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Gay & Bisex

Il pomeriggio di un fauno - 2


di adad
08.01.2019    |    5.947    |    6 9.6
"“, si schermì Marcello, allontanandogli la mano..."
E all'improvviso si sentì una tale smania addosso, che avrebbe dato il culo al primo venuto! Affrettò, allora, il passo sul sentiero, verso i posti più riparati del boschetto, dove in genere si trovava la merce migliore.
Si trattava di un macchione di alberi un po' fuori città e abbastanza trascurato, circondato com'era da campi abbandonati e roveti spinosi. Le famiglie non venivano a farci il picnic perché troppo pericoloso per i bambini, le coppiette non ci venivano a limonare perché in macchina non era possibile arrivarci, e così era diventato ben presto un luogo di rimorchio per i froci, che invece non hanno paura di niente.
Naturalmente, la voce si era subito sparsa negli ambienti e tra le forze dell'ordine, che però si limitavano ad un controllo discreto, visto che finora tutto era filato tranquillo.
Marcello lasciò il sentiero principale e prese una delle tante tracce che si inoltravano nell'intrigo del sottobosco, in cui lo spazio era appena sufficiente per passare senza graffiarsi. Qua e là si aprivano degli spazi più o meno ampi, ed era lì che si compivano i rituali e i sacrifici agli Dèi dell'amore.
Ad un tratto, il giovane sentì alla sua destra dei guaiti sommessi: gettò allora l'occhio oltre il bordo di una siepe e vide un omone irsuto e debordante, che stava inculando a pecorina un giovanetto glabro e delicato, che ogni tanto girava la testa con aria estatica a cercare un suo bacio. Qualche metro più in là, stesi sul fianco a sessantanove sopra un vecchio plaid, altri due orsi ancora più massicci e pelosi, si slinguettavano amorevolmente l'orifizio anale...
Marcello sorrise: conosceva quel trio di orsi, erano persone simpatiche. Ci avevano provato anche con lui qualche volta, ma non erano il suo genere. Riprese così ad andare e visto che il sentiero sembrava farsi più ampio, Marcello si spogliò, tenendosi solo le scarpe e le mutande, e riponendo i vestiti nello zainetto, che si portava apposta quando veniva in posti del genere: amava infatti aggirarsi nudo in mezzo alla natura, godendosi il respiro dell'aria sulla pelle, nonché gli sguardi libidinosi degli altri frequentatori.
Era per questo che gli amici lo avevano soprannominato il Fauno.
I due pompini fatti lo avevano surriscaldato; l'aspettativa dei prossimi incontri gli pompava adesso adrenalina nel sangue a ritmi tali, che Marcello si sentiva il cazzo sbrodolargli nelle mutande. Sorrise, pensando allo spettacolo che doveva dare con l'uccello teso e la grande macchia di bagnato sul candore degli slip. Beato il primo che me lo succhierà, ghignò fra sé quasi con un senso di invidia.
All'improvviso, una mano sbucata da chissà dove gli carezzò il pacco. Perso nei suoi pensieri, Marcello fece un salto indietro.
“Ma che cazzo...”, cominciò e poi tacque, riconoscendo il volto di chi gli si era parato davanti.
“Dove porti questa meraviglia?”, gli cantilenò frocescamente il tipo, tornando a carezzarlo con un sorriso lascivo.
“Ciao, Rudy, - fece l'altro – mi hai quasi spaventato.”
“A cosa stavi pensando, bel fauno?”, continuò Rudy, strizzandogli la protuberanza.
“Com'è la situazione oggi?”, gli chiese invece Marcello.
“Normale... - rispose Rudy distrattamente – Gesù, se sei eccitato! Ti do un succhiotto, vuoi?”
“Un'altra volta, ok? Oggi ho voglia di cazzo pure io!”
“Neanche un assaggino?”, insistette Rudy, cercando di tirarglielo fuori.
“Dai... “, si schermì Marcello, allontanandogli la mano.
“Beh, non te lo meriteresti, comunque vai da quella parte, - gli disse allora l'altro, senza prendersela più di tanto, indicandogli un sentiero più avanti – ho visto un paio di maschi niente male che si infrattavano... Qualcosa mi dice che cercano un terzo.”
“Tosti?”, chiese Marcello, sentendosi fremere d'eccitazione.
“Vedrai da te.”, ridacchiò Rudy.
“Ok, ci vediamo, allora.”, fece Marcello e si avviò.
“Aspetta! - lo fermò però l'altro – almeno l’odore...”, e si chinò inspirando profondamente l'aroma pungente che si sprigionava dagli slip fradici dell'amico.
“Divino...”, sospirò poi, rialzandosi.
Marcello scoppiò a ridere e gli arruffò i capelli scherzosamente, quindi si allontanò nella direzione che gli era stata indicata. Girovagò un poco fra gli alberi e finalmente udì degli inequivocabili gemiti e risucchi. Si avvicinò a sbirciare fra il rado fogliame dei cespugli e vide, nello spazio libero dall'altra parte, un uomo robusto che gli dava le spalle, a torso nudo e piazzato a gambe larghe, in mezzo alle quali si intravvedeva un altro, inginocchiato davanti e col cazzo ancora pendulo fuori dai pantaloni, evidentemente intento a succhiarglielo.
Marcello ammirò con trasporto le spalle larghe dell'uomo, la schiena possente, le natiche fasciate dai jeans e si sentì rimescolare tutto: era questo il maschio di cui aveva bisogno! Col cuore in tumulto, girò silenziosamente in semicerchio attorno alla barriera cespugliosa, cercando un punto d' osservazione migliore, fino ad arrivargli di lato e quello che scorse lo fece quasi sborrare all'istante: quello in ginocchio, molto più giovane dell’altro, gli stava slinguando con selvaggia bramosia una sleppa di cazzo protesa in fuori dai jeans sbottonati.
In quel momento, lo stallone si infilò una mano nella patta, andò sotto e con un grugnito si cavò fuori anche la sacca dei coglioni. Immediatamente, il frocetto ci si avventò sopra, leccando, sbavando e cercando di prendere in bocca gli enormi ovuli pelosi.
Fu troppo: con un gesto deciso, scostò le ramaglie si fece avanti. L'uomo si voltò al rumore e Marcello fu colpito dalla luce di animalesca lussuria che gli balenò nello sguardo. Quello stallone era sesso allo stato puro! L'uomo lo fissò e un ghigno lascivo gli si disegnò sulle labbra piene, mentre gli faceva cenno con la testa di accomodarsi. Marcello gli andò vicino e subito fu avvolto dall'afrore pungente di sudore e lussuria che quello traspirava. Il suo testosterone era alle stelle e gli trasudava dai pori della pelle: e lui ne fu inebriato e stordito. Istintivamente, dilatando le narici, gli si avventò con empito selvaggio su uno dei grossi capezzoli e lo strinse fra i denti, mordendolo e leccandolo focosamente.
L'uomo sguaiolò e lo afferrò per la collottola, premendosi con forza la sua faccia contro il petto muscoloso. E Marcello si accanì con foga maggiore, coi denti e con le labbra, sul capezzolo enfiato, finché l'altro non lo trascinò di peso sull'altro.
Perso com'era a lavorargli i coglioni, il frocetto in ginocchio, sembrò non accorgersi di niente, ma poi la sua attenzione fu richiamata dalla presenza al suo fianco e più ancora dal sentore acre della presborra che emanava dagli slip bagnati di Marcello. Senza neanche alzare la testa a vedere chi fosse, si avventò a leccare e succhiare la grande macchia olezzante, poi con uno strattone gli tirò giù le mutande, gli afferrò il cazzo ballonzante e prese famelicamente a slinguazzargli il glande sbavato, prima di ficcarselo in bocca con un sospiro di soddisfazione.
Marcello, in effetti, aveva un cazzo a cui era difficile resistere, glielo dicevano tutti: un glande affusolato d'un incredibile rosa tenero, a cui faceva seguito un gambo levigato, che si ingrossava leggermente verso il centro, per rastremarsi di nuovo alla base pelosa. Un cazzo da inculata, dicevano, ma anche da pompino, specialmente quando era maturo e sugoso come adesso.
Il frocetto era estasiato dagli umori che andava gustando e pompava sguaiolando, mentre con le mani gli pastrugnava selvaggiamente le natiche. Quando gli fece scivolare le dita nello spacco, Marcello fletté inconsciamente le gambe per aprirsi meglio, e l'altro fu rapido a infilargli l'indice e il medio nel buco già viscido di sudore.
Il giovane non resse a quella sollecitazione e si irrigidì con un grido strozzato. Immediatamente, lo stallone gli afferrò la testa e se la portò alle labbra, cacciandogli in bocca l'intera lingua, e in quel momento Marcello sborrò, riempiendo la gola del frocetto anelante, che ingoiò volentieri tutto quello che gli veniva offerto.
Appena lui ebbe finito di scuotersi e dimenarsi:
“Eri carico, stronzetto! - gli disse l'uomo, fissandolo negli occhi – Ma non te ne andare, che adesso viene il meglio.”
Il frocetto a quel punto si rialzò, leccandosi le labbra.
“Allora, caporale, com'era?”, gli chiese l'amico.
“Ottima e abbondante, sergente!”, rispose quello con un sorriso estatico.
“Bene, fammela sentire.”, disse allora lo stallone e lo attirò a sé per un bacio profondo.
Rimasto libero, Marcello si inginocchiò, prese in mano l'enorme nerchio dell'uomo e, fissandolo come ipnotizzato, cominciò a slinguargli a sua volta il glande sbavato, infilando la lingua fin nelle pieghe del prepuzio per gustarlo meglio. Quello la lasciò fare per un po', poi glielo tolse.
“Non farmi venire... - gli disse – Ho altri progetti per voi due. Succhia lui, invece, forza, fallo godere.”, e gli avvicinò alle labbra l'uccello scappellato dell'amico, che nel frattempo si era spogliato pure lui.
Marcello non se lo fece ripetere due volte e iniziò il suo lavoro, gustando il sugo speziato che ne scaturiva.
“Vedo che ti piace succhiare... Bravo, così... Fallo godere il mio caporale.”, gli disse allora l’uomo, carezzandogli la testa.
Marcello non aveva bisogno di alcun incoraggiamento per impegnarsi al meglio, tuttavia quelle parole finirono con l'infervorarlo talmente, che cominciò a grugnire e sbavare come un indemoniato sul cazzo del ragazzo, che intanto gemeva e si dimenava fra le braccia del suo maschio.
“Che spettacolo... - mormorava questi – che pompinaro...”
Poi il caporale emise uno strillo e si contrasse, scaricando la sua morchia nella bocca golosa di Marcello, che la ingoiò tutta e altra ancora ne avrebbe voluta.
“Bene!”, esclamò il sergente con tono soddisfatto e lo prese per un braccio, aiutandolo a rialzarsi.
Poi li baciò entrambi, cercando nelle loro bocche il sapore dell'uno e dell'altro. Il suo cazzo era tuttora proteso e vibrante, intanto che i due glielo carezzavano con vogliosa aspettativa.
“Lo volete, vero?”, esclamò l'uomo con un laido sogghigno.
“Sì, per favore...”, sospirò Marcello, mentre il caporale rispondeva con un gemito roco.
“Giù!”, ordinò allora quello.
Li fece posizionare fianco a fianco a quattro zampe, poi gli si inginocchiò dietro e prese a lisciargli il culo, uno con una mano e uno con l'altra.
“Ma che bei sederini ci sono qui! - mormorò – Uno liscio, - e carezzò quello del caporale – e uno pelosetto... - e strizzò quello di Marcello – Ma tutti e due meravigliosi. Quale sarà il migliore? Fra poco lo sapremo... In genere, il migliore è quello più stretto... Vediamo un po'...”
Fece scivolare la sinistra nello spacco di Marcello e, trovato il punto, gli piantò di colpo l'indice fino in fondo nel buco contratto.
“Ah!”, si dimenò il giovane.
“Sta buono... - fece l'uomo – Stretto, è stretto... Si direbbe quasi vergine, ma non credo... Vero che non sei vergine?”
“No...”, rispose Marcello con voce strozzata.
“Infatti, sei troppo cagna... E adesso vediamo quest'altro.”
E con l'indice destro eseguì la medesima operazione sul culo levigato del frocetto, che reagì con un gemito soffocato.
“Beh, questo è senz'altro più largo... Del resto, - ridacchiò – ci ho pensato io ad aprirgliela questa bella fighetta!”
L'uomo continuò a punzonare il buco del culo dei due giovani, che guaivano in attesa del meglio. Poi estrasse le dita e si spostò dietro Marcello; gli aprì le natiche con le mani e dopo un'occhiata di apprezzamento al foro leggermente aperto:
“E adesso sentiamo il sapore.”, disse e cominciò a slinguarglielo, mugolando.

(continua)
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