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Gay & Bisex

Nato Etero


di adad
17.04.2022    |    11.181    |    6 9.4
"Una volta che il flusso fu rallentato, senza toglierselo dalla bocca, Lello ingoiò a poco a poco la bocconata di sborra, degustandone ogni gradazione di..."
“Veramente, io nasco etero.”, disse Lello, leccandosi le labbra.
Aveva appena finito di ingoiare la copiosa produzione di Armando, che lui aveva portato all’orgasmo con un lavoretto di bocca da vero professionista, cosa che lui non riteneva di essere, ovviamente.
“Nasci etero?”, si stupì Armando, ancora fibrillante per l’abbondante sborrata che gli aveva appena scaricato nel cavo orale.
“Proprio così: nasco etero.”, ripeté l’altro compiaciuto.
Armando se la rise sotto i baffi: quante ne aveva sentite sull’argomento: cosa si sarebbe inventato questo qui?
“E come hai fatto a diventare frocio?”, chiese senza mezzi termini.
“Oddio, frocio… frocio, non direi…”
“Ah, sì? Non lo avrei supposto.”
“Il fatto che te l’ho succhiato, - spiegò Lello, mettendosi comodo sul letto – non significa che sono frocio… non significa proprio niente. - il suo tono era leggermente sostenuto - ,che c’entrano i pompini col fatto di essere gay?... non mi piace la parola frocio. Sei gay quando ti senti gay e io non ci si sento per niente.
Voi gay siete sempre così categorici…”, concluse.
“Scusa, scusa, non volevo offenderti.”, fece Armando, conciliante.
“Tranquillo… - lo rassicurò Lello – E’ tutto a posto. Non sei il primo che mi fa questi discorsi.”
E vorrei vedere, pensò Armando, che poi:
“Ma spiegami una cosa…”, gli fece.
“Spara”
“Se nasci etero, e presumo che ancora lo sei, come sei finito a?...”
“A succhiarti il cazzo?”
“Eh”
“Sei tu che mi hai contattato sulla chat, te lo sei scordato?”, spiegò Lello con logica irreprensibile.
“Un momento, se io ti ho contattato, vuol dire che tu stavi lì, col tuo bel profilo esplicito… 28 anni, maschio, cerco ragazzi 25/30 per succhiargli il cazzo, ce l’hai presente?… E poi la foto delle tue labbra in primo piano, che te le lecchi con la punta della lingua…”
Lello arrossì nella penombra della camera e non rispose. Rimase a fissare il soffitto con le mani intrecciate dietro la nuca.
“Perché hai scelto proprio me?”, chiese alla fine.
Armando fece spallucce:
“Perché mi piacciono i pompini… e mi sono detto che con quelle labbra…”
Lello si voltò a guardarlo:
“Con queste labbra, cosa?...”
“Avevo visto bene… un pompino fantastico, me lo sono proprio goduto.”, disse Armando trasognato.
“Me ne sono accorto… - ghignò l’altro – visto quanto hai sborrato.”
“Ma ti fai sempre sborrare in bocca?”
“Quando il tipo mi piace e ha un bel cazzo, sì.”
“Il che significa che ti piaccio e ho un bel cazzo?”
“Caruccio…”, disse Lello con tono indifferente, ma facendogli un sorriso malandrino.
“Mi piacerebbe darti un bacio…”, sospirò Armando.
“Na! Non sono gay, te l’ho detto: i baci sono per la mia ragazza.”
Armando fece spallucce: avrebbe desiderato davvero sentire sulle proprie la sofficità, la morbidezza delle labbra dell’altro, ma bisognava arrendersi all’evidenza. Quanto alla sua ragazza… avrebbe tanto voluto approfondire il discorso, ma si rese conto che non era il caso: se stava bene a lui…
“Ok, - fece – ma mi spieghi come sei finito a succhiare cazzi?”
Lello, non rispose.
“Dai, - insistette Armando – intanto che racconti, mi torna duro e te lo faccio succhiare un’altra volta.”
La promessa sembrò smuovere la reticenza di Lello.
“Ma, niente. – disse – Stavo giocando a carte con delle persone e avevo perso tutto… Non che si giocassero grandi cifre… ma avevo perso tutto…”
“E non volevi smettere.”, lo interruppe Armando.
“Già. È terribile, quando sei nella disperazione e ti viene l’assillo che la prossima mano può essere quella giusta… che nella prossima mano puoi rifarti… te lo senti nella pelle… spasimi…”
“Ma non hai più niente da mettere sulla posta.”
“Ma non hai più niente, esatto. Ma ti giocheresti tutto…”
Lello tacque e Armando ritenne opportuno non turbare le sue riflessioni.
“Li pregai di farmi giocare ancora, sulla parola- riprese Lello – ma si misero a ridere, gli dovevo già parecchi soldi. Ero disperato: quando ti prende il famoso demone del gioco, non capisci più niente, lo sai. Alla fine uno mi fa: ‘Altro debito non te ne facciamo, ma se proprio ci tieni, puoi giocarti quella bella boccuccia’. Pensavo che scherzassero e invece dicevano sul serio.”
“E tu?”
“Accettai. Ero sicuro di vincere, me lo sentivo nella pelle.”
“E invece perdesti…”
“E invece persi… E così dovetti succhiarglielo…”
“Non potevi rifiutare?”, chiese Armando.
“E farmi spaccare la faccia, o peggio? No, grazie: erano in tre, ci avrebbero messo poco a farmi a pezzi, con tutti i soldi che gli dovevo… I debiti di gioco si pagano, altrimenti sono dolori. Il primo mi fece abbastanza schifo, dico la verità; ma quando arrivai all’ultimo, ci avevo fatto la bocca e non dico che cominciò a piacermi, ma…”, concluse Lello, facendo spallucce.
“Ma non ti faceva schifo più di tanto.”, concluse Armando per lui.
“Già… - precisò Lello – più che altro… era diventata una cosa come un’altra… indifferente.”
“Però ti aveva lasciato il segno… Una volta che hai gustato il sapore del cazzo, non te lo togli più dalla lingua, giusto?.”, commentò Armando.
Lello scoppiò a ridere.
“E’ vero… già tornando a casa, cominciai a ripensare alla sensazione strana che quelle cappelle smussate mi facevano in bocca, al sapore della bava che mi impiastricciava la lingua…”
“Ti hanno sborrato in bocca?”
“No, loro no…”
“Loro no? vuoi dire che ce ne sono stati altri?”
“Se sono qui a succhiare il tuo, per forza! Non trovi? - rispose Lello – Ma vedo che sei pronto per il secondo round.”, disse, girandosi verso Armando e notando il suo cazzo pulsargli a mezzaria, con un filo traslucido, che si allungava a formargli una pozzetta sulla pancia, poco sotto l’ombelico.
Allora, lo prese con la mano e stette a rimirarlo con gli occhi luccicanti.
“Che bello…”, sospirò.
Poi, si chinò, inspirò profondamente, riempiendosi i polmoni del profumo acre, e con un guizzo della lingua lappò la goccia di sugo che stava sgorgando. Leccò, quindi, tutt’attorno alla cappella i residui della sborrata precedente, frugandoli fin nelle pieghe del prepuzio carnoso, fino a ritrovarsi fra le mani e sotto la lingua un’asta in piena fibrillazione. Allora dischiuse le labbra e lo ingoiò quasi per intero.
Rimase così per un pezzo, con l’uccello di Armando infisso nella bocca quasi per intero, poi lentamente si tirò indietro, prendendo a lavorare di labbra, di lingua e leggermente anche coi denti, solo sul glande.
Se prima aveva boccheggiato, ritrovandosi col cazzo avvolto dalla bocca risucchiante di Lello, adesso Armando prese a gemere e singultare ad ogni mulinello della lingua attorno alla cappella, ad ogni morsetto sul frenulo in punta di denti, ad ogni scivolata di quelle labbra voraci fino alla radice.
A farlo impazzire non era solo il piacere di sentirselo succhiato, era l’adorazione che percepiva in Lello verso il suo cazzo, era la foga che l’altro ci metteva, era la sensazione della saliva che gli scorreva a rivoli lungo l’asta, impregnandogli il ciuffo del pube e colandogli fin tra i peli dello scroto.
Per quanto avesse goduto da poco, complice anche la giovane età, Armando non ci mise molto a ritrovarsi di nuovo sull’orlo del baratro. Ma non voleva venire, non ancora: era troppo bello… Fece per fermare il suo tormentatore, me non ce ne fu bisogno: alla prima leggera pulsazione, foriera d’orgasmo, Lello si interruppe: senza fare mosse brusche se lo sfilò lentamente dalla bocca e si rivolse con un sorriso radioso ad Armando, che lo fissava stravolto. Non appena la tensione si fu placata, Lello riprese a far l’amore col cazzo di Armando, fin quando si rese conto che l’altro era allo stremo: allora avvolse strettamente le labbra attorno alla cappella, impugnò l’asta alla base e diede un paio di colpetti, dando compimento all’opera.
Trafitto dall’esplosione lancinante dell’orgasmo, Armando gli abbrancò la testa e diede un colpo di reni, cercando di affondarglielo tutto nella gola, ma Lello sapeva il fatto suo e fece resistenza, lasciandosi scivolare sulla lingua i fiotti densi di sperma, che si susseguivano a raffica, fin quasi a riempirgli la bocca.
Una volta che il flusso fu rallentato, senza toglierselo dalla bocca, Lello ingoiò a poco a poco la bocconata di sborra, degustandone ogni gradazione di sapore.
Intanto il cazzo di Armando gli si andava smollando nella bocca, ma non per questo lo lasciò: prese anzi a popparlo come un vitello, quasi ad estrarre dalle palle ogni residua goccia di sugo. E solo quando non ne venne fuori più niente, lo lasciò con un bacio e poggiò, esausto, la testa sull’addome di Armando, che prese a carezzargli i capelli, senza parlare, solo col respiro ancora grosso per il recente orgasmo.
A quel punto, il torpore li avvolse e caddero entrambi in un placido dormiveglia, più profondo quello di Armando, meno quello di Lello, tormentato da un erezione che gli furoreggiava dentro le mutande. Infatti, aveva rifiutato di spogliarsi, essendo inconcepibile per un etero come lui, trovarsi a letto nudo con un altro uomo parimenti nudo. Lo so che viene da ridere solo a pensarci, ma ognuno ha le sue fisime. Il suo cazzo, però, non la pensava come lui e sbraitava dal bisogno di godere e scaricarsi.
Allora, accertatosi che l’altro dormiva, Lello se lo tirò fuori dalle mutande bagnate e cominciò a masturbarsi con mosse lente. Ma per quanto piano facesse, il suo movimento finì col destare l’amico che, resosi conto di cosa stava facendo:
“Lascia, te lo succhio.”, gli disse.
Lello rifiutò.
“Lascia almeno che ti faccia una sega… mi piace masturbare i ragazzi…”
Ma ancora una volta, l’altro rifiutò:
“Carezzami i capelli…”, disse soltanto.
E così continuò a masturbarsi, mentre Armando gli carezzava con dita leggere i folti capelli bruni, e il respiro gli si faceva più pesante e lo scorrimento della mano più scomposto, finché con un rauco gemito di gola, le palle gli si incordarono e il cazzo sparò fuori un primo schizzo di sborra, seguito un secondo e poi un terzo.
Stavolta fu lui a cadere in un torpore profondo, da cui si riscosse dopo un pezzo, ritrovandosi con il cazzo flaccido ancora in mano e Armando poggiato di fianco sul gomito, che lo fissava.
“Cosa c’è?”, chiese con la voce ancora impastata.
“Niente, - rispose l’altro – fissavo le tue labbra… quanto mi piacerebbe baciarle…”
Armando non rispose, perso ad occhi aperti in chissà quali pensieri.
“Sai giocare a poker?”, chiese alla fine.
Armando sentì un fremito percorrergli il cazzo esausto.
“No… - disse con una nota di rammarico – ma possiamo giocarcele a dadi…”
“Dieci tiri, a chi fa più punti. – si tirò su Lello, con gli occhi che li brillavano d’eccitazione – E tu cosa metti in palio?”
“Il culo, - rispose Armando – sono ancora vergine.”
Lello lo fissò con aria incredula.
“Ancora vergine? – scoppiò a ridere – a chi vuoi darla a bere?”
“Nasco attivo, io! - replicò Armando, fingendosi piccato – Lì dietro non ci è passato mai nessuno.
“Ok, ok. – tagliò corto Lello, ormai in preda al demone del gioco – Io mi gioco le labbra, che potrai baciare, se perdo, e tu il culo… che tanto, alla fine, te lo scopo lo stesso!”
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