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Gay & Bisex

Galeotto fu il tiggì - 2


di adad
07.01.2023    |    5.125    |    5 9.9
"Avevamo solo la testa fuori dall’acqua..."
L’esperienza, per quanto poca ne avessi nello specifico, mi suggeriva che il momento post orgasmo è il più delicato , quando si ha a che fare con un maschio etero, perché venuta meno la carica libidica, o per meglio dire l’eccitazione, si è più indifesi nei confronti delle remore, dei sensi di colpa e via discorrendo. Per cui bisogna stare molto attenti all’atteggiamento che si tiene e alle parole che si dicono.
Il comportamento del mio giornalista, però, era alquanto fuori dagli schemi, sembrava suggerire tutt’altro. Forse non era la prima volta che… Allora:
“Te l’hanno già succhiato altre volte, non è così?”, chiesi con quel tono scherzoso, che in genere smorza le polemiche sul nascere.
Lui arrossì leggermente.
“In effetti, sì.”, rispose.
“E allora perché mi hai detto di no, prima?”
“Beh, non volevo sputtanarmi subito… e, poi, volevo scoprire fino a che punto ti saresti spinto nel corteggiamento.”
“E mono male che eri vergine di corteggiamento!”
Lui scoppiò a ridere, una risata di gusto che finì per contagiarmi e stemmo lì a sghignazzare tutti e due, tenendoci la pancia.
“Nessuno è vergine di niente a questo mondo.”, commentò, dopo che ci fummo calmati.
“Ma scusa, - chiesi – e se non mi fossi spinto così avanti?”
“Mi sarei inventato qualcosa io.”, rispose candidamente.
Tra la temperatura rovente, ormai al limite della sopportazione, e la sega che mi ero fatto, cominciai a sentirmi esausto.
“Che ne dici di una doccia fredda?”, dissi.
“E’ quello che consigliano, infatti, dopo un certo tempo, che noi abbiamo superato da un pezzo.”
Così, raccogliemmo gli asciugamani e ci dirigemmo nel locale docce. Con la scusa di cedergli il passo, in prossimità delle porte, colsi l’occasione di restare un passo indietro, per dargli un’occhiata al posteriore e… accidenti, che due emisferi! Forse un po’ troppo pelosi per i miei gusti, ma decisamente strabilianti. Con una buona passata di rasoio, ci avrei mangiato una settimana intera… Capitemi, quello che intendo: non sono un cannibale!
Avvolti e tremanti nei nostri teli da bagno, tornammo nel locale della sauna mezzo congelati e ci sedemmo sulla panca più in alto, uno al fianco dell’altro.
“Chissà quale sadico ha inventato questa procedura…”, biascicai con la voce ancora tremante per il freddo.
"Pensa che in Finlandia si rotolano in mezzo alla neve.”, osservò lui.
“E scommetto che la mattina staccano i ghiaccioli dalla grondaia e se li ficcano nel sedere…”, dissi, cominciando a sciogliermi io come un ghiacciolo, ma più per la sua vicinanza, a dire vero, che non per la temperatura rovente del locale.
Bevemmo un sorso di te da una lattina.
“Scommetto che ti si è rattrappito l’uccello.”, ghignai, quanto mai desideroso di riportare il discorso sulle precedenti tematiche.
“Ma no…”, fece lui aprendosi il telo e mostrandomi il bigolone, che gli penzolava indolente fra le cosce.
Mi sentii torcere lo stomaco… Gli poggiai la mano sulla bella coscia muscolosa, approfittando per carezzargliela.
“Ti secca, se lo tocco…”, dissi piano.
“Mi meraviglierebbe se non lo facessi… - rispose lui amabilmente – e… sì, mi
seccherebbe anche…”
Allora, sfiorai quel grosso cannolo, la pelle era fredda, ma incredibilmente soffice.
Lo sentii fremere al mio tocco. Lui aprì le cosce ancora di più ed espirò quasi con un gemito, mentre gettava indietro la testa. Lo tenni un po’ in mano, carezzandolo per farlo rinvenire, e intanto mi chinavo fino a sentirne nuovamente d’odore… un odore selvatico, ma diverso da prima.
“Ti secca, se lo prendo in bocca?”, mormorai, sentendomi stupidamente timido.
“Ma non farmi venire… - rispose lui a fiori di labbra - Mi aspettano i doveri coniugali, più tardi..."
"Per una volta, - scherzai - potresti permetterti un mal di testa pure tu.”
“Non è così semplice…”, fece e lui stesso si tirò giù il prepuzio, offrendo alle mie labbra il glande sbavato di miele zuccherino.
Mi sono sempre chiesto perché ci piaccia così tanto questa bava viscida e appiccicosa, ma non ho mai saputo darmi una risposta. Secondo gli esperti del settore, madre Natura l’avrebbe predisposta quale lubrificante naturale in vista della futura penetrazione; ma secondo me, madre Natura è stata ben più lungimirante e si è resa conto che senza questa delizioso incentivo, tanto sarebbe valso sbocchinare un dildo di plastica o un manico di scopa.
Avvolsi con la lingua il suo glande pastoso, accompagnato da un lungo sospiro di soddisfazione da parte di entrambi, mentre il suo cazzo finiva di inturgidirmisi fra le labbra. Stando, stavolta, chinato sul suo grembo, presi ad occuparmi della cappella snudata e la leccai accuratamente, scivolando con la lingua fin sotto la corona, dove la mucosa è più sensibile, e picchiettando con la punta sul filetto. Lui era tutto una fibrillazione, dalla testa ai piedi.
“Che bello… - sospirava – continua così… sei un pompinaro fantastico…”, e il piacere che stava provando quasi gli impediva di articolare le parole.
Ma quelle parole, i fremiti, che gli sentivo correre sotto la pelle, erano ulteriore benzina sul fuoco della mia cupa libidine: presi, così, a succhiare quel cazzo agognato con foga, con passione, con disperata bramosia, sapendo che da un momento all’altro mi avrebbe detto “Basta” e io avrei ubbidito… glielo avevo promesso. Il turgore crescente dell’organo mi fece capire che l’orgasmo stava montando… sperai, allora, con tutto me stesso che mi lasciasse andare fino in fondo… mi sentivo ancora in bocca il sapore dolciastro della precedente sborrata… Lo scroto aveva cominciato a rattrappirglisi, quando si afferrò il cazzo e me lo tolse dalla bocca.
“Adesso basta.”, disse con dolcezza, mentre si ricopriva l’inguine col telo da bagno.
“Ok”, biascicai rassegnato.
Mi alzai e, riavvoltomi anch’io il telo attorno alla vita, mi sedetti al suo fianco.
Fu difficile ritrovare un filo di conversazione.
“E così, guardi sempre il mio telegiornale.”, fece.
“Sì, mi piaci seduto dietro la scrivania, mentre snoccioli tutto serioso quelle notizie, di cui magari non te ne frega un cazzo.”
“Lettura perfetta.”, ridacchiò, girando la testa per darmi un inaspettato bacio sulla tempia.
Mi sentii rimescolare, ma sapevo di dovermi controllare e mi controllai.
“Mi piaci in particolare, quando indossi una cravatta azzurra… è un colore incredibile. Ti sta benissimo.”
“Ah,grazie, - fece lui – è la mia preferita. Vuol dire che la metterò più spesso per te.”
“E quando te le vedrò addosso, saprò che mi hai pensato.”
In quel momento, attraverso lo spioncino della porta, intravvedemmo un movimento; allora ci allontanammo e prendemmo un’aria più distaccata.
“Signor ****, - disse un ragazzo del personale, facendo capolino – sua moglie le ricorda…”
“Sì, certo. - fece lui alzandosi – Piacere d’averla conosciuta.”, disse e mi porse la mano.
“Piacere mio.”, sorrisi, stringendogliela.
“Magari ci si rivede.”
“Magari”
Si avviò alla porta e, con un’ultima occhiata, uscì portando via con sé i miei desideri più cocenti.
Quella sera, non lo vidi a cena: probabilmente era fuori con sua moglie. Né lo vidi la mattina a colazione. Allora, decisi di lasciargli un biglietto.
Tornai in camera, scrissi su un pezzo di carta: “Piacere d’averla conosciuta. Si ricordi della cravatta azzurra.”, e al momento di partire, lo lasciai alla ricezione, con la preghiera di consegnarlo al signor ***.
***
Tornato a casa, ripresi il mio solito tran-tran. Pensavo spesso al mio bel giornalista. “Mi avrà cercato il giorno dopo? – mi chiedevo – Che faccia avrà fatto, quando ni mi ha più trovato? E quando gli hanno dato il mio biglietto?” Speravo che glielo avessero consegnato, quando era da solo, ma è chiaro che non potevo chiederlo al ricezionista… chissà cosa avrebbe immaginato. Non per me, ovvio, ma per lui, che era un personaggio pubblico.
E naturalmente su questi interrogativi mi facevo i più grandiosi sceneggiati, con tutte le variazioni possibili e immaginabili.
Ma l’unica cosa vera… e che non potevo confessare neanche a me stesso, era che quel pomeriggio passato assieme mi era entrato nel sangue… che sbocchinandolo, avevo ingoiato ben più della sua sborra… Diciamola tutta: ero innamorato! Ma innamorato di cosa, di chi? di un volto sullo schermo e di un cazzo che avevo avuto la ventura di succhiare nel caldo soffocante di una sauna.
Già, ma a volte basta anche meno per far schizzare la testa ai vertici delle stelle.
Naturalmente, ogni sera mi sintonizzavo su tele*** e aspettavo il tiggì delle 20, ma del mio giornalista, nessuna traccia: evidentemente era ancora in
vacanza… ad aspettare le avances di chissà chi nella sauna… che solo a pensarci, mi sentivo mordere dalla gelosia.
Passarono una quindicina di giorni, prima di vederlo riapparire sullo schermo televisivo. Non sono una mammoletta, ma credetemi, quando dico che ebbi un tuffo al cuore, appena lo vidi. Il suo volto era ancora più radioso, il suo sorriso ancora più caldo, gli occhi, in cui mi persi, ancora più luminosi.
La sua voce mi giunse calda e ambrata, la stessa voce con cui aveva palpitato negli spasimi dell’orgasmo… E poi notai quello che mi lasciò senza fiato: indossava la cravatta azzurra… e non solo la indossava, ma continuava a lisciarsela, come se volesse lanciarmi qualche messaggio… un messaggio segreto solo per me.
Così, presi a seguirlo tutte le sere in cui conduceva il tiggì; piano piano imparai a leggere i i suoi gesti, le sue espressioni, tutti quei segni in cui vedevo celato un messaggio per me… o quello che credevo tale. Ma la realtà era un’altra: era che quell’uomo cominciava a piacermi davvero tanto… Cioè, mi piaceva anche prima, ma unito adesso al ricordo di quanto era successo quel pomeriggio in sauna, quel mezzobusto televisivo aveva acquistato una sua fisicità… una fisicità per di più erotica, che mi seduceva ogni giorno di più.
Poi, una sera, mentre snocciolava con animata partecipazione le notizie del mondo, lo vidi lisciarsi un paio di volte la famosa cravatta azzurra ed esordire:
“Sabato 21 aprile, alle terme… Scusate, - si interruppe, arrossendo - alla terrazza del Pincio di Villa Borghese, a Roma…”
Rimasi basito: un lapsus del genere non era da lui, sempre così perfetto… Sabato 21 aprile alle terme… Ma certo, che stupido! Era un messaggio per me… un appuntamento, o almeno così volli sperare… Sabato 21 aprile…

Mentre aspettavo il treno per Padova, la mattina di quel sabato 21 aprile, ebbi un attimo di smarrimento: e se fosse stato solo frutto della mia immaginazione? se mi fossi costruito solo un patetico fotoromanzo fondato sul nulla? Valeva davvero la pena farmi questo viaggio di mezza giornata, a rischio di non trovare nessuno ad aspettarmi? Ero lì a dibattermi nell’indecisione, ma quando comparve all’orizzonte la Freccia Rossa, mi dissi:
“Al diavolo, ormai ho il biglietto… alla peggio, mi godrò un supplemento di vacanza.”
A Padova presi la coincidenza, per fortuna in orario, e alle 14 entravo nella hall del Grand Hotel. Alla reception chiesi una stanza.
“Spiacente, signore, - mi disse l’impiegato con aria fintamente contrita – ma siamo pieni.”
Accidenti! e adesso? Stavo per chiedere se era loro ospite il signor ***, quando:
“Ehilà, Dario!”, mi sentii chiamare.
Mi voltai col cuore in gola: non mi ero sbagliato… Lui era lì e mi veniva incontro sorridendo. Cercai di riprendermi:
“Signor ***, ma che sorpresa!”, e ci stringemmo la mano.
“Anche lei al Grand Hotel?”
“Purtroppo, sono arrivato tardi - dissi con rammarico – non hanno stanze libere.”
“Non c’è problema, - mi rassicurò lui – ho preso una doppia e mia moglie non è venuta. Se si adatta, la divido volentieri con lei.”
Feci un po’ di scena… non vorrei crearle disturbo, ecc. ecc., giusto per salvare la faccia, poi accettai e dopo la registrazione ci avviammo alla sua camera.
“Vedo che hai capito il mio messaggio.”, disse, chiudendosi la porta alle spalle.
Non feci in tempo a rispondere, che mi prese, mi girò verso di sé e mi abbracciò.
“Non vedo l’ora che me lo succhi…”, mi bisbigliò all’orecchio.
Dritto al punto: come benvenuto, non potevo lamentarmi. Poi, senza nessun preavviso, poggiò le sue labbra sulle mie. Ero strabiliato: da dove saltava fuori questa novità? Automaticamente, dischiusi le labbra e la sua lingua mi scivolò dentro, iniziando un folle gioco con la mia. Giuro che tutto mi sarei aspettato, tranne che lui mi baciasse e con tanta passione, oltretutto. Ma, già carico com’ero nel ritrovarmi stretto fra le sue braccai, questo fu il colpo di grazia: mi sottrassi al suo bacio e, scivolato in ginocchio davanti a lui, gli sbottonai i pantaloni, glieli strattonai giù assieme alle mutande e gli afferrai il cazzo già duro e bagnato. Glielo leccai golosamente tutt’attorno alla punta, poi me lo cacciai in bocca e presi a succhiarglielo come meglio potevo.
Doveva essere carico tanto quanto me, perché non ci mise molto a venire: neanche un paio di minuti dopo, infatti, mi afferrò la testa e me la tenne ferma, mentre con un guaito mi scaricava sulla lingua il contenuto delle sue palle… e non era poco!
“Accidenti, si direbbe che eri pieno e non vedevi l’ora!”, commentai, reprimendo un ruttino.
“Ho trascurato i miei doveri coniugali in questi ultimi tre giorni…”, sorrise lui,
cavandosi del tutto i pantaloni e le mutande.
“Per me?”
“Già. Mia moglie cominciava a preoccuparsi per i miei mal di testa… Mi sa che la settimana prossima dovrò darmi da fare parecchio per rabbonirla…”, ghignò, sfilandosi anche la maglietta e restando nudo.
Adesso che potevo vederlo a mio bell’agio, devo ammettere che era un gran manzo! Fisico polposo, da falso magro, pettorali con due capezzoli carnosi, che sembravano aspettare solo di essere succhiati, e poi quel filo di pancetta, che gli stava da dio… e un culo, che neanche i Bronzi di Riace.
Ero lì che lo fissavo ammirato, quando lui si girò:
“Cos’hai?”, mi chiese.
Scossi la testa: meglio non dirgli i pensieri peccaminosi che mi agitavano le mente e mi facevano ribollire l’uccello.
“Io avrei bisogno di fare una doccia.”, dissi invece.
“Togliti quella roba di dosso, - fece lui – c’è una vasca di là, possiamo fare il bagno insieme, che ne dici?”
E che dovevo dire?
“Apri l’acqua, che ti raggiungo.”
E mentre sentivo l’acqua scrosciare nella vasca, io mi spogliai e lo raggiunsi, incurante del cazzo duro, che mi oscillava di 180° ad ogni passo.
La vasca era già piena e lui mi tese la mano, tirandomi a sé. Un abbraccio e un bacio… poi, insieme, entrammo nella vasca. L’acqua era caldissima, al limite della sopportabilità, ma dopo un po’ fu semplicemente fantastica… o forse era la sua vicinanza a renderla tale.
All’inizio, ci sedemmo uno di fronte all’altro, divertendoci a versarci l’acqua sul petto e sulle spalle con le mani; poi, lui si appoggiò con la schiena alla parete della vasca e io mi sedetti davanti a lui, in mezzo alle sue gambe divaricate, appoggiandomi con le spella al suo petto.
Subito, le sue braccia mi avvinsero e mi strinsero a lui. Avevamo solo la testa fuori dall’acqua. Mi rovesciai con la nuca sulla sua spalla, mentre lui con una mano prendeva a carezzarmi il petto e con l’altra mi lisciava l’uccello, iniziando a masturbarmi.
“No… mi fai venire…”, sospirai.
“E non vuoi?”, mormorò lui.
“Non ancora…”
Sentivo il suo cazzo duro premermi sul fondo della schiena; allora, mi sollevai il necessario con il bacino, me lo puntai sul buco del culo, frollo ormai dal desiderio e dall’acqua calda, e me lo lasciai scivolare dentro piano piano, fino a ritrovarmi con lo sfintere stretto alla sua base.
Rimanemmo così, senza muoverci, per lo meno io, perché lui aveva ripreso a carezzarmi e a lisciarmi le palle e l’uccello con mano leggera.
“Ti peso?”, gli chiesi ad un tratto, perso nel piacere che mi stava procurando.
“Neanche se tu fossi un elefante…”, rispose lui, che evidentemente si stava godendo quei momenti non meno di me.
Infine, quando ormai vibravo come la corda di un violino, lui fece quella carezza di troppo, che mi scaraventò oltre il limite, e con un gemito mi abbandonai all'orgasmo.
"Stai venendo...", fece lui con voce strozzata.
“Anche tu…”, mormorai, sentendo le pulsazioni del suo cazzo, mentre si scaricava dentro di me.
“Mai successa una cosa del genere…”, ridacchiò lui, tornando a stringermi a sé, mentre il suo cazzo si smollava, fino a sgusciarmi fuori dal culo.
Passammo il pomeriggio immersi nella vasca a chiacchierare di sciocchezze, scambiandoci baci e carezze, e ridendo come due deficienti, ogni volta che ci scappava una pisciata, perché è anche su questo che si costruisce l’intimità fra due persone.
Cenammo in camera e poi andammo a letto, di tutto desiderosi, naturalmente, fuorché di dormire.
Ve la faccio breve: passammo la notte intera in attività, diciamo, ludiche senza farci mancare niente: io mi godetti il suo cazzo in tutti i modi possibili, nella bocca e nel culo e lui mi ricambiò al meglio, colmandomi di baci infuocati e di carezze lascive.
“Considerando che sei un maschio, etero e sposato, - lo presi in giro la mattina dopo – non posso davvero lamentarmi.”
“Mi è sempre piaciuto giocare con un altro uomo, - rispose lui, sorridendo – ma devo ammettere che con te… non mi era mai successo di perdere così tanto il controllo.”
“Vuol dire che ti piaccio?”, scherzai.
“Diciamo che non mi sei indifferente.”, rispose senza sbilanciarsi.
“Allora… ci rivedremo.”, dissi tra il serio e il faceto.
“Ci puoi scommettere le palle! - rispose lui – ma non dimenticare che sono sposato.”, ed era serio.
“Senti, mi piaci molto, e te ne sarai accorto. Ma ho la testa sulle spalle, te lo assicuro, e non sono un rovina famiglie: so stare al mio posto e capisco quando è il momento di tirarmi indietro, se questo può farti stare tranquillo.”
Lui annuì.
“Se ti va di rivederci, continuerò a guardare il tiggì delle 20, in attesa dei tuoi messaggi.”, dissi.
“No, no… - rise lui – troppo complicato: dammi il tuo cellulare, che facciamo prima.”
Memorizzò il mio numero, poi mi fissò con una luce sbarazzina nello sguardo:
“Abbiamo ancora un po’ di tempo… che ne dici di darci da fare?”
Non mi presi neanche la briga di rispondergli: mi fiondai invece sul suo cazzone molle, che fece quello che poté, devo dargliene atto, dopo le quattro o cinque sborrate, a cui lo avevo indotto durante la notte.

FINE
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