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La milleduesima notte


di adad
07.09.2020    |    6.295    |    10 7.2
"“Neanche gli antichi dei, - disse commosso – avrebbero saputo plasmare una creatura così bella e così affascinante..."
La milleduesima notte il Re Shahryar si stufò. Da troppo andava avanti quella manfrina: ben mille e una notte aveva passato ad ascoltare le chiacchiere di quella furbacchiona di Shahrazad. Bella ragazza, per carità, ottima narratrice,
storie affascinanti da far sognare perfino i cammelli, ma quella notte il Re Shahryar aveva bisogno d’altro.
“Avverti Shahrazad che stanotte ho voglia di rimanere da solo.”, disse all’eunuco guardiano dell’harem reale, che corse difilato ad eseguire la volontà del Re.
Poi fece chiamare il giovane Karim, il bellissimo schiavo circasso, che gli era stato mandato in dono tempo prima dal sultano d’Egitto, come pegno di pace e di amicizia.
Karim fece in suo ingresso nella sala e si prosternò sul folto tappeto, toccando la terra con la fronte, come era prescritto davanti al Sovrano, suo Signore.
“Alzati, Karim.”, disse il Re, accompagnando le parole con un gesto grazioso della mano.
Era un uomo maturo, Shahryar, ma ancora solido, nei suoi cinquant’anni, le chiome appena venate di grigio, libere adesso dal turbante, incorniciavano un volto dai lineamenti marcati, un volto reso ancora più interessante dalla luce vivace dei suoi occhi. Indossava una vestaglia di seta cangiante ed era sdraiato sul letto, appoggiato con la schiena a morbidi cuscini.
Shahryar fissò il giovane mentre si rialzava e rimase ad osservarne ammaliato il bel volto ancora imberbe, avvolto da una nuvola di capelli corvini; gli occhi luminosi e intelligenti, le membra flessuose nell’armonia dei suoi diciotto anni. “Avvicinati”, gli disse.
Karim si avvicinò esitante: era la prima volta che si trovava al cospetto del Sublime e non capiva il motivo di quella convocazione notturna. Sapeva che da tempo il Re passava le notti con la bella Shahrazad, ma di lei non c’era traccia nella stanza.; e da quanto si diceva negli alloggi degli schiavi, il Re non amava la presenza maschile nel suo letto. Perché era lì, allora, e che significava quell’aria tenera e compiacente che gli leggeva in volto?
“Prendi il liuto, Karim, e cantami una storia.”, gli disse il Sovrano, ma non era un comando, era piuttosto un invito.
Karim andò a prendere il liuto, poggiato su una tavola, poi si sedette ai piedi del letto e dopo aver accordato lo strumento con le sue agili dita, iniziò con armoniosissimi accenti:

“Nella dolce terra di Haran,
c’era un Principe, valente guerriero.
Shahzam era il suo nome venerato e temuto.
Un giorno un fanciullo
fu portato al suo cospetto,
figlio del vinto re nemico,
e Shahzam a vederlo perse il cuore.
Giorno e notte la passione lo tormentava
e il desiderio di cogliere quel fiore,
né più godeva un momento di riposo.
“Fanciullo, - gli diceva – ardo d’amore per te.
Dimmi cosa desideri
perché possa aspirare ad un tuo bacio.”
E il crudele rispose: “Mio Signore,
Portami il riflesso della luna
il primo giorno della primavera,
racchiuso in un’ampolla di cristallo.”
E pur segnato con la morte in cuore,
il Principe Shahzam…”

“No, mio diletto, - lo interruppe il Re – già prevedo in questa tua canzone lacrime e sangue. Ho il cuore oppresso stasera, cantami una storia allegra.”
Karim sorrise, rimase un momento assorto a riflettere, poi mosse le dita sulle corde e cominciò:

“Il derviscio di Mossul…”

Era una canzone in voga nelle caserme e nei postriboli, e il Re la conosceva bene, per cui sorrise, quando Karim si interruppe dopo le prime note e lo guardò per averne l’approvazione. Al cenno del Re, riprese:

“Il derviscio di Mossul
danzava nelle piazze dei villaggi;
e quanti bei fanciulli vedeva,
tanti ne afferrava nelle sue giravolte
e copriva di baci.
Un dì un fanciullo di bellezza rara
vide e gli corse incontro,
ma quello si sottrasse
alla mano che ghermirlo voleva e
correndo via, al derviscio faceva marameo.
Infuriato il derviscio lo rincorse
e ad ogni passo la sua voglia si accendeva.
E più il fanciullo inseguito correva,
più nel derviscio la voglia cresceva,
così che sul più bello il corno dell’ariete
gli si inciampò tra i piedi…”

A quel punto, il Re scoppiò a ridere, immaginando il povero derviscio che correva inciampando nel suo stesso uccello.

“… ed in un fosso lo mandò a cadere,
strapieno di lordure. Allor piangendo
e bestemmiando di stizza e di dolore,
sempre più il derviscio nella melma,
si rotolava ed il pugno mostrava
al fanciullo impertinente che da lontan lo sfotteva.
Mentre invano cercava
di rialzarsi in piedi,
e scivolava ogni volta
nel fango putolento,
ecco il fanciullo gli si fece accosto
e gli mostrò il culetto succulento:
“Era questo, derviscio, che volevi
- lo derideva –
ho qualcosa per te, eccolo, senti.”,
e puntatogli contro il bell’oggetto,
lasciò partire un rumore sì violento,
da richiamare tutto il vicinato.
E quando videro il derviscio
lordo di fango e di letame,
ognun scese per strada,
coprendolo di insulti e di risate.”

Quando la canzone terminò, il Re rideva senza ritegno: quante volte l’aveva ascoltata dai suoi soldati durante le marce o la sera attorno ai fuochi del bivacco, quando le distanze fra il Sovrano e i sudditi sembravano assottigliarsi.
“Vieni qui.”, disse allora a Karim, battendo con la mano accanto a sé sul letto.
E il giovane, deposto a terra il liuto, andò a sederglisi accanto.
“Hai sollevato il mio cuore oppresso, - gli disse Shahryar, prendendogli la mano – cosa desideri come ricompensa? Dimmelo e non saprò negarti niente.
“No, mio Signore, - rispose Karim – il sorriso sulle vostre labbra è una gioia che mi compensa più di quanto meriti.”
“Vieni…”, mormorò allora il Re, invitandolo a sdraiarsi accanto a lui.
La bellezza di Karim aveva già smosso qualcosa in lui, la sua vicinanza adesso, il suo tepore e il profumo che gli giungeva dai capelli e dalle vesti, funsero come potenti afrodisiaci, qualora ce ne fosse ancora bisogno.
“Il riflesso della luna è già nei tuoi occhi…” mormorò teneramente Shahryar, fissandolo e sfiorandogli le gote col dorso delle dita.
Karim sentì un brivido corrergli per la schiena, un fremito lo prese, un calore nel profondo, che prese a svegliare la sua carne pulsante.
Ma no, non poteva essere che gli stesse chiedendo questo: il Sublime non gradiva la presenza maschile nel suo letto, lo sapevano tutti. E allora perché quelle carezze, perché quella luce accattivante nei suoi occhi?
“Cosa ti turba, mio diletto?”, gli chiese Shahryar, accorgendosi della sua confusione.
“Niente, mio Signore, - rispose Karim – starvi vicino mi dà soggezione… mi fa sentire ancora di più la mia nullità…”
Shahryar sorrise:
“La tua nullità la cancelliamo subito con un bacio.”, disse e, attiratolo a sé, gli sfiorò le labbra con le sue ardenti.
Karim chiuse gli occhi e lasciò che le labbra del Re indugiassero sulle sue. Avrebbe voluto dischiuderle, ma non osava: fu l’uomo a rompere gli indugi, spingendogli la sua lingua nella bocca, mentre con fervore gli passava le mani dietro la nuca. Era la prima volta che Karim accoglieva un uomo dentro di sé ed ebbe un attimo di repulsione, al contatto di quel corpo viscido e caldo; ma fu solo un attimo: immediatamente dopo la piacevolezza del bacio lo conquistò, la sua lingua prese a giocare con quella del Re, l’avvinse, la rincorse. Adesso, anche lui passò le mani dietro la nuca del Re, infilandogli le dita fra i capelli, come l’altro stava facendo con lui.
Fu un lungo bacio e quando si staccarono, la passione si era ormai impadronita di entrambi.
“La tua bocca è dolce come un favo di miele… - sussurrò il Sovrano, tornando a baciarlo – credo che potrei non stancarmene mai…”
E intanto le sue mani si infilavano sotto la casacca di Karim, dapprima carezzandone la pelle nuda, poi aiutandolo a sfilarsela. Quando fu a dorso nudo, il Re lo fece adagiare e prese ad esplorarne il petto con le labbra e con la lingua, baciando e leccando ogni pollice di quella pelle levigata come l’alabastro. Mordicchiava i capezzoli, seguiva con la lingua la curva morbida dei pettorali, e la sua foga cresceva ogni momento.
Infine, gli sciolse i lacci delle braghe e gliele sfilò via, lasciandolo solo con un candido perizoma. E allora, sospirando davanti a tanta voluttuosa bellezza, il Re gli carezzò le cosce tornite e la borsa gonfia del perizoma, prima di chinarsi a baciarla.
“Neanche gli antichi dei, - disse commosso – avrebbero saputo plasmare una creatura così bella e così affascinante.”, e sciolse anche la fascia del perizoma, lasciandolo nudo.
Non più costretto nella sua prigione, il sesso di Karim si sollevò nel suo pieno turgore: dal glande circonciso prese a colare una goccia di miele traslucido.
Shahryar rimase senza parole. Sfiorò ammaliato la serica borsa dello scroto, passò le dita nel rado boschetto del pube, infine prese in mano il baccello e si chinò a slurparlo come un sorbetto. Le sue labbra si avvolsero sotto la corona del glande rosato e la lingua ci mulinò attorno, sorbendone il miele diffuso.
Il piacere che investì Karim a quelle manovre fu come una sferzata: istintivamente, allungò la mano, infilandola sotto la vestaglia, di cui il Re era ancora vestito, e la mano si diresse a colpo sicuro, dove lo attendeva il turgore dell’organo reale. Stavolta non ebbe esitazione: afferrò la verga robusta del Re e la strinse pulsante nella mano. L’effetto fu entusiasmante per entrambi: per il ragazzo, che per la prima volta impugnava la virilità di un uomo, e per il Re, che avvertiva in quel contatto tutta l’emozione delle prime scoperte. Perché tali erano per Karim, vergine sotto ogni aspetto.
Shahryar si raddrizzò e si tolse la vestaglia, comparendogli davanti in tutta la sua matura compattezza. Ma non ebbe tempo di ammirarlo, perché subito il Re lo girò sulla pancia e prese a carezzargli e impastargli le natiche sode, di cui rade volte aveva visto l’eguale. Le strizzava, le baciava, ogni tanto le apriva, sbirciando nel solco l’orifizio agognato.
“E’ integro il tuo fiore?”, gli chiese ad un tratto.
Karim capì cosa intendeva.
“Sì, - rispose con voce roca – il Sultano mi ha conservato integro per te.”
Allora, avvenne l’impensabile: con un gemito di assoluta voluttà, Shahryar gli allargò con foga le natiche e poggiò le labbra sul buchetto anelante. Gli rispose il gemito stupito del ragazzo, quando sentì la lingua pastosa vellicargli le grinze e scivolare spudorata nell’apertura.
Il piacere che stava provando e insieme l’euforia di essere stato scelto dal Sovrano, di essere stato preferito ad altri, alla stessa Shahrazad, lo trasportarono in una sorta di straniamento, grazie al quale non si accorse neanche quando Shahryar gli salì sopra e forzò col suo corno d’ariete la verginale resistenza del pertugio: avvertì solo una vampata di calore, quando, forzato il blocco, il membro del Re scivolò indisturbato nel condotto.
Giunto alla fine del percorso, Shahryar si fermò e premette con forza, macinandogli sulle natiche i peli del pube, che aveva folti e crespi. Questo sembrò riportare Karim in una dimensione reale, sembrò fargli capire cosa stava succedendo, che il Re era dentro di lui, allora gemette e rinculò, premendo con forza, quasi volesse sentire maggiormente il corpo che lo stava possedendo. La cosa piacque al Re che, interpretandolo come un assenso, un invito a proseguire, cominciò lentamente a pompare, mentre lo stringeva con forza fra le braccia e gli sussurrava all’orecchio piacevolezze che non ci è dato sapere.
Più il piacere cresceva, più Shahryar incrementava le sue spinte e il suo respiro si faceva affannoso, le sue carezze strazianti. Karim capì che si stava avvicinando al momento supremo, allora prese a muoversi pure lui come poteva, venendogli incontro e strizzando con forza i muscoli dell’anello. Grugnì di soddisfazione il Sovrano a quelle mosse e dando gli ultimi potenti affondi, si abbatté infine con forza sul culo di Karim, lasciando che il suo seme gli si rovesciasse tutto nel cavo segreto.
Il giovane avvertì distintamente le pulsazioni del membro in orgasmo e una nuova piacevolezza, uno strano languore gli si diffuse in tutto il bassoventre: il suo stesso virgulto ebbe un sobbalzo e inaspettatamente eiaculò la sua densa crema.
Il Sovrano se ne accorse e si sentì invadere da un empito di emozione:
“Oh, mio diletto!... - sospirò, stringendolo ancora più forte e più forte premendogli dentro la verga ancora turgida – il tuo giardino segreto è colmo di sublimi piaceri, di cui non è possibile appagarsi.”
E infatti riprese subito a goderne e altre tre volte quella notte Re Shahryar colse i frutti gustosi del giardino di Karim, ogni volta donandogli in cambio momenti di ineguagliabile estasi. Grande amatore era il Re Shahryar e grande vigoria manifestava nelle battaglie d’amore, lo dicevano la fanciulle che avevano diviso il suo letto e quella notte anche Karim poté verificarlo.
Il cielo cominciava a mutarsi verso oriente in limpido azzurro: fra poco sarebbe sorta l’aurora. Re Shahryar si riscosse dal torpore in cui era caduto dopo le estenuanti fatiche della notte, fra poco sarebbero giunti i servi per la vestizione.
Scosse dolcemente Karim, che dormiva al suo fianco:
“Svegliati, mio diletto, è ora di andare.”, gli disse.
Il giovane aprì gli occhi e sorrise.
“Sì, mio Signore.”, rispose e si alzò.
Si rivestì in fretta.
“Impara una nuova canzone per stasera, - gli ingiunse Shahryar – che non sia triste, ma nemmeno sboccata come il derviscio di Mossul: non si conviene alla nostra Sublimità”
“Sì, mio Signore.”, ripeté Karim con il cuore gonfio di gioia e si prosternò con la fronte a terra; poi prese il liuto e uscì dalla stanza.
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