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Gay & Bisex

Tutto in una notte


di adad
26.05.2021    |    13.409    |    7 9.3
"Odiava quella mano importuna, odiava la situazione in cui si era cacciato… Poi non capì più niente: si voltò con un gemito e abbracciò con forza Niklas, ..."
Niklas si era svegliato nel cuore della notte con un terribile mal di pancia. Chissà, forse erano stati gli avanzi della faraona, che dalla tavola del Signore erano stati convogliati a quella dei servi. Non certo i servi di cucina, ché quelli arraffavano il meglio del meglio dalle portate destinate ai Signori, ma i servi di casa, quelli addetti alle più umili mansioni, che venivano sempre per ultimi e si beccavano gli avanzi degli avanzi, quando ce n’erano.
E quella sera gli avanzi non si erano presentati certo nella migliore condizione. Ma anche così, i servi della casa se la passavano di lusso, rispetto all’altra povera gente di fuori. Ad ogni modo, quei brandelli di carne sugli ossi della faraona, che era riuscito ad accaparrarsi, dovevano essere proprio andati a male… infatti ci era voluta parecchia buona volontà, oltre ad una gran fame, per mandarli giù.
Ed eccone i risultati: nel cuore della notte, il povero Niklas si era svegliato con dolori lancinanti e brontolii nelle budella, che sembrava ci stessero combattendo la battaglia tra angeli e demoni, di cui parlava spesso il predicatore. Si alzò con un po’ di fatica e corse fuori, dietro le stalle, per sgravarsi il ventre. Ma non riuscì ad arrivare alle latrine: aveva appena svoltato l’angolo delle scuderie, che gli si ruppero le acque e… beh, il disgustoso susseguirsi di eventi possiamo facilmente immaginarlo.
Ritrovatosi immerso nel puteolente liquame, a Niklas non rimase che raggiungere l’abbeveratoio degli animali per darsi una ripulita: si spogliò e, rabbrividendo, si immerse fino all’ombelico nella grossa vasca, scozzonandosi energicamente il luridume di dosso, poi venne fuori e cominciò a lavare le braghe e la camiciola. Il cortile era deserto a quell’ora e l’abbeveratoio si trovava in un angolo buio, riparato dalla luce della luna, per cui Niklas non aveva alcun timore di essere visto da qualcuno.
Non era una gran bellezza Niklas, bisogna dirlo; del resto, la povertà e i disagi in cui era vissuto non gli avevano permesso uno sviluppo armonioso e una gentilezza di carni, come i Signori, che abitavano la parte alta del castello. Purtroppo, la natura non è equanime con tutti i suoi figli e la fortuna lo è ancora meno. Con questo, però, non si creda che Niklas fosse uno sgorbio, tutt’altro: di viso era aggraziato, soprattutto per la luce vivace dei begli occhi, di fisico, pur mingherlino, era proporzionato e irrobustito dal duro lavoro. Ma soprattutto, e questo lui ancora non lo sapeva, era il didietro ad attirare gli sguardi predatori di parecchi: un culetto arzillo e tondo, che nemmeno le sue braghe sbrindellate riuscivano a nascondere o a contraffare.
Era intento, dunque, a sbrattare i suoi indumenti nell’acqua ormai lurida dell’abbeveratoio, quando d’un tratto sentì una mano calarsi sul fondoschiena e palparglielo con un certo ardore. Sobbalzò, mentre:
“Guarda, guarda che bella cosuccia, qui...”, si sentì sibilare lascivamente all’orecchio da una voce maligna.
“Lasciami… chi sei, che vuoi?”, disse Niklas, cercando di sottrarsi a quella indesiderata attenzione.
Ma l’altro era un energumeno grande e grosso, oltre che decisamente infoiato, per cui non durò fatica a immobilizzarlo con un braccio, mentre con la mano dell’altro gli frugava nel solco fra le chiappe alla ricerca del pertugio.
Niklas non era uno sciocco, sapeva benissimo cosa lo aspettava, troppe volte lo aveva visto succedere agli altri giovani servi del castello, uomini o donne che fossero, e lui non aveva nessuna intenzione di sottostare a quella violenza.
Si dibatté, mentre il dito dello stupratore, trovava l’accesso e tentava di forzare la stretta spasmodica dello sfintere.
“Sta buono, stronzetto!”, brontolò l’uomo, dandogli una ceffonata sulle natiche.
“Ahi! – gemette Niklas, dibattendosi con ancora più furia – Lasciami… lasciami…”
Ma l’uomo era troppo forte per lui, sapeva che non ce l’avrebbe fatta, ciononostante, non poteva rinunciare a lottare. Continuò a divincolarsi… sia pure sempre più debolmente. Gridare non sarebbe servito a niente: a chi interessava lo stupro di un servo? L’uomo lo aveva ormai schiacciato sul bordo dell’abbeveratoio, piegato a metà, con la faccia quasi immersa nell’acqua; si stava cavando fuori l’uccello per prendersi la sua soddisfazione, quando:
“Chi è là? - tuonò una voce poderosa – Che succede qui dietro?”
Immediatamente, l’energumeno mollò la presa e si diede alla fuga. Niklas si accasciò a terra, ansimando.
“Siete voi, mastro Kurt…”, balbettò, sollevando gli occhi e riconoscendo il soccorritore.
“Niklas? – fece l’altro, aguzzando la vista – Che ci fai qui?”
Si chinò e lo prese per un braccio aiutandolo ad alzarsi.
Mastro Kurt era il fabbro, nonché maniscalco, del castello di Erdenburg: un omone massiccio, rosso di pelo, che sembrava Thor in persona, quando nella sua fucina batteva sull’incudine il ferro rovente con l’enorme martello. E per qualcuno, ancora segretamente legato agli antichi dèi, era effettivamente Lui rimasto sulla Terra a proteggere i suoi ultimi fedeli. Grande era pertanto l’alone di timore e reverenza che lo circondava.
“Che ci fai qui? – ripeté l’uomo – E in queste condizioni…”
“Stavo… stavo lavando…”, disse Niklas raccogliendo da terra le sue braghe tuttora impeciate di luridume fetido.
“Per il corvo di Odino, che puzza! – fece mastro Kurt, storcendo il naso – Non ti sarai mica cagato sotto?”
“Non ce l’ho fatta ad arrivare alle latrine…”, arrossì il ragazzo, quasi scoppiando a piangere per la vergogna.
“Su, su, può succedere a tutti – disse bonariamente mastro Kurt - Vieni con me. Ho un calderone d’acqua bollente di là. Qui, oltretutto, rischi di avvelenare le povere bestie che verranno a bere domani.”
Lo condusse nella sua fucina, un altro cavernoso, rischiarato dal fuoco perenne della forgia, accanto alla quale era collocata la grossa incudine, terrore di tutti i bambini. Nonostante avesse ormai vent’anni, Niklas non poteva reprimere un brivido, ogni volta che si trovava nei paraggi: ricordava ancora le minacce di sua madre per tenerlo buono: “Guarda che chiamo mastro Kurt…”; e cosa avrebbe fatto mastro Kurt era noto a tutti: gli avrebbe martellato la testa sulla sua incudine! Molti storceranno il naso davanti a questi selvaggi metodi educativi, ma bisogna tenere presente che erano tempi duri, quelli, tempi difficili: le foreste che assediavano borghi e castelli fin sulle porte di casa erano abitate da lupi ferocissimi, orsi, linci e mostruose manticore, ma anche da malvagi briganti, streghe dalle zampe di gallina, orchi mangiafuoco e spiriti maligni di ogni sorta, tutti pronti a ghermire l’incauto che avesse osato addentrarsi fra gli alberi senza le dovute precauzioni. Erwald, lo spilungone, raccontava di essere scampato per miracolo all’assalto di un branco di lupi, guidati da un demonio che lanciava fiamme dal naso… la piccola Theresia era stata inseguita lungo il sentiero da una strega, che correva veloce sulle zampe di gallina e cercava di beccarla, starnazzando… Racconti, che facevano tremare di paura chiunque li sentisse, grandi o piccoli che fossero.
Per molti la fucina di mastro Kurt era l’anticamera dell’inferno, per Niklas quella notte fu un angolo di pace e di ristoro. Appena dentro, un calore gradevole lo accolse e gli diede un immediato senso di protezione.
Mastro Kurt lavò le braghe del ragazzo con dell’acqua calda in un catino e poi le
appese vicino al fuoco della fornace perennemente accesa.
“Vedrai che si asciugheranno presto. – gli disse - Intanto metti questo.”, e gli diede uno dei suoi camicioni, che Niklas fece fatica a tenersi addosso, perché gli cascava via da tutte le parti, mingherlino com’era.
Ridendo, allora, mastro Kurt prese un pezzo di corda, e glielo legò lui stesso attorno alla vita, a mo’ di cintura. L’aroma del suo corpo sudato avvolse Niklas, contribuendo a dargli una sensazione di benessere.
Come abbiamo detto, mastro Kurt era una uomo massiccio, capelli e barba rossicci e riccioluti. Era il fabbro, nonché maniscalco, del castello e all’epoca dei fatti aveva da poco compiuto trent’anni. Non era sposato e non si conoscevano molestie da parte sua alle servette: per questo, parecchi malignavano su di lui che se la facesse con le capre della sua stalla, cosa peraltro non vera, in quanto quelle godevano già dei favori di un becco gagliardo, che assolveva egregiamente al suo compito e non avrebbe certo tollerato qualsivoglia concorrenza, men che meno da un umano. In realtà, neanche mastro Kurt sapeva cosa gli interessasse: aveva troppo lavoro per occuparsi di altre cose o anche solo per sentirne il bisogno. L’uomo prese una ciotola di latte e gliela porse.
“Bevi, - gli disse – ti metterà a posto lo stomaco.”
Il latte di capra era dolce e saporito. Niklas lo bevve volentieri, mentre mastro Kurt gli si sedeva accanto sul pagliericcio.
“Ti è successo altre volte?”, gli chiese.
Niklas scosse la testa.
“Bene. Non credo che ci riproveranno. Metterò in giro la voce che sei sotto la mia protezione.”
“E’ vero che te la fai con le capre?”, chiese Niklas e subito si morse la lingua, accorgendosi di aver detto una cosa molto sconveniente.
Ma Kurt scoppiò a ridere: aveva sentito quelle chiacchiere su di lui e ne era
francamente divertito.
“No, - rispose – il becco mi farebbe a pezzi se solo ci provassi!”
Anche Niklas scoppiò a ridere, immaginandoselo a lottare con un caprone per farsi le sue capre. Fu in quel momento che Niklas capì di trovarsi bene con quell’uomo. Come aveva fatto ad averne paura, prima di allora? Il suo calore, la sua forza, il suo odore sentì che gli davano un profondo senso di sicurezza. Senza rendersene conto, gli si fece più appresso, quasi volesse mettersi sotto la sua ala protettrice. E Kurt sembrò capirlo e gli passò un braccio sulle spalle, quasi volesse stringerlo a sé. Ma nulla che meno di onesto, nulla di morboso o sconveniente c’era nell’atteggiamento dell’uno e dell’altro: semplicemente, stavano scoprendo una reciproca simpatia, un sentimento che nessuno dei due avrebbe mai sospettato e le cui prime fiamme già scaldavano i loro cuori. Niklas si sentiva soddisfare quel bisogno di sicurezza che non aveva mai avuto; mastro Kurt invece, provava tenerezza per quel ragazzo mingherlino, minacciato dalla violenza di persone senza scrupoli e sentiva il prepotente bisogno di proteggerlo dalle insidie presenti e future.
Mastro Kurt andò a gettare dei carboni nella fornace per ravvivare le braci e per un momento la luce rossastra delle braci lo illuminò conferendogli come un’aura sovrannaturale. Niklas fissò incantato quel corpo muscoloso, i capelli e la barba che mandavano bagliori di fuoco.
“Tu sei Thor?”, chiese, ingenuamente.
Kurt sorrise.
“Me lo chiedono in tanti, - rispose – chissà… forse sì… forse no…”, e tornò a sedergli accanto, passandogli ancora una volta il braccio sulle spalle e stringendolo a sé.
“A te piacerebbe che lo fossi?”
“A me piacerebbe se diventiamo amici.”, sospirò Niklas, stringendosi a lui.
“Lo siamo già…”, rispose Kurt, poggiandogli la guancia sulla fronte.
Una parte di lui, la parte razionale, avrebbe voluto chiedergli: che stai combinando? Ma consapevole che era la prima volta, in cui qualcuno si avvicinava veramente a quell’uomo rude e solitario, e la prima volta in cui quell’uomo rude e solitario si apriva, si lasciava avvicinare da un’altra persona, la parte razionale preferì tacere e non rimase neanche a guardare, eclissandosi negli abissi insondabili della nostra anima. E abbandonato ai suoi sentimenti:
“Resta a dormire qui stanotte.”, disse mastro Kurt, vedendolo ciondolare.
“Il siniscalco si arrabbierà, se non rientro…”, mormorò Niklas.
“Gli spiegherò io al siniscalco… anzi, gli chiederò di assegnarti a me. Che ne dici?”
Ma Niklas già dormiva, abbandonato contro il suo petto. Mastro Kurt sorrise, lo prese fra le braccia e lo sistemò delicatamente su un lato del pagliericcio, stendendoglisi poi al fianco. Il lettuccio era stretto, a malapena bastava per il solo mastro Kurt, al quale, pertanto, cominciò a fare uno strano effetto ritrovarsi appiccicato al corpo di un’altra persona. Non era disagio, era qualcosa di indescrivibile, misto di dolcezza e di paura. Paura non per sé, non ne aveva motivo: bensì, paura che Niklas non stesse comodo, che lui potesse arrecargli qualche fastidio, che gli disturbasse il sonno. Così, se ne stette fermo e immobile, muovendosi a tratti e giusto quel tanto perché non gli si aggranchissero le membra. Ma d’un tratto, non poté negare lui stesso la strana euforia che lo prese, quando Niklas, disteso sul fianco, gli passò un braccio attraverso il petto, quasi che volesse stringerlo a sé. Un’euforia, che si mutò presto in turbamento, allorché
un formicolio cominciò a serpeggiargli nel basso ventre, un formicolio mai provato, mentre il dormiente cominciava a destarsi e a protenderglisi voluttuoso sotto i panni.
Non era una verginella, mastro Kurt; gli era già successo che di notte il dormiente si svegliasse e scalpitasse selvaggiamente, finché lui non lo foraggiava nei modi adeguati: a stupirlo era il fatto che gli si drizzasse proprio in quel momento, in quella situazione… Non era possibile che fosse la vicinanza del ragazzo a stimolarlo… Mastro Kurt era sulle spine: da un lato, non riusciva a capire il motivo dell’eccitazione che gli stava montando dentro; dall’altro era terrorizzato che l’altro se ne potesse accorgere… cosa avrebbe pensato di lui? Aveva una gran voglia di darsi soddisfazione, ma non osava toccarsi, non osava nemmeno muoversi per paura di svegliarlo.
Ma ancora una volta, giunse il destino a sbloccare la situazione: era da poco passata la metà della notte, quando il cielo d’un tratto si coprì di nuvoloni pesanti e gravidi di pioggia, come succede spesso in primavera a seguito di una giornata particolarmente calda. Ben presto, il cielo cominciò ad essere solcato da lividi bagliori, a cui seguivano i brontolii lontani del tuono. Il temporale si faceva di momento in momento più vicino, con raffiche di vento, che si infilavano gemendo negli stretti passaggi delle vie e nelle fessure delle imposte. Poi, d’un tratto, un lampo violentissimo e uno scoppio fragoroso a poca distanza. Niklas si svegliò di soprassalto e si strinse spasmodicamente all’amico. Mastro Kurt, di riflesso, si voltò verso di lui e lo strinse forte, dicendogli:
“Non è nulla, non è nulla… è solo il temporale…”
Ma così facendo i due corpo si trovarono premuti l’uno contro l’altro e il ragazzo avvertì distintamente contro la pancia il grosso turgore del mazzuolo del fabbro.
Sul momento, nell’agitazione seguita allo scoppio del fulmine, non ci fece caso, ma dopo un po’ non poté non accorgersene.
“I temporali ti fanno sempre questo effetto?”, ridacchiò, mentre i primi scrosci di pioggia sferzavano violentemente il tetto di paglia.
Vedendosi scoperto, al colmo dell’imbarazzo, mastro Kurt si voltò, dandogli le spalle. Ma Niklas non demorse: ormai era sveglio e aveva voglia di scherzare con il suo nuovo amico. Gli si addossò alla schiena e, fatto audace dalla sua inconsapevole ingenuità, gli passò un braccio attorno e scivolò con la mano verso il basso, arrivando a palparglielo in tutta la sua lunghezza. Mastro Kurt sentiva il cuore battergli all’impazzata: l’eccitazione, ma anche l’imbarazzo e la vergogna gli martellavano in testa. Odiava quella mano importuna, odiava la situazione in cui si era cacciato… Poi non capì più niente: si voltò con un gemito e abbracciò con forza Niklas, mentre il suo cazzo, perso ormai ogni il controllo, scatarrava copiosamente, infradiciando la pancia a tutti e due.
Passato il momento convulso dell’orgasmo, l’orrore sembrò impadronirsi della mente di mastro Kurt, che si staccò sconvolto dall’abbraccio e si sedette sul bordo del pagliericcio, con la testa fra le mani. Anche Niklas rimase sconcertato per quell’esito inaspettato, ma la luce fece prima a penetrare nella sua mente giovanile, a rischiararne i dubbi. Nel breve volgere di un istante, Niklas diventò adulto, consapevole di sé e del mondo in cui era fin’allora vissuto.
Guardando la schiena curva dell’uomo, si rese conto della sua profonda solitudine e ne ebbe pena; meglio di chiunque altro, forse anche di lui stesso, ne capì la sofferenza… che era stata anche la sua. E allora si sentì prendere da un empito di commozione. D’istinto gli poggiò una mano sulla spalla.
“Kurt…”, mormorò.
Kurt si voltò e non vide più il ragazzo spaurito e mingherlino di poco prima, ma un adulto nei cui occhi, alla tenue luce della fornace, brillava intelligenza, comprensione, tenerezza. Non ci fu bisogno di dire altro: l’uomo
sorrise, finalmente libero, tornò a stenderglisi al fianco e lo abbracciò, cercandone le labbra.
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