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Sborra a colazione - 2


di adad
30.12.2020    |    7.796    |    5 9.7
"”, rispose Francesco e si girò sul fianco, poggiandosi sul gomito..."
E in effetti, Francesco telefonò, qualche giorno dopo. E poi ancora la settimana successiva, e ancora e ancora, tanto che a Raffaele piaceva pensare che il loro sodalizio fosse ormai assodato. Consapevole, però, di quanto la cosa potesse essere aleatoria, ce la metteva tutta ogni volta per dargli il maggior piacere e trarne di conseguenza il maggior profitto in termini di sborra.
“Finché lo faccio godere, - si diceva – lui me lo darà.”
Se gli uomini si prendono per la gola, lui certamente prendeva Francesco per il cazzo, e la cosa stava funzionando.
Almeno una volta alla settimana, Francesco lo chiamava e si vedevano da qualche parte, in un parcheggio o in un angolo nascosto del parco, dove potessero godere della necessaria discrezione. Nessuno dei due, infatti, aveva interesse a sputtanarsi in qualche modo.
Erano passati un paio di mesi, quando una sera Francesco si presentò con notevole ritardo all’appuntamento: avevano concordato il giorno prima di trovarsi al parcheggio dell’outlet *** alle 21, dopo la chiusura dei negozi, ma era ormai passata quasi un’ora e ancora non si era visto.
Gli aveva tirato un bidone? No, non era possibile, Francesco non gli sembrava davvero il tipo da tirare bidoni. Gli sarebbe bastato non chiamarlo più, se avesse voluto troncare. Allora? Allora doveva essere successo qualcosa… Il traffico? No, non certo a quell’ora… Ma in ogni caso, di qualunque cosa si trattasse avrebbe potuto almeno avvertirlo con un sms.
Decise di aspettare un altro po’ e poi tornarsene a casa.
I minuti passavano con una lentezza esasperante, aveva sbirciato l’orologio per l’ennesima volta e per l’ennesima volta si era guardato attorno, casomai una macchina spuntasse da qualche parte, stava per dirsi l’ennesima volta “Ancora cinque minuti”, quando finalmente due fari sbucarono dalla semioscurità della campagna e si avvicinarono sempre più abbaglianti alla sua postazione.
“Scusami… - fece Francesco, precipitandosi fuori dalla macchina – Scusami, Le-le.”
Aveva un’espressione così sconvolta sulla faccia, da far dimenticare all’altro
qualsiasi recriminazione.
“E’ successo qualcosa?”, chiese infatti Raffaele, trattenendogli la mano fra le sue, dopo avergliela stretta.
Francesco scosse la testa.
“Scusami, - ripeté – ma stasera non facciamo niente. Sono venuto solo per dirte-lo… mi sembrava brutto farlo per telefono. Magari un’altra volta…”
Liberò la mano dalla stretta di Raffaele e si voltò per tornare alla macchina.
Raffaele lo trattenne per un braccio.
“Mi fai preoccupare. Non vuoi dirmi cos’è successo?”
Francesco lo fissò, senza rispondere.
“Sei stufo, vuoi che non ci vediamo più?”, insisté Raffaele, sia pure con la morte nel cuore.
“No, che dici?…”, esclamò Francesco, accennando un sorriso.
“E allora?”
“Sali” e gli aprì la portiera, facendolo accomodare sul sedile posteriore del suv,
che Raffaele conosceva così bene.
“Mi sono lasciato con la mia ragazza…”, iniziò Francesco, dopo un momento di si-lenzio.
“Cazzo, mi dispiace.”
Francesco fece spallucce.
“Non sarà per colpa mia, spero.”
“No, non c’entri niente tu. Era da un po’ che le cose non funzionavano tra noi… stasera abbiamo litigato e mi ha detto di raccogliere le mie cose e andarmene... Anzi, di togliermi dalle palle!”
“Andartene?”
“L’appartamento è suo. Adesso ho una valigia nel bagagliaio e devo cercare un al-bergo per stanotte. Domani si vedrà. Appena mi sistemo, ti richiamo, ok?”
“Mi dispiace.”, ripeté Raffaele.
“Cose che succedono. Scusa, ma adesso devo andare.”
“Aspetta, - fece d’impulso Raffaele – posso ospitarti io, stanotte.”
“Grazie, ma no… non voglio disturbarti.”
“Ma figurati! Nessun disturbo. Dai, seguimi.”, e uscì precipitandosi alla sua auto, quasi non volesse dargli tempo di ribattere.

Deposta la valigia all’ingresso, Francesco si guardò attorno.
“Carino, - fece – mi piace… è molto accogliente.”
“Grazie. Ma accomodati.”
Pur fra le proteste dell’altro, Raffaele preparò uno spuntino con salame, formaggio e un buon bicchiere di vino, che valse a rendere l’atmosfera un po’ meno pesante.
“Senti, - disse Raffaele, quando fu il momento - non ho una stanza per gli ospiti, ma ho un letto matrimoniale… oppure, c’è questo divano – e diede due colpetti con la mano sulla seduta – non è troppo scomodo…”
“E vorresti farmi dormire sul divano?”, finse di scandalizzarsi Francesco, in realtà visibilmente sollevato.
“Nel caso non ti fidassi a dividere il letto con il sottoscritto.”
“Avrei motivo di non fidarmi?”, disse Francesco in tono scherzosamente allusivo.
“Assolutamente no! – pretestò Raffaele – Sono un ragazzo onesto… non farei mai del male ad un ospite sotto il mio tetto!”
“Allora, mi fido: vada per il letto matrimoniale.”
Possiamo immaginare il batticuore per il povero Raffaele, all’idea di averlo nel proprio letto, a strettissimo contatto di gomito, all’idea che gli sarebbe bastato al-lungare la mano per sfiorare… Per fortuna, quando tornò dal bagno, Francesco era già sotto le coperte.
“Mi dispiace, ma non ho un pigiama da prestarti.”, gli disse.
“Non preoccuparti, non lo uso… e neanche tu, vedo.”, aggiunse, vedendo Raffaele che si toglieva i pantaloni e si infilava rapidamente nel letto.
“Ti crea problemi se sono qui?”, gli chiese dopo un po’.
Raffaele sorrise.
“Un po’… - rispose con sincerità – ma non preoccuparti, terrò le mani a posto.”
“Non sarei qui, altrimenti. Buonanotte.”, disse Francesco con voce già assonnata e si girò dall’altra parte.
Dormì quella notte Raffaele? Personalmente, non saprei dirlo… io certamente no: sarei rimasto lì a macerarmi, straziato dalla voglia quantomeno di strisciare sotto le coperte fino a infilarmi dentro le mutande di Francesco e fare un po’ di ammuina con il suo pendaglio. Ma io sono quello che sono… e consiglio i giovanotti di non dividere il letto con me, se ci tengono a venirne fuori integri.
Per certo so che, quando Francesco aprì gli occhi, trovò Raffaele che lo stava fissando e che lo accolse con un sorridente “Buongiorno”.
“Buongiorno”, rispose Francesco e si stiracchiò, torcendosi da tutte le parti.
“Vado a preparare il caffè”, disse Raffaele.
“Aspetta, - mugolò sornione l’altro – Non preferiresti qualcos’altro di buono prima del caffè?”
“Per esempio una gustosa sorsata di sborra calda?”, ghignò Raffaele.
“Non sei d’accordo anche tu che non c’è niente di meglio che iniziare la giornata con un buon pompino?”, confermò Francesco, lisciandosi ostentatamente
il duro pisello, che gli si allungava fremente sotto le mutande umide del sudore notturno.
“Parole sante…”, gli fece eco Raffaele, leccandosi le labbra e allungando la mano verso il suo inguine.
Quel duplice tocco intensificò il turgore dell’organo, che ormai spasimava dalla voglia di essere soddisfatto. I due si sorrisero nella penombra della stanza. Poi, Raffaele, scostò le coperte. Un’aura tiepida lo accolse, un aroma intenso gli riempì le narici e lui lo respirò, mentre focalizzava lo sguardo sul triangolo biancastro degli slip di Francesco, sulla borsa gonfia dei coglioni, sul profilo lungo e massiccio del cazzo, schiacciato contro la pancia dalla maglina elastica… Avvertì il fluido magnetico, che vi si sprigionava, che lo attirava come una calamita… Il desiderio si fece insostenibile e lui si chinò, con la testa, delirante come sempre, a poggiare le labbra sul rigonfio umido e caldo, incurante dell’afrore non proprio invitante, dopo una notte di sonno.
“Ah, quanto mi mancava…”, mormorò Francesco, rabbrividendo.
“Da quanto tempo non vieni?”, chiese Raffaele, mordicchiando la lunga sagoma sotto gli slip.
“Una settimana…”, sospirò Francesco.
“Cazzo…”, sospirò Raffaele, intensificando il mordicchiamento del capitone, fino a giungere alla chiazza già bagnata sulla punta.
La succhiò, gustandosi quel primo assaggio; poi estrasse un coglione dal lato degli slip e prese a slinguarlo con delicata dolcezza. Il sapore aspro della pelle sudaticcia lo deliziò ed estrasse anche l’altro, leccandoli con passione e prendendoli in bocca uno alla volta per spremerli come prugne mature.
Francesco rimase deliziato da quel gioco, nuovo per lui. A esaltarlo non era sol-tanto il piacere fisico che innegabilmente provava, ma anche e soprattutto la gratificazione che gli derivava dalla consapevolezza che un altro uomo gli stava leccando le palle e gliele stava leccando senza nessuna costrizione, di sua spontanea volontà. Un conto era che gli succhiasse il cazzo o bevesse la sua sborra, un altro era che arrivasse a leccargli le palle: c’era in tale gesto un atteggiamento di sottomissione alla sua virilità, un sentimento di adorazione, che andava oltre la semplice voglia di cazzo e non poteva lasciarlo indifferente. Fu in questo momento che cominciò a provare qualcosa verso Raffaele, qualcosa che mutò il loro rapporto, rendendolo più intimo e vero. Fu in questo momento che i due si avviarono a diventare indispensabili l’uno per l’altro.
“Ci sono troppi peli su queste palle…”, mugugnò Raffaele, mentre sputava fuori
un ovulo e si toglieva un pelo dalla lingua, prima di occuparsi dell’altro.
“Li taglieremo… - sospirò Francesco nella sua agonia di piacere – ma continua… ti prego… mi fai morire…”
E Raffaele continuò con passione, con amore, con lubrica follia. Infine, fu France-sco stesso che si cavò dagli slip ormai fradici l’uccello spasimante, offrendolo alla bocca vorace di Raffaele, che non aspettava altro.
Sarebbe noioso stare a ripetere la sinfonia di sensazioni e piaceri che il giovane fu capace di trarre da quel prodigioso strumento: basti dire che alla fine dell’esecuzione, Francesco era stremato e lui euforico più che mai per la quantità di sperma che aveva trangugiato: una sborrata che sembrava non finisse mai.
Stavolta Francesco, abbandonato sul letto, non glielo tolse di bocca e Raffaele poté leccarselo a suo agio finché non fu del tutto moscio e svuotato.
“Stamattina hai superato te stesso.”, gli disse dopo un po’, mentre erano sul letto, distesi fianco a fianco, ancora ansimanti.
“Mi sentivo ispirato…”, rispose Raffaele.
E poi, dopo aver esitato a lungo:
“Ti secca se mi faccio una sega?”, chiese un po’ intimorito.
“Certo che no.”, rispose Francesco e si girò sul fianco, poggiandosi sul gomito.
“Ti secca se ti guardo?”, disse poi, mentre l’altro si abbassava gli slip sotto le palle e iniziava a menarsi l’uccello turgido.
“Tienimi la mano…”, mormorò Raffaele.
E continuò a segarsi, mentre Francesco gli stringeva la mano e fissava incantato lo scorrere su e giù lungo l’asta fremente. Era la prima volta che vedeva un uomo masturbarsi, per lo meno dal vivo, e la cosa lo incuriosiva e nello stesso tempo lo turbava. Sentì un senso di languore prenderlo al basso ventre, ma il suo cazzo era troppo stremato per reagire.
Poi, Raffaele gli strinse forte la mano e con un gemito si contorse, mentre dall’uccello gli schizzava fuori un getto biancastro, seguito da un altro e un altro ancora, che gli ricaddero addosso e gli infradiciarono la maglietta fin sopra il pet-to. L’odore del suo seme era intenso e Francesco si ritrasse con una smorfia: era la prima volta che lo sentiva, per lo meno quello di un altro.
Raffaele se ne accorse.
“Scusami… - mormorò e cercò di staccare la mano, tirandosi più lontano – capisco che non dev’essere un bello spettacolo.”
“No, scusami tu, - rispose Francesco, trattenendolo – è la prima volta…”
Dopo una doccia rigenerante, ognuno per conto suo, ovviamente, erano seduti al tavolo di cucina a fare colazione.
“Più tardi cerco una sistemazione e tolgo il disturbo.”, disse Francesco.
Raffaele ebbe un tuffo al cuore: già si era abituato alla sua presenza.
“Nessun disturbo, credimi, - fece – puoi stare tutto il tempo che vuoi.”
“Grazie, vuol dire che farò le cose con calma.”
“Mettici tutto il tempo che occorre, - lo rassicurò Raffaele – non mi dispiace… an-zi, sono felice di averti qui.”
“Davvero?”
“Ed anche comodo: evitiamo di trovarci nei parcheggi o sotto i ponti.”
“Non ti ho mai portato sotto i ponti!”, protestò Francesco.
“Dico per dire… In realtà… mi farebbe piacere se tu restassi… potremmo dividere le spese e io ti lascerei tutto lo spazio che ti serve… L’unica cosa che ti chiedo è di non portare le donne in casa.”
“Mi sembra giusto. – fece Francesco, che già accettava - E neanche tu porterai al-tri uomini…”
“Io non porto uomini in casa! – rispose Raffaele piccato – Non sono gay.”
“Appunto, e neppure io. Niente donne e niente uomini. Solo noi due, ok?”
E si strinsero la mano per siglare l’accordo.
Quella sera, tornato dall’ufficio, Francesco disfece la valigia, sistemando le sue co-se nello spazio dell’armadio che Raffaele gli aveva liberato, dispose in bella mostra alcuni soprammobili, che aveva con sé, cercò spazio nella libreria per alcuni libri e sotto il televisore per alcuni dvd, poi, guardandosi attorno soddisfatto:
“Mi piace il nostro appartamento, - esclamò – mi piace davvero.”

(continua)
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