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Bisonti della strada - 1


di adad
12.02.2019    |    23.083    |    4 9.3
"” Io gli sorrisi, come a dire: Non c’è problema..."
Ci eravamo conosciuti con Matteo, tramite amici comuni. Successe una sera che ero in pizzeria con Carlo e Federica, una coppia che abita nel mio stesso condominio, al piano di sopra. Mentre eravamo sul più bello di una pizza 4 stagioni abbastanza schifosa, per la verità, Federica disse d’un tratto:
“Toh, guarda, c’è Matteo!”
Io mi guardai automaticamente attorno, ma in quella marea di teste non riuscii a capire a chi stesse alludendo, finché non vidi Carlo alzarsi, attraversare la sala gremita, fermarsi ad un tavolo e chinarsi a parlare con qualcuno, voltandosi poi e indicando nella nostra direzione. Da dove ero, non riuscivo a vedere la persona seduta a quel tavolo, ma poco dopo notai un giovane alzarsi e venire sorridendo verso di noi. Cazzo!, pensai.
Era un tipo sui trenta, bruno di capelli, volto dai lineamenti marcati, reso ancora più maschio da una corta barba curata; labbra piene e occhi scuri scintillanti, ombreggiati da due folte sopracciglia: particolari questi, che colsi nell’attimo stesso in cui lo vidi alzarsi e andarono poi precisandosi a mano a mano che venne verso di noi.
Per il resto, doveva essere sul metro e ottanta, con un fisico di tutto rilievo, per lo meno da quello che riuscivo a capire attraverso il maglioncino e i pantaloni, entrambi alquanto sformati, che indossava.
Cercai di assumere l’espressione più candida e indifferente che potei, mentre lui si avvicinava a salutare Federica, che si alzò per baciarlo sulle guance. I soliti discorsi: come va, cosa fai di bello, ti trovo bene… e via discorrendo, mentre io lo fissavo, ammaliato dalla sua avvenenza e dal tono morbido e profondo della sua voce.
Ma lui non mi degnò neanche di un’occhiata, preso com’era dalle sue chiacchiere con i due, finché il buon Dio, nella persona di Carlo, non si ricordò di me.
“Ah, ti presento Luca, un nostro caro amico.”, gli disse, indicandomi.
Quello si girò verso di me. io mi sollevai dalla sedia e gli tesi la mano.
“Molto lieto, Luca.”
Lui me la strinse un momento.
“Matteo”, disse.
Poi tornò a ignorarmi, per riprendere le sue chiacchiere con la coppia d’amici, ma io mi sentivo ancora formicolare il braccio per la scossa elettrica che quella mano asciutta e forte mi aveva trasmesso.
“Ti siedi con noi?”, gli fece ad un tratto Federica.
“Grazie, - rispose lui – ma sono in compagnia…”
Lei sbirciò in direzione del suo tavolo.
“E’ la tua ragazza?”, gli chiese.
Matteo arrossì leggermente.
“No, - disse – è un’amica di passaggio.”
Oh, che palle, pensai.
“Beh, scusate, ma devo lasciarvi.”, disse ancora lui.
“Ciao, Matteo, sono contenta d’averti rivisto.”, lo salutò Federica.
“Anch’io. Ciao, Carlo.”
“Ciao, Matteo, fatti vivo.”
Finalmente, girandosi per andare, gettò uno sguardo verso di me.
“Buonasera”, mi disse.
Io chinai la testa con un sorriso, in segno di saluto. E lui se ne andò, seguito dal mio rammarico per non essere riuscito a intromettermi nella conversazione. In seguito venni a sapere che Matteo era cugino di Federica, ma che si vedevano poco, perché lui era sempre in giro per un motivo o per l’altro. Poi la serata finì e tornammo a casa, loro per godersi le gioie del talamo coniugale, io per godermi le gioie di una sega solitaria, fantasticando di infilare le mani nella patta del bel Matteo e trovarvi tutto quello che desideravo e, ovviamente, “come” lo desideravo!
Mi sparai ancora un bel numero di seghe pensando a lui i giorni successivi; poi il tempo passò e altri fantasmi vennero a prendere il suo posto.
Una mattina, qualche mese dopo, mi ero fermato in un bar del centro per prendere un caffè, quando lo vidi entrare e avvicinarsi pure lui al banco. Ordinò un cappuccino, poi, per fare spazio ad un paio di clienti, si tirò dalla mia parte, urtandomi leggermente.
“Mi scusi.”, si girò verso di me.
Ebbi un tuffo al cuore: visto di giorno e così da vicino, il suo volto, ombrato dalla corta barba, aveva un che di tenebroso che lo rendeva ancora più affascinante. Notai che aveva anche un cerchietto d’oro all’orecchio sinistro. Io gli sorrisi.
“Buongiorno”, gli feci con tono familiare.
Lui aggrottò le ciglia, chiedendosi evidentemente chi fossi. Mi sentii all’improvviso terribilmente imbarazzato: come potevo pretendere che si ricordasse di me, di una faccia intravista per un momento parecchio tempo prima? Ero io che avevo memorizzato la sua immagine negli archivi della memoria (sezione: Bonazzi,) ero io che mi ero consumato l’uccello a furia di seghe, pensando a lui!
Sempre aggrottando le ciglia, mi chiese:
“Scusi, ci conosciamo?”
Comprensibilmente, il mio imbarazzo crebbe ancora di più, mentre un vago senso di gelo mi prendeva il cuore. Ma ormai la frittata era fatta…
“Lei è Matteo, vero?”, feci, sentendomi un perfetto imbecille.
Lui scosse la testa con aria interrogativa.
“Ci siamo conosciuti qualche mese fa. - balbettai – Sono un amico di Carlo e Federica… in pizzeria…”
“Ah, capisco… - disse allora – Come va?”
Era il tono di chi non ricorda e non gliene frega assolutamente niente. Dovevo apparirgli un vero idiota, tanto più che adesso non sapevo più come andare avanti. Beh, in certe situazioni, la strada migliore è la fuga.
“Bene. – risposi e feci finta di guardare l’orologio – Mi scusi, ma devo scappare. Mi ha fatto piacere incontrarla.”, e gli porsi la mano.
Lui me la strinse e la scossa elettrica mi fece nuovamente formicolare il braccio.
“Arrivederci”, disse lui e tornò al suo cappuccino.
Uscii dal bar che mi tremavano le gambe per l’emozione e l’imbarazzo… avevo bisogno di allontanarmi il più possibile da quel posto. Feci quasi di corsa qualche centinaio di metri, poi mi fermai davanti ad una vetrina, dove c’era un’esposizione di film in DVD a prezzi stracciati. Ne vidi uno che mi interessava ed entrai per comprarlo: avevo bisogno di tirarmi su dopo la figuraccia di poco prima. Stavo giusto uscendo dal negozio, quando lo scorsi una decina di metri più in là che veniva nella mia direzione sul marciapiede. Mi fermai sulla porta del negozio, facendo finta di guardarmi attorno come a cercare qualcosa. Arrivato alla mia altezza:
“Toh, ci si rivede.”, disse con un sorriso.
Io feci scherzosamente spallucce:
“A volte il destino è curioso!”, gli risposi, sorridendo a mia volta.
“Mi scusi per poco fa, ma davvero non riuscivo a mettere a fuoco…”
“Succede.”, dissi io con noncuranza.
“Ma adesso mi ricordo perfettamente di lei… Luca, vero?”
Il fatto che si fosse ricordato il mio nome mi sorprese e in un certo senso mi lusingò.
“Bravo, complimenti!”
“Beh, quando mi ci metto, ho buona memoria. – scherzò lui – Va da quella parte?” e indicò davanti a sé.
A dire il vero avrei dovuto andare nella direzione opposta, ma mai più avrei perso l’occasione di passare qualche minuto con quel tenebroso, magnifico maschio.
“Sì”, gli risposi e mi incamminai al suo fianco.
“Sa, - continuò – avevo le idee un po’ confuse, anche perché quella sera, dopo la pizzeria, ho bisticciato con la mia ragazza e mi ha mollato.”
“Oh, mi dispiace.”, esclamai, mentendo spudoratamente.
Che stupida… pensai, lo avessi avuto io, col cazzo che lo mollavo un manzo del genere!
“A me no! – fece lui con un sorriso quasi malizioso – A pensarci bene era una vera stronza!... Oh, mi scusi.”
Io gli sorrisi, come a dire: Non c’è problema. Continuammo a chiacchierare. L’ansia e quel
senso di imbarazzo che provo in genere davanti alle persone che non conosco, erano scomparsi quasi subito e stupiva perfino me quella corrente di simpatia e di confidenza che si era instaurata fra noi.
Per fortuna, Matteo era una di quelle persone che non corrono per strada, che non ti costringono ad arrancargli dietro, ma procedono con calma, dandoti così modo di ascoltare, di pensare, di organizzare un discorso. Il tempo di fare il pezzo di strada per arrivare alla sua macchina e già mi aveva raccontato buona parte della sua vita, segno che doveva essere una persona molto sola, nonostante tutto.
Fra le altre cose, mi disse, pensate, di essere camionista! Il che non poteva che aggiungere nuova legna al fuoco delle mie fantasie porco-erotiche. Ma arrivammo alla sua macchina.
“Le do un passaggio?”, si offrì.
Avrei accettato di corsa, ma mi imbarazzava fargli capire che ero andato in quella direzione per niente.
“La ringrazio, - feci, allora,- ma ho altre commissioni da fare.”
“Sarà per un’altra volta. Abita nel palazzo di Federica, vero?”
“Sì, al piano di sotto.”
“Allora, se capito da quelle parti, passo a salutarla.”
“Magnifico! – esclamai, forse con un po’ troppo calore – Ma a una condizione.”
Lui mi guardò, aggrottando le ciglia con la solita espressione interrogativa.
“Che la smettiamo di darci del lei. Che ne dice?”, proseguii.
“Perfetto, - rispose lui, con un sorriso che mi fece sciogliere il buco del culo – Allora passo
a salutarti, Luca.”
“Ci conto!”
Ci salutammo e lui avviò la macchina, inserendosi ronfando nel flusso del traffico, fuori dalla mia vista. .. ma non dal mio cuore.
Passarono i giorni, e poi le settimane, e poi i mesi e del mio camionista più nessuna nuova. Ah, questi maschi, promettono, promettono e non mantengono mai! Ebbi diverse occasioni di vedere Carlo e Federica, ma non mi arrischiai mai a chiedere di Matteo: non
avrei saputo come giustificare il mio improvviso interesse per una persona appena
intravista chissà quanti mesi prima.
Ma naturalmente, la mia fantasia aveva lavorato… e anche la mano! Immaginavo le più intricate e intriganti situazioni per preparare e accompagnare le mie quotidiane sessioni masturbatorie. Mentre mi zangolavo l’uccello con una mano, e con l’altra mi manovravo un dildo dentro e fuori il sedere, vivevo il film che ero in viaggio con lui e, intanto che eravamo sparati in autostrada, io gli aprivo la patta, gli tiravo fuori il nerchione carnoso e glielo masturbavo… o glielo succhiavo, facendolo ballare sul sedile, e alla fine lui mi schizzava sulla lingua un sugo gustoso alla stessa velocità del suo bisonte scatenato! Naturalmente, aveva un cazzo consistente, sugoso, saporito, fremente, poderoso, infaticabile… Su questo i porno sono concordano tutti.
Ma i giorni passavano e la mia attesa diventava sempre più vana… e sempre più sciocca!
Passò il carnevale, la quaresima fu insolitamente triste e fredda, quell’anno; ma con aprile, la primavera esplose in tutta la sua conturbante bellezza. E anche i miei ormoni si svegliarono… ammesso che se ne fossero mai andati a dormire!
Era una serata tiepida di metà aprile, mancavano un paio di giorni a Pasqua, e io stavo pensando se e cosa prepararmi per cena, quando suonò il campanello. Probabilmente era Federica e per un attimo sperai che fosse venuta per invitarmi a gustare qualcuna delle sue specialità. Non che fosse brava, tutt’altro… ma quella sera i miei ormoni erano talmente impazziti, che non avevo nessuna voglia di mettermi a spadellare in cucina… magari nelle mutande di qualche maschiotto mi sarei messo volentieri a spadellare, questo sì! Avevo una tale voglia di cazzo, che mi sembrava di sentirne l’odore dappertutto!
Aprii speranzoso la porta e… squillo di trombe!
“Ciao”, mi fece da fuori un sorridente Matteo.
Rimasi lì come rintronato.
“Ehilà, - esclamai dopo un istante – che sorpresa!”
“Ti disturbo?”
Aveva l’aria un po’ imbarazzata.
“Assolutamente no! Vieni.”, e lo feci accomodare in soggiorno.
“Come mai da queste parti?”
“Sono stato su dalla Federica, - rispose lui – e scendedo ho visto il tuo nome sulla porta, così ho pensato di farti un saluto.”
“Hai fatto benissimo, sono proprio contento di vederti.”
Lui sorrise, rifiutando la mia offerta di un drink.
“Hai già cenato?”, gli chiesi allora d’impulso.
“No, non ancora…”
“Senti, stavo per prepararmi qualcosa, mi fai compagnia?”
All’improvviso, mi era venuta una gran voglia di spadellare… Del resto, i maschi, li devi prendere per la gola, se vuoi che loro passino per la tua!...come diceva sempre una mia amica checca.
“No… ti ringrazio…”, fece lui un po’ imbarazzato.
“Dai, volentieri!”, insistetti.
“Ma no, non disturbarti… “
“Nessun disturbo. Mi piace avere ospiti. Dai, vieni di là.”, e senza ascoltare le sue proteste, lo presi per un braccio e lo guidai in cucina.
Devo dire che fu carino: mi aiutò a lavare l’insalata, ad apparecchiare la tavola e a
mantenere viva la conversazione; apprezzò discretamente, senza smancerie, quello che avevo preparato e lo mangiò di gusto; e alla fine mi aiutò perfino a sparecchiare e mettere a posto. Fu una cena molto simpatica e io mi sentii davvero soddisfatto, tanto più cha Matteo non sembrava avere nessuna fretta di andar via. Continuammo, così, a chiacchierare in soggiorno, sorseggiando un amaro.
“Non hai proprio l’aria di un camionista.”, gli dissi ad un certo punto, scherzando.
“Perché?”, fece lui, aggrottando le ciglia.
“Perché uno si immagina sempre un omaccione grande, grosso, e con una pancia così…”, e allargai le braccia a cerchio.
Matteo scoppiò in una gran risata.
“”Beh, qualcuno ce n’è anche, ma non siamo tutti così, dai!”
“Devo ammettere di no!”, concordai, guardandolo con scherzosa intenzionalità.
Scherzosa?
“E’ strano, però, come la figura del camionista colpisca l’immaginazione della gente, soprattutto sul piano erotico. – azzardai - Chissà le avventure che ti capitano durante i tuoi viaggi.”
“Già, non male…”, glissò lui e distolse lo sguardo, come se quei discorsi lo imbarazzassero.
Da parte mia, mi resi conto che stavo andando in fregola e cercai di darmi una calmata. Onestamente parlando, non c’era niente nei suoi atteggiamenti che potesse far presupporre un qualche interesse di quel tipo nei miei confronti.
“A parte tutto, - ripresi, allora, assumendo un tono più serio – il vostro lavoro dev’essere terribilmente stressante.”
“Già, ore e ora in autostrada, devi macinare chilometri su chilometri; mangiare negli autogrill e dormire in una cuccetta anche per settimane. Non è una passeggiata, te l’assicuro.”
“Ti credo, dall’esterno, vediamo solo gli aspetti, diciamo, piacevoli: che viaggiate, girate il mondo…”
“Questo è vero, anche se poi non abbiamo mai il tempo neanche di tirare il fiato: arrivi, scarichi, ti concedi al massimo una doccia, ricarichi e il giorno dopo riparti. Ci sono sempre le eccezioni, certo, come mi è successo qualche settimana fa, che sono andato a Berlino e, dopo la consegna, ho dovuto aspettare un paio di giorni per via di certi disguidi burocratici; così ho potuto guardarmi un po’ attorno.”
“Qualche volta, - dissi, trascinato da questa corrente di confidenze che si era instaurato fra noi – penso che mi piacerebbe andare in un autogrill e farmi imbarcare da qualche camionista… - mi bloccai in tempo – Cioè, di chiedergli un passaggio e accompagnarlo nel suo giro.”
Matteo mi lanciò un’occhiata strana, poi come colto da un’idea improvvisa, guardò di scatto l’orologio.
“Cazzo! E’ tardi, ho delle carte da preparare per domani. Scusa, Luca, ma me n’ero completamente scordato.”, e saltò in piedi per andare.
“Segno che eri in buona compagnia…”, scherzai.
“Ottima!”, fece lui, dandomi un colpetto sul braccio, e si avviò alla porta.
“Grazie della cena. Era squisita.”
Stava per abbassare la maniglia della porta, quando si fermò un momento con aria pensosa.
“Ascolta una cosa, - disse, girandosi verso di me – fra una decina di giorni, devo fare una consegna in Sicilia… Se vuoi, ti posso… imbarcare con me.”
“Davvero?”, esclamai, entusiasta.
“Così almeno potrai vivere la tua avventura con un camionista… - osservò sorridendo – Fammi sapere, ok?”
“Ah, posso dirtelo già subito, - feci io – per me va benissimo.”
“Ok, allora se mi dai il telefono, ti chiamo per dirti il giorno. Sono contento di avere un compagno di viaggio con cui fare due chiacchiere.”

(continua)
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