?”
“Non tutto… perché? Che succede?”
“Capisco… - fece l’ispettore – Beh, vedi… a questo punto, il copione dice che devo incularti.”
“Cosa? ma chi l’ha scritto questo copione Rocco Siffredi?”
“Mi dispiace, - disse l’ispettore sinceramente contristato – ma ti conviene abbozzare, altrimenti fanno presto a liquidarti: ti fanno morire nella prossima
sparatoria e ne assumono un altro al posto tuo.”
“Un altro disposto a farsi rompere il culo?”
“Ah, non immagini cosa è disposta a fare la gente, pur di comparire su un qualche schermo. Su, farò piano, te lo prometto.”, e gli sciolse i piedi, rovesciandogli indietro le gambe, onde esporre il buchetto in una posizione comoda alla bisogna.
“Non farlo, per favore…”, piagnucolò Emanuele.
“Fai l’uomo, - gli bisbigliò l’ispettore – non dargli la soddisfazione di vederti piangere. Vedrai che ti piacerà… e se ho capito le intenzioni degli sceneggiatori, nella prossima puntata sarai tu a inculare me!”
Mentre parlava, l’ispettore si era tolto la giacca, che aveva recuperato, la camicia; poi i pantaloni e le mutande, conservando solo una canottiera, che metteva meravigliosamente in risalto il suo fisico ben sviluppato. Per fortuna, Emanuele non riusciva a vedergli l’uccello, altrimenti sarebbe stato ben più preoccupato, che per la perdita della verginità.
L’ispettore allungò la mano a prendere un tubetto di lubrificante che un addetto gli allungava fuori scena, si unse accuratamente il pestello e ne poggiò la punta smussata sul caldo orifizio d Emanuele.
“Mi fai male!”, urlò quello.
“Ma se te l’ho appena poggiato!”, fece l’altro, infilandone intanto un buon tratto con un colpetto deciso.
“Ah… lli mortacci tua! - ansimò Emanuele – ah… ah… ah…”
“Stringi i denti. Sono dentro!”, disse l’altro e con un ultimo colpo, occupò per intero il violato condotto.
Emanuele cominciò a tremare.
“Figli di puttana… figli di puttana… figli di puttana…”, ripeteva, non si sa rivolto a chi.
Finalmente, il suo sfintere contratto cominciò ad accettare l’intruso; e via via che si rilassava, l’ingombro iniziava a diventare meno fastidioso; ma fu solo nel bel mezzo della cavalcata, che il fastidio si sciolse in una gradevolezza sempre maggiore, finché Emanuele si ritrovò ad ansimare all’unisono col suo stupratore, mentre un senso di languore lo prendeva al basso ventre e gli si irradiava ad ondate per tutto il corpo, facendogli perdere la percezione del tempo e dello spazio. E quando l’ispettore venne, il suo buco del culo pulsava all’unisono con il cazzo che lo aveva violentato.
“Accidenti! – fece l’ispettore Sardelli, osservandogli la pancia allagata e scostandosi un poco, onde la camera potesse inquadrarla – si direbbe che te la sei goduta anche tu!”
Emanuele ridacchiò imbarazzato, mentre l’altro gli sfilava dal sedere il serpentone ancora turgido, portandosi dietro un fiotto di liquido biancastro.
“Sei stato fantastico, - gli bisbigliò ancora l’ispettore, mentre lo aiutava a rimettersi in piedi – credo che stavolta avremo un botto di share e la nostra permanenza nella serie è assicurata!”
Si avviarono all’uscita e mentre salivano le scale, sul piccolo schermo cominciavano a scorrere i titoli di coda.
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