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Prime Esperienze

AVVENTURE DI UN GIOVANE ESCORT: 1 - L'INIZIO.


di RedTales
26.12.2016    |    27.903    |    4 9.6
"Era caldo e lo sentivo benissimo..."
Diciamo che ero finito li perché i miei litigavano spesso ed erano fuori quasi tutto il giorno. Ci arrivai a metà marzo e, in quella specie di casa famiglia, non mi trovai mai bene. Era evidente che di noi non interessava niente a nessuno. Mi avevano sistemato in una camera con altri due quindicenni che, più o meno, avevano un vissuto come il mio. Furono loro ad avvisarmi che c'era del “nonnismo”, con i più grandi che pretendevano di fare quello che volevano con i più piccoli. Nella struttura c'erano una quarantina di ragazzi tra i quattordici e i diciotto anni. Raggiunta la maggior età venivano spostati in un altro posto ma solo alla fine dell'anno scolastico. La prima settimana passò tranquilla. Gli educatori pretendevano che tenessimo la casa in perfetto ordine, altrimenti erano punizioni: niente TV, videogiochi, magari niente uscite. Conveniva fare quello che chiedevano.
“E come fu la prima volta?”
Improvvisa ed inaspettata. Un vecchio, perché aveva già compiuto i diciotto anni, mi disse di aiutarlo a portare la biancheria sporca in lavanderia. Quando rovesciai delle lenzuola fuori dai grandi cestoni mi sgridò dicendo che avevo fatto male e, per punizione mi disse che mi avrebbe legato e lasciato li. Sul momento non pensai ad altro che a dover rimanere chiuso in lavanderia per alcune ore e mi feci bloccare i polsi con delle corde sul cestone senza protestare. Tanto, lo sapevo che era inutile. Fu a quel punto che Giuseppe mi sbottonò i jeans e me li tolse completamente assieme agli slip. Gli gridai di non farlo ma mi rispose che potevo urlare quanto volevo perché li non mi avrebbe sentito nessuno. Però, per sicurezza, mi imbavagliò con degli stracci. Ingenuamente pensai ancora che voleva lasciarmi li mezzo nudo per farmi trovare da un educatore che mi avrebbe messo in punizione. Che sciocco! Fu a quel punto che mi disse quello che non avevo nemmeno immaginato. “Adesso ti scopo per bene!” Cominciai ad urlare e a dimenarmi nel vano tentativo di liberarmi, ma tutto fu inutile. Lui si mise dietro di me, si tirò fuori l'uccello, mi allargò le gambe, mi passò della saliva sul buchetto e, fortunatamente lasciando quasi che si infilasse lentamente dentro da solo, mi sverginò. Incurante delle mie grida si soddisfò, smettendo di sbattermi solo dopo essere venuto. Si pulì con delle lenzuola, si ricompose e quindi mi slegò dicendomi di vestirmi perché dovevamo tornare. Lo fece con una naturalezza incredibile, come se non fosse accaduto niente. Non osai ribattere.
“Che stronzo! E ti ha fatto tanto male?”
Non lo ricordo benissimo perché tutto accadde così in fretta. Seppi dopo che queste cose li accadevano normalmente e che la lavanderia era il posto ideale perché lontana dalla casa e assai poco frequentata. Ed anche perché si poteva raggiungere passando da dietro e quindi senza essere visti. Due giorni dopo Giuseppe, mentre ero con tanti altri nella sala comune, mi disse nuovamente di aiutarlo a portare le lenzuola in lavanderia. Provai a rifiutarmi, ma qualcuno mi suggerì, a bassa voce, di farlo perché altrimenti sarebbe stato peggio. Forse aveva ragione. Così mi caricai il sacco sulle spalle e lo seguii. Questa volta sapevo cosa mi sarebbe successo. Non dissi una parola finché non arrivammo la. “Fai da solo o vuoi che ti leghi anche oggi?” Se inconsciamente avevo sperato che non succedesse, adesso era lampante cosa avrei dovuto fare e, guardando per terra mi sbottonai i pantaloni. “Toglili, toglili del tutto, devi avere le gambe libere.” Appena fui nudo dal tronco in giù, mi fece piegare sempre sul cestone e si approfittò nuovamente di me. Questa volta però non fiatai e, una volta fatto se ne andò senza dire niente. Quando tornai in camera uno dei miei compagni mi chiese com'era andata. Risposi che avevamo riempito la lavatrice mai lui mi fermò subito dicendo che si riferiva alla… scopata ed aggiungendo che ero fortunato perché avendomi scelto un vecchio: “lui ti vuole in esclusiva e così non ti può più prendere nessuno. E' la regola qui. Prendi me, non mi ha scelto nessun vecchio e così i grandi mi prendono quando vogliono perché noi siamo piccoli. Tu sei fortunato… E poi non sei tanto alto e sei biondo… sei del tipo che piace… Si, sei fortunato...” Mi spiegò anche che fino ai sedici anni si è piccoli, compiuti i diciassette si è grandi e, superati i diciotto, per i mesi che si resta ancora li, si è vecchi.
Tutto quello che mi disse mi fu ancor più chiaro alcuni giorni dopo quando, mentre stavamo giocando, un grande gli si avvicinò dicendogli di seguirlo in bagno. Lui mi guardò e si allontanò. Tornò una decina di minuti dopo e al mio sguardo ancora incredulo rispose a bassa voce che aveva dovuto fargli un pompino. Non dissi nulla e riprendemmo a giocare. Tra di noi, non si parlava proprio di quanto ci facessero i grandi e i vecchi.
Giuseppe continuò a scoparmi, sempre allo stesso modo per più di un mese. Quando ne aveva voglia, dovunque mi trovassi o qualunque cosa facessi, mi diceva di seguirlo o di andare in lavanderia e io ubbidivo immediatamente. Ma non ero il solo a ricevere questi ordini. Succedeva a diversi piccoli che, a volte, se ne andavano da qualche parte anche con due grandi contemporaneamente. A maggio ci fu una novità: Giuseppe mi ordinò di fargli un pompino. Fu allora che gli vidi per la prima volta il cazzo. Era come il mio. Mi disse di tenerlo dentro la bocca e di muovermi. Crebbe tra le mie labbra fino a diventare durissimo. A quel punto fu lui a dirigere i miei movimenti tenendomi con le mani la testa. Me lo spingeva fin dentro la gola e mi sgridò quando lo feci scivolare di lato contro le guance. Rallentò solo quando ebbi un po' di nausea, ma mi passò subito. Alla fine mi ritrovai la bocca piena di sperma. Era caldo e lo sentivo benissimo. Mi ordinò di non sputarlo e, quando mi liberò la bocca, non mi restò altro che inghiottirlo. Aveva un sapore strano, tra il dolciastro e l'acido, come se fosse del limone dolce, ma colloso e denso. Da quel giorno Giuseppe alternò scopate a pompini, più o meno con cadenza giornaliera. Ovviamente di tutto questo gli educatori non se ne accorgevano o, probabilmente, facevano finta di non sapere che accadesse. Fondamentalmente a me le cose andarono bene fino al giorno in cui Giuseppe partì, la mattina di un caldissimo giorno di metà luglio. Dopo cena, un grande mi disse di andare con lui in lavanderia. Pensai che adesso sarebbe continuato tutto come prima, ma con lui. Mi sbagliavo, e di grosso. Ad aspettarmi c'erano altri quattro ragazzi. Erano già tutti nudi e… in tiro. Continuavano a toccarsi... Volevano tutti scoparmi e “farmela pagare” perché non avevano potuto farlo prima. Dissi che non era colpa mia ma era evidente che quello era solo il pretesto. In un attimo mi ritrovai nudo, gattoni per terra con un cazzo in culo e un altro in bocca. A differenza di Giuseppe questi mi sbattevano con forza e appena uno mi sborrava in culo, come se si fossero messi d'accordo, veniva a mettermelo in bocca. Lo fecero in continuazione. Quella volta ebbi la netta sensazione di essere usato, di essere un oggetto nelle loro mani. Non chiedermi perché, non lo so nemmeno io, ma quello stato mi piacque, direi che mi eccitò. Se ne accorsero anche loro che si accanirono su di me con ancor più forza. Era evidente che volevano umiliarmi e sottomettermi anche perché continuavano a sculacciarmi e a sputarmi addosso ma, più loro facevano più mi tirava, anzi, non smise mai di restare dritto e duro. E così cominciarono anche a chiamarmi troia, vacca, puttana… Non so, fu una strana sensazione. Si alternarono per quasi due ore, fino alle ventitré, l'ora del “coprifuoco”. Alle undici bisognava rientrare tutti nelle proprie camere. Così smisero.
“Che stronzi. Ti avranno fatto male anche...”
No, non ricordo che mi abbiano fatto male. Cioè, non mi hanno fatto male ma neanche bene. Non so come dirti ma lo compresi dopo, più tardi. Per me essere scopato è un qualcosa di indifferente. Non mi piace ma neanche mi… dispiace. Anche se dura per ore… Forse è per questo che adesso faccio quello che faccio.
“E finì li?”
Macché! Non contenti mi infilarono nel culo un barattolo di energy drink, quelli da 250 cc, dicendomi che dovevo tenerlo per tutta la notte, minacciando non so neanche più cosa se lo avessi tolto. Promisero di venire a controllare durante e lo fecero. Passarono quattro volte. Ovviamente non riuscii ad addormentarmi e ricordo benissimo le loro visite. Arrivarono ogni volta in due e non contenti di sentirlo con le dita, lo illuminavano con la torcia. I miei compagni vollero sapere cosa stesse succedendo e, quasi per consolarmi, mi informarono che avevano sentito che era già successo. Mi ricordo che verso le quattro, alle prime luci dell'alba, mi dava un gran fastidio e lo dissi a quelli che vennero ma non me lo fecero togliere. Alle sette arrivarono tutti e cinque e, incuranti degli altri due, mi ordinarono di toglierlo. Con le dita non ci riuscivo e, anche spingendo non voleva uscire. Così ci pensarono loro, aiutandosi con dell'olio che andarono a prendere. Quella fu l'unica volta che qualcosa che mi finì nel culo mi fece male. Come saltò fuori risero tutti sbeffeggiandomi per quel culo rotto che avevo. Mi scattarono delle foto e si fecero anche dei selfie a fianco del buco che continuava a rimanere aperto. Con le dita mi sembrava di sentire una voragine poi, lentamente, ma molto lentamente, cominciò a restringersi. Per tutto il giorno, di nascosto, continuai a toccarmelo per sentire com'era. Alla fine, ma dopo molte ore, ritornò… normale. Quel giorno rimasi sempre in camera e non venne nessuno da me. Pensai e ripensai a cosa mi avevano fatto e decisi che una simile esperienza non avrei voluto provarla di nuovo, ma mi rendevo conto di essere inerme. Dirlo agli educatori sapevo essere inutile perché non ci avrebbero creduto o dato peso. Ribellarmi era impossibile... Così, poco prima delle ventitré, quando i “prefetti” cominciavano a sollecitarci di andare nelle camere, mi arresi e accettai la situazione.
Fortunatamente non vissi più nulla di simile a quel giorno anche se mi ritrovai quasi quotidianamente a dover soddisfare sessualmente qualche grande. Fortunatamente a settembre arrivò un quasi diciottenne che entrò rapidamente nello “spirito” del luogo e… scelse proprio me come suo “giocattolo”. E furono mesi tranquilli sia perché questo era un ragazzo studioso ma soprattutto perché non gli piaceva scopare un maschio e quindi mi teneva tutto per lui accontentandosi sporadicamente di un pompino o di una sega fatta con le mani. Mi accorsi anche che preferiva farlo in luoghi dove qualcuno potesse vederci, come a sottolineare il suo… ruolo, anche se forse ne avrebbe fatto volentieri a meno. Resta il fatto che non mi toccò più nessuno. A febbraio festeggiai i sedici anni e smisi di essere piccolo anche se restai “di proprietà” del vecchio fino a che, a metà agosto, non se ne andò pure lui. A quel punto avevo sedici anni e mezzo e mi trovavo in quella situazione in cui nessuno poteva più vantare diritti su di me. I mesi trascorsero tranquilli fino a febbraio quando, compiuti i diciassette anni, qualcuno mi fece notare che adesso ero diventato un grande. Il pomeriggio decisi di provare questo nuovo status e invitai un piccolo che sapevo essere molto disponibile con i grandi e persino felice di essere al centro delle loro attenzioni, a seguirmi in lavanderia. Mi appartai nella stanza più piccola e più tranquilla e, per sicurezza, mi chiusi anche dentro. Benjamin mi guardava e mi sorrideva e, quando gli feci il gesto di spogliarsi si denudò completamente in un attimo. Aveva un bel corpicino. Gli intimai di spogliare anche me, ma piano e lui si precipitò a farlo. Lo osservai un po', lo accarezzai ma il mio cazzo rimaneva inerte e quindi lo feci abbassare e iniziò a leccarmelo, succhiarmelo. Era bravo. Ogni tanto lo toglieva dalla bocca, alzava lo sguardo per incrociare i miei occhi, mi sorrideva e poi si rituffava sul mio uccello. Sembrava proprio che gli piacesse. E riuscì nell'impresa. Lo feci piegare sui cumuli di lenzuola e gli leccai il culo completamente privo di peli. Il buchetto era arrossato, rugoso e un po' aperto. E aveva anche un leggero gusto di sperma. Probabilmente era stato “usato” da non troppo tempo… Mi piaceva leccarlo. In fondo lo avevo dovuto fare tante volte “a comando”, adesso lo facevo per voglia. Quando appoggiai la cappella sull'orifizio lui spinse in fuori il culetto e me la fece scivolare dentro in un attimo. Mi prese quasi di sorpresa. In fondo era la prima volta che inculavo qualcuno e lui sembrava già un esperto nonostante la giovane età. Mi affondai del tutto e poi iniziai a muovermi. Cominciò subito a smaniare e a godere. Era incredibile quanto mugolasse. Dovetti persino imporgli di fare più piano, avendo paura che qualcuno potesse sentirci. Non durai molto e gli schizzai dentro senza contenermi e lasciandomi andare. Mentre mi pulivo con le lenzuola lui mi chiese se potevo dargli un bacio. Rimasi sorpreso. In tutto questo tempo non avevo mai baciato nessuno. Appoggiai le labbra sulle sue e aprii la bocca. La sua lunga entrò e cominciò a giocare con la mia. La muoveva dappertutto. Mi piaceva. Accidenti se mi piaceva. E mi piaceva anche sentire il mio corpo caldo contro il suo. Lo strinsi con le braccia e lui fece lo stesso. Sentivo il mio pene ancora eretto schiacciato contro la sua pancia e sentivo il suo appoggiato sulla gamba. Era bellissimo. Lo accarezzai a lungo mentre continuammo a baciarci, sicuramente per un tempo superiore alla scopata. Come ci staccammo prese l'iniziativa di abbassarsi e di rimettersi in bocca il mio pisello, ricominciando a succhiarlo come fosse un aspiratore. Mi fece tremare dal piacere. Mi sembrò che tutto fosse stato fantastico. Fu allora che decisi che quel piccolo doveva essere solo mio e… così fu.
Con Benjamin passammo quasi sei mesi meravigliosi. Era sempre sorridente quando ci vedevamo e, quasi sempre, era lui a… chiedermi se potevamo appartarci. Ovviamente, per “far vedere” chi era il grande dovevo essere io a chiamarlo, soprattutto quando era con gli altri anche se era stato lui a suggerirmelo. Passavamo ore a baciarci e ad accarezzarci anche se alla fine insisteva perché lo scopassi, anche se ne avrei fatto volentieri a meno… Ma dopo botta, fatta anche in fretta, ritornavamo a baciarci a lungo e quindi quella piccola interruzione anale poteva anche starci… Mi ringraziava in continuazione per averlo fatto di mia esclusiva proprietà e io lo ringraziavo per quanto fosse meraviglioso con me.
Purtroppo alla fine di maggio lo spostarono da un'altra parte. Non seppi più nulla di lui. Gli ultimi mesi li passai standomene tranquillo. Provai qualche piccolo ma non ne trovai mai uno in grado di prendere il posto di Benjamin. A giugno, alla fine delle lezioni, ormai avevo già compiuto da alcuni mesi i miei diciotto anni e una sera, chissà perché, sentendo la voce del direttore proprio vicino alla mia porta, lo avvicinai dicendo che dovevo parlargli di una cosa importantissima. Sarà stata la mia faccia o il modo in cui lo feci, ma lo convinsi. Mi disse di raggiungerlo in direzione. Ci andai e, anche se agitato e teso, gli raccontai tutto quello che mi era capitato da quando ero arrivato li. Con un certo timore ed imbarazzo ma anche con un senso di liberazione mi svuotai, confessai ogni situazione che avevo vissuto o che avevo sentito. Non pronunciò una parola fin che non smisi.
“Non puoi restare ancora qui. Stanotte vieni a dormire da me, poi troveremo una soluzione. Tanto in ogni caso avremmo dovuto spostarti.”
Mi chiese di aspettarlo li mentre sbrigava le formalità per la chiusura notturna e quindi mi condusse a casa sua. Ormai mezzanotte era passata da parecchio ma non avevo sonno. Lui mi fece accomodare e, a questo punto, volle sapere tanti particolari, ponendomi delle domande ben precise, su quasi tutto quello che era venuto a sapere prima. Anche quella volta avrei dovuto accorgermi che le sue curiosità stavano sconfinando nel pruriginoso, ma sentendomi ascoltato da qualcuno per la prima volta, pensai che volesse solo avere una visione dettagliata e particolareggiata del tutto.
Parlai, spiegai, entrai nei dettagli ma, alla fine… mi portò anche lui a letto. Mi baciò a lungo e questo mi piacque molto e poi mi scopò dolcemente, continuando a baciarmi. Non provai niente dietro ma lui si, però mi diedero piacere le sue carezze e la sua lingua. Mi fece venire con la mano ma non fu nulla di speciale. Fu in quel momento che disse quelle quattro parole che cambiarono la mia vita: “vuoi essere un escort?”
Dissi di si.
Dormimmo abbracciati e, alla mattina, quando mi svegliai, lui non c'era. Sul tavolo c'erano 50 euro e un biglietto.
-Sono al lavoro. I soldi sono per te. Sono per il tuo primo lavoro. Mi farebbe piacere ritrovarti al mio ritorno. Avviso io che hai scelto di andartene e, essendo maggiorenne, puoi farlo. Se ti va puoi restare qui da me fin che ti va. Un bacio. p.s. oggi pomeriggio porto tutti i tuoi vestiti e le cose che hai lasciato in camera.”
Quando rientrò lo trovò li, pronto..
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