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Rosso di sera - 1


di adad
05.03.2021    |    6.958    |    9 9.4
"Brendan la prese e si sedette sul divano, appoggiandosi comodamente allo schienale, ma senza richiudersi i pantaloni, con la patta ancora aperta..."
C’era un proverbio che mia nonna dicava sempre, quando si affacciava al balcone e guardava ad ovest verso il sole al tramonto; diceva, se era il caso: “Rosso di sera, bel tempo si spera.”
Queste parole mi tornarono in mente quel pomeriggio, quando dal balcone, dove ero affacciato per fumarmi una sigaretta, vidi passare nella strada sottostante un ragazzo dai capelli del più incredibile rame dorato che avessi mai visto. Mi tornarono in mente, dicevo, e mormorai fra me: “Rosso di pelo, bel cazzo si spera…”
Sì, lo so che sarebbe suonato meglio “bel maschio si spera”, ma che era un bel maschio lo vedevo già dal mio balcone al primo piano: il dubbio rimaneva su quello che era nascosto dentro i suoi pantaloni. Oddio, per i pochi secondi che durò il suo passaggio, mi sembrò di scorgere un discreto malloppo in zona inguinale, ma si sa: in un pacco, un buon 70% del volume è costituito in genere dalle palle. Mi è capitato di vedere malloppi davvero consistenti, che alla prova dei fatti hanno sfoggiavano cazzi di dimensione mediocre, se non discutibile, mentre pacchi pressoché insignificanti hanno mostrato contenere dei veri capitoni, in grado di competere per lunghezza e spessore con quelli dei migliori porno attori.
Quindi la voluminosità esterna del pacco non significa molto: può servire solo a dare un’idea o ad accendere la fantasia. Ecco perché precisai: bel cazzo si spera.
Naturalmente, non avevo nessuna possibilità di fare una verifica: anche se gli fossi corso dietro e lo avessi raggiunto, cosa potevo dirgli? “Scusa, mi fai vedere come sei messo dentro le mutande? Perché, vedi, vorrei verificare una certa teoria…”, nella migliore delle ipotesi, ci avrei rimediato un vaffanculo.
Ma una volta piantato, il seme non può fare altro che germogliare, quando il terreno è fertile, certo, e il mio terreno posso assicurarvi che è fertilissimo: infatti, dopo un paio di minuti, che lo avevo visto scomparire oltre l’angolo della strada, mi riscossi, mi infilai in fretta un paio di mocassini, scesi a precipizio le due rampe di scale e corsi fuori, dirigendomi a passo svelto nella direzione in cui lo avevo visto scomparire.
Svoltai l’angolo: i marciapiedi non erano molto affollati, ma dello sconosciuto Rosso di pelo nessuna traccia. Mi avviai con passo sostenuto, scrutando con occhio di falco davanti a me e sul marciapiedi dall’altro lato della strada: nessuna traccia. Andai avanti per un pezzo, guardandomi attorno come un disperato, essendo ormai diventata una questione di vita o di morte ritrovarlo, finché una ventina di metri più avanti, mi parve di scorgere un bagliore rossastro. Accelerai il passo e finalmente scoprii che era lui: lo avevo ritrovato. Regolai il passo in modo di rimanergli distanziato un paio di metri, sufficienti a godermi il delizioso spettacolo del suo posteriore. Indossava un paio di pantaloni leggeri, di lino color panna, adatti ai primi caldi della stagione, e un T-shirt azzurrina, che formava un piacevole contrasto con i suoi capelli ramati crespi e ricciuti. Portava una valigetta 24 ore e camminava con passo sicuro. Spalle larghe, fianchi stretti e un culo, la cui polposità, se mi è permesso il neologismo, era quanto mai evidente sotto quei leggeri pantaloni, pur non troppo aderenti. Ormai camminavo con gli occhi puntati sul suo posteriore, senza guardare null’altro all’intorno, attento solo a mantenere la giusta distanza e a impedire che qualcuno potesse interporsi fra me e lui. Ad un tratto, si fermò davanti alla vetrina di una libreria: io lo sorpassai, poi mi fermai a mia volta poco più avanti, attratto dalle avvertenze di un cartello stradale, spiando in realtà con la coda dell’occhio cosa facesse lui.
Fu così che lo vidi attraversare la strada ed entrare in un bar. Dopo un po’ attraversai pure io ed entrai nel bar, sedendomi con aria indifferente ad un tavolinetto da dove potevo tenerlo d’occhio, mentre beveva un caffè al banco.
Mi pentii subito di essermi seduto al tavolo: chissà quanto tempo ci avrebbero messo a servirmi, rischiavo di perderlo nuovamente. L’assurdità del mio comportamento non mi sfiorò neanche: che senso aveva seguirlo per mezza città?
Poi, avvenne l’impensabile: il tipo si guardò attorno, sorvolandomi con lo sguardò, dopo di che, prese la tazzina, raccolse la valigetta da terra e si diresse senza esitazione verso il mio tavolo. Si sedette.
“Sbaglio o mi seguivi?”, fece con voce tranquilla, fissandomi, con la tazzina mezza piena sempre in mano.
Mi sentii avvampare.
“Prego?”, feci, cercando di darmi un’aria stupita.
“Oh, - disse lui con un franco sorriso sulle belle labbra – non fare lo gnorri. È da un po’ che mi vieni dietro. Ti ho fatto fare il giro dell’oca… Si può sapere cosa vuoi?”
Adesso che mi era seduto di fronte, il suo odore mi arrivava più deciso e avvolgente, un aroma misto di sudore fresco e colonia decisamente sexy per i miei sensi già allertati. Al diavolo! Decisi di giocarmi il tutto per tutto. Lo fissai negli occhi.
“Mi hanno sempre affascinato le persone con i capelli rossi.”, confessai.
“Le persone?”, e sollevò il sopracciglio.
“I ragazzi…”, ammisi.
“Quindi, sei rimasto affascinato dai miei capelli rossi?”
“Beh, sì… non ne ho mai visti… sembrano di rame dorato…”, adesso sì che mi sentivo un idiota.
“Ma ti hanno affascinato solo i capelli o pure la mia persona?”
E che cazzo! Si stava decisamente divertendo a provocarmi.
“Perché me lo chiedi?”
“Perché se ti interessano solo i peli, ne ho anche altri sparsi il corpo...”
Boccheggiai, tornando ad avvampare le guance. Aveva una luce irridente e beffarda negli occhi.
“Però non posso mostrarteli qui. – disse – Per cui devi contentarti di questi.”, e si passò le dita fra i capelli.
Decisi di non dargliela vinta.
“E se… mi affascinasse anche la tua persona?”
Sorrise e abbassò la testa, mentre poggiava sul tavolo la tazzina vuota.
“Mi chiamo Brendan.”, disse allungandomi la mano da sopra il tavolo.
“Nazario”, feci io e gliela strinsi.
La sua mano era caldissima, forte e morbida nello stesso tempo. Non sentii la scossa, toccandolo, ma non posso negare un brivido che mi risalì il braccio fino alla spalla.
“Sei straniero?”, gli chiesi, per guadagnare un po’ di tempo e poter ritrovare il controllo delle mie emozioni.
“Mio nonno era irlandese… porto il suo nome e anche questi, che sono la sua eredità.”, disse toccandosi la chioma.
Rimanemmo in silenzio, avevamo esaurito le banalità di rito.
“Se vuoi vedere anche il resto, - riprese lui – dobbiamo andare a casa tua. Abiti lontano?”
Decisamente, non gli mancava lo spirito di iniziativa.
“N…no… saranno un cinquecento metri da qui.”
“Andiamo, allora. – e si alzò, dopo aver raccolto la valigetta – Lascia, pago io.”, e andò alla cassa.
Durante il cammino riuscimmo ad avviare una discreta conversazione, in cui facemmo fuori diversi aspetti delle nostre esistenze, con quel grado di confidenza che si instaura a volte con sconosciuti, verso i quali ci sentiamo istintivamente aperti, e io mi ritrovai a rivelargli particolari della mia vita che avrei detto a pochi altri. Tranne, ovviamente, il proverbio di mia nonna con tutti gli annessi e connessi. Queste sono cose che non si tende a confidare al primo venuto: o le capisci da te o non vale la pena dirtele.
Questo, comunque, non valeva a calmare il mio stato d’ansia: ok, andavamo a casa, e poi? Come avrei dovuto comportarmi? Ancora una volta, fu lui a trarmi d’impaccio: lo avevo fatto accomodare in soggiorno ed ero andato in cucina a prendere qualcosa di fresco dal frigo, allorché, tornando, lo trovai che si stava sbottonando i pantaloni: si aprì la patta e si abbassò leggermente l’elastico degli slip, fino a mostrare l’inizio di un folto ciuffo di peli anch’essi rosso-dorati.
“Ecco il resto”, mi disse con un sorriso birichino, appena comparvi sull’uscio del soggiorno.
Mi bloccai senza fiato. Riuscii a poggiare le bibite sul tavolo senza farle cadere e mi avvicinai a guardare da vicino.
“Wow” – sospirai – Fantastico!”
Mi stavo sdilinquendo davanti ai peli del cazzo di uno sconosciuto! Ma si può?
“Sono diversi dai capelli. - osservai, sentendomi più idiota del solito – Hanno una sfumatura più morbida. Posso toccarli?”, e tesi la mano.
“Se vuoi.”, fece lui, abbassando ulteriormente l’elastico.
Scorsi l’attaccatura del cazzo e mi si asciugò la bocca. Sfiorai con la punta delle dita quei riccioli crespi, mentre lui mi osservava compiaciuto.
“Sembrano fili d’oro brunito…”, mormorai a fior di labbra.
Il desiderio di inginocchiarmi e affondare il volto in quel ciuffo ricciuto, respirare la fragranza dolciastra che emanava, cominciò a diventare incontenibile. Preferii battere in ritirata: recuperai le bibite e gliene porsi una.
Brendan la prese e si sedette sul divano, appoggiandosi comodamente allo schienale, ma senza richiudersi i pantaloni, con la patta ancora aperta.
Riprendemmo a chiacchierare del più e del meno, ma io avevo la mente distratta, non riuscivo a distogliere gli occhi dal suo inguine, soprattutto quando Brendan ci portò indolentemente la mano e cominciò a giocherellare con i peli, che trasbordavano dall’elastico, attorcigliandoseli attorno alle dita.
“Ti affascina così tanto la mia peluria?”, disse ad un tratto.
Sorrisi imbarazzato, accorgendomi solo allora di avere il volto in fiamme e il cazzo in erezione. Anche lui sorrise, probabilmente notando il pirellone eretto, che mi sarebbe stato, del resto, difficile nascondere.
“Qualcosa mi dice che ti piacerebbe dare un’occhiata più a fondo. - continuò con un sorriso accattivante – Se vuoi posso spogliarmi.”
“Nudo, intendi?”, e il cuore a momenti mi sfondava il petto.
Fece spallucce:
“Se ti fa piacere, perché no?”, e si alzò dal divano, si scalciò le scarpe dai piedi e si tolse i pantaloni e rimase in mutande e calzini, mentre li piegava e li poggiava sopra una sedia.
Poi mi fece l’occhiolino e si sfilò anche gli slip. Mi rimase davanti nudo… cioè, nudo dall’inguine in giù, ma tanto bastò per togliermi il fiato… vagavo con lo sguardo sulle sue gambe tornite e pelose, sul ciuffo del pube, un groviglio di peli di rame dorato, sul cazzo che pendeva molle, inguainato nello spesso prepuzio, sullo scroto che si allungava sotto il peso dei grossi coglioni, ma faticavo a metterli a fuoco. Infine, Brendan afferrò gli orli della T-shirt e se la sfilò dalla testa, offrendomi la visione del suo petto, sul quale la leggera peluria biondo-ramata creava uno straordinario contrasto con la sua carnagione bianchissima… spruzzata di una miriade di lentiggini sul torace, sulle braccia, sulle spalle… ma stranamente nessuna sul volto. Scoprii di adorare quelle minuscole scaglie di crusca sparse sulla sua pelle… avrei voluto leccarle una per una…
Lo guardavo senza muovermi, senza parlare, come paralizzato.
“E’ tutto ok?”, mi chiese con un’insolita dolcezza.
Accennai di sì, intanto che un impulso più forte di me mi spingeva ad alzarmi e ad andargli vicino. Non capivo davvero cosa stesse succedendo: avevo iniziato, dando l’inseguimento ad un ragazzo visto passare dal balcone e me lo ritrovavo adesso davanti, nudo, che mi provocava sfacciatamente. Ma qualunque cosa stesse succedendo, il fatto è che quel rosso malpelo mi eccitava da morire… Gli andai vicino, i miei occhi si infissero nei suoi, verdi del più puro smeraldo, il suo calore mi avvolse, il suo profumo mi riempì le narici, lo respirai a fondo… Le mie mani si mossero da sole, gli sfiorarono il petto… la peluria che gli spolverava i pettorali mi faceva un leggero prurito sotto i polpastrelli, ma non mi nascondeva nulla delle sue forme… la sua pelle mi scorreva sotto le dita, morbida e calda come la seta.
“Spogliati”, mi sussurrò… o forse mi ordinò.
E io presi a spogliarmi, con gli occhi sempre fissi nei suoi, persi nei suoi, vincolati indissolubilmente ai suoi. Quegli occhi verdi, limpidi, che sembravano racchiudere tutto il mio universo.
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