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Cenerentolo - 1


di adad
14.06.2019    |    15.858    |    8 8.9
"E quale mente umana è in grado di immaginare le implicazioni di essere il nuovo favorito del Principe? Il cervello di Germano e Tarvisio cominciò a girare come..."

“Cenerentolo!”, urlò il barone di Culignac, gettando le gambe fuori dal suo letto di piume e infilando i piedi nelle pianelle foderate di agnello.
Aveva urgente bisogno del pitale e quel maledetto ragazzo non rispondeva mai, quando c’era bisogno di lui. Eppure, glielo aveva ripetuto fino allo sfinimento di farsi trovare pronto col recipiente, quando lui si fosse svegliato: a quanto pare non erano bastate le frustate date finora a quello sfaticato, avrebbe dovuto raddoppiare la dose.
Per giunta, anche il fuoco era spento nel camino e nella camera si gelava.
“Cenerentolo!”, chiamò ancora; poi furibondo si alzò, si infilò in fretta una vestaglia di lana sul camicione da notte e, uscito in corridoio, corse rabbrividendo al bugigattolo, che sporgeva su un cortiletto cieco del palazzo, dove con un sospiro di soddisfazione si liberò dall’incombenza.
“Dove si sarà cacciato quel perdigiorno!”, ringhiò, dando un’occhiata al grande pendolo che batteva le ore all’altro capo del corridoio.
“Le nove!... Stavolta gliela faccio pagare a quel fannullone!”
E gonfio di malanimo verso il ragazzo, il barone si avviò alla sua ricerca.
Come sappiamo bene tutti, dopo essere rimasto vedovo con due figli già grandicelli, il barone aveva sposato una serva di palazzo: da queste nozze era nato Giannino, futuro Cenerentolo. Anche questa seconda moglie, però, era morta, lasciando un bambino adolescente, che il barone non amava, ma aveva tenuto in casa per assolvere alle faccende domestiche, non potendosi più permettere la spesa di un’altra serva.
E così, sul povero ragazzo non solo erano ricadute tutte le incombenze della casa, ma lui stesso era diventato oggetto dei maltrattamenti, delle angherie e delle umiliazioni dei fratellastri, Germano e Tarvisio, i quali fin da quando era piccolo si erano divertiti a tormentarlo, gettando, per esempio, manciate di lenticchie nella cenere del focolare e costringendolo a recuperarle una per una, dal che lo avevano soprannominato Cenerentolo.
Crescendo, le angherie si erano moltiplicate e fatte ancora più pesanti, arrivando perfino ad abusare di lui, quando era appena sulla soglia dei sedici anni: il tutto sotto gli occhi del padre degenere, che anzi si inorgogliva alle prodezze dei suoi figli maggiori.
Sgravatosi, dunque, la vescica nel gelido bugigattolo in fondo al corridoio, sacramentando e rimuginando i più truci propositi, il barone si mise alla ricerca dello sfortunato Cenerentolo.
“Cenerentolo”, lo chiamava, stringendosi nella vestaglia e battendo i denti per il gran freddo.
“Cenerentolo! È inutile che ti nascondi: appena di becco, te la faccio pagare io, e te la faccio pagare salata, maledetto scansafatiche!”
Sempre chiamando e minacciando, salì il decrepito scalone e raggiunse il piano
superiore, dove erano le stanze dei figli; e fu allora che sentì dei rumori soffocati provenire dalla camera di Tarvisio. Intuì quello che stava succedendo e infatti, spalancata la porta, si trovò davanti uno spettacolo a dir poco raccapricciante: il povero Cenerentolo, nudo e piegato a metà, era impegnato a succhiare alacremente l’uccello di Germano, sdraiato sul letto, mentre Tarvisio in piedi alle sue spalle gli trapanava altrettanto alacremente il buco del culo.
“Non ti avevo detto di farti trovare pronto col pitale quando mi sarei svegliato?”, tuonò il barone.
“Mmmffmmm”, mugugnò il ragazzo, con la bocca piena del cazzo di Germano.
“Ah, ah, ah – rise Tarvisio, senza interrompere la cavalcata – questa puttanella ha una tale fame di cazzo, che non sappiamo più come saziarlo! Ce l’abbiamo sempre attorno, che c’implora di darglielo… e più gliene diamo, più ne vuole!”
“Oh… sì, dai, stronzetto, succhia… succhiamelo bene… - cominciò ad ansimare Germano, torcendosi sul letto – succhia, ché sto per… oh!... ti vengo in bocca… Oh!... te la riempio di tanta buona sbroda… Sì, bevila, bevila tutta…”, e con queste parole, gli prese la testa fra le mani e, affondandogli tutto l’uccello in gola, gliela tenne ferma appiccicata al suo cazzo.
Nella stanza faceva un gran caldo, per via del fuoco acceso nell’enorme camino, e un po’ questo, un po’ lo spettacolo che si trovava di fronte, il barone cominciò a sudare e a rimescolarglisi il sangue, con tutte le conseguenze che possiamo , immaginare, visto che era un fior d’uomo non ancora arrivato alla soglia dei cinquanta; così si tolse la pesante vestaglia si sedette su un seggiolone e, tiratosi su la camicia da notte, prese a smanettarsi il pesante randello, fra gli urli di apprezzamento dei figli. Del resto, non era la prima volta che succedeva una sconcezza del genere.
Non appena, poi, Germano ebbe goduto:
“Vieni qui, puttanella, - disse - vieni a far godere anche il tuo genitore.”
Tarvisio, allora, senza uscirgli dal culo, guidò Cenerentolo a posizionarsi davanti al barone, riprendendo subito a martellargli nel retto. Quanto a Germano, ripreso fiato, si accostò col cazzo ancora sgocciolante al padre, che gli avvolse un braccio attorno alla vita e passando lo sguardo da lui al fratello:
“Ah, i miei giovanottoni!”, esclamò con orgoglio.
E aveva ben ragione di esserne orgoglioso, essendo, quelli, due baldi giovanotti poco più che ventenni, il volto plasmato di virile bellezza, il fisico temprato dallo sport, ma l’animo purtroppo corrotto dalle più vili turpitudini.

***

Qualche ora dopo erano tutti attorno al tavolo della grande cucina a godersi la colazione che Cenerentolo aveva appena preparato; tutti, tranne quest’ultimo,
che, seduto ad un angolo del camino, sorbiva il suo caffelatte da una tazzaccia sbreccata e rifletteva per l’ennesima volta sulla sua sorte infelice, da cui non vedeva via d’uscita. Certo, avrebbe potuto fuggire, ma aveva solo diciotto anni, era ancora sotto la tutela del barone, che lo avrebbe fatto cercare e… Rabbrividì all’idea delle punizioni che gli avrebbero inflitto quei tre carnefici. E poi, fuggire per andare dove, senza denaro, senza lavoro, senza niente? Qui almeno aveva un letto, aveva un piatto di minestra, aveva un angolo di focolare.
Fu in quel momento che sentirono bussare con forza al portone. Si guardarono in faccia. Chi poteva essere? Cenerentolo fece per alzarsi.
“Tu sta lì! – gli ordinò il barone con disprezzo – ché se ti vedono in quelle condizioni, ci fai vergognare tutti.”, e impettito, sistemandosi il collo della camicia sotto il farsetto, si avviò ad aprire.
Fu sentito parlottare con qualcuno all’ingresso, poi l’uomo si ripresentò correndo, saltando, battendo le mani e agitando una pergamena dorata.
“Ragazzi, ragazzi, - boccheggiò tutto eccitato – il Principe… un ballo a corte…”
“Calmati, padre, - disse Germano – cos’è successo? Perché sei così agitato?”
“Non sono agitato, figlio mio… figlioli miei… - disse il barone, sedendosi e continuando ad agitare le mani – Sentite questa: il Principe, stasera, dà un ballo a Corte e siamo tutti invitati! Ma ci pensate? Siamo invitati!”
Altroché se ci pensavano: tutti conoscevano i gusti bizzarri del Principe e sapevano che, nonostante fosse sposato con la Principessa Belcolore per ovvi motivi dinastici, in realtà i suoi gusti erano diretti verso tutt’altra mensa… ci siamo capiti.
Ultimamente l’amante ufficiale, un baldo tenente degli Ussari, era stato liquidato, per cui era ovvio a tutti che il ballo era stato indetto per permettere al Principe di scegliersi un nuovo favorito. E quale mente umana è in grado di immaginare le implicazioni di essere il nuovo favorito del Principe? Il cervello di Germano e Tarvisio cominciò a girare come una calcolatrice impazzita! Abiti eleganti, feste a Corte, crociere per i sette mari sul panfilo reale… regali principeschi, battute di caccia… Ma non meno freneticamente girava il cervello del barone: raccomandazioni a Corte, regalie, favori e la soddisfazione di sentirsi bisbigliare alle spalle: “E’ il Barone di Culignac, quello, il padre del Favorito…”, e già si vedeva il palazzo rimesso a nuovo, le cantine piene dei vini migliori, la tavola imbandita delle più prelibate vivande…
“Ragazzi, - disse ai suoi due figli – state pensando a quello che penso io?”
I due non risposero, ma gli si voltarono con gli occhi colmi di radiose certezze.
“Uno di voi due, - sibilò il barone – uno di voi due dovrà essere il nuovo favorito e dovrà pensare alla famiglia. Giuratelo!”
Nel turbinio delle loro gaudiose aspettative Germano e Tarvisio giurarono che chiunque fosse stato il prescelto, avrebbe pensato al benessere della famiglia.
Cenerentolo era rimasto in disparte, ascoltando quei discorsi tormentato dall’angoscia. Alla fine si fece coraggio:
“E io, padre?”, disse con voce tremante.
“Tu, cosa?”, tuonò il barone.
“Potrei venire pure io al ballo del Principe?”
Un boato di risate accolse la timida domanda.
“Tu?”, fece il barone, asciugandosi le lacrime.
“Tu?”, fecero Germano e Tarvisio uno con la gola strozzata dal riso e l’altro che a
momenti se la faceva sotto.
“Come puoi solo immaginare che ci porteremmo dietro uno sgorbio come te…”, disse gelido il barone, quando l’ilarità si fu placata.
“Un rifiuto come te…”, aggiunse Tarvisio, con una smorfia di disprezzo.
“Corri a prepararci il bagno, piuttosto!”, sbottò Germano.
“Corri: metti a prendere aria i vestiti! Corri a spazzolare le parrucche! Corri a stirarci le camicie! Corri a lucidarci le scarpe! Corri… Corri… Corri… Corri…”
Frastornato da tutti quegli ordini, il povero Cenerentolo corse di sopra, mentre lacrime di umiliazione gli solcavano le guance, lasciando una scia bagnata nel sudiciume che le ricopriva.

(continua)
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