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Incontri fortuiti - 1


di adad
30.01.2023    |    14.227    |    16 9.4
"Ad un tratto, mi resi conto che mancava qualcosa… Mi guardai attorno e… le cicale! Mancavano le cicale, per essere nel cuore dell’estate..."
Andavo spesso a passeggiare nel Bosco dei Castori, l’esteso parco boscoso, che occupava un’intera collina alle spalle della città, e così chiamato per chissà quale oscuro motivo. Sull’ampia cima c’era una radura con i soliti percorsi della salute, che ovviamente non mi sono mai sognato di fare: da qui una serie di sentieri si diramavano in varie direzioni, adatti per fare jogging, semplici passeggiate o escursioni nei boschi confinanti.
Io ci andavo spesso i pomeriggi estivi. Parcheggiavo la macchina e poi prendevo un sentiero comodo, in piano, che portava ad uno spiazzo ombroso, circondato da alberi annosi, con alcune panchine e tavoli da picnic.
Come ho detto, ci andavo spesso i pomeriggi estivi e mi fermavo su qualche panchina a godermi la frescura offerta dai folti alberi che lo circondavano, oltre che dalla posizione elevata del luogo. In genere era pressoché deserto, per cui mi sedevo lì a leggere o semplicemente a fantasticare, finché non erano passate le ore più calde, dopo di che, riprendevo la macchina e tornavo a casa.
Qualche volta, mi era capitato di prendere uno degli altri sentieri, ma in salita e disagevoli com’erano, mi avevano presto scoraggiato, facendomi tornare alla fresca quiete di una panchina e alla lettura di un giallo, che non mancava mai nella mia tracolla di pelle marrone.
Quel giorno, ero uscito abbastanza presto, poco dopo mezzogiorno, avevo raggiunto la mia panchina preferita e avevo passato una mezzoretta a leggere e fantasticare al fresco profumato della piccola radura ombrosa. Erano i primi di luglio, di un giorno infrasettimanale, per cui, a parte qualche insetto, non c’era praticamente nessuno in giro. Una situazione quanto mai ottimale per starsene per i fatti propri a godersi la quiete della natura; ad un certo punto, però, mi sentii prendere da una strana inquietudine… no, non era inquietudine, era come una smania, un senso di insoddisfazione… una voglia di camminare, a cui non seppi resistere; così rimisi il libro nella tracolla e mi alzai, prendendo per un sentiero che si allontanava nel folto degli alberi. Ma per quanto non fosse troppo in salita, ogni tanto dovevo fermarmi per riprendere fiato. Mi piace camminare, ma sono sempre stato allergico alle salite: dopo cento metri, ho già il fiatone.
Non so per quanto tempo camminai per quella parte del bosco che non conoscevo. Alzando la testa, vedevo gli scintillii del sole al di sopra delle foglie, oltre gli alti rami degli elci e dei pini silvestri. Il silenzio era profondo, interrotto appena dal canto di qualche uccello, dal ronzio di qualche ape e dallo scalpiccio leggero dei miei passi.
Ad un tratto, mi resi conto che mancava qualcosa… Mi guardai attorno e… le cicale! Mancavano le cicale, per essere nel cuore dell’estate. A ripensarci, però, non ne avevo mai sentite da quando avevo lasciato le mie terre, per venire a vivere qui. E all’improvviso mi assalì la nostalgia dei pomeriggi delle mie campagne, assordato dal frinire implacabile di milioni di cicale. Per lunghi istanti ne ebbi la testa piena, poi quel suono svanì per incanto, riempiendomi le orecchie di un silenzio ancora più palpabile.
Poi lo sentii… un suono… oltre i cespugli, da qualche parte… un gemito ricorrente e un leggero ansimare, interrotto ogni tanto come da un grugnito. Mi bloccai col cuore in gola, temendo qualche animale selvatico, la cui presenza era stata avvistata anche nella zona, negli ultimi tempi; e mi guardai attorno, cercando di elaborare una via di fuga, qualora se ne fosse presentata la necessità.
Ma ecco che il suono si ripeté, più nitido stavolta, e la paura fu sostituita da un brivido di lussuria: da qualche parte, dietro quei cespugli, qualcuno stava scopando… e non erano certo né lupi, né cinghiali!
Il primo impulso fu di allontanarmi zitto zitto; ma subito dopo prevalse l’istinto guardonesco e aguzzai le orecchie per cogliere la direzione da cui provenivano quei suoni. Mi guardai attorno, per capirne la provenienza e la individuai ben presto al di là di un cespuglione di rovi. Mi avvicinai in punta di piedi, mi insinuai in un varco fra le spine, abbastanza largo da non trasformarmi in un puntaspilli, e arrivai quasi a sbucare dall’altra parte, dove in un piccolo prato pressoché impenetrabile, in pieno sole, c’era una coppia che stava scopando.
Mi fermai appena in tempo, prima di oltrepassare l’ultima barriera, un leggero velo di rametti e foglioline, che a me non nascondeva niente di loro e che a loro avrebbe probabilmente nascosto poco di me.
In pratica, su un plaid steso sull’erba secca del prato, vidi una donna, abbastanza in carne, che gemeva con gli occhi chiusi ed il volto stravolto dal godimento che stava provando. Le grosse tette sporgevano ai lati, schiacciate dal peso del maschio che la stava fottendo con vera gagliardia. E il maschio era un negro. Il sudore copriva la loro pelle, facendola luccicare al sole.
Non avevo mai avuto rapporti, intendo di tipo intimo, con un nero e non perché ne mancassero di disponibili nelle vicinanze di dove abito, o comunque in città, ma perché non mi avevano mai suscitato un particolare interesse sul piano erotico; quindi non ne avevo mai visto uno nudo, intendo in carne e ossa.
Anche le loro consistenti dotazioni, per lo meno quelle dei modelli in video e foto, mi avevano lasciato abbastanza indifferente: non sono un fan dei cazzi esagerati.
Stavolta, però, fosse il contrasto con la carnagione nivea di lei, per quanto accalorata si presentasse, fosse il fatto di vederlo dal vivo, confesso che rimasi impressionato da quel corpo agile, scattante, il cui bacino saliva e scendeva con il ritmo incessante di una perfetta macchina del sesso.
Il morbido colore marroncino della sua pelle sembrava sottolineare le forme vigorose del suo corpo e del suo culo carnoso, mentre si ci dava dentro nella monta. Da dove mi trovavo, però non riuscivo a vedergli il cazzo o le palle, neanche quando lei sollevò le gambone e gli avvinghiò le caviglie dietro la schiena.
Ad un tratto, il giovane sollevò il busto, puntellandosi su un braccio, mentre con la mano dell’altro afferrava una delle grosse tette e prendeva a succhiarla con vera bramosia. Riuscii allora, per un attimo, a vederlo in volto: cazzo, se era bello! Mi ricordò Denzel Washington nei momenti migliori della sua giovinezza.
Per quanto mi disturbassero le zaffate di sesso e di corpi sudati, che ogni tanto la brezza spingeva fino a me, sentii impellente il bisogno di partecipare a quel rito orgiastico e mi tirai fuori l’uccello teso allo spasimo, per farmi una sega, guardando.
Ma la mia mossa dovette provocare un qualche fruscio, perché lui si voltò verso di me e per un istante i nostri occhi si incrociarono. Un ghigno feroce di libidinosa cupidigia gli si disegnò sulla faccia, ed ebbi l’impressione che mi facesse un cenno con la testa, come a dire “accomodati”.
Ma il fatto di vedermi scoperto mi bloccò ed arretrai svelto, rimettendomi l’uccello nei pantaloni e dandomi praticamente alla fuga, come se avessi commesso chissà quale fattaccio.
Non avevo voglia di tornare a casa: erano le prime ore del pomeriggio e quello spettacolo mi aveva scombussolato troppo. Tornai alla panchina e mi sedetti, cercando di riprendere la lettura, ma continuavo ad avere negli occhi la visione di quel negro nudo e sudato, impegnato in quella folle chiavata, rivedevo il suo culo che zagagliava su e giù… instancabile… implacabile… Doveva essere senz’altro molto dotato, per far torcere la donna a quella maniera…
Mi sentii un brivido su per il buco del culo, al fugace pensiero di sentirmelo scivolare nel retto, sbrodato ancora di seme e di umori vaginali.
Scossi la testa, come a liberarmela da quei pensieri lubrichi: non era né il momento, né il luogo di abbandonarmi a simili fantasie… tanto più che se la vista soltanto quel toro era bastata ad eccitarmi così, non potevo davvero immaginare come avrei reagito, se me lo fossi ritrovato addosso nel letto…
Ero perso in queste fantasie, con il libro inutilmente aperto sulle ginocchia, quando uno scalpiccio attirò la mia attenzione. Sollevai lo sguardo e mi si mozzò il fiato: era lui, in pantaloncini corti e una camicia aperta sul petto tonico e levigato, che veniva verso di me con lo sguardo fisso e un sorriso enigmatico sulle labbra.
Mi sentii prendere dallo smarrimento, mentre lui mi si sedeva tranquillamente accanto. Arricciai il naso, sentendo arrivarmi il suo lezzo acre di sudore e di sesso, ma cercai di darlo a nascondere. Mi guardò, sempre col suo strano sorriso sulle labbra:
“Ti ho chiamato, perché non sei venuto? Lei era d’accordo a scoparla assieme.”, chiese.
Il suo italiano era perfetto, pur con quella leggera difficoltà di pronuncia, che trovo sempre così sexy in uno straniero. Non cercai nemmeno di fare lo gnorri: era evidente che mi aveva riconosciuto.
Feci spallucce:
“Non mi sembrava il caso… - tentai di trovare una scusa – Non mi piace fare il terzo incomodo…”
“Terzo incomodo? – scoppiò a ridere lui – Non immagini quante volte ce la siamo scopata in due e anche in tre.”
“Dove l’hai parcheggiata, adesso?”, chiesi tanto per dire qualcosa: quella conversazione cominciava a farsi imbarazzante per me.
“È tornata a casa sua… ma posso richiamarla, se vuoi. È una che davanti al cazzo, non dice mai di no.”
“Nah! Lascia perdere. – tagliai corto – Da quale parte del mondo provieni?”, chiesi tanto per sviare il discorso.
“Senegal… Mi chiamo Samuel.”, e mi tese la mano.
Gliela strinsi, una mano forte, asciutta. Mi piacque il contatto.
“Luigi”, mi presentai.
Continuammo con le solite banalità: da quanto sei in Italia, parli bene la nostra lingua… e intanto non mancavo di sbirciargli in mezzo alle gambe, dove si elevava un montarozzo non indifferente, che sembrava dare ragione a quanto si dice sulla superdotazione dei negri… teoria per altro supportata dai video che mi era capitato di vedere.
Dovette accorgersene, perché ad un tratto:
“Ti piace il cazzo?”, mi chiese senza pudore, ma con un lampo di cupidigia negli occhi marroni.
Scoppiai a ridere: che senso aveva fare la verginella?
“Perché me lo chiedi?”
“Perché continui a guardarmi lì… Ti piace?”
“Mi chiedevo se voi ragazzi di colore siete davvero così dotati, come si dice.”
“Di’ pure voi negri, non mi offendo. Anzi, il negro fa sangue, non trovi? – ghignò – Quanto al resto, giudica tu.”, e così dicendo sollevò il bacino e si tirò giù i pantaloncini, che avevano la cintura elastica.
Sotto indossava un minislip marroncino, che faticava a contenere un travetto già mezzo duro, disteso di traverso.
Samuel mi fissò.
“Vuoi vedere il resto?”
“Già che ci sei…”, dissi, sentendomi un perfetto idiota.
Non se lo fece ripetere: sempre fissandomi negli occhi, Samuel agganciò col pollice la cintura dello slippino e la scostò, facendo balzare fuori una sleppa di cazzo ormai duro di almeno una ventina di centimetri.
“Accidenti!...”, feci, mentre lui, con un’abile mossa, agganciava la cintura sotto la borsa delle palle.
“Ti piace?”, disse, impugnandolo e tirando giù la guaina, fino a scoprire del tutto la cappella.
Una zaffata acre di sudore e sesso stantio si sprigionò dalle pieghe del prepuzio.
“Non mi dispiace…”, risposi in tono neutro, mentre lottavo con me stesso per sopportare quel tanfo.
Sia la verga che lo scroto erano molto più scuri del resto del suo corpo.
“Vuoi succhiarlo?”
“Vai pure con gli uomini?”, chiesi, più che altro per non rispondergli.
Lui fece spallucce:
“Vado con chi lo vuole… - rispose, prendendo a menarselo lentamente – Allora?”
“Senti, Samuel, - dissi allora – parlando seriamente, sei un ragazzo carino, spiritoso, hai un cazzo notevole… ma… ecco, non ho mai fatto sesso con un ragazzo nero… non so se riesco a spiegarmi.”
“Vuoi essere corteggiato? Non c’è problema, - fece lui, venendomi più vicino e passandomi un braccio sulle spalle - io ti scoperei volentieri… Mi piace il culo. A volte incontro coppie con marito cornuto, che prima mi fotto la moglie, poi m’inculo il cornutone… è la moglie stessa che me lo chiede. Sono bravo a metterlo nel culo… Ti piacerà…. Vedrai come ti farò godere…”
Non posso negare che quei discorsi producessero un certo effetto su di me, come pure che cominciassi a sentire il desiderio di cimentarmi con quella grossa fava… ma nelle condizioni in cui era attualmente…
“Ascolta, Samuel, - dissi allora – non metto in dubbio la tua bravura, e non nego che ho voglia di provarci… ma in questo momento…”, e arricciai significativamente il naso.
Per un attimo sembrò non capire, poi abbassò la testa, si diede un paio di sniffate e scoppiò a ridere.
“Dici che puzzo? Ho appena sborrato in figa!”
“Ecco, appunto.”
“Non ti piace odore di figa?”
“Né quello della figa, né quello del cazzo sporco.”, dissi con un sorriso disarmante, per evitare che potesse offendersi.
“Ah, ok, - disse, però, lui allegramente, dandomi una manata sulla spalla – sei simpatico, mi piaci… Ti inculerò volentieri. C’è una fontanella, laggiù: ci laviamo e poi scopiamo, ok?”
Infatti, un po’ defilata, c’era una fontanella, di quelle col rubinetto a pulsante.
Samuel si alzò e mi fece cenno con la testa di seguirlo. Non ero ancora molto convinto: stava avvenendo tutto troppo in fretta e troppo al di fuori dai miei canoni, ma devo confessare che quella situazione sotto sotto mi intrigava parecchio: insomma, chi non ha mai fantasticato di essere abbordato da un negro superdotato, all’interno di un parco, nel pieno di un afoso pomeriggio estivo?
Uhmm!... non vedo molte mani alzate.

(continua)
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