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Cuori nella tormenta - 2


di adad
12.09.2022    |    4.827    |    8 9.7
"“Anche a me è piaciuto…”, ammise Romualdo, facendo lo stesso..."
“Scaldarmi? – sospirò Fosco – A me sembra…”
“Cosa?”, mormorò Romualdo, mordicchiandogli il lobo dell’orecchio.
“Che mi state dando piacere…”
“Io a voi?... - mormorò Romualdo, mordicchiandogli il lato del collo, mentre incrementava il ritmo della sega – come sarebbe possibile?”
E in effetti, Romualdo non aveva il minimo dubbio che quanto stava facendo al compagno di viaggio servisse solo a rimettergli in circolo il sangue: come avrebbe potuto anche solo sospettare che stava dando piacere a un altro uomo?
“Vi sto solo aiutando a scaldarvi, - riprese – se pensate che vi do fastidio…”, e mollò la presa sul cazzo.
“No, non smettete… - si affrettò a dirgli Fosco – è così bello…”
Ora, immagino che qualcuno sbotterà: “Ma che cazzata! Come è possibile che due giovani sani si comportino in questo modo, senza rendersi conto di cosa stanno facendo? Sono imbecilli loro o è l’Autore che crede imbecilli noi?”
Niente di tutto questo, cari Lettori, sto solo cercando di analizzare i meccanismi che possono instaurarsi fra due individui giovani e sani, quando si trovano in una situazione eccezionale. E quella era una situazione eccezionale: entrambi in viaggio per mete diverse, vengono colti in montagna da una tormenta di neve, arrivano miracolosamente ad un riparo, ma rischiano di morire congelati: come dobbiamo immaginarceli?
Io credo che si trovassero in uno stato di debolezza e precarietà, stremati dal freddo e dal cammino, incerti sulla possibilità di uscirne vivi: possiamo dubitare che si trovassero in una condizione di estrema vulnerabilità?
Poi, eccoli nudi, avvolti in una coperta e stretti l’uno all’altro, nel tentativo di non disperdere il poco calore che gli era rimasto: chi può sapere cosa succede, quando si accorgono che l’espediente sta funzionando e loro si aggrappano a questa speranza come due naufraghi ad una zattera in un mare in tempesta? E chi può sapere quali meccanismi si mettono in moto negli abissi insondabili dell’animo umano, quando due corpi nudi si ritrovano stretti, aggrappati l’uno all’altro, e assieme al calore cominciano a scambiarsi anche piacevoli sensazioni?
Io credo che Romualdo fosse animato dalle migliori intenzioni, quando cominciò a carezzare premurosamente il petto e l’addome di Fosco, nel suo gesto c’era solo il desiderio di infondere conforto, rassicurazione… Quasi a dirgli “Coraggio, amico mio…Ce la faremo.”
Non è certo colpa sua se queste, che possono essere scambiate per carezze lascive, suscitarono fremiti di piacere nel giovane Fosco. Come non è colpa sua, se, spinto da chissà quale impulso generoso, ne impugnò la mazza e cominciò a lisciarla.
Sono cose che succedono, e quando ce ne accorgiamo è ormai troppo tardi.
Così, Romualdo continuò a massaggiare la verga di Fosco, muovendo a fatica la mano nella stretta delle coperte, che si erano avvolte attorno. E Fosco fremeva, palpitava, sentendo il fuoco diffonderglisi per le vene. D’un tratto, buttò indietro la testa e quasi sfiorò le labbra di Romualdo, che gli baciava l’incavo del collo. Avrebbe voluto dirgli “Basta, forse non è corretto quello che stai facendo”, ma come si fa a fermarsi, quando l’orgasmo è già arrivato alla cappella e basta solo una virgola a farti esplodere? Così, Fosco non disse niente e lasciò che la natura e la lussuria facessero il loro corso: con un gemito strozzato, si arrese al piacere e lasciò che il seme pulsasse fuori da lui, incontrollabilmente.
Quando sentì il cazzo di Fosco vibrare nella stretta della sua mano e il liquido caldo, incredibilmente viscoso colargli fra le dita, Romualdo provò un empito di gioia incomprensibile e strinse ancora più forte il membro ormai frollo.
Fosco, bisogna dire, non era un ingenuo, sapeva bene che c’erano uomini che si davano piacere l’un l’altro, sfidando i rigori della Legge, ma mai avrebbe immaginato che Romualdo fosse uno di quelli, né che la strada verso il peccato fosse così piacevole, talmente piacevole che senza neanche rendersene conto sentì l’impulso di fare altrettanto e, insinuando una mano fra i loro corpi compressi, dapprima arrivò a sfiorare con la punta delle dita il cazzo turgido di Romualdo, poi, spingendosi ancora più a fondo riuscì con un brivido ad impugnarlo. Non si chiese che effetto gli facesse, lo strinse soltanto, meravigliandosi di trovarlo così caldo… Il gemito pur fievole di Romualdo gli fece capire d’aver fatto la cosa giusta; allora provò pure lui a fare su e giù, ma più per sentire cosa si prova, che non con l’intento di dargli piacere. La posizione, però, era troppo malcomoda; allora, con movimenti cauti e sinuosi, riuscì a ruotare su se stesso, portandosi faccia a faccia con Romualdo. E mentre questi gli passava di nuovo le braccia dietro la schiena, stringendolo a sé, lui tornò a impugnarne l’uccello, muovendo la mano su e giù e senza sottrarsi ai piccoli baci sulla guancia e sul collo, con cui l’altro gli mostrava il proprio gradimento.
Stavolta fu più facile e l’orgasmo giunse in fretta, considerando anche il livello di eccitazione che Romualdo aveva accumulato fino a quel momento.
Quando sentì il cazzo esplodergli nella mano e il seme denso impegolargli le dita, Fosco mollò subito la presa schifato e cercò di pulirsi come poteva, nonostante i movimento fossero molto impacciati.
Fosse l’imbarazzo o semplicemente il torpore post orgasmico, i due rimasero in silenzio per un pezzo, ad occhi chiusi, l’uno abbandonato nella stretta dell’altro.
“Tu sei…?” - mormorò d’un tratto Fosco, senza accorgersi di passare al confidenziale ‘tu’ – Hai giaciuto con altri uomini?”
“No, che idea!”, rispose Romualdo scandalizzato.
“Perché l’hai fatto, allora?”
“Non lo so… mi è venuto spontaneo e basta… E tu… sei?”
“Ma cosa dici? Sto andando a raggiungere la mia sposa, te lo sei dimenticato?”
“Però, anche tu…”
“Già… - ammise Fosco - è stato bravo il diavolo a spianarci la strada.”
“Ti dispiace?”
Fosco scosse la testa:
“No, e questo è il bello, - esclamò Fosco – mi è piaciuto quando tu l’hai fatto a me e quando io l’ho fatto a te…”
“Uguale per me…”
“Pensi che… che siamo sodomiti?”, esalò Fosco con un filo di voce, quasi temesse che qualcuno potesse sentirli.
“No!... cosa dici? – si indignò Romualdo – Non ho mai avuto pensieri impuri per un uomo…”
“Nemmeno io… Però è bello stare qui abbracciati noi due, non trovi?”, osservò Fosco.
“Ci stiamo solo scaldando…”
“E’ vero… e funziona, benedetti i popoli del nord…”
“Sì, - disse Romualdo – loro se ne intendono di freddo…”
“Mi chiedo se anche a loro… se anche a loro succede, quando sono avvolti assieme in una pelle d’orso.”
“E’ possibile, sono popoli barbari…
“Ti è venuto duro un’altra volta…”, sussurrò Fosco dopo un po’, sentendosi una certa pressione contro la pancia.
“Anche a te…”, sussurrò Romualdo di rimando.
“Pensi che sia imperdonabile, se lo facciamo un’altra volta?”
“Penso di sì, - disse Romualdo – perché adesso lo faremmo intenzionalmente…”
“Peccato, - sospirò Fosco – a me è piaciuto…”, e gli impugnò il cazzo, cominciando lentamente a segarlo.
“Anche a me è piaciuto…”, ammise Romualdo, facendo lo stesso.
Per un po’ si segarono, muovendosi a fatica nella stretta della coperta, avvolta loro attorno; le mani andavano su e giù lentamente, traendo ogni volta lampi di un piacere nuovo e ormai irrinunciabile.
“Forse non dovremmo…”, mormorò Fosco, strusciando la guancia su quella di Romualdo.
“Forse…”, mormorò Romualdo, strusciando le labbra su quelle di Fosco.
Ma continuarono, finché un dolce orgasmo li travolse e il loro seme, pur meno copioso del precedente, si mescolò fra i loro addomi compressi.
“Sto sudando.”, disse Romualdo, sgusciando fuori con le spalle e le braccia.
“Non scoprirmi…”, protestò Fosco.
“Oh, al diavolo! – sbottò Romualdo – voglio vederti.”, e svolse l’involto delle coperte, rivelando il corpo nudo dell’amico, che rabbrividì e si affrettò a coprirsi l’inguine con le mani a coppa.
“Cosa fai?”, sorrise Romualdo, allontanandole dolcemente e abbeverandosi con gli occhi alla sua magnifica nudità.
“Ho freddo, - disse Fosco – copriamoci, ti prego.”
“Sì, perdonami… ero solo ansioso di vederti.”, fece Romualdo e tornò ad avvolgere entrambi nel caldo abbraccio delle coperte.
Vorrei poter dire che cedettero al sonno, ma non è così: il demone della lussuria si era ormai impadronito di loro e continuarono a lungo ad esplorarsi, per quello che potevano e a prendersi piacere l’uno dell’altro come avevano imparato a fare.
Il mattino li colse ancora svegli, stremati, certo, ma non soddisfatti, anche perché entrambi erano ormai consapevoli che quanto era successo in quella lunga
notte, era solo un preludio: ben altro avevano ancora da scoprire e da godere.
Era una bella mattinata di sole. La tormenta del giorno precedente era passata, lasciando un cielo del tutto sgombro di nuvole. Il sole ormai alto si rifletteva sullo strato di neve, rendendo l’aria ancora più tersa e luminosa.
Per fortuna, gli abiti erano sufficientemente asciutti: l’umidore residuo sarebbe stato asciugato dal calore del corpo.
Fosco e Romualdo si alzarono e si vestirono in silenzio. Non che fossero vergognosi l’uno dell’altro: semplicemente si erano detti tutto nella notte e quello che restava non poteva essere espresso a parole.
Ma certi limiti, una volta superati, non è più possibile tornare indietro; certe porte non si possono richiudere, dopo averle varcate, facendo finta di niente.
“Che facciamo adesso?”, chiese sommessamente Romualdo, mentre sellavano i cavalli.
“Io devo raggiungere la mia sposa…”, rispose Fosco con voce sorda.
“Già… e io Nonantola…”
Si guardarono con aria disperata.
“Alla locanda ci hanno visti partire…”, disse Fosco.
“Già… ma potremmo esserci persi nella tormenta…”
Sembrava che stessero recitando un copione che nessuno aveva scritto.
“Potrebbero cercare i nostri corpi…”, disse Fosco.
“E i lupi che ci stanno a fare?”, rispose Romualdo.
“Questo è vero.”
“Ma tu hai una sposa che ti aspetta…”, disse Romualdo con tono rassegnato.
“Credo che sarei un pessimo marito…”
“Già… Anche il Signore non saprebbe che farsene di me… ”
“Cosa proponi?”
“Ci pensiamo strada facendo.”, concluse Romualdo.
Così, ripresero il viaggio, ma superato il valico, volsero i cavalli in tutt’altra destinazione da quella, a cui erano diretti in precedenza…
E di loro non si ebbe più notizia.

FINE
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