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Gay & Bisex

Un angolo di Paradiso


di adad
13.04.2023    |    15.928    |    22 9.2
"Intuii che voleva essere pagato, ma ero troppo smanioso per mettermi a cercare il portafoglio, adesso..."
Finalmente era arrivata l’estate e come ero solito fare, ai primi caldi, prendevo un libro e nelle prime ore del pomeriggio uscivo di casa e andavo a rilassarmi sulla riva del fiume. Lasciavo la macchina al parcheggio di un bicigrill nei paraggi e mi avviavo lungo il sentiero che seguiva la sponda del fiume.
Si arrivava in un posto alquanto solitario, dove oltretutto avevo scoperto un angolo particolare: un minuscolo spiazzo sabbioso, lambito dalla corrente e circondato da un folto macchione di canne e altra vegetazione cespugliosa.
Volendo, ci si poteva mettere anche nudi, ma non mi fidavo anche perché qua e là la barriera presentava qualche squarcio che avrebbe potuto permettere la vista a quanti si fossero trovati a passare per il sentiero, distante una decina di metri. Così, mi limitavo a stendere un telo sul terreno sabbioso, mi toglievo tutto, restando però in mutande, e me ne stavo lì, in quell’angolo di paradiso, un paio d’orette a leggere e a pensare, fissando lo scorrere incessante della corrente.
Ogni tanto vedevo passare un ramo spezzato o un mezzo tronco marcio, ma cadaveri non ne ho mai visti, neanche quelli dei miei nemici. Il che o confuta il famoso detto, o indica che forse non sono stato abbastanza paziente. Ma propendo per la prima ipotesi, anche perché i miei nemici sono tutti vivi e godono ottima salute.
Un giorno, sarà stata la metà di giugno, mentre ero immerso nella lettura di un appassionante thriller, fui distratto da uno scalpiccio sul vicino sentiero. La cosa attirò la mia attenzione, perché, come ho già detto, da quelle parti difficilmente si avventurava qualcuno.
Aguzzai la vista il una fessura tra le canne, e mi parve di scorgere un giovane in pantaloncini corti e maglietta, che passava con le mani in tasca, guardandosi attorno e borbottando fra sé. Per un istante, ebbi la sensazione che guardasse nella mia direzione, come se si fosse accorto che lì c’era qualcuno… Trattenni il fiato, rimanendo immobile, agitato non so se dal timore o dalla speranza che si facesse avanti, cogliendomi in mutande e col cazzo semiduro, come nel frattempo mi era venuto mentre lo spiavo passare.
Ma lui passò oltre, andando a finire chissà dove, infatti non lo vidi ripassare nelle successive due ore che rimasi lì.
I pomeriggi successivi, confesso che mi ritrovai spesso a sollevare gli occhi dalla pagina del libro che stavo leggendo, ma niente e nessuno venne mai a turbare la pace e il silenzio del luogo, se non il leggero sciacquio della corrente e, ogni tanto, il fruscio della brezza. Passò una settimana e ormai non ci pensavo più.
Quel giorno, ero arrivato da poco, avevo steso a terra il telo da spiaggia e mi stavo spogliando, quando sentii una presenza dietro di me. Mi girai di scatto: era lui, che mi superò, senza degnarmi di uno sguardo, e rimase sulla sponda a fissare la corrente del fiume. Come diavolo aveva fatto a oltrepassare la barriera di canne, senza che me ne accorgessi?
Avevo i pantaloni mezzo calati… che faccio? Me li tiro su pudicamente, o me li tolgo del tutto? Decisi di togliermeli del tutto e rimasi in mutande, come gli altri giorni. Fermo in riva al fiume, il giovane mi dava le spalle. Si indovinava un bel fisico snello sotto gli abiti sformati e i pantaloncini corti, mostravano due polpacci torniti e pelosi, che mi diedero un brivido. Sentii un certo formicolio nei precordi, a cui corrispose un involontario ingrossamento nelle parti basse… un ingrossamento per fortuna ancora contenuto, tant’è che non feci niente per nasconderlo, tipo mettermi a pancia in giù o coprirmelo con il libro.
Il ragazzo si voltò.
“Ciao”, mi fece con un sorriso sbarazzino.
“Ciao”, risposi con un sorriso, che sperai disinvolto.
Era davvero un bel ragazzo: non molto alto, ma dal fisico armonioso. Il volto soprattutto mi colpì: un volto grazioso, dai lineamenti regolari, ma senza niente di lezioso. Aveva i capelli biondo cenere, una chioma di riccioli arruffati, che si prolungavano lungo i contorni della mandibola, fino al mento, in una barbetta rada e corta, che oltre ad accrescerne il fascino, gli dava un che di maggiore maturità. In realtà, non doveva avere più di vent’anni.
“Si sta bene qui, - disse – posso sedermi?”
Feci spallucce:
“Accomodati pure, è suolo pubblico.”, risposi con voce che sperai non gli apparisse scostante, mentre la mia intimità si faceva ancora più consistente.
Dovette accorgersene… e sarebbe stato impossibile non farlo, ma la sua
indifferenza contribuì a calmarmi: in fin dei conti, era venuto lui dove stavo io e non viceversa: se non gli stava bene, poteva anche andarsene.
Ma non se ne andò.
Si sedette a gambe incrociate rivolto verso di me e mi guardava con un sorriso a fior di labbra… e io lo guardavo… nessuno dei due parlava… Poi si passò una mano in mezzo alle gambe e si decise.
“Se mi dai dieci euro, mi apro i pantaloni e mi tocco.”, disse.
“Te ne do venti, se ti apri i pantaloni e ti fai toccare.”, gli risposi d’impulso.
“Va bene.”, disse e rimase in attesa.
Allora, con le tempie che mi martellavano, allungai la mano ai pantaloni, presi il portafoglio dalla tasca posteriore e gli allungai un biglietto da venti. Lui lo prese e se lo mise in tasca, mentre io lasciavo il portafoglio in bella mostra.
Il ragazzo si alzò e si slacciò i pantaloni, poi mi si sdraiò accanto: la sua disinvoltura mi diceva che non era la prima volta. Ma non aveva l’aria di una marchetta con quella bella faccia pulita.
“Come ti chiami?”, gli chiesi.
“Valentino”, rispose e si distese sulla sabbia con le mani dietro la nuca, in attesa che mi servissi.
E io mi servii. Infilai la mano dentro la patta aperta e palpeggiai il contenuto ancora molle delle sue mutandine di morbida maglina. Sentivo sotto i polpastrelli l’umidore caldo del tessuto sudate e la cosa mi infiammò: feci scivolare le dita sotto l’elastico sfilacciato e sfiorai il cannolo tuttora floscio che reagì con un fremito e un principio di indurimento. Scivolai ancora più sotto a tastare lo scroto molle, in cui sciaguattavano due testicoli di media consistenza.
A quel punto, con un colpo di reni, Valentino si traferì sul mio telo e si calò a mezza coscia pantaloncini e mutande: adesso lo avevo davanti agli occhi in tutta la sua magnifica nudità. Passai le dita fra i peli del pube, biondo cenere come i suoi capelli e altrettanto sottili, poi gli presi il cazzo con due dita e gli feci sgusciare fuori dal prepuzio il piccolo glande.
Contrariamente ai miei timori, dall’inguine gli si sprigionava un aroma speziato, che mi inebriò. Lo carezzai con maggior passione… il cazzo cominciò a prendergli consistenza… In breve, fu turgido splendente… un cazzo niente male, taglia medio-grande, leggermente curvo all’insù con una cappella affusolata che gli dava ancora più slancio. Mi sentii percorrere da un brivido, che mi illanguori il buco del culo al solo pensiero di averci intorzolato dentro quel magnifico arnese. D’impulso lo afferrai poco sotto la cappella e cominciai a segarlo, visto che non mi era concesso altro. Ma lui, implacabile:
“Se vuoi farmi una sega, devi darmi altri venti euro.”, disse serio.
Mi venne da sorridere.
“Hai un listino prezzi?”, chiesi scherzando.
Lui fece spallucce:
“Devo guadagnarmi da vivere in qualche modo.”, rispose tra il serio e il faceto.
“E per un pompino, quanto chiedi?”
“Per farmi venire, con la bocca o con la mano, sono sempre venti euro. Se vuoi che ti vengo in bocca, devi darmene altri dieci.”
“La vendi cara la tua sborra.”, osservai, divertito, nonostante tutto.
“Ne faccio parecchia, - ghignò lui – e poi, è densa e saporita. Ho mangiato fragole con la panna, a colazione.”
“Uhmm! Una delizia!”, commentai, tirando fuori altri trenta euro dal portafoglio e porgendoglieli.
Quel furfantello mi aveva già fregato cinquanta euro… ma, cazzo!, se ne valeva la pena.
Valentino li prese e li strinse in pugno, in attesa di poterseli infilare in tasca.
“Ok, - mi disse – è tutto tuo.”
Allora, lasciando da parte ogni remora, mi distesi a pancia in giù e mi chinai su di lui, accogliendolo tutto in bocca, fin quasi alla radice. Non sono mai stato quello che si dice una gola profonda; anzi, in altre occasioni, a metà cazzo già avevo sentito lo stomaco rivoltarsi, ma quello entrò liscio sparato, senza colpo ferire. Mi accorsi di averlo preso tutto, solo quando mi sentii sulla punta del naso il solletico dei suoi peli.
Stetti un poco a godermi quella solida presenza nel cavo orale e l’intenso afrore del suo inguine sudato nel naso; poi, me lo sfilai tutto, leccai golosamente la cappella e me lo lasciai nuovamente sprofondare nella gola. Il resto è cronaca di tutti i giorni, chiunque può immaginarlo.
Ero posizionato di traverso a lui e, mentre glielo succhiavo, gli passai un braccio sotto la coscia, prendendo a carezzargli e a palpargli lo scroto, che si andava via via rassodando per il piacere che montava dentro di lui.
Sebbene inizialmente riluttante, forse perché qualcuno gli aveva detto che un professionista non deve mai godere durante il lavoro, pian piano Valentino si lasciò andare, si lasciò conquistare dal piacere che gli stavo procurando con la mia perizia bocchinara. Ad un tratto, infatti, me lo ritrovai che si torceva e smaniava e sospirava ad ogni mio risucchio, ad ogni colpo di lingua sul suo glande congestionato.
Poi, d’un tratto si irrigidì, tremando convulsamente in tutto il corpo.
“Uhmf! Uhmf!”, lo sentii grugnire, mentre il suo cazzo scattava ripetutamente, riempiendomi la bocca di sugo denso, abbondante… uno scatto dopo l’altro… un fiotto di sborra dopo l’altro… Trovai difficile deglutire, senza ingozzarmi, così la trattenni nella bocca, deglutendola dopo lentamente, una volta che il flusso si fu arrestato e l’organo cominciò a perdere consistenza.
Aveva ragione: era tanta, era densa ed era incredibilmente dolce… mi lasciò in bocca un retrogusto di fragola salata. Valeva tutti i trenta euro, che mi aveva chiesto, e forse anche di più, ma meglio non dirglielo, altrimenti si sarebbe montato la testa e, come minimo, avrebbe aumentato le tariffe.
Sollevai la testa, dopo aver dato un’ultima nostalgica leccata all’organo esausto e mi imbattei nel suo sguardo sbarazzino che sembrava chiedermi qualche tipo di conferma.
“Tanta… - dissi con la bocca ancora impastata di sperma colloso – tanta e saporita. Avevi ragione.”, e gli sorrisi, girandomi al suo fianco sulla schiena.
“Non imbroglio mai i clienti.”, disse Valentino con orgoglio professionale.
“No, infatti.”, scoppiai a ridere, mentre mi impugnavo l’uccello turgido, mezzo fuori dalle mutande.
Avevo un urgente bisogno di scaricarmi.
“Senti. – azzardai – quanto vuoi per farmi una sega?”
Si sollevò sul gomito, di scatto, con l’aria quasi offesa.
“Non faccio queste cose. - disse – Non sono…”
“Ok, scusami…”, feci in tono conciliante.
Si era già alzato, con mio grande rammarico, e stava per tirarsi su i pantaloncini, quando si fermò.
“Però, puoi toccarmi, mentre te la fai.”, concesse benevolmente, accosciandomisi accanto.
Allungai, allora, la mano a sfiorargli le palle, che penzolavano flosce, e, senza volerlo, scivolai con le dita lungo il perineo… Percepii il suo brivido…
“Vorrei leccarti il culo… - ansimai – dai… lascia che te lo lecchi… ti do quello che vuoi…”
“Vuoi leccarmi il culo?”, fece con un sorrisetto fra lo scherno e lo schifato.
“Sarà bello, vedrai… - dissi, interrompendo la sega – Ti do quello che vuoi.”
Era indeciso, chiaramente combattuto fra l’avidità e l’imbarazzo. Ma la libidine gli brillava negli occhi.
“Na… sono maschio, io…”
“Ti infilo la lingua nel buco del culo… - insistetti, già sbavando all’idea – dai…”
“La lingua nel buco del culo? – ripeté lui quasi incredulo - Cinquanta euro… - buttò lì alla fine - voglio cinquanta euro per farmi leccare il culo…”
L’avidità aveva vinto? o era stata la curiosità per questo nuovo gioco?
“D’accordo, cinquanta euro.”, concessi.
Da parte mia, avrei pagato qualsiasi cifra pur si assaggiare quel culetto polposo, di leccare il suo buchetto vergine. Ma Valentino non si mosse, sembrava in attesa. Intuii che voleva essere pagato, ma ero troppo smanioso per mettermi a cercare il portafoglio, adesso.
“Te li do, non aver paura… - dissi, allora – Ma vieni, non ce la faccio più…Siedimi sulla faccia.”
Valentino, allora, si liberò di pantaloncini e mutande e mi si accosciò sulla faccia.
Gli allargai le natiche io stesso e lo feci abbassare fino a sfiorarmi le labbra con il buco del culo, poi saettai fuori la lingua e gliela fiondai dentro più che potevo.
“Uhiuiiii!”, squittì lui, appena sentì la mia lingua pastosa violargli l’intimità.
Era evidente che nessuno glielo aveva mai fatto, forse non immaginava neanche che qualcuno potesse desiderarlo così ardentemente.
Ripresi a segarmi, mentre gli divoravo il buco del culo a morsi e leccate, e lui si arrendeva fremendo a questo nuovo, insolito piacere.
Finì in fretta, troppo, ma ero troppo eccitato, perché potesse durare a lungo. Quando venni con lunghe, lancinanti schizzate, che forse gli arrivarono anche addosso, gli piantai nello sfintere tutta intera la lingua e gliela tenni dentro, finché non terminarono gli sconquassamenti dell’orgasmo.
Appena gli tirai fuori la lingua dal buco, lui saltò in piedi. Tremava leggermente e aveva l’aria turbata. Recuperai a tastoni il portafoglio e tirai fuori un biglietto da cinquanta, porgendoglielo.
Ma lui si rivestì in fretta, poi scosse la testa.
“No… non fa niente… - mormorò, senza guardarmi – Ciao.”, e scomparve dietro la cortina di canne e cespugli.
Lo attesi il pomeriggio successivo, con il portafoglio ben rifornito. Ma non si fece vedere. Né si fece vedere i giorni successivi. Forse si era spaventato o forse aveva cercato nuovi territori di caccia. Chissà.
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