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Racconto di Natale - 2


di adad
16.12.2022    |    5.414    |    9 9.8
"Mi insegnò a leccare il buco del culo con la perizia necessaria per prepararlo alla monta… e infatti, mi lasciò cogliere il frutto del suo deretano polposo e…..."
Ed eccoci qua: due uomini impudicamente abbracciati, la lingua ciascuno nella bocca dell’altro; io con le braccia attorno al suo collo, stretti l’uno all’altro; lui in preda ad una incontenibile furia erotica, che mi inchioda a sé con un braccio, mentre con l’altra mano mi percorre la schiena, mi strapazza le chiappe, mi cerca il buco del culo per infilzarmelo con un dito… I cazzi premuti fra le nostre pance e spasimanti per il bisogno di essere soddisfatti. Fu Babbo Natale a prendere l’iniziativa: ad un tratto si staccò da me, scalciò via lenzuola e coperte, perché non fossero d’impaccio, poi mi abbassò il davanti degli slip sotto le palle, mi afferrò il cazzo e, preso fiato, si chinò ingoiarlo tutto: tutto quanto, fino alla radice! E preciso che non sono quello che si direbbe un minidotato!
Trovarmi in quella bocca calda e bagnata fu per me una sferzata di libidine: gli afferrai la testa con le mani e presi a pomparci dentro! Gli scopavo la bocca e lui subiva i miei affondi, senza batter ciglio, reagendo anzi con sonore slurpate. Non mi ero mai sentito addosso una foia simile. Quanto potevo durare? poco… e infatti ben presto mi si incordarono le palle e, con un sobbalzo, un grumo di sborra mi schizzò fuori dall’uccello, riempiendogli la bocca. Lui se lo tolse un momento per deglutire, mentre io continuavo a sbrodolare sperma, ma subito riprese in bocca la cappella e si diede a poppare il sugo che usciva, deglutendolo rumorosamente.
“Buon dio, che bontà!”, esclamò quando tutto fu finito, lasciandomi rientrare nelle mutande l’uccello ormai molle e leccandosi le labbra.
Lo fissai, ancora stranito dall’orgasmo.
“Chi lo avrebbe mai detto?”, mormorai.
“Che Babbo Natale ti avrebbe fatto un pompino?”, concluse lui.
“E con l’ingoio…”
“Quello è il meglio…”, sospirò sfiorandomi le labbra con le sue.
“Se lo dici tu…”, feci, scostandomi per evitare che mi baciasse: entrare nella sua bocca ancora sporca di sborra, sia pure la mia, non mi attirava per niente.
“Un pompino senza ingoio, - continuò – sarebbe come aprire una coca con i denti e poi versarla nel lavandino… Una fatica inutile, non trovi?”
“E soprattutto uno spreco…”, ironizzai
“Hai mai succhiato il cazzo ad un amico?”
“Certo che no! non sono…”
“Lo so che non sei… Ma non ti sei mai chiesto cosa si prova a tenere il cazzo in bocca?”, mi interruppe, infilandomi la mano dentro gli slip e carezzandomi le palle.
“Scusa, ma tu sei Babbo Natale o… ?”, chiesi sentendomi pervadere da nuovi brividi di lussuria.
“O una ninfomane arrapata?”, mi interruppe lui, tornando a baciarmi.
Stavolta non mi sottrassi al bacio e lasciai che la sua lingua mi scivolasse in bocca, prima seguirla nella sua. Aveva un sapore diverso, di saliva mista a sborra, immaginai, ma non mi disturbò e, dopo un attimo di esitazione, mi abbandonai alla sua passione, ancora più sfrenata.
“Erano almeno quattrocento anni, che non incontravo uno che mi prendesse tanto…- mormorò, dopo esserci baciati – Dai, divertiti un po’ con lui.”, e cercò di guidarmi verso il suo cazzo eretto.
Era enorme: per quanto non avessi nessuna esperienza in materia, mi resi conto che doveva essere molto più grosso della norma… del mio senz’altro! Cosa diavolo voleva, che glielo succhiassi, per caso?
“Nah…”, mi ritrassi.
“Dai, non ti mangia mica…”
“Senti…”
“Prendilo in mano, almeno…”, e prese la mia, portandosela al cazzo.
Feci un po’ di resistenza, ma giusto per salvare la faccia, perché in realtà mi era venuta una gran curiosità di sentire l’effetto che fa… Sì lo so che questa è la scusa di tutti, ma davvero io volevo solo sentire cosa si prova a tenere in mano un affare così grosso… e così turgido…
La curiosità è l’inizio della conoscenza, diceva un antico saggio… ma è anche l’inizio della perdizione, aggiungo io. E credo che abbiamo ragione tutti e due: quella curiosità che ci spinge a conoscere il mondo intorno a noi, è la stessa che ci spinge a provare il sapore del cazzo e di altre cose proibite. E una volta fatto il primo passo, le porte dell’inferno sono spalancate. In senso metaforico, certo.
Per un po’, feci lo schizzinoso, dunque, ma presto mi lasciai convincere a prenderlo almeno nella mano. Che sensazione strana… Ls prima cosa che mi colpì fu il calore… era caldissimo, stretto nel pugno… e poi la consistenza… la levigatezza della guaina, che lo rivestiva… Era scappellato a metà, allora feci scorrere lentamente il prepuzio verso basso, fino a portarne l’orlo sotto la corona del glande fungino. Una grossa goccia di licore trasparente si andò gonfiando sulla boccuccia carnosa, finché prese a scivolare lungo la cappella.
Babbo Natale la raccolse con la punta di un dito e me l’avvicinò alle labbra.
“Lecca…”, mi sussurrò perversamente.
Io mi trassi indietro schifato, ma lui insistette, fino a strofinarmi quel liquido bavoso sulle labbra. Allora, tirai fuori la punta della lingua e lui ne approfittò per ficcarmi il dito in bocca, così che mi fu giocoforza leccarlo. Aveva un sapore acidulo, ma non sgradevole.
“Buono, vero?”, ghignò Babbo Natale.
Feci una smorfia di mezzo apprezzamento: in effetti, non mi aveva entusiasmato, ma neanche fatto vomitare, come ci si sarebbe potuto aspettare. Va bene che lui aveva bevuto e degustato il mio sperma, ma ci era abituato, chissà quanti cazzi aveva succhiato e fatto sborrare, prima del mio, ma io no: per me era il primo contatto diretto con il cazzo di un uomo.
Dopo che gli ebbi ripulito per bene il dito, Babbo Natale raccolse un’altra goccia, che gli si era formata alla sommità del glande, e me la portò di nuovo alle labbra; solo che fui io, stavolta, a leccargliela dal dito.
“Prendilo in bocca, - mi disse, allora – prova ad assaggiarlo…”
“Nah… non voglio…”
“Coraggio… - insistette – avvicinati, almeno… annusalo…”
Cedetti alla pressione che mi esercitava sulla nuca e avvicinai il naso, fiutando tutt’attorno, come un cane in una retata antidroga, dall’odore dolciastro dello scroto a quello sempre più pungente via via che mi portavo verso il glande ormai lucido di bava.
“Toccalo con la punta della lingua… dai… solo con la punta della lingua…”, insisteva lui, sempre più anelante.
Dopo qualche resistenza, tirai fuori la lingua e sfiorai la cappella bavosa.
Sentii un pizzicore, come quando si sfiora la punta di una batteria.
“Oh, sì… - gemette – sì… bravo…”
Confesso che vederlo così preso, così eccitato, cominciò a infervorare pure me e, senza neppure rendermene conto, cominciai a slinguargli il grosso glande spugnoso, dapprima con una certa esitazione e poi sempre più golosamente, mano a mano che il sapore acido della sua virilità mi scaldava la lingua e m’infiammava i sensi.
Alla fine, fu il suo sospiro estasiato a farmi realizzare che avevo in bocca una buona metà della sua cappella… Eh, già, solo metà, perché tutta intera non ci stava: non sono una rana dalla bocca larga, purtroppo.
Ma già questo per me era un grosso passo avanti e sembrò soddisfarlo.
“Bravo … - cominciò a sussurrarmi con voce roca – succhialo al tuo Babbo Natale… - e mi carezzava dolcemente i capelli – è da tanto tempo che aspetti questo regalo…”
Le sue parole mi passarono per la mente, ma non furono loro a condizionare le mie azioni. Voglio dire, se lo feci, non fu perché mi avesse convinto lui, ma perché il suo cazzo mi aveva conquistato… E col senno di poi, credo che non potesse essere altrimenti: il cazzo ha un potenziale attrattivo, di cui ci si rende conto, solo quando ci veniamo a contatto. E allora è già troppo tardi.
Per farla breve, maneggiare e slinguazzare la grossa nerchia fremente di Babbo Natale, mi mise addosso una frenesia, una smania, una voglia di farla godere, che mai mi sarei immaginato. Non potendo cacciarmelo in gola, vista la sua grossezza, tenevo il glande fra le labbra, leccandolo e slurpandolo come un cono gelato; intanto, impugnato il gambo a metà, iniziavo a praticargli un movimento ondulatorio e sussultorio, in cui infusi tutta la perizia segaiola, accumulata negli anni della mia vita. Il combinato lingua, labbra e mani funzionò alla perfezione, tant’è che non passò molto e Babbo Natale cominciò ad ansimare, a gemere e a dimenarsi come un ossesso, finché con un grugnito rauco di gola, il cazzo sembrò esplodergli e prese a schizzare raffiche di sperma una dopo l’altra, che gli si spiaccicarono tutte sulla pancia, sul petto e, infine, sul pube.
Non ce la feci a prenderla in bocca… ero ancora un succhiacazzi alle prime armi.
“Scusami”, feci, quando l’uragano fu passato e mi ritrovai nella mano bagnata il suo cazzo ormai molle.
“Di cosa dovrei scusarti?”, disse lui ancora ansimante, sfiorandomi la guancia con una leggera carezza.
“Per non…”
“Per essere la tua prima volta, hai fatto un ottimo lavoro… sei stato anche troppo bravo. La prossima volta, andrà meglio, vedrai.”
“La prossima volta?”, esclamai.
“Certo, - mi sorrise lui – la mia caviglia non è ancora tornata a posto e penso che abuserò di te… della tua cortesia, intendo… ancora per un po’. Tanto, oggi è Natale… I miei elfi stanno tutti festeggiando a casa loro… E, poi, nevica ancora. Come si fa a viaggiare con questo tempo? Ti secca se resto ancora un po’?”
“Certo che no!”, esclamai d’impulso.
Come credo di aver già detto all’inizio di questa storia, sono sempre stato un tipo solitario; e in altre situazioni non avrei visto l’ora che l’ospite se ne andasse. Ma stavolta… dopo la nottata a svolazzare per l’intero mondo e dopo un’alba del genere, come poteva non farmi piacere che Babbo Natale si fermasse ancora un po’? E non per i motivi abietti che vi frullano nella mente!
“Bene, - fece, allora, lui – adesso riposati, devi essere esausto. Io vado ad accudire le renne e poi rovisto un po’ nel tuo frigo…”
Forse disse ancora qualcosa, ma io mi ero già voltato dall’altra parte e dormivo della grossa.
Mi svegliai diverse ore dopo con uno squisito profumo d’arrosto che entrava dalla porta socchiusa della camera. Mi alzai e raggiunsi barcollando la cucina, aprii la porta e quello che vidi bastò a cancellarmi ogni traccia di sonno dagli occhi: Babbo Natale, quest’omone sodo e muscoloso, era ai fornelli, completamente nudo, tranne le ciabatte ai piedi e un grembiule davanti. La vista del suo culo tondo e levigato mi lasciò senza fiato.
“Wow!”, mi lasciai sfuggire.. e non per il profumo che saliva dai fornelli, lo ammetto.
Lui si voltò di scatto, il volto maschio illuminato da un sorriso raggiante.
“Ben alzato. – mi disse – Non pensavo che non ti alzassi così presto.”
“Come si fa a dormire con questo profumo? Che stai preparando?”
“Oh, niente di che: un arrostino con della carne che ho trovato nel tuo frigo. Le patate sono in forno e… basta, volevo fare un dolce, ma ho solo due mani, come puoi vedere.”
“Beh, se hai solo due mani, in compenso hai tante altre cose…”, dissi sfacciatamente, allungandogli una carezza a tutta mano sulla chiappa.
Lui scoppiò a ridere e mi abbracciò. Vidi che il davanti del grembiule cominciava a sollevarsi e ritenni opportuno smetterla lì, se non altro per la buona riuscita del pranzo di Natale.
Che dire? Dopo quanto avevo scoperto poche ore prima, in realtà non vedevo l’ora di riprendere il discorso, lo ammetto. E lo riprendemmo alla grande, dopo il lauto pranzo natalizio, nel letto ancora disfatto dalla notte precedente.
Ma non voglio tediare i lettori con quelle accurate descrizioni anatomiche che si possono trovare in qualsiasi trattato di pornografia applicata.
Se quella mattina ero un novellino, a sera, grazie ad un maestro così paziente e coscienzioso, ero diventato un cultore accanito e appassionato del piacere omoerotico. Mi insegnò a leccare il buco del culo con la perizia necessaria per prepararlo alla monta… e infatti, mi lasciò cogliere il frutto del suo deretano polposo e… riuscì a cogliere il mio. Non saprei dire quante ore preziose spese a leccarmi, ad aprirmi, a dilatarmi, ma alla fine mi inculò e posso dire senza tema di smentite che raggiunsi l’estasi con la sua mazza a ravanarmi nel culo e a frantumarmi la prostata nel suo incessante scorrere avanti e indietro: dico solo che venimmo assieme: lui dentro il mio culo, io sulle lenzuola… e da solo, senza neanche toccarmi.
A sera eravamo esausti, affamati e puzzolenti, ma non ci fermammo per riposarci, né ci alzammo per mangiare qualcosa o per lavarci. Ci rilassammo a furia di carezza; ci nutrimmo a furia di baci e di pompini; non ci fu piega del corpo in cui non anelassimo di infilare la lingua, non ci fu sapore del corpo che non anelassimo di gustare, non ci fu angolo del corpo in cui non anelassimo di godere.
Era mezzanotte, quando:
“Adesso devo proprio andare, dolcezza.”, disse Babbo Natale, dandomi un ultimo profondissimo bacio.
“Finisce così?”, chiesi, sentendomi invadere da una tristezza infinita.
“Chi ha detto che è finita? – disse lui – Abbi fede…”
“Senti, - feci, mentre si rivestiva, dopo essersi fatto una doccia – posso scrivere questa storia?”
“Perché no? – fece lui, con un ghigno divertito – Sarà edificante specialmente per quelli che non credono a Babbo Natale. Promettimi solo che non racconterai nulla del viaggio che hai fatto nella notte santa: quello deve rimanere un mistero per tutti.”
Finì di vestirsi e andò verso la porta sul retro.
“Sta qui, - mi disse – fa troppo freddo fuori e non voglio trovarti raffreddato, quando tornerò a trovarti.”, e mi fece l’occhiolino.
Allora, lo lasciai andare e dopo qualche secondo sentii lo scampanellio argentino della slitta che si allontanava.
Per superare il senso di vuoto che mi aveva preso, mi sedetti al computer e scrissi di getto questa storia. Sono stato a lungo incerto se pubblicarla o meno: mi sembrava che ci fossero troppi particolari intimi di noi due, per poterla propalare ai quattro venti, ma poi ho pensato che potesse servire a vincere lo scetticismo di quanti ancora non credono a Babbo Natale.
E oltre a questo, sono sicuro che gli farà piacere leggerla, quando si fermerà da me la prossima Notte di Natale.

FINE
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