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Alle falde del Kilimangiaro - 1


di adad
16.01.2019    |    15.866    |    16 9.6
"“Hai freddo?” “No”, risposi, frenando a stento il desiderio di scendere con la mano sulla sua natica, di cui sfioravo appena l’inarcatura..."
AVVERTENZA:
il presente racconto presenta descrizioni e linguaggio che ad un esame approfondito potrebbero rivelarsi di natura razzista, omofoba o comunque politicamente scorretta. Le persone perbene, pertanto, sono caldamente sconsigliate dall’intraprenderne la lettura.

Nel continente nero,
paraponziponzipò
Alle falde del Kilimangiaro,
paraponziponzipò…

L’animatore del villaggio turistico impazzava sul palchetto e tutti gli imbecilli intorno a ripetere estasiati il paraponziponzipò, saltellando e dimenando il sedere al giusto ritmo e fra le più matte risate.
Non ne potevo più. Non che non amassi il divertimento, anzi! Semplicemente, non ho mai sopportato le cretinate. E questa era una di quelle. Mi affrettai a finire la mia birra e mi avviai per un vialetto fra i cespugli, verso la riva del mare. Chissà perché ero finito in quel villaggio turistico, poi… Beh, perché, dopo la mia ultima fatica letteraria (modestamente, sono uno scrittore di un certo successo), avevo voglia di una vacanza e avevo scelto questo villaggio turistico, che mi sembrava quanto di meglio ci fosse sul mercato: ecco perché!
Ma sì, chi se ne frega… c’è il mare e io adoro il mare… L’odore dell’acqua, la sua carezza fresca sulla pelle… Mi bastava vedere l’azzurro dell’acqua, perché il cuore mi si aprisse e i polmoni respirassero meglio.
A mano a mano che mi allontanavo dal dancing, i paraponziponzipò si affievolivano nella notte e cominciavo ad avvertire davanti a me il mormorio fluido della risacca sulla battigia…
Ma più forte mi giunse ad un tratto un diverso rumore di acqua: l’inconfondibile scroscio di una pisciata! Mi girai di scatto verso sinistra, da dove proveniva il suono e poco più in là vidi un’ombra di spalle, a gambe larghe, che la stava facendo contro il tronco di una palma. Inconsapevolmente, mi fermai a guardare. Il chiarore lunare era abbastanza forte, ma nella penombra, non riuscivo a distinguere chi era: dalla sagoma, però, sembrava essere un ragazzo giovane, e la cosa mi eccitò alquanto.
Non mi accorsi che aveva finito, per cui quando si girò, scrollandoselo, ero ancora lì a guardarlo: gli bastò sollevare la testa e mi vide. Senza scomporsi, venne verso di me, richiudendosi la patta. Allora lo riconobbi: era Tom, uno dei bagnini della spiaggia.
Tom era un ragazzo di colore e io lo conoscevo di vista, non avendo mai avuto bisogno dei suoi servigi, per fortuna, né avendo mai perso il mio tempo a ronzargli attorno per attirare la sua attenzione e cercare, magari, di ottenerne qualche attenzione… ci siamo capiti.
“Quando scappa, scappa!”, mi disse con un sorriso, una volta che mi fu vicino.
Parlava bene l’italiano, con solo una leggera inflessione straniera, che però lo rendeva ancora più accattivante. Premetto che non ho una passione particolare per i neri, anzi sessualmente mi sono abbastanza indifferenti… cioè mi erano abbastanza indifferenti… comunque, devo ammettere che Tom era un tipo interessante: volto regolare, un fisico a dir poco statuario e un malloppo mozzafiato nel costume da bagno rosso. E poi non era neanche tanto nero… E va bene! Lo avevo slumato pure io, contenti ora?
Ricambiai il suo sorriso.
“Ha proprio ragione. Buonasera.”, risposi.
“Buonasera. Non è alla festa?”
“Oh, per carità!”
Tom ridacchiò.
“Ha ragione, - fece – quelle feste sono davvero cretine.”
“Beh, ognuno si diverte come può.”, dissi e scrollai le spalle.
“Già. – concordò lui – Mi chiamo Thomas.”, e mi tese la mano.
“Lo so… Lei è Tom. - risposi, stringendogliela – Non si parla che di lei in tutto il villaggio.”
Lui scoppiò a ridere. La sua mano era calda e forte, la sua risata cordiale.
“Io mi chiamo Luca. – continuai – Lieto di conoscerla.”
“Anche per me. dove sta andando?”
“A fare due passi sulla spiaggia.”, risposi.
“E non ha paura di qualche mostro marino, che salti fuori dal buio?”, scherzò.
“Oh! I mostri marini hanno ben altro a cui pensare, che prendersela con me!”
“Beh, non si sa mai!”
“E allora non mi resta che procurarmi una guardia del corpo… Sarebbe disposto ad accompagnarmi?”
“Volentieri”, accettò lui.
“Bene, - conclusi allegramente – adesso che siamo in due, i mostri marini ci penseranno due volte, prima di farsi vedere!”
Ci avviammo verso la spiaggia, chiacchierando e scherzando, e ben presto eravamo inconsapevolmente scivolati entrambi nel più confidenziale “tu”. Arrivati alla battigia, ci
Togliemmo i sandali e ci rimboccammo i pantaloni leggeri, continuando la nostra
passeggiata con le onde che arrivavano a sciabordarci dolcemente fra i piedi.
“Che meraviglia!”, dissi, guardando la distesa tremolante che si perdeva nel buio.
“Già, - fece Tom – ma dovresti vederlo quando si agita… le onde spazzano la spiaggia fino alle capanne… Perfino i pescecani scappano via!”
“I pescecani?!...”
“Certo, è pieno di squali bianchi lì sotto, non lo sapevi?”
“Senti, Tom, per piacere!...”, sbottai col cuore in gola.
“Sto scherzando, dai…- ridacchiò lui – però, qualche barracuda ogni tanto si vede.”
Io mi fermai, fissandolo. Lui fece ancora qualche passo, poi si voltò a guardarmi con un sorriso fanciullesco sulle belle labbra piene.
“Che c’è?”, mi fece.
“Qui siamo al sicuro, spero!”
Lui allargò il braccio destro come per invitarmi a proseguire.
“Ci sono io, - disse – non preoccuparti.”, e mi passò protettivamente il braccio sulla spalla, appena gli fui accanto.
“Però, hai ragione, - fece dopo un po’ – c’è qualcosa di misterioso sotto il mare, che fa un po’ paura a tutti.”
“Infatti, non si spiegherebbe altrimenti la fortuna di tutti quei film sugli squali assassini.”, osservai.
“Non dirmi che sei andato a vederli!”
“Uno solo…”
“Poi ti sei stufato?”
“No, me la sono fatta addosso!”
Tom scoppiò a ridere, mentre io rivedevo con orrore lo spettacolo terrificante di due enormi mascelle spalancate, irte di denti, che balzano fuori dalle acque…
Eravamo andati avanti un bel pezzo, la luna era tramontata dietro l’alto promontorio; ci trovavamo ormai quasi ai limiti del villaggio, nel buio e nel silenzio più assoluti, non fosse stato per il placido sciacquio della risacca e una vaga fosforescenza tremolante sul
pelo delle onde.
“Questa pace è incantevole…”, osservò Tom quasi con un bisbiglio.
“Sì, - concordai – specialmente dopo il casino della giornata…”
“E i paraponzipò della serata…”, concluse lui anche per me.
Avevo sempre il suo braccio sopra le spalle. Feci un profondo respiro, inalando l’aroma acre della salsedine, poi con aria indifferente gli passai un braccio attorno alla vita. Innegabilmente, la vicinanza di quel maschio mi stava eccitando. Pensai al suo cazzo, raggomitolato nelle mutande ed ebbi un brivido. Tom mi strinse più forte a sé.
“Hai freddo?”
“No”, risposi, frenando a stento il desiderio di scendere con la mano sulla sua natica, di cui sfioravo appena l’inarcatura.
“Vengo sempre qui la sera, - disse lui – mi piace molto stare a sentire il mare, a fantasticare… A volte…”
E tacque per un pezzo, come assorto nei propri pensieri. Mentre eravamo fermi sulla riva, i piedi nell’acqua, rivolti verso l’immensità delle tenebre.
”Ehi, ti andrebbe di fare il bagno?”, mi chiese all’improvviso, emergendo dal suo silenzio.
“Ma sei impazzito? – scattai, facendo un passo indietro – con tutti i mostri e i barracuda che ci sono lì sotto?”
“Ma va là, sciocco… Dai, è bello farlo di notte!”
“No, Tom, sul serio… non… ce la faccio…”
Lui si girò verso di me, immagino stupito.
“Non ti piace fare il bagno?”
“Tutt’altro… adoro stare nell’acqua, ma… di notte non ci riesco… il mare mi fa paura… Sul serio, Tom, ho il terrore…”
“Ehi, ci sono io, ti starò vicino, ti terrò per mano… Non aver paura, dai… Sei con me… Sono il bagnino della spiaggia.”
Le sue parole suadenti tentavano di lottare contro le mie paure ancestrali.
“No, lascia perdere…”, cercai di resistere.
Ma quel diavolo tentatore insisteva.
“Senti, non abbiamo neanche il costume…”
E pensavo di tagliare così la testa al toro.
“Il costume?... – ribatté, però, lui – E ti sembra che il mondo abbia bisogno del nostro costume stanotte? Facciamolo nudi, dai…”, e cominciò a spogliarsi.
Gettò per terra la maglietta e il torso quasi si perse nel buio della notte. Poi si calò i pantaloni e per un attimo vidi la sagoma sbiadita dei suoi slip bianchi, che furono tolti anch’essi in un lampo e lui divenne appena una sagoma indistinta, di cui la lieve brezza mi portava il tepido afrore pungente.
Istintivamente, aguzzai la vista, cercando di vedergli il cazzo, ma riuscii a scorgere solo una vaga ombra ciondolante verso il basso… qualcosa, comunque, di enorme!
“Dai, levati quella roba… - mi esortò Tom – Vieni…”
Maledicendo la mia sorte, ma nello stesso tempo eccitato dalla sua vicinanza, mi spogliai e lo seguii con passo esitante. Arrivato con l’acqua ai polpacci, mi bloccai in preda al panico. La luna era ormai scomparsa del tutto, il buio era pressoché totale: la luce delle stelle e la fioca fosforescenza del mare creavano una sorta di lucore irreale.
Avevo la sensazione che da un momento all’altro si spalancassero gli abissi e qualche mostro marino mi si lanciasse addosso con i suoi giganteschi tentacoli…
“Dammi la mano…”
La voce protettiva di Tom mi riscosse. Allungai la mano alla cieca davanti a me e lui me la strinse.
“Non aver paura… - mormorò suadente – vieni… ci sono io…”
Furono queste le magiche parole: Ci sono io… La vista mi si snebbiò e le cose parvero riprendere una dimensione reale.
“Vieni…”, ripeté Tom, tirandomi leggermente.
Un fondo di paura permaneva dentro di me, ma la stretta della sua mano mi dava la forza, se non per ignorarla, almeno per sovrastarla, per sentirmi un po’ più sicuro.
Eravamo con l’acqua fino alla vita; mi volsi a guardare Tom: la luminescenza tremolante delle onde gli conferiva un che di sovrannaturale, quasi una divinità marina emersa per portarmi con sé.
“Hai ancora paura?”, mi chiese Tom, adesso vicino.
“Insomma…”, bofonchiai.
Lui ridacchiò.
“Lasciati andare…”, disse.
Io mi lasciai andare e subito l’acqua mi spinse in su. Mi accorsi che Tom galleggiava accanto a me, la sua mano non aveva lasciato la mia un solo istante. Galleggiavamo come due tappi di sughero sull’oceano buio, mossi leggermente dal fremito delle onde.
“Ti piace?”, mormorò.
“E’ strano…”, feci io.
“Che cosa?”
“Tutto questo… ritrovarmi a fare il bagno di notte… con uno che mi tiene per mano e cerca di darmi coraggio…”
“Vorresti che ci fosse una ragazza al mio posto?”, mi chiese inaspettatamente.
“No”, risposi dopo un momento.
“Vorresti che ci fosse un altro?...”
Ebbi la sensazione che la voce gli tremasse un poco.
“No”, mormorai, e anche la mia voce tremò un poco.
Tom ebbe un guizzo.
Anch’io.
E ci ritrovammo diritti nell’acqua. Sondai con i piedi per cercare il fondo: non si toccava! Mi irrigidii, ma subito mi sentii avvolgere da due forti braccia.
“Sono qui, tranquillo.”, disse Tom e la calma tornò nel mio cuore.
Avvertii a quel punto qualcosa che mi sfiorava all’altezza dell’inguine. Allungai la mano e cercai a tentoni con un senso di inquietudine, finché non toccai il suo cazzo in piena erezione! Glielo strinsi, caldo nel fresco dell’acqua.
“E questo cosa sarebbe?”, feci scherzosamente.
“E’ il salvagente di emergenza! – ridacchiò lui – Quando devo usare tutte e due le mani per nuotare più velocemente a riva e l’annegato lo tengo a galla con quello”
“Che cretino!”, sbottai ridendo, mentre sentivo effettivamente un corpo levigato insinuarmisi fra le cosce.
“E questo lo fai con tutti?”
“No, solo con gli annegati speciali…”
“Ma io non lo sono!”
“Annegato? Si rimedia facilmente!”, e mi mise una mano sulla testa, fingendo di volermi spingere sotto.
“Non provarci neanche!”, risi, stando allo scherzo, ma tirando indietro la testa.
“No, non ci provo… - disse allora lui con voce strana – ho troppa voglia di scoparti!”
E mentre il suo cazzo mi si insinuava fra le cosce, premendomi sotto i coglioni, le sue labbra cercarono e trovarono le mie, che si schiusero subito per far passare la sua lingua impaziente. Fu un bacio salmastro, lungo, dolcissimo.
“Torniamo a riva…”, mi bisbigliò dopo.
“Dove mi porti, negraccio?”, mormorai, dandogli un altro bacio.
“Ti porto nella mia capanna, puttana bianca, alle falde del Kilimangiaro…”, ridacchiò in risposta.
“E poi?”
“Poi ti insegno a ballare l’hully-gully”
“Con questo?”, e gli strizzai il randellone fra le mie gambe.
“Anche…”

(continua)

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