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Gay & Bisex

Il destino nelle tue mani - 1


di adad
21.09.2022    |    4.420    |    2 9.5
"Possiamo immaginare le condizioni di quei poveretti, se gli stessi aguzzini ritennero opportuno gettarli in alcune grosse vasche perché si scozzonassero..."
Dopo un lungo e sanguinoso assedio, Rodi era caduta. Formalmente, il Gran Maestro dei Cavalieri di San Giovanni si era arreso al magnifico Solimano sulla promessa che la città sarebbe stata risparmiata e i cavalieri superstiti sarebbero stati fatti partire; ma una volta aperte le porte, nessuno era riuscito a fermare la furia dei Giannizzeri, che erano dilagati nella città, abbandonandosi a stupri e saccheggi, triste destino che l’inesorabile legge della guerra prescrive ai vinti.
I più dei cavalieri, come promesso da Solimano, si imbarcavano intanto diretti a Malta; ma Nicola da San Domenico non era fra essi. Rimasto imbottigliato nella ressa dei rodioti che cercavano un qualche rifugio, era stato catturato e chiuso con altri in una delle segrete del castello, in attesa di essere destinato al mercato degli schiavi in qualche lontana piazza orientale.
Era passata una settimana, quando i prigionieri furono finalmente tratti dalla loro prigione, una settimana in cui avevano conosciuto tutti i tormenti dell’inferno, dalla fame ai maltrattamenti, al tanfo infernale degli escrementi sparsi fra la paglia marcia che copriva le pietre sconnesse del pavimento. Una volta al giorno gli veniva dato un tozzo di pane secco da mangiare e una brocca di acqua sporca da bere. Qualcuno era morto, di stenti e di malattia; altri erano ridotti in fin di vita. Diverse giovani donne erano state prelevate per essere date in pasto alla lussuria della soldataglia e probabilmente erano morte anch’esse. Dopo una settimana, era giunto comunque l’ordine di prelevare i prigionieri e prepararli per essere condotti al mercato di Smirne, dove sarebbero stati venduti.
Possiamo immaginare le condizioni di quei poveretti, se gli stessi aguzzini ritennero opportuno gettarli in alcune grosse vasche perché si scozzonassero almeno dello sporco più grosso. Dopo di che, li rivestirono di grezzi sacconi di canapa e li incatenarono di nuovo per condurli alla nave.
Al momento dell’imbarco, però, prima che i prigionieri cominciassero a salire sulla passerella, un personaggio si fece strada tra la folla, un personaggio importante, a quanto pare, se la gente si faceva timorosamente da parte per farlo passare e il capitano della galera gli si fece rispettosamente incontro. I due parlottarono fittamente sottovoce, quindi, sia pure all’apparenza contrariato, il capitano si fece da parte e col gesto della mano lo invitò a procedere.
L’uomo si fece avanti e si avvicinò ai prigionieri, cominciando a passarli in rassegna uno per uno fino all’ultimo. Tornando poi indietro lungo la fila, si fermò all’altezza di Nicola e:
“Lui”, disse.
Il capitano annuì e fece un gesto ai suoi scherani, che liberarono il giovane e lo consegnarono all’uomo, mentre gli altri riprendevano il loro triste cammino, che si sarebbe concluso chissà dove. L’uomo consegnò al capitano una borsa, che quello soppesò stavolta con soddisfazione, poi prese Nicola per un braccio e lo trascinò fuori dalla folla; venuti in disparte:
“Sono Ahkmed effendi, - gli disse con voce burbera, ma senza durezza – Come ti chiami?”
Già scombussolato da quanto era successo, Nicola rimase un momento spiazzato dal sentirsi parlare in italiano, poi:
“Nicola, signore, - rispose – Nicola da San Domenico.”
“Nikol… - fece l’uomo, ripetendo il nome in turco – Parli la mia lingua?”
“Sì, effendi.”
“Bene: da questo momento dimentica la tua, parleremo solo in turco. Come avrai capito, stavi per imbarcarti per essere portato a Smirne, dove saresti stato venduto a chissà chi. Io ti ho riscattato e adesso mi appartieni. Capisci cosa significa?”
Il giovane abbassò la testa: lo capiva bene, era schiavo di quell’uomo.
“Sì, effendi…”, rispose.
Ahkmed annuì soddisfatto.
“Non ti faccio legare, - proseguì – ma voglio la tua parola di cavaliere che non tenterai la fuga. Del resto, neanche potresti e sai bene qual è la pena per gli schiavi fuggitivi.”
Il palo! Nikol sentì un brivido corrergli lungo la schiena, sapeva di quel terribile supplizio: un palo appuntito che veniva infilato attraverso l’ano e spinto dentro finché non fuoriusciva dal petto o dalla gola… la morte era lunga e dolorosa... molto lunga e molto dolorosa. Gli tremarono le gambe.
“Non fuggirò, effendi.”, balbettò con le labbra secche.
Ahkmed annuì di nuovo, facendo oscillare il gran turbante.
“Bene, lo sapevo che sei un ragazzo intelligente. Non fare sciocchezze e non te ne pentirai. Adesso vieni.”, e si avviò con passo deciso, senza mai voltarsi indietro: non aveva dubbi che l’altro lo seguisse.
E Nikol lo seguì, a testa bassa, quasi con le lacrime agli occhi, ma non aveva scelta: il suo passato, il suo onore, la sua libertà, la sua vita stessa non esistevano più. Era uno schiavo… era stato venduto e comprato. Non apparteneva più a se stesso. Era una proprietà di cui altri potevano disporre. China la testa e segui il tuo padrone.
Certo, noi moderni ci meravigliamo della passiva acquiescenza con cui Nicola da San Domenico, sergente dei Cavalieri di San Giovanni, accettasse la sua nuova condizione servile, ma quelli erano tempi diversi e così funzionavano le cose: la schiavitù era un fatto inevitabile, nel momento stesso in cui non si era più in grado di conservare la propria libertà. Non c’era possibilità di scelta: o l’accettavi o morivi. E l’animo del povero Nicola era già stato fiaccato, oltre che dallo smarrimento della cattura, anche da quella terribile settimana di prigionia nelle segrete del castello e dalla prospettiva di finire venduto in chissà quale lontana piazza orientale. Ritrovarsi nelle mani di un padrone come Ahmed effendi, possiamo dire che lo considerò quasi una fortuna e ne fu sollevato. Altri lo avrebbero immediatamente frustato, per fargli passare qualsiasi velleità di fuga o di rivalsa e ribadire la sua condizione: un oggetto il cui valore era puramente veniale, il prezzo pagato per il suo acquisto. Ahmed sembrava diverso, almeno finora, sembrava più umano.
Giunti alla locanda in cui Ahmed aveva preso alloggio, l’uomo lo fece rifocillare e vestire di abiti decenti, dopo di che raggiunsero il porto e salirono su una nave militare, che alzò le vele alla volta di Costantinopoli, come gli occidentali ancora chiamavano la capitale dell’Impero Ottomano, la nuova Istanbul.
Quando seppe dove erano diretti, Nikol si sentì prendere da un senso di vertigine: aveva sempre sentito dire meraviglie della Città Santa, della Nuova Roma erede dell’Impero… Anche se adesso non era più cristiana, nulla aveva perso nell’immaginario della gente.
La pesante galera da guerra avanzava lentamente lungo le coste dell’Anatolia: la mancanza di vento, infatti, costringeva a proseguire a remi; ma finalmente in un limpido pomeriggio di gennaio:
“Stiamo per arrivare.”, gli disse il suo padrone Ahmed, non meno elettrizzato e commosso di lui.
E infatti, poco dopo ecco apparire il profilo possente della città. Quello che vide, non appena la nave fu abbastanza vicina, gli tolse il fiato, con i minareti appuntiti, che si innalzavano quasi a traforare il cielo; e poi il porto commerciale con le miriadi di navi alla fonda, l’andirivieni di barche e zatteroni che collegavano le due sponde del Corno d’Oro, fitte come un ponte ininterrotto, carichi di merce d’ogni tipo; facchini e operai che sciamavano per il porto in una confusione che sul momento lo lasciò stordito.
E quando sbarcarono ed entrarono in città, Nikol si trovò immerso nel caos delle strade cittadine, ingombre di venditori e di gente di ogni razza, turchi, ebrei, greci, veneziani, armeni, genovesi… ognuno con il suo sfavillante costume
multicolore: una babele assordante di lingue e di figure in movimento, uomini e animali, che lo urtavano e gli tagliavano la strada, tanto da farlo ristare confuso e spaesato. Fu Ahmed effendi a trarlo d’impaccio: lo prese per un braccio e lo tirò in una stradina secondaria abbastanza deserta.
“Prendiamo di qua, - gli disse – presto saremo a casa.”
Chiamare casa quella in cui Nikol fu condotto è alquanto riduttivo, il giovane si trovò a mettere piede, infatti, in un palazzo ampio e sontuoso, che doveva essere appartenuto a qualche dignitario bizantino, prima della conquista.
Qui il giovane venne ospitato e accudito con un cura che contrastava con la sua condizione servile e Nikol se ne meravigliava, non riuscendo a capirne il motivo; poi, un giorno, Ahmed gli consegnò degli abiti di squisita fattura e:
“Indossali, - gli disse – è arrivato il momento.”
“E’ arrivato il momento? Non capisco, effendi.”, si stupì Nikol.
“E’ giusto che tu sappia. Non ti ho comprato per me, Nikol, ma per omaggiare qualcuno… Oggi ti consegno a lui. Comportati bene, sia per me che per te. Da questo momento, la tua vita appartiene al tuo nuovo padrone, ma il tuo destino resta nelle tue mani.”
Salirono su una lettiga chiusa da pesanti tendaggi e partirono, accompagnati da servi armati. Nikol si sentiva frastornato: cos’era questa novità? Pensava che sarebbe rimasto in casa di Ahmed per qualche compito che ancora non gli era stato precisato, e invece… Quale sorte lo attendeva col nuovo padrone? Il chiasso della strada contribuiva ad aumentare la sua confusione. Quando scesero dalla lettiga, Nikol si trovò davanti ad un palazzo immenso, alcune parti del quale erano ancora in costruzione. Con suo stupore, le guardie armate di posta al grande portale li lasciarono passare senza problema e appena furono all’interno, un eunuco accorse, parlottò con Ahmed, poi si inchinò e li guidò attraverso una teoria di sale e corridoi, che lasciarono il giovane a bocca aperta, per la ricchezza delle decorazioni e i pavimenti di lucido marmo.
Ma chi era il padrone a cui Ahmed effendi lo aveva destinato?
Arrivati in un ampio corridoio, si fece loro incontro un altro eunuco, dall’aspetto molto più imponente:
“Ahmed effendi! – sorrise – Sua Magnificenza chiedeva giusto di voi, i giorni scorsi.”
“Salute a voi, Gran Cerimoniere. – lo salutò Ahmed – Sapete dirmi dove posso trovarlo?”
Gran Cerimoniere… Sua Magnificenza… A Nikol cominciarono a tremare le gambe: ma dove diavolo si trovava?
“E’ nel Padiglione delle Rose… Volete che vi annunci?”
“No, preferisco fargli una sorpresa.”
“Ne sarà felice, seguitemi. Chi è il giovane che vi accompagna?”
“Lo saprete presto, Gran Cerimoniere.”
Il corridoio li portò direttamente ad un giardino che li accolse con il profumo intenso e delicato di rose fiorite e il gorgoglio di una fontana giusto al centro: ad un angolo sorgeva un piccolo padiglione, il cui tetto spiovente era sorretto da smilze colonnine di marmo.
“E’ lì.”, disse sottovoce il Gran Cerimoniere, indicando una figura sdraiata su un divano all’interno del padiglione: era immerso nella lettura di un manoscritto.
“Aspetta qui.”, disse Ahmed a Nikol e avanzò fino all’ingresso del padiglione, dove si prosternò sullo spesso tappeto:
“La benedizione dell’Onnipotente sia su di voi, Principe dei Credenti”, lo salutò, secondo la formula di rito.
L’uomo sollevò la testa.
“Ahmed, amico mio! – disse, tirandosi a sedere – Alzati.”
Ahmed si alzò e si avvicinò.
“Dov’eri finito, che da giorni chiediamo di te.”
“Sono tornato qualche settimana fa da Rodi…”
“Eri lì, quando è caduta?”
“Sì, Magnifico.”
“Bene, mi racconterai com’è andata.”
A quel punto, Ahmed fece cenno a Nikol di avvicinarsi.
Nikol si sentiva le gambe di pastafrolla… ormai aveva capito chi era quel personaggio: era Solimano… il sanguinario conquistatore di Rodi… la causa prima delle sue sciagure! Era incapace di muoversi… perfino di respirare… e fu solo grazie al colpetto che gli diede sulla schiena il Gran Cerimoniere, che riuscì a muoversi, a venire avanti, sia pure con passo malfermo.
Giunto, come Dio volle, sulla soglia del padiglione, Nikol crollò in ginocchio, a testa bassa, tremando visibilmente.
Solimano guardò Ahmed con aria interrogativa.
“Perdonatelo, Magnifico. – disse Ahmed – Questo giovane è uno dei cavalieri che hanno difeso Rodi…”
“Ma avevo permesso che lasciassero l’isola.”, lo interruppe Solimano.
“Lui è stato catturato nella cittadella, dopo la partenza dei compagni e ceduto con altri ad un mercante di schiavi. Per caso l’ho visto quando stavano per imbarcarlo e siccome è un bel giovane, ho pensato che non sfigurasse al vostro servizio. Così, l’ho riscattato per farvene omaggio, Vostra Magnificenza.”, concluse Ahmed con un inchino.
“E noi te ne siamo grati. Come si chiama?”
“Nikol, mio signore.”
“Lo hai castrato?”
“No, Vostra Magnificenza, ho preferito lasciarlo integro: deciderete voi come usarlo al meglio.”
“Bene, sono stufo di avere attorno solo eunuchi sculettanti. Adesso va e portati via anche quell’impiccione del Cerimoniere.”
Rimasti da soli, Solimano fissò a lungo Nikol, tuttora inginocchiato a testa bassa, devastato in volto dalla terribile prospettiva di appartenere al nemico assoluto del popolo cristiano… al carnefice dei suoi confratelli… Cosa gli sarebbe successo? cosa avrebbe preteso da lui quel mostro?
Come indovinando la tempesta che gli turbinava nella testa:
“Guardami, Nikol.”, gli disse Solimano.
Nikol non si mosse.
“Guardami, ho detto!”
Al tono duro di quella voce, non certo abituata a ripetere un ordine, il giovane sollevò la testa, fissandolo straniato Dopo un attimo di smarrimento, Nikol si stupì nel trovarsi davanti un uomo così giovane, forse non ancora trentenne, magro, dal volto gradevole e dagli occhi straordinariamente penetranti, che lo guardavano con aria benevola.
“Capisco il tuo stato d’animo, - gli disse con la sua voce, adesso morbida – eri cavaliere e ti ritrovi schiavo del tuo nemico… Sono i casi della vita: poteva succedere a chiunque. La tua anima ancora si ribella, lo capisco, ma non puoi farci niente: questa è la tua realtà, prima l’accetti e meglio sarà per te. Io non sono più il tuo nemico, adesso sono il tuo padrone; e se tu non puoi sottrarti ai miei ordini, io non posso sottrarmi alla volontà dell’Onnipotente di prendermi cura di te e della tua vita. Questo lo capisci?”
Nikol fece cenno di sì con la testa.
“Bene, allora alzati e avvicinati.”
Nikol si alzò in piedi e si avvicinò esitante al divano su cui Solimano sedeva fermandoglisi davanti con le braccia penzoloni. Sul volto erano ancora visibili i solchi bagnati delle lacrime. Il sultano gli allungò una pezzuola di seta:
“Asciugati, - gli disse – non hai nessun motivo di piangere.”
Nikol la prese con mano tremante e se la passò sulle guance, mentre il sultano lo scrutava dalla testa ai piedi, affascinato soprattutto dalle morbide ciocche castane dei suoi capelli.
“Ahmed aveva ragione, – continuò Solimano – non sfigurerai al mio servizio. Sarebbe stato un peccato venderti a chissà quale vecchio vizioso, che avrebbe rovinato la tua bellezza.”
Quelle parole provocarono in Nikol un brivido di terrore, ricordandogli quanto fosse precaria la sua condizione, in balia di un padrone che poteva fare di lui quello che voleva.
“Spogliati”, gli ordinò Solimano.
Nikol sobbalzò e lo fissò stravolto: spogliarsi davanti ad un altro, quando gli avevano insegnato che per un monaco cavaliere era peccato mortale farlo perfino davanti a se stesso?
“Spogliati!”, ripeté Solimano con voce dura.
E a Nikol non rimase che ubbidire. Si sfilò la sopravveste, lasciandola afflosciare a terra, poi la camicia, restando a petto nudo, e si fermò, sperando che bastasse.
Solimano ammirò compiaciuto il torace glabro del cavaliere, morbidamente, quanto saldamente, modellato dagli strenui esercizi militari; quindi, gli fece cenno di togliersi anche il resto. E Nikol si tolse anche gli ampi pantaloni, restando solo col perizoma, deciso a tenerlo a costo della vita. A maggior difesa del suo pudore, si coprì davanti con entrambe le mani e rimase lì impalato.
Con un ghigno divertito, Solimano si levò in piedi, lo afferrò per i polsi e gli allontanò con decisione le mani dall’inguine.
“Non disubbidirmi più!”, sibilò, sciogliendo i nodi del perizoma.
Nikol era nudo, adesso, nudo ed inerme. Rosso in faccia, le braccia rigide lungo i fianchi, a subire in silenzio gli sguardi e i palpamenti del sultano, che esaminava con accuratezza la sua merce. Subiva in silenzio, ma senza poter reprimere i fremiti di ribrezzo, il tocco di quelle mani lascive, che gli scivolavano sulla schiena, sul petto, sulle natiche… si insinuandosi fin nel solco.
“Ecco… ecco l’ingresso inviolato del tuo giardino in cui voglio spargere il mio seme…”, disse ad un tratto, vellicandogli con un dito il buco del culo.
Nikol si irrigidì e cercò di allontanarsi, ma Solimano gli andò davanti e lo afferrò per le palle:
“Sì, scalpita, mio bel puledro selvaggio! – gli disse infoiato – Fiero e combattivo, come nessun altro mai!... Sarà tanto più piacevole domarti… tanto più esaltante farti mio.”, e con queste parole, suonò un campanello d’argento.
Subito comparve il Gran Cerimoniere.
“Istruiscilo sui suoi doveri e preparalo per stasera.”, gli ordinò il sultano, andando via.
Il Cerimoniere raccolse gli abiti e aiutò Nikol a rivestirsi.
“Non fare così, - gli disse, vedendolo scosso dai singhiozzi – Tutto sommato ti è andata bene. Sei uno schiavo, non dimenticarlo, e avresti potuto essere venduto chissà dove e chissà a chi. L’Onnipotente ti ha guardato con occhio benevolo.
È una grande fortuna essere scelto dal sultano per il suo letto… e non sei stato neanche mutilato! Dimentica la tua vita passata, ragazzo, e cerca di giocare bene le tue carte.”, e con quest’ultimo consiglio, il Cerimoniere lo accompagnò verso i bagni.
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